I LE OPERE DI GIORGIO VASARI LE VITE ) LE VITE BE' PIÙ ECCELLENTI PITTORI SCULTORI ED ARCHITETTORI SCRITTE DA GIORGIO VASARI PITTORE ARETINO CON NUOVE ANNOTAZIONI E COMMENTI * ri GAETANO MILANESI Tomo IV IN FIRENZE C. SANSONI, EDITORE MDCCCLXXIX Tip. e Lit. Carnesecchi. — Firenze, Piazza d'Arno. ì PARTE TERZA PKOEMIO Veramente grande augumento fecero alle arti della architettura, pittura e scultura, quelli eccellenti maestri che noi abbiamo descritti sin qui nella Seconda Parte di queste Vite, aggiugnendo alle cose de1 primi regola, ordine, misura, disegno e maniera, se non in tutto per- fettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi, di chi noi ragioneremo da qui avanti, poterono mediante quel lume sollevarsi e condursi alla somma perfezione, dove abbiamo le cose moderne di maggior pregio e più celebrate. Ma perchè più chiaro ancor si conosca la qua- lità del miglioramento che ci hanno fatto i predetti ar- tefici, non sarà certo fuori di proposito dichiarare in po- che parole i cinque aggiunti che io nominai, e discorrer succintamente donde sia nato quel vero buono, che superato il secolo antico, fa il moderno sì glorioso. Fu adunque la regola nella architettura, il modo del misurare delle anticaglie, osservando le piante degli edi- fici antichi nelle opere moderne.1 L1 ordine fu il dividere 1 *Le seguenti definizioni sono del tutto vaghe ed oscure. L'autore applica alla Pittura ed alla Scultura quei cinque aggiunti che da prima non apparte- nevano che alla Architettura; onde vie più si accresce la inesattezza dei suoi concetti. È noto già come la parola regola fosse usata nell1 antica architettura tedesca per significare la forma fondamentale, secondo la quale costruivansi le parti, e si stabilivano le relazioni di esse: talché si diceva: la regola del trian- s FROEMIO ALLA PARTE TERZA l'un genere dall'altro, sì che toccasse ad ogni corpo le membra sue, e non si cambiasse più tra loro il dorico, lo ionico, il corintio ed il toscano:1 e la misura fu uni- versale sì nella architettura come nella scultura, fare i corpi delle figure retti, dritti, e con le membra organiz- zati parimente; ed il simile nella pittura. Il disegno fu lo imitare il più bello della natura in tutte le figure così scolpite come dipinte; la qual parte viene dallo averla mano e l'ingegno, che rapporti tutto quello che vede rocchio in sul piano, o disegni o in su fogli o tavola o altro piano, giustissimo ed a punto; e così di rilievo nella scultura. La maniera venne poi la più bella dall'avere messo in uso il frequente ritrarre le cose più belle, e da quel più bello o mani o teste o corpi o gambe aggiu- gnerle insieme, e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva, e metterla in uso in ogni opera per tutte le figure; che per questo si dice esser bella ma- niera.2 Queste cose non l'aveva fatte Giotto, ne que' primi artefici, sebbene eglino avevano scoperto i principj di tutte queste difficoltà, e toccatele in superficie, come nel golo equilatero, la regola del quadrato. (Boissère, Descrizione del Duomo di Colonia; Stieglitz, Storia dell'Architettura: ambedue in tedesco). Appresso, gl'Italiani usarono esclusivamente di questa parola nell'architettura romana», quando sotto il Brunellesco e Leon Batista Alberti presero ad imitarla. Il Vasari adunque l'ha qui adoperata nel significato di xoct' é£ox"nv. 1 'Dalla definizione che ne fa l'Autore stesso, vedesi che questo concetto è- subordinato al precedente. L'ordine deve essere contenuto nella regola. 2 *Non fa mestieri di ricordare, che il Vasari non usa qui del vocabolo w«- niera nel cattivo senso che oggi gli attribuiamo. Anche noi moderni adoperiamo questo vocabolo quasi sempre nel senso stesso del Vasari; cioè a significare- quello che dicesi stile, eh' è l'uso (generato dal sentimento e dall'occhio) di esprimere le forme degli oggetti naturali, secondo alcune leggi determinate e generali. La oscurità e la inesattezza del nostro Autore risaltano particolarmente nella parola maniera, non distinguendo egli che l'eclettismo (il raccogliere in un'opera d'arte quanto di più bello è sparso nella natura) può condurre per vie del tutto false, qualora non sia guidato da una legge vera, che ha suo fonda- mento nella natura stessa. La espressione artistica degli oggetti della natura secondo leggi e forme create arbitrariamente è appunto quello che noi chia^ miamo maniera, nel suo sinistro significato. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 9 disegno, più vero che non era prima e più simile alla natura; e così l'unione decolori, ed i componimenti delle figure nelle storie, e mólte altre cose, delle quali a ba- stanza s'è ragionato. Ma sebbene i secondi agomenta- rono grandemente a queste arti tutte le cose dette di sopra, elle non erano però tanto perfette, che elle finis- sino di aggiugnere all'intero della perfezione, mancan- doci ancora nella regola una licenzia che, non essendo di regola, fosse ordinata nella regola, e potesse stare senza fare confusione o guastare l'ordine; il quale aveva bisogno d'una invenzione copiosa di tutte le cose, e d'una certa bellezza continuata in ogni minima cosa, che mo- strasse tutto quell'ordine con più ornamento. Nelle mi- sure mancava uno retto giudizio, che senza che le figure fussino misurate, avessero in quelle grandezze ch'elle eran fatte ama grazia che eccedesse la misura. Nel di- segno non v' erano gli estremi del fine suo; perchè, seb- bene e' facevano un braccio tondo ed una gamba diritta, non era ricerca con muscoli, con quella facilità graziosa e dolce, che apparisce fra '1 vedi e non vedi, come fanno, la carne e le cose vive; ma elle erano crude e scorti- cate, che faceva difficoltà agli occhi e durezza nella ma- niera : alla quale mancava una leggiadria di fare svelte e graziose tutte le figure, e massimamente le femmine ed i putti con le membra naturali come agli uomini, ma ricoperte di quelle grassezze e carnosità, che non siano goffe come le naturali, ma arteficiate dal disegno e dal giudizio. Vi mancavano ancora la copia de' belli abiti, la varietà di tante bizzarrie, la vaghezza de' colori, la uni- versità ne' casamenti, e la lontananza e varietà ne' paesi: ed avvegnaché molti di loro cominciassino, come Andrea Verrócchio, Antonio del Poliamolo, e molti altri più moderni, a cercare di fare le loro figure più studiate ? e che ci apparisse dentro maggior disegno, con quella imitazione più simile e più a punto alle cose naturali; 10 l'ROEMIO ALLA PARTE TERZA aondimeuo e'noD v'era il tutto, ancora che ci fusse l'ima sii urlìi più certa che eglino andavano inverso il buono, e ch'elle tassino però approvate, secondo l1 opere degli antichi; come si vide quando il Verrocchio rifece le gambe e le braccia di marmo al Marsia di casa Medici in Fio- renza:1 mancando loro pure una fine, ed una estrema perfezione ne1 piedi, mani, capegli, barbe, ancora che il tutto delle membra sia accordato con l'antico, ed abbia una certa corrispondenza giusta nelle misure. Che s'eglino a vessino avuto quelle minuzie dei fini, che sono la per- fezione ed il fiore dell'arte, arebbono avuto ancora una gagliardezza risoluta nelle opere loro; e ne sarebbe con- seguito la leggiadria ed una pulitezza e somma grazia, che non ebbono, ancora che vi sia lo stento della dili- genzia, che son quelli che danno gli stremi dell'arte nelle belle figure o di rilievo o dipinte. Quella fine e quei certo che, che ci mancava, non lo potevano mettere così pre- sto in atto, avvenga che lo studio insecchisce la maniera, quando egli è preso per terminare i fini in quel modo. Bene lo trovaron poi dopo loro gli altri, nel veder cavar fuora di terra certe anticaglie citate da Plinio delle più famose; il Lacoonte, l'Ercole ed il Torso grosso di Bel- vedere; così la Venere, la Cleopatra, lo Apollo, ed in- finite altre; le quali nella lor dolcezza e nelle lor asprezze, con termini carnosi e cavati dalle maggior bellezze del vivo, con certi atti che non in tutto si storcono, ma si vanno in certe parti movendo, e si mostrano con una graziosissima grazia, e' furono cagione di levar via una certa maniera secca e cruda e tagliente che, per lo so- verchio studio, avevano lasciata in quest'arte Pietro della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Baldo vinetti, Andrea del Castagno, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Co- simo Rosselli, l'Abate di San Clemente, Domenico del 1 Vedi tom. Ili, nota 1, pag. 367. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 11 Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, Fi- lippo,1 e Luca Signorello; i quali, per sforzarsi, cerca- vano fare l'impossibile dell'arte con le fatiche, e mas- sime negli scorti e nelle vedute spiacevoli; che sì come erano a loro dure a condurle , così erano aspre a vederle. Ed ancora che la maggior parte russino ben disegnate e senza errori, vi mancava pure uno spirito di prontezza, che non ci si vide mai, ed una dolcezza ne' colori unita, che la cominciò ad usare nelle cose sue il Francia Bo- lognese, e Pietro Perugino;2 ed i popoli nel vederla cor- sero come matti a questa bellezza nuova e più viva, pa- rendo loro assolutamente, che e1 non si potesse giammai far meglio. Ma lo errore di costoro dimostrarono poi chia- ramente le opere di Lionardo da Vinci, il quale dando principio a quella terza maniera che noi vogliamo chia- mare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, ed oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura, così a punto come elle sono, con buona regola, miglior ordine, retta misura, disegno perfetto, e grazia divina, abbondantissimo di copie, e profondissimo di arte, dette veramente alle sue figure il moto ed il fiato. Seguitò dopo lui, ancora che alquanto lontano, Giorgione da Castel Franco, il quale sfumò le sue pitture, e dette una terribil movenzia alle sue cose, per una certa oscurità di ombre bene intese. We meno di costui diede alle sue pitture forza, rilievo, dolcezza e grazia ne1 colori, Fra Bartolommeo di San Marco: ma più di tutti il graziosissimo Raffaello da Urbino; il quale studiando le fatiche de1 maestri vecchi e quelle de1 mo- derni, prese da tutti il meglio; e fattone raccolta, ar- 1 * L'ordine cronologico, col quale sono nominati questi artisti, ci fa certi che per Filippo debba intendersi non Fra Filippo Lippi, ma Filippino suo figliuolo. E poi singolare il vedere come in questo novero egli abbia omesso Masaccio. 2 Se il Vasari fosse stato (come lo calunniano alcuni) scrittore invidioso del merito degli artefici non toscani, avrebbe dato al suo discorso altro giro, per non far risaltare questo singoiar pregio del Francia e del Vannucci. 12 PROEMIO ALLA PARTE TERZA ricchi T arte della pittura di quella intera perfezione che ebbero anticamente le figure eli Apelle e eli Zeusi, e più, se si potesse dire, o mostrare l'opere di quelli a questo paragone. Laonde la natura restò vinta dai suoi colori; e T invenzione era in lui sì facile e propria, quanto può giudicare chi vede le storie sue; le quali sono simili alli scritti, mostrandoci in quelle i siti simili e gli edifìcj, così come nelle genti nostrali e strane le cere e gli abiti secondo che egli ha voluto: oltra il dono della grazia delle teste, giovani, vecchi e femmine; riservando alle modeste la modestia, alle lascive la lascivia, ed ai putti * ora i vizi negli occhi, ed ora i giuochi nelle attitudini. E così i suoi panni, piegati ne troppo semplici ne intri- gati, ma con una guisa che paiono veri.1 Seguì in questa maniera, ma più dolce di colorito e non tanta gagliarda, Andrea del Sarto; il quale si può dire che fusse raro, perchè l'opere sue sono senza errori. We si può espri- mere le leggiadrissime vivacità che fece nelle opere sue Antonio da Correggio, sfilando i suoi capelli con un modo, non dì quella maniera fine che facevano gli innanzi a lui, ch'era difficile, tagliente e secca, ma d'una piumo- sità morbidi, che si scorgevano le fila nella facilità del farli, che parevano d'oro e più belli che i vivi, i quali restano vinti dai suoi coloriti. Il simile fece Francesco Mazzola, parmigiano; il quale in molte parti, di grazia e di ornamenti e di bella maniera, lo avanzò;2 come si vede in molte pitture sue, le quali ridano nel viso, e sì come gli occhi veggono vivacissimamente, così si scorge il batter de' polsi, come più piacque al suo pennello. Ma 1 Queste lodi sensatissime, e bene appropriate all'incomparabile Raffaello, formano indirettamente una ragionata censura dello stile seguito dal Vasari nelle sue pitture. Ecco dunque la conferma di ciò che abbiamo altrove rilevato, che i pregiudizi di scuola non gli velavano gli occhi e l'intelletto in modo, da non conoscere nè valutare al giusto i meriti altrui. 2 Non tutti forse confermeranno un tal giudizio; poiché il Parmigianino vo- lendo superare il Correggio nella grazia, cadde sovente nell' affettazione. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 13 chi considererà l1 opere delle facciate di Polidoro e di Maturino, vedrà le figure far que' gesti che l'impossibile non può fare; e stupirà come e' si possa non ragionare con la lingua, 'eh' è facile, ma esprimere col pennello le terribilissime invenzioni, messe da loro in opera con tanta pratica e destrezza, rappresentando i fatti de1 Romani come e' furono propriamente. E quanti ce ne sono stati che hanno dato vita alle loro figure coi colori, ne' morti?1 come il Rosso, Fra Sebastiano, Giulio Romano, Perin del Vaga; perchè de1 vivi, che per se medesimi son notissimi, non accade qui ragionare. Ma quello che importa il tutto di questa arte è, che V hanno ridotta oggi talmente per- fetta, e facile per chi possiede il disegno, l'invenzione ed il colorito, che dove prima da que' nostri maestri si fa- ceva una tavola in sei anni, oggi in un anno questi mae- stri ne fanno sei: ed io ne fo indubitatamente fede, e di vista e d' opera : 2 e molto più si veggono finite e per- fette, che non facevano prima gli altri maestri di conto. Ma quello che fra i morti e' vivi porta la palma, e tra- scende e ricuopre tutti, è il divino Michelagnolo Buo- narroti; il qual non solo tiene il principato di una di queste arti, ma di tutte tre insieme. Costui supera e vince non solamente tutti costoro e' hanno quasi che vinto già la natura, ma quelli stessi famosissimi antichi, che sì lodatamente fuor d'ogni dubbio la superarono; ed unico si trionfa di quegli, di questi, e di lei; non ima- ginandosi appena quella, cosa alcuna sì strana e tanto diffìcile, ch'egli con la virtù del divinissimo ingegno suo, mediante l'industria, il disegno, l'arte, il giudizio e la grazia, di gran lunga non la trapassi: e non solo nella pittura, e ne' colori; sotto il qual genere si comprendono 1 Cioè, tra gli artefici che a tempo dello Scrittore non vivevano più. Il pe- riodo è mal costrutto, e perciò riesce oscuro. 2 E questo appunto (potrebbe rispondersi all'Autore) è stato il tuo e il loro male. 14 PROEMIO ALLA PARTE TERZA tutte le forme e tutti i corpi retti e non retti, palpabili ed impalpabili, visibili e non visibili; ma nell'estrema rotondità ancora de1 corpi, e con la punta del suo scar- pello: e delle fatiche di così bella e fruttifera pianta son distesi già tanti rami e sì onorati, che oltre l'aver pieno il mondo in sì disusata foggia de1 più saporiti frutti che siano, hanno ancora dato l'ultimo termine a queste tre nobilissime arti con tanta e sì maravigliosa perfezione, che ben si può dire e sicuramente, le sue statue, in qual si voglia parte di quelle, esser più belle assai che l'an- tiche; conoscendosi, nel mettere a paragone teste, mani, braccia e piedi, formati dall'uno e dall'altro, rimanere in quelle di costui un certo fondamento più saldo, una grazia più interamente graziosa, ed una molto più as- soluta perfezione, conciotta con una certa difficultà sì facile nella sua maniera, che egli è impossibile mai ve- der meglio. Il che medesimamente si può credere delle sue pitture ; le quali , se per avventura ci fussero di quelle famosissime greche o romane da poterle a fronte a fronte paragonare, tanto resterebbono in maggior pregio e più onorate, quanto più appariscono le sue sculture supe- riori a tutte le antiche.1 Ma se tanto, sono da noi am- mirati que' famosissimi che, provocati con sì eccessivi premj e con tanta felicità, diedero vita alle opere loro; quanto doviamo noi maggiormente celebrare e mettere in cielo questi rarissimi ingegni, che non solo senza premj, ma in una povertà miserabile fanno frutti sì preziosi? 1 Tra i pregj sommi che rendon ammirabili le sculture di Michelangiolo, è da notare la mollezza che apparisce nelle parti carnose, onde a vederle credi che i muscoli di quelle figure debbano cedere alla pressione della mano. Per questa qualità, per la cognizione anatomica, per l'energia ecc., possono le statue di lui essere anteposte a molte antiche. Ma il Vasari ha detto essere le medesime su- periori a tutte ed in tutto, ed ha detto troppo. L'ingegno di quell'uomo straordi- nario era immenso ; nondimeno non si può concludere che le opere sue offrano, in qualsivoglia aspetto si considerino, l'esempio di quanto può far l'arte umana di più perfetto. In questo elogio, messer Giorgio uni all'ammirazione, comune a tutti per quel Divino, l'entusiasmo suo particolare come proselito del medesimo. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 15 Credasi ed affermisi adunque, che se in questo nostro secolo fusse la giusta remunerazione, si farebbono senza dubbio cose più grandi , e molto migliori che non fecero mai gli antichi. Ma lo avere a combattere più con la fame che con la fama, tien sotterrati i miseri ingegni, ne gli lascia (colpa e vergogna di chi sollevare gli po- trebbe, e non se ne cura) farsi conoscere* E tanto basti a questo proposito, essendo tempo di oramai tornare alle Vite, trattando distintamente di tutti quegli che hanno* fatto opere celebrate in questa terza maniera; il prin- cipio della quale fu Lionardo da Vinci, dal quale appresso comincieremo. 17 LIONARDO DA VINCI PITTORE E SCULTORE FIORENTINO ( Nato nel 1452 ; morto nel 1519 ) Grandissimi doni si veggono piovere dagl'influssi ce- lesti ne1 corpi umani, molte volte naturalmente, e sopran- naturali talvolta; strabocchevolmente accozzarsi in un €orpo solo, bellezza, grazia e virtù in una maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, ma- nifestamente si fa conoscere per cosa, eom'ella è, lar- gita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo ! videro gli uomini in Lionardo da Vinci , nel quale oltra la bellezza del corpo non lodata mai a bastanza, era la ; grazia più che infinita in qualunque sua azione ; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque l'animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta, e congiunta con la destrezza; l'animo e '1 valore, sempre regio e magnanimo; e la fama del suo nome tanto s'allargò, che non solo nel suo tempo fu te- nuto in pregio, ma pervenire ancora molto più ne' posteri dopo la morte sua.1 1 * L'opera migliore intorno a Leonardo da Vinci è tuttavia quella di Cario Amoretti: Memorie storiche sulla vita, gli studj e le opere di Lionardo da Vinci, Milano, 1804. Essa contiene le più minute indagini; ma non è scevra d'er- rori, che in parte son dovuti alle informazioni del consiglier De Pagave. Il Vasabi, Opere. — Voi. IV. 2 18 LEONARDO DA VINCI Veramente miratile e celeste fu Lionardo figliuolo di ser Piero da Vinci;1 e nella erudizione e principj delle lettere arebbe fatto profìtto grande, se egli non fusse stato tanto vario ed instabile. Perciocché egli si mise a imparare molte cose; e incominciate, poi l'abbandonava. Ecco, nell'abbaco, egli in pochi mesi eh' e' v'attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbj e diffi- cultà al maestro che gì' insegnava , bene spesso lo con- fondeva. Dette alquanto d'opera alla musica; ma tosto si risolvè a imparare a suonare la lira, come quello che dalla natura aveva spirito elevatissimo e pieno eli leg- giadria, onde sopra quella cantò divinamente all'improv- viso.2 Nondimeno, benché egli a sì varie cose attendesse, conte Gailenberg rifece questo libro in tedesco,, e L'accrebbe di alcune notizie tolte al Gerii, al Fiorillo e ad altri ( Vita ed opere di Leonardo da Vinci, Lipsia, 1834, in-8), ma senza. originali osservazioni e senza critica. Già molto im- perfetto era riuscito il saggio di G. C. Brun : Vita ed Arte di Leonardo da Vinci. t Di Lionardo molti altri hanno scritto in quest'ultimi anni, massimamente fuori d'Italia. Noi ci contentiamo di registrare, tra gl'Italiani: J. B. Venturi, Essai sur les óuvrages physico-mathématiques de L. de Vinci, Paris, 1797; Libri, Histoire des sciences mathématiqnes en Italie; Girolamo Luigi Calvi, nella parte III delle Notizie de' principali prò fessovi di belle arti che fiorirono in Milano ecc., Milano, Borroni, 1869; Gustavo Uziellt, Ricerche intorno a Lionardo da Vinci, Firenze, Pellas, 1872; e i professori Giuseppe Mongeri, Gilberto Govi e Cammillo Boito, ne' loro scritti pubblicati nel Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci, con ventiquattro tavole fotolitografiche di scrit- ture e disegni, tratti dal Codice Atlantico, Milano, Tito di Giovanni Ricordi, 1872, in-fol. max.; il marchese Girolamo D'Adda nel suo articolo Léonard de Vinci, la gravure milanaise et Passavant nella Gazette de Beaux Arts 1869, e nell'altro Leonardo da Vinci e la sua libreria, Milano 1873, in-8; e tra gli stranieri: Delécluze, Charles Clement, Charles Blanc e Rio; dai quali tutti si hanno più o meno nuovi particolari intorno alla vita ed alle opere così arti- stiche come scientifiche di Lionardo. 1 Fu figliuolo naturale di ser Piero d'Antonio di ser Piero di ser Guido da Vinci, natogli da una certa Caterina, donna di Cattabriga o Accattabriga, di Piero di Luca del luogo stesso. Dalle denunzie pubblicate dal Gaye (I, 223,224) si viene a sapere con certezza che il nostro Leonardo nacque nel 1452. Vinci è castello nel compartimento fiorentino, presso Empoli. 2 Delle poesie di lui non ci resta che il seguente sonetto, conservatoci dal Lomazzo e ristampato più volte: Chi non può quel che vuol, quel che può voglia; Che quel che non si .può, folle è volere. Adunque saggio l'uomo è da tenere, Che da quel che non può suo voler toglia. LEONARDO DA VINCI 19 non lasciò mai il disegnare ed il fare di rilievo, come cose che gli andavano a fantasia più cV alcun1 altra. Ve- duto questo, ser Piero, e considerato la elevazione di quello ingegno, preso un giorno alcuni de' suoi disegni, gli portò ad Andrea del Verrocchio eh' era molto amico suo, e lo pregò strettamente che gli dovesse dire, se Lio- nardo attendendo al disegno farebbe alcun profitto. Stupì Andrea nel veder il grandissimo principio di Lionardo, e confortò ser Piero che lo facesse attendere; onde egli ordinò con Lionardo eh1 e' dovesse andare a bottega di Andrea : il che Lionardo fece volentieri oltre a modo : e non solo esercitò una professione, ma tutte quelle, ove il disegno s' interveniva ; ed avendo uno intelletto tanto divino e maraviglioso , che essendo bollissimo geometra, non solo operò nella scultura, facendo nella sua giova- nezza di terra alcune teste di femine che ridono, che vanno formate per l'arte di gesso, e parimente teste di putti che parevano usciti eli mano d'un maestro;1 ma Però che ogni diletto nostro e doglia Sta in sì e no saper, voler, potere. Adunque quel sol può, che col- dovere Ne trae la ragion fuor di sua soglia. Nè sempre è da voler quel che T uomo potè ; Spesso par dolce quel . che torna amaro. Piansi già quel ch'io volsi, poi eh' io ì' ebbi. Adunque tu Lettor di queste note , S' a te vuoi esser buono e agli altri caro, Vogli sempre poter quel che tu debbi. i Intorno a questo sonetto vedasi nel giornale romano II Buonarroti, fa- scicoli di giugno e d'agosto 1875; un articolo di Gustavo Uzielli -intitolato Sopra un sonetto attribuito a Lionardo, da Vinci. Esso non è di Lionardo, ma di Antonio di Matteo di Meglio araldo della Signoria di Firenze dal 1418 al 1446, in cui morì, al quale è assegnato dalla maggior parte de1 codici dèi secolo xv delle Biblioteche fiorentine. 1 *« Anch'io mi trovo una testicciuola di terra di un Cristo, mentre che era « fanciullo,, di propria mano di Leonardo Vinci; nella quale si vede la sempli- « cita e purità del fanciullo, accompagnata da un certo che, che dimostra sa- ie pienza, intelletto e maestà, e l'aria che pure è di fanciullo tenero, e par aver « del vecchio savio; cesa veramente eccellente ». (Lomazzo, Trattato delWArte della Pittura ecc. Roma, 1844, in-8, voi. I, pag. 213). Lo stesso Lomazzo (ivi, pag. 301) ricorda « un cavallo di rilievo di plastica, fatto di sua mano (diLeo- « nardo ) , che ha il cav. Leone aretino statuario ». 20 LEONARDO DA VINCI neir architettura ancora fe1 molti disegni cosi di piante come di altri edifìzj, e fu il primo ancora, che giova- netto discorresse sopra il fiume d'Arno per metterlo in canale da Pisa a Fiorenza.1 Fece disegni di mulini, gual- chiere, ed ordigni che potessino andare per forza d'acqua: e perchè la professione sua volle che russe la pittura, studiò assai in ritrar di naturale, e qualche volta in far modegli2 eli figure di terra; e adosso a quelle metteva cenci molli interrati, e poi con pazienza si metteva a ritrargli sopra a certe tele sottilissime di rensa o di panni lini adoperati, e gli lavorava di nero e bianco con la punta del pennello, che era cosa miracolosa;3 come ancora ne fa fede alcuni che ne ho di sua mano in sul nostro Libro de' disegni: oltre che disegnò in carta con tanta diligenza e sì bene, che in quelle finezze non e chi vi abbia aggiunto mai ; che n' ho io una testa di stile e chiaro scuro , che è divina : ed era in queir ingegno infuso tanta grazia da Dio ed una demostrazione sì ter- ribile, accordata con l'intelletto e memoria che lo ser- viva, e col disegno delle mani sapeva sì bene esprimere il suo concetto, che con i ragionamenti vinceva e con le ragioni confondeva ogni gagliardo ingegno. Ed ogni giorno faceva modegli e disegni da potere scaricare con facilità monti, e forargli per passare da un piano a un altro, e per via di lieve e di argani e di vite mostrava potersi alzare e tirare pesi grandi : e modi da votar porti, e trombe da cavare de' luoghi bassi acque, che quel cer- vello mai restava di ghiribizzare ; de1 quali pensieri e fati- 1 *Di questa carne di altre opere idrauliche si tien discorso nella Parte Terza del Commentario che segue; dove similmente si dà conto di altre cose che si ri- feriscono ai lavori scientifici di Leonardo. 2 t Neil1 edizione del 1568, certamente per errore di stampa, dice medaglie, che noi abbiamo mutato in modegli, parendoci che così dovesse dire; il che è confermato da quel che più sotto scrive il Vasari medesimo. 9 *Vedi nella Parte Seconda del Commentario, tra' disegni, gli studj delle pieghe. LEONARDO DA VINCI 21 che se ne vede sparsi per l'arte nostra molti disegni , ed io n'ho visti assai.1 Oltreché perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino all'altro, tanto che s'empiessi un tondo; che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole : Leonardus Vinci Acca- demia? E fra questi modegli e disegni ve n'era uno, col quale più volte a molti cittadini ingegnosi che allora governavano Fiorenza, mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza, e sottomettervi le scalee senza minarlo; e con sì forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e' si era partito, conoscesse per se medesimo l'impossibilità di cotanta impresa. Era tanto piacevole nella conversazione, che tirava a se gli animi delle genti; e non avendo egli, si può dir, nulla, e poco lavorando, del continuo tenne servitori e cavalli, de' quali si dilettò molto, e. particolarmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo amore e pacienza governava: e mostrollo, che spesso passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n' era chiesto, li lasciava in aria a volo, restituendoli la per- duta libertà. Laonde volle la natura tanto favorirlo, che 1 Carlo Giuseppe Gerii ne pubblicò una quantità in Milano nel 1794 pel Ga- leazzi. Nel 1830 furono ivi riprodotti con note illustrative da Giuseppe Vallardi. Una raccolta dei disegni vinciani esistenti nell'Ambrosiana pubblicò pure in Milano nel 1785 Girolamo Mantelli di Canobbio. 2 ""Questo ingegnoso intrecciamene di corde, dentrovi non Leonardus Vinci Accademia, ma Leonardi Vinci Academia, è riportato dall'Amoretti in fronte alle Memorie sopra citate. Il marchese G. D'Adda (Léonard de Vinci, la gra- vure milanaise et Passavant) dice- che di questi intrecciamenti di corde nella raccolta Ambrosiana se ne conservano fino a sei. Se ne conosce un'antica stampa in legno, intagliata da Alberto Durerò. Delle incisioni attribuite a Lionardo, il D'Adda non riconosce per opera di lui che quella del ritratto in profilo d'una giovane, conservata nel Museo Britannico, e l'altra posseduta dal signor Angio- lini di Milano, dove sono intagliati cavalli in varie attitudini; nega che sieno intagliati da Lionardo i disegni nell'opera De Divina Proportione del Paciolo e gli altri nel Trattato di Musica del Gafurio. 22 LEONARDO DA VINCI dovunque e' rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mo- strò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfe- zione di prontezza, vivacità, boutade, vaghezza e grazia, nessuno altro mai gli fu pari. Vedesi bene che Lionardo per T intelligenza dell'arte cominciò molte cose, e nes- suna mai ne finì, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezione dell'arte nelle cose che egli s'ima- ginava: conciossiachè si formava nell'idea alcune diffi- cultà sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora ch'elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai. E tanti furono i suoi capricci, che filosofando delle cose naturali attese a intendere la propieta delle erbe, continuando ed osservando il moto del cielo, il corso della luna, e gli andamenti del sole. 1 Acconciossi dunque , come e detto, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza all' arte con Andrea del Verrocchio, il quale facendo una tavola, dove San Giovanni battez- zava Cristo, Lionardo lavorò un angelo che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal ma- niera, che molto meglio delle figure d'Andrea stava l'an- gelo di Lionardo; il che fu cagione ch'Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più dì lui.2 Li fu allogato per una portiera, che 1 Nella prima edizione leggonsi inoltre le seguenti parole : « Per il che fece « neir animo un concetto sì eretico, che e' non si accostava a qualsivoglia reli- « gione, stimando per avventura assai più lo esser filosofe, che cristiano ». Nella seconda edizione omesse il Vasari un tal periodo, e fece bene, conoscendo pro- babilmente d'essere stato ingannato da qualche mal fondata tradizione rimasta nel volgo; imperocché è noto che in quei tempi, nei quali lo studio delle cose natu- rali e speculative non era sì comune, coloro che vi si applicavano venivano dagli ignoranti facilmente presi per eretici o miscredenti, e non di rado eziandio per fattucchieri e per maghi. (Vedi più sotto, a.pag. 48 le note 1 e 2). 2 t Vedi la Vita del Verrocchio, tom. Ili, pag. 366. Noi abbiamo documenti, i quali provano che nel 1476 Lionardo stava tuttavia nella bottega del Verrocchio. E ci pare che quando egli dipinse l'angelo nella tavola del Battesimo, non do- vesse essere più fanciullo, rna facilmente giovane di più di 20 anni. Questa no- stra congettura potrebbe diventare certezza, se ci fosse dato di assegnare il tempo preciso di quel dipinto. Ma il racconto del Vasari ci richiama ad altre considerazioni; cioè, in primo luogo se sia da credere così facilmente che il LEONARDO DA VINCI 23 ài aveva a fare in Fiandra cV oro e di seta tessuta per mandare al re di Portogallo, un cartone d'Adamo e d'Eva, quando nel paradiso terrestre peccano : dove col pennello fece Lionardo di chiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato di erbe infinite con alcuni animali, che in vero può dirsi che in diligenza e naturalità al mondo divino in- gegno far non la possa sì simile. Quivi è il fico, oltra lo scortar delle foglie e le vedute de1 rami, condotto con tanto amore , che V ingegno si smarrisce solo a pensare €ome un uomo possa avere tanta pacienza. Evvi ancora un palmizio che ha la rotondità delle ruote della palma lavorate con sì grande arte e niaravigliosa, che altro che la pazienza e V ingegno di Lionardo non lo poteva fare ; la quale opera altrimenti non si fece, onde il cartone è oggi in Fiorenza nella felice casa del magnifico Otta- viano de1 Medici, donatogli non ha molto dal zio di Lionardo. 1 Dicesi che ser Piero da Vinci essendo alla villa, fu ricercato domesticamente da un suo contadino, il quale cT un fico da lui tagliato in sul podere aveva di sua mano fatto una rotella, che a Fiorenza gnene facesse dipignere: il che egli contentissimo fece, sendo molto pratico il vil- lano nel pigliare uccelli e nelle pescagioni, e servendosi grandemente di lui ser Piero a questi esercizj. Laonde fattala condurre a Firenze , senza altrimenti dire a Lio- nardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo arrecatosi un giorno tra le mani questa rotella, veggendola torta, mal lavorata e Verrocchio facesse così grandi maraviglie vedendo l'angelo dipinto da Lionardo nella tavola del Battesimo, quando di quel che il Da Vinci valesse nell'arte sua egli non doveva aver fatto esperienza allora per la prima volta; ed in secondo luogo se sia verosimile che il Verrocchio vedendosi vinto dal discepolo pigliasse tanto sdegno da non voler più innanzi toccare pennelli: essendo certissimi che egli tenesse aperta tuttavia la sua bottega di pittore anche nel 1476, cioè qual- che anno dopo di quello, nel quale si può congetturare che fosse dipinta la detta tavola. 1 Questo cartone è smarrito. 24 LEONARDO DA VINCI goffa, la dirizzò col fuoco; e datala a un tornitore, di rozza e goffa che ella era, la fece ridurre delicata e pari; ed appresso ingessatala ed acconciatala a modo suo, co- minciò a pensare quello che vi si potesse dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse còntra, rappre- sentando lo effetto stesso che la testa già di Medusa. Portò dunque Lionardo per questo effetto ad una sua stanza, dove non entrava se non egli solo, lucertole, ra- marri, grilli, serpe, farfalle, locuste, nottole ed altre strane spezie di simili animali; dalla moltitudine de' quali variamente adattata insieme cavò un ammalacelo molta orribile e spaventoso, il quale avvelenava con l'alito e p faceva V aria di fuoco ; e quello fece uscire d' una pietra scura e spezzata, buffando veleno dalla gola aperta, fuoco dagli occhi, e fumo dal naso sì stranamente, che pareva monstruosa ed orribile cosa affatto : e penò tanto a farla, che in quella stanza era il morbo degli animali morti troppo crudele, ma non sentito da Lionardo per il grande amore che portava all'arte. Finita questa opera, che più non era ricerca ne dal villano ne dal padre, Lionardo gli disse che ad ogni sua comodità mandasse per la ro- tella, che quanto a lui era finita. Andato dunque sei- Piero una mattina alla stanza perla rotella , e picchiato alla porta, Lionardo gli aperse dicendo che aspettasse un poco; e ritornatosi nella stanza, acconciò la rotella al lume in sul leggio, ed assettò la finestra che facesse lume abbacinato; poi lo fece passar dentro a vederla. Ser Piero nel primo aspetto non pensando alla cosa, subitamente si scosse, non credendo che quella fosse rotella, ne manco dipinto quel figurato che e' vi vedeva; e tornando col passo a dietro, Lionardo lo tenne, dicendo: Questa opera serve per quel che ella è fatta; pigliatela dunque, e por- tatela, che questo è il fine che dell'opere s'aspetta. Parse questa cosa più che miracolosa a ser Piero, e lodò grandis- simamente il capriccioso discorso di Lionardo; poi compe- LEONARDO DA VINCI 25 rata tacitamente da un mereiaio un' altra rotella dipinta d'un cuore trapassato da uno strale, la donò al villano, che ne li restò obbligato sempre mentre che e' visse. Ap- presso vendè ser Piero quella di Lionardo secretamente in Fiorenza a certi mercatanti cento ducati, ed in breve ella pervenne alle mani del duca di Milano, vendutagli trecento ducati da' detti mercatanti. 1 Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro che era appresso papa Clemente VII, molto eccellente; e fra l'altre cose che y erano fatte, contraffece una ca- raffa piena d'acqua con alcuni fiori dentro, dove, oltra la maraviglia delia vivezza, aveva imitato la rugiada del- l'acqua sopra, sì che ella pareva più viva che la vivezza.2 Ad Antonio Segni, suo amicissimo, fece in su un foglio un Nettuno, condotto così di disegno con tanta diligenzia, che e' pareva del tutto vivo. Ve.devasi il mare turbato ed il carro suo tirato da' cavalli marini con le fantasime, l'orche ed i noti, ed alcune teste di Dei marini bellis- sime; il quale disegno fu donato da Fabio suo figliuolo a messer Giovanni Gaddi, con questo epigramma: Pinxit Virgilms Neptimum, pinxit Homerus; Bum maris undisoni per vada flectit equos. Mente quidem vates illum conspexit uterque, Vincius ast oculis; jureque vincìt eos. 3 Yennegli fantasia di dipingere in un quadro a olio una testa d'una Medusa, con una acconciatura in capo con uno aggruppamento di serpe, la più strana e stra- vagante invenzione che si possa immaginare mai; ma come opera che portava tempo, e come quasi interviene 1 Da gran tempo non se ne ha più notizia. 2 Credesi esser quella posseduta dal principe Borghese a Roma. (Amoretti* pag. 168). 3 La Galleria Gaddi fu venduta, e non sappiamo qual destino avesse il di- segno ora descritto. LEONARDO DA VINCI in tutte le cose sue, rimase imperfetta. Questa e fra le cose eccellenti nel palazzo del duca Cosimo,1 insieme con una testa d'uno angelo, che alza un braccio in aria, che scorta dalla spalla al gomito venendo innanzi , e V altro ne va al petto con una mano.2 È cosa mirabile che quello ingegno, che avendo desiderio di dar sommo rilievo alle cose che egli faceva, andava tanto con l'ombre scure a trovare i fondi de1 più scuri che cercava neri che om- brassino e russino più scuri degli altri neri, per fare che '1 chiaro, mediante quegli, fussi più lucido; ed infine riusciva questo modo tanto tinto, che non vi rimanendo chiaro, avevon più forma di cose fatte per contraffare una notte, che una finezza del lume del dì: ina tutto era per cercare di dare maggiore rilievo , di trovar il fine e la perfezione dell'arte. Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno che gli fussi piaciuto, un giorno intero; e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo disegnava come se r avesse avuto presente. Di questa sorte se ne vede molte teste e di femine e di maschi, e n'ho io disegnate pa- recchie di sua mano con la penna nel nostro libro de' di- segni tante volte citato;3 come fu quella di Amerigo Vespucci, eh' è una testa di vecchio bellissima, disegnata di carbone, e parimenti quella di Scaramuccia capitano 1 Sussiste benissimo conservata nella Galleria di Firenze, nella sala ove sono ì quadri di piccola mole, appartenenti alla Scuola Toscana. La stampa a con- torni vedesi nel tomo terzo della prima serie della Galleria di Firenze illustrata, tav. cxxviii. 2 Quest'angelo, creduto per lungo tempo smarrito, fu trovato da un nego- ziante e ristauratore di quadri presso un rigattiere, ma in istato così mal concio che varj professori e intendenti, cui per l' avanti era caduto sott' occhio, non avevano neppur sospettato che fosse opera di Leonardo: nondimeno il nominato ristauratore colle industrie dell'arte sua giunse a dargli un aspetto plausibile e tale da pretenderne buona somma. Fu acquistato dipoi da un signore russo. 8 Vedi nella Parte Seconda del Commentario la descrizione dei disegni del Vinci che sono nella raccolta della Galleria di Firenze. LEONARDO DA VINCI 27 de'Zingani, clie poi ebbe1 m esser Donato Valdambrini d'Arezzo, canonico di San Lorenzo, lassatagli dal Gìam- bullari.2 Cominciò una tavola della Adorazione de' Magi, che v1 è su molte cose belle, massime di teste; la quale era in casa d'Amerigo Benci dirimpetto alla loggia dei Per uzzi, la quale anche ella rimase imperfetta come l'al- tre cose sua. 3 1 'Questo ebbe, voluto dal senso, manca nella seconda edizione, per difetto di stampa. 2 Non si sa dove oggi sj trovino questi disegni. Nel Museo Britannico ve ne ha parecchi di consimili. Una testa virile di profilo, bianca e nera su carta tur- china , e la stessa veduta di faccia, eseguita con matita e biacca su carta del medesimo colore. Due fogli di caricature tratteggiate di penna ecc. (Vedi Pas- savant, Viaggio artistico, pag. 225). Un buon numero delle sue caricature è stato inciso nelle : Variae figurae et 'probe artem picturae incipiendae juventuti utiles, a Wenceslao Hollar Boh., aq. f. aere ine. anno 1745 , xiv fol. c. tit. (dai di- segni posseduti dal conte d'Arundel); Variae figurae monstruosae a Leon, da Vinci delineatae, aere ine. a Jacobo Sandrart. Ratisbonae, 1654, ìn-A. — Re- cueil des Tètes de caractère et de charge , dessinées par Léonard de Vinci florentin, et gravées par le C. (omte) de C. (aylus), 1730, in-4. Queste ultime furono incise di bel nuovo da G. A. P. in Augusta, in-fol. Se ne trovano anche nelle collezioni del Gerii e del Chamberlain. I nomi delle persone, scritti in dia- letto milanese, dimostrano che Leonardo disegnò queste caricature dal vivo, e propriamente in Milano. Narra il Lpmazzo, Trattato della Pittura, lib. II, cap. i, che volendo una volta Leonardo « fare un quadro di alcuni contadini che aves- « sero a ridere (tutto che non lo facesse poi, ma solamente lo disegnasse), scelse « certi uomini quali giudicò a suo proposito, ed avendoglisi fatti familiari, col. « mezzo di alcuni suoi amici gli fece un convito; ed egli sedendogli appresso, « si pose. a raccontare le più pazze e ridicole cose del mondo che gli fece, quan- « tunque non sapessero di che, ridere alla smascellata. Donde egli osservando « diligentissimamente tutti i loro gesti con quei detti ridicoli che facevano, im- « presse nella mente; e poi, dopo che furono partiti, si ritirò in camera, ed ivi « perfettamente li disegnò, in tal modo che non movevano meno essi a riso i « riguardanti, che si avessero mosso loro le novelle di Leonardo nel convito ». 3 Si conserva adesso nella Tribuna della R. Galleria di Firenze. Il disegno inciso trovasi nell'opera sopra citata (nota 13), Serie I, tom. II, tav. lxxxvih. t Noi crediamo che questa tavola dell'Adorazione de' Magi sia quella commessa a Lionardo nel marzo del 1481 dai monaci di San Donato a Scopeto fuori di Firenze per l'altare maggiore della loro chiesa, al prezzo di 300 fiorini d'oro. Ed in questa opinione ci conferma il vedere che il medesimo soggetto dipinse Filippino Lippi nella tavola che per quello stesso altare gli fu allogata sedici anni dopo : e che oggi è nella Galleria predetta. Ebbe Lionardo ancora a dipingere dai Signori e Collegi con deliberazione del 1 di gennajo 1478 la tavola della cappella di San Bernardo nel Palazzo pubblico, la quale otto giorni innanzi essi avevano allogata a Pietro del Pollajuolo, e poi toltagli, senza che se ne sappia la cagione. Ma Lionardo, sebbene da un pagamento di 25 fiorini fattogli 28 LEONARDO DA VINCI Avvenne che morto Giovan Galeazzo duca di Milano, e creato Lodovico Sforza nel grado medesimo l'anno 1494, fu condotto a Milano con gran riputazione Lionardo al duca, il quale molto si dilettava del suono della lira, per- chè sonasse ; 1 e Lionardo portò quello strumento eh' egli aveva di sua mano fabbricato d'argento gran parte, in forma d'un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuòva, ac- ciocché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce;2 laonde superò tutti i musici che quivi erano concorsi a sonare. Oltra ciò, fu il migliore dicitore di rime all'improvviso del tempo suo. Sentendo il duca i per questo conto si mostrerebbe che avessela cominciata; non la fece poi altri- menti, restandone solamente il cartone, secondo il quale Filippino dipinse nel 1485 la tavola con Nostra Donna, e varj santi, che si vede presentemente nella suddetta Galleria. Vedi Documenti inediti risguardonti Leonardo da Vinci, pubblicati da G. Milanesi, Firenze 1872. 1 *È ormai provato, che Leonardo era a Milano sino dal 1483. Vedi Amoretti, Mem. cit., pag. 27-32; e vedi anche nella Terza Parte del Commentario che segue a questa Vita. 2 *Che Leonardo si occupasse in siffatte invenzioni, appare anche da una nota del cod. Atlantico dell'Ambrosiana, segnato Q. R., pag. 28; e in un codice Trivulziano in pergamena, contenente un trattato di musica di Prete Fiorendo, dove si vede ritratto Leonardo con una chitarra in mano, tra gli ornati del fron- tespizio. (Amoretti, Mem. cit., pag. 32). t Questo codice in ottavo di foglio ha nell' occhietto una cartella quadri- lunga col fondo azzurro, sul quale è scritto a lettere d' oro : Florentii musici sacerdotisque ad illustrissimum ac amplissimum dominum et dominum Asca- nium Mariam Sf. Vicecomitatem ac Sancti Viti Diaconum Cardinalem dignis- simum, Liber musices incipit. La cartella è contornata da un fregio a girali di fiori di più colori tramezzato da tondi con mezze figure, putti, ed imprese sforzesche. In basso è lo stemma degli Sforza Visconti sormontato dal cappello cardinalizio. Nella carta che segue è il principio del libro. Dentro una cartella di fondo azzurro è il titolo a lettere d'oro: Florentius musicus et sacerdos Ill.mo ac amplissimo Ascanio card.li domino suo. Nella iniziale è il prete Fio- renzo col libro in mano. Nel fregio sono i soliti ornamenti a fiorellini e girali di foglie e medaglioni con mezze figure e imprese. Da basso l' arme suddetta. Queste miniature che si dicono senza nessuna ragione di Lionardo, hanno tutte le qualità che furono proprie di Attavante miniatore fiorentino, al quale non dubitiamo di assegnarle. Intorno a questo codice vedi Girolamo D'Adda: Leo- nardo da Vinci e la sua libreria-, Milano, 1873, in-8. Nella stessa casa Trivulzio è un altro codicetto, chiamato La Grammatica del Conte di Pavia, o di Mas- similiano Sforza figliuolo di Lodovico il Moro. Ha dieci miniature assai belle, che si vogliono di Lionardo, ma a noi pare di vedervi invece la mano di Fra Antonio da Monza, miniatore eccellente, sebbene poco noto. LEONARDO DA VINCI 29 ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, talmente s' inna- morò delle sue virtù, che era così incredibile. .E pregatolo, gli fece fare in pittura una tavola d'altare dentrovi una Natività, che fu mandata dal duca air imperatore.1 Fece ancora in Milano ne1 frati di San Domenico a Santa Maria delle Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa; 2 ed alle teste degli apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando po- terle dare quella divinità celeste, che all'imagine di Cristo si richiede.3 La quale opera rimanendo così per finita, è stata dai Milanesi tenuta del continuo in grandissima 1 * Questo quadro non esiste più nella Galleria Imperiale di Vienna, e sembra essere andato smarrito. 2 * Questo maraviglioso dipinto, che dal Lanzi vien detto, e a buon diritto, •essere il compendio di tutti gli studj e di tutti gli scritti di Leonardo, fu inciso, come è ben noto, nel 1800 da Raffaello Morghen, in-folio grande; ed è stimato il capolavoro di questo incisore: fu in seguito ripetuto da molti. Più tardi, per ordine del viceré d'Italia fu copiato in musaico, e a tal uopo il cav. Bossi di- segnò un cartone, che ora si conserva nella Galleria Leuchtenberg di Monaco, ed eseguì in appresso il dipinto, che ora si trova in Brera a Milano. I disegni di studio che il Bossi ne fece, sovra varie copie antiche (per le quali vedi Amo- retti e F. Villot, Notice des tableaux italiens exposés dans les Galeries du Musée National du Louvre; Paris 1849), si trovano nella collezione Ducale di belle arti in Weimar. Frutto delle osservazioni ch'egli fece su questo lavoro di Leonardo è l'eccellente libro da lui mandato alla luce nel 1810, col titolo : Bel Cenacolo di Leonardo da Vinci, libri quattro, in-folio ; opera che dette materia ad una severa critica del conte Carlo Verri, stampata nel 1812. L'Amoretti <{pag. 65) prova per mezzo di un documento, che Leonardo era occupato in questo lavoro fin dal 1497; e che per conseguente doveva averlo incominciato varj anni innanzi; e il Bossi crede persino, che egli vi lavorasse per ben sedici anni, cioè dal 1481 al 1497. t Gli storici moderni tengono che questa pittura fosse lavorata da Leo- nardo nello spazio di tre anni, cioè dal 1495 al 1498. 8 Secondo l'Armenini ed altri, il volto del Salvatore era finitissimo. Può darsi che per l'esecuzione fosse condotto allo stesso grado delle altre teste, e che non- diméno al pittore non paresse finito, perchè mancante di quelle perfezioni che egli concepiva colla mente, ma che alla mano non era dato l'aggiungere. — *E Leonardo, dice il Lomazzo, non potè penetrare tanto oltre coli' intelletto, da conseguire questa deità nel Cristo del Cenacolo. È falso che'i disegni delle tre- dici teste degli Apostoli fossero un tempo nell'Ambrosiana. Il Pino dice che dal conte Arconati passarono al marchese Gasnedi. Poi gli ebbe la famiglia Sagredo di Venezia, dalla quale li comprò il console inglese Uduny. Sembra che questi li legasse a due pittori inglesi, onde si divisero in due parti; l' una di dieci, di tre l'altra, che andò in mano di una dama inglese. Gli altri li comperò LEONARDO DA VINCI venerazione, e dagli altri forestieri ancora; atteso che Lionardo s' imaginò e nàscigli di esprimere quel sospetto die era entrato negli Apostoli, di voler sapere chi tra- diva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l'amore, la paura e lo sdegno, ovvero il dolore di non potere intendere lo animo di Cristo: la qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo in- contro l'ostinazione, l'odio e'1 tradimento in Giuda; senza che ogni minima parte dell' opera mostra una incredibile diligenzia; avvengachè insino nella tovaglia b contraffatto l'opera del tessuto d'una maniera, che la rensa stessa non mostra il vero meglio. Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo che finissi l'opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno per volta astratto in considerazione; ed arebbe voluto, come faceva dell'opere che zappavano nell'orto, che egli non avesse mai fermo il pennello; e non gli bastando questo, se ne dolse col duca, e tanto lo rinfocolò, che fu costretto a mandar per Lionardo, e destramente sollecitarli l'opera; mostrando con buon modo, che tutto faceva per l'impor- tunità del priore. Lionardo, conoscendo l'ingegno di quel principe esser acuto e discreto, volse (quel che non avea mai fatto con quel priore) discorrere col duca largamente sopra di questo: gli ragionò assai dell'arte, e lo fece ca- pace che gl'ingegni elevati talor che manco lavorano, più sir Tommaso Lawrence; e alla morte sua furono acquistati dal mercante di cose d'arte Woodburn. In fine, passarono nella raccolta del re d'Olanda all'Aja; e nella vendita che di quella quadreria fu fatta all'asta pubblica nell'agosto del 1850, furono rilasciati per 17,200 franchi. Questi cartoni sono fatti a pastello ; il che riscontra con ciò che ne scrive il Lomazzo nel cap. v del lib. Ili del suo Trat- tato della Pittura, dove dice: « fu molto usato (il colorire a pastello) da « Leonardo Vinci, il quale fece le teste di Cristo e degli Apostoli a questo modo « eccellenti e miracolose, in carta ». Gli Apostoli sono : 1° sant'Andrea, 2° san Mat- teo, 3° san Giacomo, 4° san Filippo e san Taddeo, 5° san Pietro e Giuda, 6° san Gio- vanni Evangelista, 7° san Bartolommeo e san Tommaso, 8° Giuda Iscariote. 11 disegno originale di tutto il dipinto si vede nella raccolta del Museo di Parigi. I primi e leggieri schizzi li possiede l'Accademia di Venezia. LEONARDO DA VINCI 31 adoperano; cercando con la mente l'invenzioni, e for- mandosi quelle perfette idée, che poi esprimono e ritrag- gono le mani da quelle già concepnte nel!' intelletto. E gli soggiunse che ancor gli mancava due teste da fare; quella di. Cristo, della quale non voleva cercare in terra e non poteva tanto pensare, che nella imaginazione gli paresse poter concepire quella bellezza e celeste grazia, che do- vette essere quella della divinità incarnata. Gli mancava poi quella di Giuda, che anco gli metteva pensiero, non credendo potersi imaginare una forma da esprimere il volto di colui, che dopo tanti benefizj ricevuti avessi avuto l'animo sì fiero, che si fussi risoluto di tradir il suo signore e creator del mondo; pur, che di questa se- conda ne cercherebbe, ma che alla fine, non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore tanto importuno e indiscreto.1 La qual cosa mosse il duca mara- vigliosamente a riso, e disse che egli avea mille ragioni. E così il. povero priore, confuso, attese a sollecitar l'opera dell'orto, e lasciò star Lionardo; il quale finì bene la testa del Giuda, che pare il vero ritratto del tradimento ed inumanità.2 Quella di Cristo rimase, come si è detto, imperfetta. La nobiltà di questa pittura, sì per il compo- nimento, sì per essere finita con una incomparabile dili- genza, fece venir voglia al re di Francia3 di condurla 1 Alcuni crédono che la testa di Giuda sia veramente il ritratto di quel priore: il che è falso; sapendosi poi che il P. Bandelli, il quale teneva allora tal carica, erat facie magna et venusta, capite magno, et procedente aetate calvo, capillisqiie canis consperso. Le parole di Leonardo debbono adunque riguardarsi come uno scherzo pungente proferito per mortificare V indiscretezza del frate, e far ridere il duca alle spalle del medesimo. (V. Storia genuina del Cenacolo ecc. del P. Dom. Pino, Milano 1796). 2 Rispetto a questa testa di Giuda racconta Giraldo Cinzio, ossia Gio. Batt Giraldi, nel suo Discorso sopra i romanzi, che a Leonardo « venne per ventura « veduto uno che aveva viso al suo desiderio conforme; ed egli subito, preso « lo stile, grossamente lo disegnò, e con quello e con altre parti clT egli in tutto « quell'anno aveva diligentemente raccolte in varie facce di vili e malvage per- « sone, andato ai frati, compì Giuda con viso tale, che pare eh' egli abbia il tra- « dimento scolpito nella fronte ». 3 *Cioè Francesco I, che entrò vincitore in Milano il 16 ottobre del 1515. 32 LEON AEDO DA VINCI nel regno; onde tentò per ogni via se ci fussi stato archi- tetti, che con travate di legnami e di ferri T a vessino potuta armar di maniera, che ella si fosse condotta salva, senza considerare a spesa che vi si fusse potuta fare; tanto la desiderava. Ma Tesser fatta nel muro fece che sua Maestà se ne portò la voglia,1 ed ella si rimase a' Mila- nesi.2 Nel medesimo refettorio, mentre che lavorava il Cenacolo, nella testa, dove è una Passione di maniera 1 Vedendo quel re l'impossibilità di trasportar la muraglia, ne fece fare una copia, la quale fu collocata a San Germano l'Auxerrois. (De Pagave). 2 Oggi si può tenere come perduta anche pei Milanesi ; tanto è deterio- rata. Lo stesso Vasari nella Vita di Girolamo da Carpi, parlando della bella copia fattane da Fra Girolamo Monsignori, dice che nel 1566 vide in Milano l'originale di Lionardo tanto mal condotto, che non si scorgeva più se non una macchia abbagliata. Il Bottari racconta che nel 1726 fu ripulito da un tal Mi- chel Angelo Bellotti ; ma non dice di quali "mezzi si servisse per ravvivarne i colori; ond'è a temere che unitamente alle altre conosciute cause di distruzione, quali furono l'umidità, la licenza militare ecc., quelli pure abbian contribuito a ridurlo nel deplorabile stato presente. — *Anche quj^ usiamo, con libertà, delle note poste nella edizione tedesca del Vasari, togliendone volentieri le seguenti bellissime considerazioni sul Cenacolo del Vinci. Nessun altro dipinto può meglio di questo dare una norma per misurare l' altezza a cui s' era levata l' arte in quei tempi, e per stabilire una comparazione cogli antecedenti periodi della pittura. Se si confronti la creazione di Leonardo col Cenacolo eseguito da Giotto, o da alcuno dei suoi discepoli, nel refettorio di Santa Croce di Firenze, o con quello di Domenico del Ghirlandajo nel piccolo refettorio di San Marco (e, aggiunge- remo noi, con l' altro del pittore medesimo, nel refettorio d'Ognissanti), si vede chiaramente come la pittura dalle mere rappresentazioni simboliche progredisse alle più espressive e caratteris'tiche, e dalla difettosa alla più perfetta bellezza. In Giotto, gli apostoli appaiono nella loro dignità di predicatori della parola divina; siedono 1' un presso l' altro quasi senza alcuna espressione appassionata, e non sembran commossi dalle parole del Redentore, se non quel tanto che loro è concesso dalla coscienza della propria missione : sono caratteri tipici disposti simmetricamente l'uno accanto all'altro. Presso il Ghirlandajo, gli apostoli ap- pariscono ormai come uomini nobilissimi e di profondo affetto, la cui dignità non è già riposta nel sentimento della coscienza, ma nella stessa loro natura: tuttavia, benché le invenzioni del Ghirlandajo abbiano comuni con quella di Leonardo alcuni tratti di espressione, pure, quelle figure sembrano separate, manca loro la bella unità e la delicata comunicazione degli affetti, e il leggiadro aggrupparsi e il movimento ; vi traspare ancora la gretta e rettilinea simmetria di Giotto. Leonardo solo seppe giungere alla più perfetta e viva bellezza sì nel- 1' esprimere gli affetti, come nelle movenze dei corpi; seppe manifestare tutti i sentimenti del cuore umano; seppe disegnare i più vaghi gruppi, e le più vaghe forme ; e mentre i suoi antecessori disponevano le figure con simmetria, egli or- dinò i gruppi con euritmia, vale a dire col movimento più libero, congiunto al- LEONARDO DA VINCI 33 vecchia,1 ritrasse il detto Lodovico con Massimiliano suo primogenito, e dall'altra parte la duchessa Beatrice con Francesco altro suo figliuolo, che poi furono amendue duchi di Milano; che sono ritratti divinamente. 2 - Mentre che egli attendeva a questa opera, propose al duca fare un cavallo di bronzo di maravigliosa gran- dezza,3 per mettervi in memoria l'imagine del duca; 4 e tanto grande lo cominciò e riuscì, che condur5 non si potè V ordine più regolare. Qui non apparisce più la servilità del tipo o del ritratto, ma invece è creata una realità ideale tanto vera e viva, quanto nobile e spiritua- lissima. Qui la pittura è giunta all'apice della perfezione; ed è a dolere che la ver- satilità dei successivi sforzi nell'arte abbia impedito che le figure degli apostoli di Leonardo fossero riguardate come tipiche. 1 È una Crocifissione di Gio. Donato Montorfano, che vi ha scritto il suo nome e l'anno 1495. t Sotto la Crocifissione del Montorfano dipinse Leonardo i ritratti di Lo- dovico il. Moro, di Beatrice d'Este sua moglie, e de' figliuoli. Questi ritratti sono ora tanto guasti, che si possono riguardare come perduti. 2 Dice il P. Gattico, citato dal P. Pino nella Storia genuina ecc., che il Vinci aveva lavorati quei ritratti di mala voglia, e « che si sono infraciditi per « essere dipinti a olio, perchè l'olio non si conserva in pitture fatte sopra muri « e pietre ». — * Nell'Ambrosiana si vedono i ritratti di Lodovico il Moro e di Beatrice d'Este sua moglie, dipinti a oliò da Leonardo. Lodovico è d'età ancor verde, un poco magro, ma modellato egregiamente. I biondi capelli sono dipinti ■con estrema minuzia, ma disposti in belle masse. Ha un berretto rosso in capo, e indosso una nera veste guernita di pelle. Ritratto in busto grande quasi quanto il vivo. Beatrice è ritratta di profilo, e modellata assai finamente. I contorni un po' duri; gli ornamenti d'oro eseguiti di colore arancio; i nastri, le perle ecc. , secondo il gusto del Van-Eyck; un po' scure le ombre, ma distinte. 8 Non mentre eh' egli attendeva a quest' opera, ma gran tempo innanzi fece Leonardo tal proposizione (Vedi più sotto la nota 3 a pag. 50), e vi pose mano .quasi subito arrivato a MHano. Per riprova, leggesi tra' suoi ricordi che nel 1490 aveva ricominciato da capo il cavallo. (Amoretti, pag. 29). 4 Del duca Francesco I Sforza, padre di Lodovico, morto nel 1466. 8 Cioè, compiere, terminare. Questa spiegazione l'abbiamo creduta non inu- tile affatto, poiché M. d'Argen ville intese il verbo condurre nel significato di trasportare. Il modello restò compito ; e Leonardo aveva calcolato che per get- tarlo vi sarebbero bisognate 100,000 libbre di bronzo. Quando dovevasi fare que- sta operazione, sopravvennero al Moro le note disgrazie'; indi nel 1499 sì bel- l'opera fu fatta bersaglio ai balestrieri guasconi, e in tal modo distrutta. Non fu dunque colpa di Leonardo se condur non si potè mai. — * Il Gerii {Disegni di Leonardo ecc., pag. 5) fra alcuni schizzi riprodusse di questa statua equestre anctfe un'antica stampa, ch'egli crede intagliata da Leonardo stesso. Giuseppe Vallardi di Milano possiede ora questo vecchio intaglio di quattro schizzi di ■cavalli, senza piedistallo, ognuno con cavaliere in arcione, che tiene in mano Vasari , Opere. — Voi IV. 3 34 LEONARDO DA VINCI mai. Ecci chi ha avuto opinione (come son varj, e molte volte per invidia maligni i giudizj umani), che Lionardo, come dell'altre sue cose, lo cominciasse perchè non si finisse; perchè essendo di tanta grandezza, in volerlo get- tar d'un pezzo vi si vedeva difficultà incredibile; e si potrebbe anco credere che dall' effetto molti abbin fatto questo giudizio, poiché delle cose sue ne son molte rimase imperfette. Ma, par il vero, si può credere che l'animo suo grandissimo ed eccellentissimo , per esser troppo vo- lonteroso, fusse impedito, e che il voler cercare sempre eccellenza sopra eccellenza e perfezione sopra perfezione, ne fusse cagione ; talché l' opra fusse ritardata dal desìo, come disse il nostro Petrarca.1 E nel vero quelli che ved- dono il modello che Lionardo fece di terra, grande, giu- dicano non aver mai visto più bella cosa nè più superba ; il quale durò fino che i Francesi vennono a Milano con Lodovico re di Francia, che lo spezzarono tutto. Ènne anche smarrito un modello piccolo di cera, eh' era tenuto perfetto, insieme con un libro di notomia di cavagli fatto da lui per suo studio. Attese dipoi, ma con maggior cura, alla notomia degli uomini, aiutato e scambievolmente aiutando in questo messer Marcantonio della Torre, ec- il bastone del comando, e sembra in procinto di combattere. Due de' cavalli hanno per punto di sostegno un guerriero che stramazzato al suolo eerca di salvarsi. Il foglio è composto di tre pezzi. t Questo vecchio intaglio è riprodotto dal marchese D'Adda nel suo ar- ticolo Léonard de Vìnci, la gravure milanaise et Passavant, già ricordato. Alcuni, come il Waagen e lo stesso D'Adda, credono che un esempio della forma e dell' attitudine del cavallo e del cavaliere modellato da Lionardo si possa avere nella miniatura, facilmente di Fra Antonio da Monza, posta nel libro ms. di .Bartolommeo G-ambalonga cremonese, contenente la vita di Sforza Attendolo padre di Francesco duca di Milano. In essa miniatura è rappresentata la statua equestre del detto Sforza sotto un arco. Altri vorrebbero riconoscerlo in un di- segno che è all'Ambrosiana sotto cristallo, ed altri in uno schizzo di cavallo che si vede nel codice Atlantico. 1 ...... Tu sai l' esser mio, E l'amor di saper, che m'ha sì acceso Che l'opra è ritardata dal desio. (Trionfo d'Amore, cap. in). LEONARDO DA VINCI 35 celiente filosofo, che allora leggeva in Pavia, e scriveva di questa maniera: e fu de1 primi (come odo dire) che cominciò a illustrare con la dottrina di Galeno le cose di medicina, e a dar vera luce alla notomia, fino a quel tempo involta in molte e grandissime tenebre d'igno- ranza; 1 ed in questo si servì maravigliosamente dell'in- gegno, opera e mano di Lionardo, che ne fece un libro disegnato di matita rossa e tratteggiato di penna,2 che egli di sua mano scorticò e ritrasse con grandissima dili- genza; dove egli fece tutte le ossature, ed a quelle con- giunse poi con ordine tutti i nervi e coperse di muscoli; i primi appiccati all'osso, ed i secondi che tengono il fermo, ed i terzi che muovano; ed in quegli a parte per parte di brutti caratteri scrisse lettere, che sono fatte con la mano mancina a rovescio; e chi non ha pratica a leggere, non l'intende, perchè non si leggono se non con lo specchio. Di queste carte della notomia degli uomini n'è gran parte nelle mani di messer Francesco da Melzo gentiluomo, milanese, che nel tempo di Lio- nardo era bellissimo fanciullo 3 e molto amato da lui, così come oggi è bello e gentile vecchio, che le ha care e tiene come per reliquie tal carte, insieme con il ri- 1 Marc' Antonio della Torre veronese, celebre anatòmico, morì di trent' anni. Il G-iovio ne fece l'elogio. Di lui e di altri uomini illustri -della famiglia Della Torre si trovano notizie nella Verona illustrata del Maffei, p. II, lib. 4. 2 t Qui manca evidentemente qualche parola , come di corpi umani, altri- menti il costrutto non corre. 3 Credesi che quella testa di giovinetto coi capelli inanellati incisa nella tav. iv della raccolta pubblicata dal Gerii sia il ritratto di Francesco Melzo. — - *I1 Melzi non solo fu amato da Leonardo, ma fu anche suo discepolo; nacque nel 1492, come ci scopre un ricordo di Leonardo stesso. (Amoretti, op. cit., pag. 53 in nota). Lavorò poco, perchè era ricco, mai suoi quadri sovente con- fondonsi con quelli del maestro. A Vaprio, nel palazzo della famiglia Melzi, ri- male ancora il frammento di una Madonna col putto, dipinto in fresco in pro- porz'n 3 colossale, che con buone ragioni vuoisi attribuire a Francesco Melzi. Se ne L una incisione nella citata Raccolta del Fumagalli. Il Mariette , in una lettera al V te di Caylus, che è la lxxxiv del secondo volume delle Pittoriche, parla di un quàw rappresentante una Flora, posseduto dal Duca di Saint-Simon a Farigi, che tanfo- tiene della maniera di Leonardo, da giudicarla di lui, se il 36 LEONARDO DA VINCI tratto della felice memoria di Lionardo: 1 e chi legge quegli scritti, par impossibile che quel divino spirito abbi così ben ragionato dell'arte e de1 muscoli e nervi e vene, e con tanta diligenza d'ogni cosa. Come anche Melzi non vi avesse scritto il proprio nome. Di questo quadro non sappiamo dare altre notizie. La Pinacoteca di Berlino, secondo il Catalogo del Waagen, ha del Melzi una Pomona seduta sotto un olmo intrecciato a una vite, con un canestro di frutti nelle mani, che ascolta le parole del dio Vertunno. Il volume de' disegni anatomici di Leonardo oggi è in possesso dell' Inghilterra. Contiene 235 fogli di carta turchina, o colorita, in-foglio grande, su' quali sono appiccati i disegni. (Vedi Gallenberg, op. cit, pag. 172). Due di queste tavole con molta scrittura, come pure il ritratto di Leonardo, del quale si parla più sotto, furono incise nelle Imitations of Original-Designs by Lionardo da Vinci, dello Chamber- lain; London, 1796, in-fol. Come dalla eredità Melzi passasse per diverse mani al re d'Inghilterra è detto nella prefazione dell'opera, pag. 10 e segg. Leonardo usava di scrivere da destra a sinistra a rovescio; così sono tutti i suoi autografi. Il dott. Guglielmo Hunter, nella Introduzione al suo Corso d'Anatomia (Lon- dra, 1784), loda i disegni anatomici di Leonardo per la straordinaria esattezza con la quale sono rappresentate le parti più minute dei muscoli ecc. t Nella Raccolta del castello di Windsor è lo spaccato di due corpi con- giunti, che Lionardo immaginò per ispiegare il modo della fecondazione, che fu dato inciso dal Chamberlain nel 1812 e poi riprodotto litograficamente a Bruns- wick nel 1830 col titolo: Tabula anatomica Leonardi Vincii summi quondam pictoris e Bibliotheca augustissimi magnae Britanniae Hannover aeque regis deprompta* venerem obversam e legibus naturae hominibus solam convenire intendens. (Vedi G. Govi, nel Saggio dell'opere di Lionardo da Vinci, p. 7). 1 /Rimangono tuttavia due ritratti- di Leonardo disegnati di sua mano. Il primo è nella collezione della regina d'Inghilterra; è di profilo, fatto di matita rossa: fu pubblicato dal Chamberlain, op. cit. Avvene una copia nell'Ambrosiana, edita dal Gerii. Sembra che un'altra ne possegga la collezione nazionale parigina. Questo ritratto mostra grande acutezza e vivacità. Il secondo ne presenta quasi tutta la faccia, disegnato anch' esso di matita rossa ; ed appartiene alla collezione dell'Accademia di Venezia. Un facsimile con un passo del Lomazzo precede al Cenacolo del Bossi. In questo secondo ritratto il suo aspetto è molto più ener- gico; è una testa bellissima. Quello che, secondo il De Pagave, era dipinto a Vaprio, non esiste più. Nella Galleria di Firenze trovasi il ritratto di Leonardo dipinto da sè stesso; mezza figura, di. tre quarti in profilo, inciso dal Morghen. Il signor Giovanni Gagliardi, mercante e restauratore di quadri in Firenze, pos- siede un altro bel ritratto in tavola, volto di profilo a sinistra, il quale, se è dubbio che sia dipinto da Leonardo medesimo, è certo per altro, che è la stessa testa posta dal Vasari in fronte alla Vita di questo pittore. t II ritratto già posseduto dal pittore Gagliardi, e proveniente dalla Fan- teria Guiducci di Firenze, passò l'anno 1855 nelle mani del signor Orazi Bug- giani negoziante fiorentino in Londra. Un altro ritratto di Lionardo, /' un di- segno in matita rossa conservato nella Biblioteca privata del Re dorino, fu riprodotto in fotolitografia nel già ricordato libro in-fol. stampai ^al Ricordi in Milano nel ]872 col titolo: Saggio delle opere di Lionardo $$ Vinci ecc. LEONARDO DA VINCI 37 sono nelle mani di , pittor milanese/ alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a ro- vescio, che trattano della pittura e de' modi del disegno e colorire. Costui non è molto che venne a Fiorenza a vedermi, desiderando stampar questa opera, e la condusse a Roma per dargli esito; ne so poi che di ciò sia seguito. 2 E per tornare alle opere di Lionardo, venne al suo tempo in Milano il re di Francia; 3 onde pregato Lio- nardo di far qualche cosa bizzarra, fece un lione, che camminò parecchi passi, poi s'aperse il petto e mostrò tutto pien di gigli. Prese in Milano Salai Milanese per suo creato," il qual era vaghissimo di grazia e di bel- 1 t Questo pittor milanese si potrebbe congetturare che fosse Aurelio Luini. 2 È questo il famoso Trattato della Pittura, stampato per la prima volta a Parigi col titolo: Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, nuovamente dato in luce, colla vita dell'Autore, scritta da Raffaello Du Fresne ecc. (Pa- rigi, 1651, in-fol. fig. )• Le vicende e le varie edizioni di questo libro sono ac- cennate dal Grallenberg, a pag. 159 e segg. L'edizioni più recenti sono quelle del Fontani (Firenze 1792), il quale si giovò di una copia a penna assai corretta di Stefanino della Bella, che si conserva tra i codici della Riccardiana n. 2275; quelle di Parigi del 1796 e 1803; la Milanese del 1804, fatta per cura dell'Amo- retti; e finalmente la Romana del 1817, procurata da Guglielmo Manzi sopra un codice Vaticano già appartenuto alla biblioteca d'Urbino, e probabilmente esemplato sull'autografo dal Melzi o dal Salai: e questa debbesi tenere per la più compiuta e ordinata edizione. 3 * Secondo il Lomazzo fu questi Francesco I, ed allora ne conseguirebbe che Leonardo era in Milano nel 1515, anno della venuta di detto re in questa città. (Vedi Trattato della Pittura, lib. II, cap. 1). 4 Salai, o Salaino, fu scolaro e servitore di Leonardo; anzi nel testamento di questo è indicato soltanto colla seconda qualità. — *Egli era piaciuto a Leo- nardo al pari del Melzi, perchè giovane di bellissimo aspetto e di maniere gra- ziose; e servivasene di modello per dipingere angeli o altre figure leggiadre. Oltre il quadro della Sant'Anna dipinto sul cartone del maestro, indicato più; sotto, la Pinacoteca di Brera tiene per opera del Salai tre tavole di Nostra, Donna; una delle quali, rappresentante il Pviposo in Egitto, vedesi incisa nella citata Raccolta del Fumagalli. Nella stessa Pinacoteca, trasportatovi dalla chiesa di San Pietro di Murano fin dal 1811, è il quadro colla Madonna, il Putto, san Giuseppe, san Girolamo e due cherubini, sottoscritto: Andreas mediolanen- sis 1495 f. Anche il Museo Nazionale di Parigi possiede un'altra tavola colla Crocifissione segnata parimente Andreas mediolanensis • fa. 1503: ma l'Andrea di questi due quadri è Andrea Solario, e non il Salai. Altro quadro firmato (si dice) del Salai, rappresentante la Fuga in Egitto, troviamo descritto in un Ca- talogo tedesco di una raccolta di quadri originali a olio, posti in vendita a. Lipsia nel 1845. :J8 LEONARDO DA VINCI lezza, avendo l)egli capegli ricci ed inanellati, de1 quali Lionardo si dilettò molto; ed a lui insegnò molte cose dell'arte; e certi lavori, che in Milano si dicono essere di Salai, furono ritocchi da Lionardo. Ritornò a Fiorenza,1 dove trovò che i frati de1 Servi avevano allogato a Filippino l'opere della tavola dell'ai- tar maggiore della Nunziata : per il che fu eletto da Lio- nardo che volentieri avrebbe fatta una subii cosa. Onde Filippino inteso ciò, come gentil persona ch'egli era, se ne tolse giù: ed i frati perchè Lionardo la dipingnesse, se lo tolsero in casa, facendo le spese a lui ed a tutta la sua famiglia: e così li tenne in pratica lungo tempo, ne mai cominciò nulla. Finalmente fece un cartone den- trovi una Nostra Donna ed una Sant'Anna con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare tutti gli artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'an- dare a vederla gli uomini e le donne, i giovani ed i vecchi, come si va alle feste solenni; per veder le maraviglie eli Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo; perchè si vedeva nel viso di quella Nostra Donna tutto quello che di semplice e di bello può con semplicità e bellezza dare grazia a una madre di Cristo, volendo mostrare quella modestia e quella umiltà, eh' è in una vergine, contentissima ci' allegrezza nel vedere la bellezza del suo figliuolo che con tenerezza sosteneva in grembo, e men- tre che ella con onestissima guardatura a basso scorgeva un San Giovanni piccol fanciullo, che si andava trastul- lando con un pecorino, non senza un ghigno d' una Sant'Anna, che colma di letizia vedeva la sua progenie terrena esser divenuta celeste : considerazioni veramente 1 "Cioè nell'anno 1499, dopo che il Moro perdette la signoria di Milano. Leonardo ritornò a Firenze col matematico fra Luca Paciolo, e fece i disegni del suo Trattato De Divina proportione. Fra Luca aveva dimorato con Leo- nardo in Milano negli ultimi tre anni; poi, anche a Firenze. (Vedi Gaye, nel Kunstblatt, anno 1836, pag. 287). LEONARDO DA VINCI 39 dallo intelletto ed ingegno di Lionardo. Questo cartone, come di sotto si dirà, andò poi in Francia.1 Ritrasse la Ginevra d'Amerigo Benci, cosa bellissima:9 ed abban- donò il lavoro a' frati, i quali lo ritornarono a Filippino, il quale, sopravvenuto egli ancora dalla morte, non lo potè finire.3 Prese Lionardo a fare per Francesco del Gio- condo il ritratto di mona Lisa sua moglie; 4 e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto; la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo: nella qual testa chi voleva vedere quanto V arte potesse imitar 1 *L' originai cartone, narra il Loraazzo, di Francia tornò in Italia, e fu posseduto da Aurelio Luino, figliuolo di Bernardino stato scolare del Vinci. Al presente esso si conserva nella R. Accademia delle Belle Arti di Londra. Fu intagliato (non bene) da Antonio Smith nel 1798 in-fol. grande. 2 *È la stessa Ginevra de' Benci ritratta di profilo dal Ghirlandajo nel coro •di Santa Maria Novella. Dove oggi si trovi questo ritratto dipinto da Leonardo, è quistione. Gli annotatori del Vasari tradotto in tedesco vorrebbero riconoscerlo in quello d'ignota donna, veduta quasi di faccia (detta la monaca di Leonardo), ohe sotto Ferdinando III dalla casa Niccolini passò per compera nella R. Galleria de' Pitti; e del quale si vede un intaglio nel voi. II della detta Galleria illustrata. (Il coperchio o tirella di questo ritratto, dipinto con ornamenti a chiaroscuro ed una maschera a colore, piena di verità, con sopra una cartella, scrittovi •dentro di lettere romane nere: sua cuique persona, oggi è posseduto dal barone Ettore de Garriod, in Firenze). Ma se il bellissimo dipinto de' Pitti non cade dubbio che sia di Leonardo, non sapremmo per altro così facilmente persuaderci che e' sia la Ginevra. Il Délécluze ( Saggio intorno a Leonardo da Vinci, ediz. ital. da noi citata altre volte) vuole sia quello che nel Museo del Louvre a Parigi è conosciuto sotto il nome della bella Féronnière; ma ciò non è neppure accennato nel Catalogo ragionato del Villot (Paris, 1849), nè dal Mùndler nella sua Analisi critica di detto catalogo (Paris, 1850). Il prof. Rosini a pag. 294 del tom. Ili della sua Storia pone un intaglio della Ginevra del Ghirlandajo a ri- scontro di un altro ritratto egualmente di profilo, da lui posseduto, e che per la somiglianza della fisonomia e dell' abbigliamento mostra esser la stessa donna eie' Benci. Coli' additarne poi la provenienza dalla casa Niccolini, donde uscì la monaca, e dove nel 1472 entrò maritata la Ginevra, e col notare la purità e maestria del dipinto, studiasi il Rosini di far persuasi i lettori, che egli è il fortunato possessore del quistionato ritratto. 8 Fu terminato dal Perugino, come è stato detto nelle Vite di esso e di Fi- lippino. 4 *Francesco di Bartolommeo di Zanobi del Giocondo nacque nel 1460. Fu de' XII Buonomini nel 1499, e de' Priori nel 1512. Approvato nello squittinio del 1524. Morì di pestilenza nel 1528. Ebbe tre mogli, cioè Camilla di Mariotto Rucellai, sposata nel 1491; Tommasa di Mariotto Villani, nel 1493; e Lisa di Anton Maria di Noldo Gherardini, nel 1495; e questa è la Bella Gioconda ri- tratta da Leonardo. 40 LEONARDO DA VINCI la natura, agevolmente si poteva comprendere; perchè quivi erano contraffatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvengachè gli occhi avevano que' lustri e quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, ed intorno a essi erano tutti que'rossigni lividi e i peli, che non senza grandissima sottigliezza si pos- sono fare. Le ciglia, per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti, e dove più radi, e gi- rare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali. 11 naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura, con le sue fini unite dal rosso della bocca, con r incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola chi intentissima- mente la guardava, vedeva battere i polsi; e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d'una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte: che essendo madonna Lisa bellissima, teneva, mentre che la ritraeva, chi so- nasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico che suol dar spesso la pittura a1 ritratti che si fanno: ed in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole, che era cosa più divina che umana a vederlo, ed era tenuta cosa mara- vigli osa, per non essere il vivo altrimenti. 1 1 *Oggi questo ritratto si conserva nel Museo del Louvre, ma sfiorato gran- demente da un cattivo restauro. È una giovane donna in mezza figura, veduta di faccia, con capelli sciolti, un velo in testa, e -col seno alquanto scoperto. Siede sur una seggiola a braccioli, in uno dei quali posa il braccio e la mano destra, e ad essa sovrappone la sinistra. Dietro a lei è una spalliera di muro, dalla quale si vede una campagna spogliata e montuosa. Francesco I pagò questa tavola 4000 scudi d'oro, che equivalgono a 45,000 franchi. Di questo ritrattosi conoscono molte copie; ed alcune eccellenti: come in Firenze in casa Mozzi; nel Museo di Madrid; nella Villa Sommariva sul lago di Como; presso il Tor- lonia a Roma; a Londra presso Abramo Hume, e presso Woodburn; e nel- l'Hermitage di Pietroburgo, venutovi da Houghtonhall ; e finalmente havvene un'altra copia nella Pinacoteca di Monaco, della quale si vede una litografia nel voi. II dell' opera: La Galleria di Monaco illustrata, 1817-1821 (in tedesco). LEONARDO DA VINCI 41 Per la eccellenzia dunque delle opere di questo divi- nissimo artefice era tanto cresciuta la fama sua, che tutte le persone che si dilettavano dell'arte, anzi la stessa città intera desiderava ch'egli le lasciasse qualche memoria: e ragionavasi per tutto di fargli fare qualche opera nota- bile e grande, donde il pubblico fusse ornato ed onorato di tanto ingegno,. grazia e giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si conosceva. E tra i gonfalonieri e i cittadini grandi si praticò, che essendosi fatta di nuovo la gran sala del Consiglio, l'architettura della quale fu ordinata col giudizio e consiglio suo, di Giuliano San Gallo, e di Simone Pollajuoli detto Cronaca, e di Michelagnolo Buo- narroti e Baccio d'Agnolo (come a' suoi hioghi più distin- tamente si ragionerà); la quale finita con grande pre- stezza, fu per decreto publico ordinato che a Lionardo fussi dato a dipignere qualche opera bella; e così da Piero Soderini, gonfaloniere allora di giustizia, gli fu allogata la detta sala. Per il che, volendola condurre, Lionardo cominciò un cartone alla sala del papa, luogo in Santa Maria Novella, dentro vi la storia di Niccolò Piccinino capitano del duca Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di cavalli che combattevano una bandiera: cosa che eccellentissima e di gran magisterio fu tenuta, per le mirabilissime considerazioni che egli ebbe nel far quella fuga; perciocché in essa non si conosce meno la rabbia, lo sdegno e la vendetta negli uomini, che ne' ca- valli; tra' quali due intrecciatisi con le gambe dinanzi, non fanno men guerra coi denti, che si faccia chi gli ca- valca nel combattere detta bandiera; elove appiccato le mani un soldato, con la forza delle spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli con la persona, aggrappato l' aste dello stendardo per sgusciarlo per forza delle mani di quattro ; che due lo difendono con una mano per uno, e l'altra in aria con le spade tentano di tagliar l'aste, mentre che un soldato vecchio, con un berretton rosso, 42 LEONARDO DA VINCI gridando tiene una mano nell'asta, e con l'altra inalbe- rato una storta, mena con stizza un colpo per tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digrignando i denti tentano con Serissima attitudine di difendere la loro bandiera. Oltra che in terra, fra le gambe de' cavagli, vvè dna figure in iscorto che combattendo insieme, men- tre uno in terra ha sopra uno soldato, che alzato il braccio quanto può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il pugnale per finirgli la vita, e quello altro, con le gambe e con le braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non volere la morte. Ne si può esprimere il disegno che Lio- nardo fece negli abiti de1 soldati, variamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza la mae- stria incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti de' cavagli, i quali Lionardo meglio ch'altro maestro fece di bravura di muscoli e di garbata bellezza.1 Dicesi che 1 *Il cartone del Vinci, fatto a concorrenza col Buonarroti per la sala del Consiglio, dopo aver servito di studio ai più grandi artefici di quell'età, andò disperso, e solo ne fu serbata la memoria da qualche incisione. Il gruppo, quale è descritto dal Vasari, lascia in dubbio se il cartone di Leonardo rappresentasse la battaglia combattuta nel 1440 presso Anghiai'i tra i Fiorentini e Niccolò Picci- nino, condottiere delle genti di Filippo Maria Visconti duca di Milano, della quale Lionardo lasciò scritto in una nota tutta la composizione (Amoretti, Memorie cit., pag. 95); o sivvero un episodio di quella, cioè a dire il combattimento di cavalieri intorno a una bandiera. È probabile, che siccome il Vasari non ricorda nessun altro gruppo, ed anche Benvenuto Cellini fa particolar menzione di questo solo nella sua Vita; Leonardo rappresentasse unicamente un episodio di quella battaglia. Le copie di questo gruppo, che oggi si conoscono, sono le seguenti: 1° Una, non finita, dipinta in tavola, è registrata nell'inventario della Galle- ria di Firenze fatto nel 1635 e nei successivi come opera di Leonardo stesso; ma noi, che abbiamo trovato questa tavola nei depositi della R. Guardaroba in Palazzo Vecchio, siam persuasi che non sia di sua mano. 2° Una incisione in foglio trasversale che sembra fatta su questa tavola, colla scritta: ex ta- bella propria Leonardi Vincii manu pietà opus sumptum a Laurentio Zac- chia Lucensi ab eodemque nunc ecccussum 1558. 3° Un altro intaglio dell' Ede- link, che si vuol fatto secondo un disegno molto libero del Pvubens; che è il più bello, e più rispondente alla descrizione del Vasari. 4° Un debole intaglio nella tav. xxix della Etruria Pittrice, cavato da un antico disegno esistente in casa Pv.ucellai, che si dice copia dell'originale cartone; e questo corrispondente alla tavola non finita, che abbiamo rammentato di sopra. 5° Una litografia pubblicata dal pittore francese Bergeret sopra un disegno posseduto da lui stesso. La de- scrizione del Vasari non concorda pienamente con queste composizioni. Egli dice LEONARDO DA VINCI 43 per disegnare il detto cartone fece uno edilìzio artificio- sissimo , che stringendolo s'alzava, ed allargandolo s'ab- bassava. Ed imaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizione d'una mistura sì grossa per lo incollato del muro, che continuando a dipignere in detta sala, cominciò a colare di maniera, che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare.1 assalitore quel cavaliere che tiene la bandiera colle due mani e sopra le spalle, e possessori e difensori della bandiera medesima i due avversari; mentre i di- segni mostrano il contrario. Egli parla anche di quattro cavalieri, cui resisterebbe quel primo, mentre tutto il gruppo non si compone che di quattro. Di questa poca precisione del Vasari non è da far meraviglia, nè sono rarissimi gli esempj : quindi non può essere argomento per tener falsi i ricordi che giunsero fino a noi. Nel disegno eh' è presso il Bergeret vedesi anche il capitano Piccinino pre- cipitato da cavallo e il destriero fuggente. Sebbene alcuni abbiati difeso 1' auten- ticità di questo gruppo, riconoscendolo per uno studio fatto da qualche discepolo di Leonardo; pure si tiene, e con assai più ragione, per una contraffazione; poco rileva se di mano antica o moderna. t Una bella incisione di questo gruppo di cavalieri fu fatta non sono molti anni dal sig. Henry Haussoullier , pittore francese. 1 I documenti pubblicati dal Gaye ( Carteggio ecc., II, 88-89), curiosi ed im- * portanti per le particolarità minute intorno alle spese de' colori, d'olii, d'ordi- gni, ponti ecc., fatte per questo lavoro, provano chiaramente che Leonardo vi attese quasi interi i due anni 1504 e 1505, e che oltre alla esecuzione del cartone, egli condusse molto innanzi anche il dipinto: tanto- che a' 30 d'aprile 1513 si trova il ricordo seguente: « A Francesco di Chappello, legnaiuolo lire 8. 12, per «braccia 43 d'asse ecc., per armare intorno le figure dipinte nella sala grande « della guardia, di mano di Lionardo da Vinci, per difenderle che le non sieno «guaste». A questo s'aggiunge la testimonianza del Memoriale dell'Alberini, impresso nel 1510, dove tra le cose della sala grande nuova del consiglio majore, si nominano li cavalli di Leonardo Vinci, et li disegni di Michelangelo. Se poi quest'affresco perisse per la cattiva composizione dell'intonaco e de' colori, come dice il Vasari, ovvero per i mutamenti fatti in quel luogo, non sappiamo risolvere: forse per l'una e per l' altra cagione insieme. Il che viene confermato anche dal Gaye, voi. II, pag. 88. Per questo lavoro aveva 15 fiorini larghi d'oro in oro al mese. Ebbe compagni ed ajuti Raffaello d'Antonio di Biagio e Ferrando Spagnolo. f Non si conosce fino ad ora il preciso tempo in cui fu allogata a Lio- nardo questa pittura. Si può nondimeno congetturare che cada verso l'ottobre del 1503. Infatti sotto il dì 24 di quel mese i Signori e Collegi comandano al Massajo della Camera dell'arme di consegnare a Lionardo la chiave della Sala del Papa e delle altre stanze attigue. (Protocollo delle Deliberazioni de' Signori e Collegi dal 1501 al 1504). Il primo ricordo di questo lavoro si ha da un ordine della Signoria agli Operaj di Santa Maria del Fiore del 16 di quel mese ed anno, perchè prestino tutto il legname occorrente a riattare il tetto del tinello della Sala del Papa in Santa Maria Novella, e da un altro dell' 8 gennajo seguente, nel quale 44 LEONARDO DA VINCI Aveva Lionardo grandissimo animo, ed in ogni sua azione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per la prò visione eh1 ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quat- trini; ed egli non li volse pigliare, rispondendogli: Io non- si commette ai detti Operaj di prestare diverse sorti di legname che bisognava per fare nella detta Sala certuni quid circa picturam fiendam per Leonardum de Vincio prò palatio dictorum Dominorum. (Deliberazioni degli Operaj di Santa Maria del Fiore dall'anno 1496 al 1507, carte 13 verso, e 75). Intorno a questo lavoro noi abbiamo una deliberazione de1 Signori e Collegi di Firenze del 4 di maggio del detto anno 1504 (pubblicata nel Giornale Storico degli Archivi Toscani, voi. II, pag. 137), nella quale fu stabilito che Lionardo do- vesse aver finito il cartone dentro il mese di febbrajo 1505; che per questo lavoro gli si desse a buon conto 15 fiorini d'oro ciascun mese, intendendosi co- minciare il primo mese a' 20 del prossimo passato aprile del detto. anno; e che qualora egli non avesse compito il cartone dentro il predetto tempo, i Si- gnori potessero costringerlo alla restituzione de' denari avuti per quel contot ed a rilasciare libero il detto cartone; e finalmente che venendo bene a Lionardo di dipingere sul muro quella parte del cartone che avesse disegnato e finito, i detti Signori si sarebbero contentati di dargli ciascun mese quel salario che per tale pittura fosse giudicato conveniente ; prolungando in questo caso il tempo assegnatogli per finire il cartone, e promettendo di non allogare la pittura sul muro ad altri senza espresso consenso di lui; il quale dovesse intanto confessare per contratto di aver ricevuto 35 fiorini d'oro in oro già pagatigli innanzi, e tutti gli altri denari che per tale cagione avesse dipoi avuto. Nei libri degli Uffi- ciali dell'Opera del Palazzo si hanno le partite delle spese fatte per quest'opera, in parte riferite dal Gaye (Carteggio, II, p. 88). Esse cominciano dal 28 di feb- brajo 1503 (st. c. 1504) e vanno al 30 d'ottobre 1505, rilevandosi che Lionardo lavorò intorno al cartone fino al febbrajo del 1504, e che da questo tempo in- nanzi attese alla pittura nella Sala del Consiglio. Da queste partite è assai cu- rioso il ricavare che per fare il cartone fu adoperata una risma e 29 quaderni di fogli reali, per impastarlo 88 libbre di farina, e per orlarlo un lenzuolo di tre teli. Per la pittura poi furono consumate 663 libbre di gesso, 89 di pece greca, 223 d'olio di lin seme, 48 di biacca alessandrina, 36 di bianchetta soda, 11 sole once d'olio di noce, ed alcuni fogli d'oro. Ma mentre Lionardo lavorava alla detta pittura, pare che nel maggio del 1506 fosse richiesto d'andare a Milano da Carlo d'Amboyse signore di Chaumont, governatore di quella città per Lo- dovico XII re di Francia. E la Signoria per concederglielo volle che Lionardo promettesse con contratto del 30 di quel mese, rogato da Ser Niccolò Nelli no- tajo fiorentino, che dopo tre mesi si sarebbe presentato personalmente ih Firenze innanzi alla Signoria, sotto pena, non osservando, di 150 fiorini d'oro in oro larghi, entrandogli mallevadore per questa somma messer Lionardo Bonafé spe- dalingo di Santa Maria Nuova. Erano per finire que' tre mesi, quando lo Chau- mont avendo tuttavia bisogno di Lionardo per finire certa sua opera commessagli, scrisse ai 18 d'agosto alla Signoria di Firenze, pregandola che non ostante la promessa fatta, volesse prolungare a Lionardo il tempo della sua assenza almeno per tutto il mese di settembre, come più largamente è detto in altra lettera in- LEONARDO DA VINCI 45 sono dipintore da quattrini. Essendo incolpato d'aver giun- tato, da Piero Soderini fu mormorato contra di lui: per che Lionardo fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e portelli per restituire: ma Pietro non li volle accettare. dirizzata alla Signoria il 19 del medesimo mese dal vicecancelliere lafredo Caroli, (e non Kardi, come è stampato nel Gaye). A quéste due lettere rispondeva la Signoria con una del 28 che doveva esser comune ad ambidue ; la quale, per es- sere inedita, ci par bene di pubblicare. Essa dice così: «Domino de Ciamonte « et Domino lafredo Caroli vie ecancellar 10. Ritratto di giovane donna di nobile condizione, in mezza figura. È quasi di faccia, con le mani incrociate dinanzi al petto. Ha i capelli raccolti in una rete, e il seno coperto da una camicetta, sulla quale posa una catenella pendente dal collo. Disegno in carta eseguito stupendamente a matita rossa. N° 11. Testa giovanile di femmina, di profilo dal destro lato, con ca- pigliatura a zazzera, e cinta il capo d'un semplice nastrino. A matita rossa. N° 13. Ritratto virile di profilo dal lato sinistro, con capelli a zazzera, berretto in testa, e una specie di corazza davanti al petto. Le carni e i DI LEONARDO DA VINCI 65 capelli in matita rossa ; il rimanente di matita nera. A tergo : Un piccolo ritratto femminile, in busto di profilo, mostrando l'occhio sinistro, di ma- tita rossa ; in carta. N° 14. Testa virile di profilo, dal lato sinistro. È calva e rasa, con naso a becco di civetta, labbro inferiore molto sj)orgente, e mento grosso e rotondo. Disegnato collo stile su carta preparata. Proviene dalla rac- colta di disegni del Padre Resta, il quale vi aveva scritto . sotto esser questa testa imitata dal ritratto di Artus, o Arturo, gran maestro di camera del re Francesco l di Francia al congresso di Bologna nel 15*15. N° 15. Testa virile, in caricatura, di profilo, volta a destra. In faccia ad essa, uno schizzo di testa di giovane parimente di profila, e due schizzi di macchine : tutti a penna. Nella parte inferiore del foglio, di mano di Leonardo, è scritto: « ....óre 1478 ichominciaj le 2 S. Vigne Marie ». E nella parte superiore : « Fieravante di Domenicho in Firenze e chonpar « amantissimo quanto mio.... » A tergo, altri schizzi di macchine. N° 16. Testa in caricatura di profilo dal lato destro, di matita rossa. N° 17. Due teste a riscontro in profilo : una di un vecchio calvo e raso , in caricatura ; 1' altra è un ritratto di giovane con capelli crespi. Disegnati in carta con matita rossa. N° 18. Testa di vecchio, di faccia volta all' insù. In carta a matita rossa. N° 21. La stessa testa, veduta di profilo. In carta, come sopra. N° 22. Studio di pieghe della parte inferiore di una figura di profilo , seduta dal lato destro. Acquerello- in carta tinta, lumeggiata di biacca. N° 23. Altro studio di pieghe per una figura virile seminuda voltata da tergo, col sinistro ginocchio a terra. Acquerello in tela, lumeggiato di biacca. N° 24. Altro studio di pieghe per una figura virile, stante di faccia. Acquerello in tela lumeggiato di biacca : cosa tra le più stupende che si possano mai vedere, e per la bellezza del partito, e per la verità e grazia dell' esecuzione. N° 25. Altro studio di pieghe per la parte inferiore di una figura ge- nuflessa. Acquerello come sopra. N° 27. Dragone alato, che abbatte un leone. Acquerello in carta. È ci- tato dal Lomazzo, Trattato della Pittura, lib. VI, cap. xx. Nei margini sono vari schizzi a penna di Madonne col Putto. N° 28. Studio del fondo architettonico per la sua gran tavola dell'Ado- razione, che semplicemente preparata di chiaroscuro è nella Galleria di Firenze. Vedi sopra a pag. 27, nota 3. Tocco in penna con qualche lume di biacca. N° 29. Paese con un lago nel mezzo. A destra, un colle che termina in una rupe, donde precipita un ruscello. A sinistra, la falda di un monte, Vasari, Opere — Voi. IV. COMMENTARIO ALLA VITA di lìi dal quale si distende una fortezza. Da questa parte leggesi scritto da destra a sinistra a rovescio, al modo di Leonardo: « rti di Sta Maria « delia Neve addj 5 dog osto 1473 ». 11 professore Raffaello Tosoni di Cetona, dimorante in Firenze, amo- revole possessore divarj oggetti d'arte preziosi, ha due disegni di Leonardo. [1 primo e una testa di donna, grande quanto il vivo, veduta di faccia, con capelli crespi e sciolti, un filo di perle al collo,' e colle maniche della veste trinciate e con nastri. Disegno a matita rossa in carta tinta, con fondo d'aria. Appartenne alla collezione di Carlo I d'Inghilterra, ed è segnato della sua cifra C R (Carlo re). 11 secondo, di autenticità incontrastabile, contiene varj schizzi a penna bellissimi. Si vede un guerriero in atto di scagliare una freccia passata per un foro in mezzo allo scudo che fa da arco. Sotto evvi scritto da de- stra a sinistra « questo schudo vuole averhe de lungo » (sic). Altre due figure di guerrieri parimente in atto di scaricar dardi a traverso gli scudi che fan da arco , e son puntati in terra per una specie di piede o caval- letto ; colla scritta: « qui starebbe ben che la rotella fusse daccarro (d'ac- « ciaro) e nel piegharsi f ardessi lofilio del balestro ». Una palla, o granata , che rotolando sputa fuoco, come dicono le parole: « Palla che chore per « se medesima gittando fuoco lontano b. 6 ». Poi due guerrieri che corrono con balestre in mano ; poi due altri che puntano il loro scudo che fa da balestra; e finalmente il taglio di essa palla, dove si vede il modo con cui sono disposti i tubi della materia combustibile. Questo disegno faceva parte della insigne collezione di Tommaso Lawrence. — t Morto il prof. To- soni, questi disegni due anni fa andarono venduti fuori d'Italia. t Giuseppe Vallardi di Milano vendè nel 1856 al Museo del Louvre per 35 mila franchi un grosso volume in-fol. contenente disegni di Leo- nardo , parte a matita nera e parte rossa , ad acquarello , e lumeggiati di bianco, e parte a penna su fondo bianco. Il Vallardi lo acquistò nel 1829, andando a Roma, da un'antica illastre famiglia, accrescendolo con di- versi altri disegni appartenuti alla galleria Calderara e alla raccolta San- nazzaro. Egli ne stampò nel 1855 una illustrazione in soli 100 esemplari, che sono fuori di commercio, per donarli agli amici. Circa a quelli che" di lui erano o sono ancora nell'Ambrosiana, si può leggere la Memoria di Giovanni Dozio, stampata in Milano nel 1871. Anche nel castello reale di Windsor e nel Museo Britannico sono disegni del Vinci. DI LEONARDO DA VINCI 67 PARTE TERZA Dei lavori scientifici di Leonardo da Vinci1 Leonardo da Vinci è di quegli uomini che colla potenza dell' ingegno seppero vincere l'avversa fortuna. Di lei non ebbe molto a lodarsi fin dalla nascita, poiché è certo che non fosse figlio di alcuna delle quattro mogli di suo padre; ne molto dipoi, avvegnaché le opere d'arte di Leo- nardo e gli scritti abbiano ricevuto gravissimi danni e dal tempo e dagli uomini, e la più gran parte sieno andati perduti. Il Trattato di Pittura pubblicato dopo la sua morte, e l'Idraulica, stampata per la prima volta nel 1828 in Bologna, non .sono che frammenti disposti in un ordine di- verso da quello che voleva l'autore. Il trattato dell'anatomia, quello del moto locale e delle percussioni, le ricerche di meccanica, gli studj di ottica, gli scritti sul canale della Martesana, sulla botanica, sulla geologia, sul volo degli uccelli,, dimenticati subito dopo la morte di Leonardo, ri- masero lungo tempo ignorati ; e difficilissimo sarebbe ora ricomporli dai frammenti che restano nei suoi manoscritti, e dai ricordi che egli pren- deva, quando l' esperienza e il ragionamento lo conducevano alla scoperta di difficili veri. Di più, questi ricordi, dove i contemporanei hanno cercato le arti segrete di Leonardo, mentre egli invece si compiaceva di coprir di mistero tutto ciò che faceva , sono stati frugati e dispersi da mani ignoranti , trasportati di una in un'altra biblioteca, divisi tra molte, e rimangono solo per far testimonianza di un genio, cui forse il mondo non ha avuto l'eguale, ma che ha vissuto per sè e per la scienza, senza trovare chi raccogliesse la preziosa eredita che lasciava ; tal che più di un secolo fu poi necessario a rifare la via da lui percorsa, e i posteri sono costretti ad ammirarlo, senza che i contemporanei abbiano saputo intenderlo. Così 1 La Vita di Leonardo scritta dal Vasari, quanto ben ci ritrae la eccellenza di quel divino ingegno nella pittura, altrettanto è insufficiente a darci ragione della universalità della sua dottrina e della terribile manifestazione del suo intel- letto nelle speculazioni fisiche e matematiche. Di maniera che, parendoci che un discorso inteso ad accennare brevemente le investigazioni da lui fatte nelle scienze fìsiche e matematiche, e i benemeriti suoi verso quelle, non sarebbe riputato aggiunta inutile alle illustrazioni di questa Vita; abbiamo chiesto ed ottenuto che di questa materia, a noi non familiare, discorresse -nel presente Commentario il nostro pregiato amico professor Girolamo Buonazia di Siena, al quale qui professiamo pubblicamente singolare gratitudine. 68 COMMENTARIO ALLA VITA egli visse in Firenze sua patria trentanni, esercitando nella prima gio- ventù l'arte della pittura, e applicando la mente agli studj della mecca- nica, facilmente primo tra i pittori, tra gl'ingegneri tale da paragonare solamente agli antichi, dei quali riprendeva gli studj e le ricerche lunga- mente abbandonate; e quelli che la citta governavano, fra i quali Lo- renzo dei Medici detto il Magnifico, non si giovarono dell'opera sua ne come ingegnere ne come pittore. Poiché gli studj di meccanica e d' idrau- lica non furono ricevuti con molto favore, tentò gli studj dell'arte mili- tare , nella quale l' uso delle artiglierie aveva portata una rivoluzione per- fetta. Egli solo e Giuliano da San Gallo conobbero allora l' arte moderna di fortificare e di assalire i luoghi difesi da fortificazioni regolari. Con questa sperò farsi accetto alla corte di Lodovico il Moro, reggente e poco meno che signore del ducato di Milano in nome del nipote Gian Galeazzo, e si offerì a lui come ingegnere militare, come idraulico, come architetto, pittore e scultore, nella lettera che riportiamo.1 Questa si' riferisce ai 1 Ecco la lettera di Leonardo riportata dall' Amoretti, Memorie storiche di Leonardo da Vinci (Milano 1804) a pag. 24, e riprodotta in fac-simile anche nel citato Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci ecc., pubbl. in Milano nel 1872, per l'inaugurazione del monumento innalzato in quella città a Leonardo: • « Havendo, S.r mio IH., uisto et considerato horamai ad sufficientia le prove « di tutti quelli che si reputono maestri et compositori d' instrumenti bellici ; et « che le inventione et operatione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal « comune uso: mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intendere da « V. Excellentia: aprendo a Quella li secreti mei: et appresso offerendoli ad ogni « suo piacimento, in tempi oportuni operare cum effecto circa tutte quelle cose, « che sub brevità in parte saranno qui di sotto notate. « 1. Ho modi de ponti leggerissimi et forti et acti ad portare facilissima- « mente, et cum quelli seguire et alcuna volta fuggire li inimici; et altri securi « et inoffensibili da foco et battaglia : facili et commodi da levare et ponere. Et « modi de ardere et disfare quelli del inimico. « 2. So in la obsidione de una terra togliere via l'aqua de' fossi, et fare in- « finiti ponti, ghatti et scale, et altri instrumenti pertinenti ad dieta expeditione. « 3. Item, se per altezza de argine o per fortezza de loco et di sito non si « pottesse in la obsidione de vna terra usare l'officio delle bombarde; ho modi « di rumare ogni rocca (?) o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el « saxo etc. « 4. Ho anchora modi de bombarde commodi ssime et facile ad portare, et « cum quelle buttare minuti di tempesta (aveva scritto e poi cancellato « buttare « minuti saxi ad similitudine quasi di tempesta ») ; cum el fumo di quella dando « grande spavento a l'inimico cum grave suo danno et confusione etc. « 5. Item ho modi per cave et vie secrete et distorte facte senza alcuno stre- « pito, per venire di segreto anchora che bisogniasse passare sotto fossi o alcuno « fiume. « 6. Item farò carri coperti, sicuri et inoffensibili: e quali intrando intra « ne li inimici cum sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d'arme DI LEONARDO DA VINCI 69 primi tempi della venuta di Leonardo a Milano; e sarebbe importante il rintracciarne la data. Il Moro si proponeva di render navigabile il ca- nale della Martesana; nel 1483 aveva fatto un editto, perchè si ponesse mano al lavoro, risalendo l'Adda sino a Trezzo : ed ebbe poi in mente anco la prosecuzione, della quale commise gli studj a Giuliano Vascone, e che gli fu impedita dai disastri del 1499. L' occasione era favorevole a Leonardo, se egli veramente qua venne nell'83, come vuole l'Amoretti, stando all'autorità del cav. Giovan Sabba da Castiglione, il quale asserisce che lavorò sedici anni al colosso distrutto nel 1499. Egli giovane, desi- deroso di gloria, provvisto di scienza, consapevole della sua forza, egli che aveva scritto a Lodovico la lettera che abbiamo riportata in un tuono tanto sicuro, avrebbe trovata un'opera, alla quale dava il suo nome, colla quale vincere l'invidia? Tuttavia dobbiamo dire che i primi ricordi di mano di Leonardo, i quali si riferiscono a lavori d'idraulica, non risalgono che al 20 marzo 1492 ; 1 e questi contengono la critica di lavori già esi- « che non rompessino : et dietro a questi poteranno seguire fanterie assai inlesi « e senza alchuno impedimento. « 7. Item occurendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di « bellissime e utile forme fora del comune uso. « 8. Dove mancassi la operazione delle bombarde, componerò briccole, man- « ghani, trabuchi et altri instrumenti di mirabile efficacia et fora del usato: et in « somma secondo la varietà de' casi componerò varie et infinite cose da offendere. « 9. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti « actissimi da offendere et defendere : et navili che faranno resistenza al trarre « de omni grossissima bombarda; et polveri o fumi. « 10. In tempo di pace credo satisfare benissimo, a paragone de omni altro, « in architettura, in compositione di edificii et publici et privati: et in conducere « aqua da uno loco ad un altro. « Item conducerò in sculptura di marmore, di bronzo et di terra: similiter « in pictura ciò che si possa fare ad paragone de omni altro, et sia chi vole. « Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immor- « tale et eterno onore della felice memoria del S.r vostro patre, et de la inclyta « Casa Sforzesca. « Et se alchuna de le sopradicte cose a alcuno paressino impossibile et « infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento in el vostro parco, « o in qual loco piacerà a Vostra Excellentia: ad la quale umilmente quanto « più posso me recomando etc. ». Carlo Promis illustrò assai dottamente i capitoli di questa lettera che si ri- feriscono a lavori militari, nella Memoria Prima in appendice al Trattato di Architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini senese (To- rino, 1841, in-4). E già il Venturi stesso riporta alcuni documenti, dai quali apparisce che Leonardo non conosceva solamente quello che sapevasi allora in- torno all'architettura militare, ma eziandio molto di quello che rimaneva da fare nell'arte militare moderna. 1 Amoretti, Mem. cit., pag. 29-45. 70 COMMENTARIO ALLA VITA stenti., e le correzioni necessarie, perchè l'opera rispondesse al fine voluto. Queste cose e il nome di Giuliano Vascone rammentato di sopra ci fanno dubitare, se lo Sforza adoperasse in quel tempo l'opera ed il consiglio di Leonardo per la condotta delle acque dei Navigli, e se persi fatti lavori egli venisse in credito alla corte di Lodovico. In un altro ricordo di un suo codice intitolato Della luce e delle ombre si legge : « A dì 23 aprile 1490 « cliominciai questo libro, e richominciai il cavallo ». Egli dunque fino dal 1490 occupavasi del trattato di pittura, ed aveva già" cominciati gli studj del cavallo; però dobbiamo riferire a questi tempi l'istituzione del- l'Accademia Vinciana, e gli studj dell'anatomia del cavallo, intorno alla quale scrisse un trattato che il Lomazzo vide presso Francesco Melzi, di- segnato divinamente di mano di Leonardo. Forse degli anni stessi o poco posteriori sono gli studj dell'anatomia umana, che egli fece in Pavia, aiutato e scambievolmente aiutando Marcantonio della Torre. Nessuna altra data abbiamo di mano di Leonardo anteriore al 1490; e ciò deve farci maraviglia, considerando che egli era solito portar sempre con se libretti, nei quali notava tuttociò che gli occorreva di più importante: come dunque spendeva egli i sette anni che corrono dal 1483 al 1490'? Alcune rime del Bellincioni che si riferiscono tra il 1487 e il 1489, ci mo- strano Leonardo occupato nel diriger le feste per le nozze di Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona, e nel dipingere i ritratti di Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli amate da Lodovico il Moro. Queste erano tanto potenti , e i ritratti loro furono tanto celebrati da tutti quelli che volevano acqui- star grazia presso Lodovico , da doversi credere che fossero cagione di fa- vore a lui che giungeva straniero e senza fortuna in una corte, dove la potenza dell'ingegno e la grandezza dell'animo erano in pregio talora, ma molto più la bellezza del corpo e l' esercizio di tutte le arti che a ci- vili costumi, a molle e lieto vivere si congiungono. Comunque sia, egli dovette, per guadagnarsi di che vivere, abbandonare Firenze tra il 1483 e il 1487, e condursi a Milano, dove fu ricevuto con favore da Lodovico il Moro. Sarebbe inutile il ricercare se questi lo ritenesse, perche molto dilettavasi del suono di uno strumento , che Leonardo aveva di sua mano fabbricato di argento gran parte, in forma di teschio di cavallo (come il Vasari asserisce), o perche volesse fargli eseguire in bronzo la statua equestre eli Francesco I Sforza, suo padre. Si è combattuta l'asserzione del Vasari, dicendo che la prima opera che condusse fu il cavallo, masi sa nondimeno che i principi di allora più si dilettavano di musici e di cortigiane, che di opere d'arte e di scienza; e che i poeti, gli artisti, gli scienziati erano ricevuti alla corte del Moro , purché non avessero onta di adoperare l' ingegno e l' opera loro a commendazione degli scandalosi amori di lui, che nobili e rispettabili donzelle ai piaceri suoi sfacciata- DI LEONARDO DA VINCI 71 mente prostituiva. 1 Onde ci basti d' aver veduto non ultima delle opere di Leonardo in Milano essere stati i ritratti delle due concubine di Lo- dovico. Affrettiamoci piuttosto a rammentare, come in così piccoli principj sapesse Leonardo circondarsi di allievi, dai quali era ammirato, e che fa- cevano gran parte della sua gloria, avere a familiari le più ragguardevoli persone di Milano e gli uomini più dotti del suo tempo, Tra i quali ab- biamo parlato di Marcantonio della Torre , e diremo di Fra Luca Paciolo, che aveva comuni con Leonardo la vita e gli studj, e rappresentava in quella citta degnamente il fiore della scienza toscana. Il primo ebbe di mano di Leonardo i disegni dell'Anatomia; il secondo quelli del Trattato della divina proporzione. Questi era forse il solo che potesse intendere la mente di quel divino nelle speculazioni appartenenti alla filosofia natu- rale, ed ajutarlo con il sapere profondo negli studj più severi. Debbonsi a questo tempo i frammenti riportati dal Venturi sulla caduta dei gravi •combinata còn -la rotazione della terra, siili1 oscillazione delle varie parti di un sistema attorno attorno al centro di attrazione, sulla resistenza re- spetti va dei solidi, sull'attrito, la teoria del piano inclinato e delle forze applicate obliquamente alla leva, il principio delle velocità virtuali. Di questi studj eli meccanica il Paciolo parla Con ammirazione, ed esalta Leo- nardo sopra tutti coloro che frequentavano la corte di Lodovico. Il quale pare non lo rimunerasse largamente: perchè dopo quindici anni di lavori al colosso ; dopo l' istituzione dell'Accademia Vinciana, per la quale aveva scritto il trattato della pittura; dopo aver corretto i lavori del Naviglio; dopo aver dato opera al trattato del moto locale, agli studj di meccanica e di anatomia comparata; Leonardo scrive al duca2 che vuol mutare la sua arte, perchè non ha commissione alcuna; chiede che gli sia dato qualche vestimento, e si lagna di essere restato ad avere il salario di 1 Vedi Amoretti, pag. 40, parlando dei ritratti di Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli. 2 « Essermi data più alcuna commessione di alcuni Del premio del mio « servitio perchè non son da esserle da cose assegnationi perchè loro hanno « entrate di p...-. .'.ti, e che bene possono aspettare più di me.... non la mia « arte la quale voglio mutare, e dato qualche vestimento. — Signore, cono- « sciendo io la mente di vostra excellentia esser ochupata Il ricordare a « vostra signoria le mie piccole cose. Ella mi messe in silenzio.... ch'il mio « taciere fosse causa di fare isdegnare vostra signoria la mìa vita ai vostri « servitii .... mi trovo continuamente parato a ubidire del cavallo non dirò « niente perchè cognosco i tempi a V. Sig. chom' io restai avere il salario « di due anni del ... . con due maestri i quali continuo stettono a mio salario e « spese .... che alfine mi trovai avanzato di detta opera circa lire 15 mi opere « di fama, per le quali io potessi mostrare a quelli che io sono sta da per « tutto ma io non so dove io potessi spendere le mie opere l'avere atteso « a guadagnarmi la vita ». (Amoretti, pag. 83). 12 ( OMMENTARIO ALLA VITA «lue anni; che dei suoi lavori ha avuto soltanto di che pagare i suoi operai; che, detratte le spese, si trova avanzato della sua opera circa quindici lire. Forse questi lamenti mossero il duca ad onesta vergogna, poiché dette a Leonardo nel 1499, 26 aprile, sedici pertiche di una vigna1 comprata dal monastero di S. Vittore presso porta Vercellina : della quale non poti; godere a lungo tranquillamente. Che, invasa nell'anno stesso Milano dai Francesi, il duca perse lo Stato, e Leonardo vide il modello del cavallo latto bersaglio ai tiri dei balestrieri guasconi, e distrutto. All'età di quarant' anni, dopo avere speso il fiore della vita a condurre opere di arte e di utilità pubblica, a comporre grandi trattati, onde le scienze e le arti doveano rinnovarsi del tutto, ridotto a fuggire dalla sua patria di adozione, perduto ogni frutto delle sue fatiche, e costretto a ricominciare quella maniera di vita, di. cui era già stanco fin dalla prima gioventù, quando lasciava la prima volta Firenze; sembra che restasse lungamente incerto di ciò che farebbe di se, ed altamente commosso dagli avvenimenti che si erano succeduti sotto i suoi occhi e non senza grave suo danno. Ab- biamo nel 1502 la patente del Valentino che lo nomina architetto e suo ingegnere generale. Ai servigi di lui fa il viaggio dell'Emilia, visita le piazze forti, notando tutto ciò che gli si presenta nel viaggio apparte- nente alla meccanica ed alle scienze naturali. 2 Tornato a Firenze nel 1503, propone un canale che si stacchi dal- l'Arno, traversi le campagne di Prato, di Pistoja, di Serra valle, il lago di Sesto; parla delle spese di costruzione, delle acque da introdurre nel canale e de'fiumi che dovrebbero traversarlo. Egli aveva vagheggiato questo pensiero fino da giovanetto; e dopo i lavori sui canali del Milanese, pei quali il Moro aveva avuto spesso bisogno del consiglio di Leonardo, po- teva sperare di esser facilmente creduto. Va al campo sotto Pisa per con- sultare sopra un'opera da farsi contro quella città, e disegna il cartone della battaglia di Anghiari: ma tra la rivalità di Michelangelo, il dispetto perchè fossero accolti poco favorevolmente i suoi studj di meccanica e di idraulica relativi all' incanalamento dell'Arno , il dolore di vedere che non bene riuscisse la nuova prova tentata per dipingere a olio sul muro, e la noja di sentirsi rimproverare dal Soderini perchè non attendesse a finire l'opera che gli era stata allogata, non vi rimase che fino al 1506, 8 la- sciando imperfetto il lavoro. Frattanto a Milano si erano composte le cose in qualche ordine ; e là trovò Leonardo in Lodovico di Francia meno improntitudine che nel Soderini, e maggior liberalità che nel Moro. Di- ' Amoretti, pag. 85. 2 Amoretti, pag. 95. 8 Vedi Gaye, Carteggio ecc., II, 86 e segg. DI LEONARDO DA VINCI 73 moro in Vaprio lungo tempo presso il suo amico Melzi, e fece le corre- zioni per la prosecuzione del naviglio della Martesana, risalendo l'Adda da Trezzo a Brivio.1 Eseguì nel 1509 uno scaricatelo sul Naviglio grande presso San Cristoforo : 2 per le quali cose ebbe in premio da Lodovico di Francia dodici once di acqua da estraersi da detto navilio, come già sin dal 1507 aveva avuto titolo e stipendio di pittore del re. Queste cose egli ricorda con compiacenza ancora qualche tempo dopo, scrivendo da Firenze dove era venuto nel 1511 per raccorre parte dell'eredita di suo zio morto forse nel 1507. Le sue lettere sono al luogotenente del re, al presidente, a messer Francesco Melzi ; 8 ai quali promette che saprà far buon uso delle dodici once di acqua, e che porterà seco, tornando, due quadri di due Nostre Donne fatte per il Cristianissimo. Egli attenne la sua pro- messa poco dopo tornando in Milano, dove gli facevano caro lo stare il credito suo presso il re di Francia, l'amicizia del Melzi, le memorie della gioventù, e la gloria, della quale si vedeva circondato in quella città che aveva abbellita delle sue pitture, e giovato con la sua arte, regolando il corso delle acque del Ticino e dell'Adda. Questi pensieri, che hanno molta forza in tutte le menti umane, possono molto più sull'animo di un vecchio che ha compiuti oramai sessanta anni, che sa di aver fatto assai per la gloria, e sente venir meno le forze a nuove cose; e questi gli rendevano tanto cara quella dimora, che in nissun altro luogo trovava riposo. Ma la riconquista del Milanese, fatta contro i Francesi per riporre in trono lo Sforza, lo tolse suo malgrado di là; o forse anco l'animo del vecchio si commosse a pensare il grido che avevano levato di se Miche- langelo e Raffaello, la fama de' quali anco da lontano sembra vagli no- cesse alla sua. E poiché si sentiva tanto maggiore di loro nell' intelligenza divina dell'arte, quanto nella pratica essi erano maggiori di lui, partì per Roma il 24 settembre 15 14. 4 Ma» la fortuna ama i giovani ; ed egli, che dei suoi concittadini non ebbe mai troppo a lodarsi, trovò da Leone X in Roma queir accoglienza che da Lorenzo il Magnifico aveva avuta il giovane Leonardo , e poi dal Soderini l' idraulico che aveva diretti i lavori 1 Vedi Amoretti, pag. 101. 2 Trovasi nel codice piccolo Arehintiano, pag. 25, il disegno con appresso il navilio di san Cristoforo di Milano, fatto a di 3 di marzo 1509. (Amoretti, pag. 104). 3 Amoretti, pag. 109. 4 Lasciò di ciò memoria nel codice segnato B, pag. 1: « Partii da Milano « per Roma addi 24 di settembre con Giovanni Franciesco Melzi, Salai Lorenzo, « e il Fanfoia ». E nel codice stesso accanto ad un disegno sta scritto : « Sulla « riva del Po vicino a Sant'Angelo nel 1514 addì 27 settembre». 74 COMMENTARIO ALLA. VITA dei navigli, il pittore che aveva dipinta la Cena. Narra il Vasari che essen- dogli allogata un' opera dal papa , Leonardo subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice; e che il papa ciò risapendo dicesse: Oimè! costui non e per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi al principio dell'opera. Del che sdegnatosi Leonardo, tanto più che sapeva essere stato chiamato a Roma iì Buonarroti, che non gli era amico, se ne partì. 1 prosperi successi dei Francesi in Lombardia richiamarono ben presto Leonardo, il quale tutte le sue speranze aveva poste nella corte di Fran- cia, e vedeva volentieri gli alti principj del successore di Lodovico. 1 A lui che trionfava a Pavia presentò il leone che si fece dinanzi e gli mostrò il petto aperto pieno di gigli; lui seguì a Bologna al congresso con Leone X. di cui forse rammentò allora con compiacenza il superbo dispetto, veden- dolo vinto e costretto a cercar pace; lui seguì in Francia nel 1515, quan- tunque già grave di anni e logoro dalle fatiche; e se non spirò tra le braccia di lui,2 come narra il Vasari, e come fu creduto per quasi tre secoli , non e meno vero che l' ospitalità e gli onori ricevuti alla corte di Francia gli fecero men grave il morire in terra straniera. Così Fran- cesco I meritò, se non ebbe comune coi discepoli di Leonardo, l'onore di raccorre l'ultimo sospiro di quel grande, e di sostener con le proprie braccia il capo stanco ed onorato. Quello che sappiamo dei primi studj del giovane Leonardo si può de- durre quasi interamente da alcuni suoi frammenti manoscritti, dove parla di se e delle controversie che gli mossero i dotti di allora. Nato in un secolo di eruditi, pei quali tutto ciò che era antico era buono, tutto ciò che gli antichi filosofi, e il primo di loro Aristotile, aveano asserito sulle cose naturali, era vero; cominciò ben presto a mostrar poco rispetto per questa erudizione , che avrebbe voluto rifar la natura , perchè obbedisse ai precetti dei sistemi filosofici allora accettati; e chiamò questa razza di filosofi trombetti e recitatori delle #>pere altrui. Ma più che con le parole mostrò con gli studj di non volerli tenere in conto veruno ;. poiché nelle sue opere non cita mai gli autori, dai quali ha tratta la cognizione dei fe- nomeni naturali che va descrivendo; anzi protesta di non conoscerli, e di avere osservato da se. 3 « Se bene come loro non sapessi allegare li autori, molto maggiore e « più degna cosa allegherò allegando l' esperienza maestra ai loro maestri. « Costoro vanno schonfiati e pomposi, vestiti e ornati non delle loro, ma 1 Battaglia di Marignano, 10 di settembre 1515. 2 II 2 di maggio 1519, a Cloux presso Amboise. 3 Libri, Histoire des sciences matkématiques en Italie, tom. Ili, pag. 58; Nota xxi, pag. 258. DI LEONARDO DA VINCI 75 « delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedono. Me inven- « tore disprezzano ; quanto maggiormente loro non inventori, ma trombetti « e recitatori delle opere altrui dovranno essere biasimati? » « Proemio ' « È da essere giudicati e non altramente stimati li omini inventori e « interpetri tra la natura e gli omini, a comparatione dei recitatori e trom- « betti delle altrui opere, quanto è dall'obietto fori dello specchio alla si- « militudinè dell' obietto apparente nello specchio che lui non per se « niente; giente poco obbligati alla natura, perchè sono d'accidental « vestiti, e senza il quale potrei accompagnarli in fra gli armenti delle « bestie ». Ne dobbiamo credere per questo, che di tutti gli antichi maestri fa- cesse ugual conto che degli eruditi loro commentatori, poiché negli studj severi della geometria e della meccanica volle apprendere da giovinetto tutto ciò che si sapeva; e dove non gli bastavano i maestri, che spesso confondeva con le sue domande e abbandonava ben presto, soccorreva col proprio ingegno. Primo fra i moderni, riprese le ricerche di Archimede sul centro di gravita delle figure e sull' equilibrio dei fluidi ; incominciando di la, dove l'antico geometra aveva finito; disegnando macchine mosse dall'acqua, dall'aria, dal vapore, tra le quali rammenteremo soltanto V idea di applicare il pendolo alla misura del tempo 1 e la forza del va- pore alle artiglierie ; 2 dettò più di un secolo e mezzo innanzi al Castelli le più compiute e le più esatte teorie d'idraulica. Osando un secolo avanti Galileo predicare l'esperienza come sola maestra nello studio dei fenomeni naturali; ammettendo sulla costitu- zione fisica del globo ipotesi dedotte dalle leggi della fisica meccanica e dell'idraulica, combattendo le qualità occulte: rinnovò nella sua mente tutta la filosofìa naturale; e solo, senza maestri e senza libri, esplorò un campo ancora intatto, del quale pure con l' intelletto prodigioso misurava tutta la estensione e le difficoltà. Ma giovane di trent'anni, ragionando a perdita di vista dinanzi a persone gravissime sopra li primi veri e noti principii ( come egli stesso si esprime ) , e deducendo conseguenze fuori del comune intendimento , fu cagione che tutti i suoi amici e coloro , ai quali comunicava il frutto dei suoi studj, ammirassero il suo discorso, ma lo ri- cevessero piuttosto come una vana speculazione di un grande ingegno, che come l' espressione di chi ha sudato camminando alla ricerca del vero per una via fino allora non battuta. Tale accoglienza ebbe il disegno di metter Arno in canale da Pisa a Firenze, e l'altro, col quale più volte a 1 Venturi, Essai ecc., cit. 2 Delécluze, Saggio sopra Leonardo da Vinci, trad. ita!., pag. 181 e 123. 76 COMMENTARIO ALLA VITA molti cittadini ingegnosi che governavano allora Firenze, mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni, e sottomettervi le scalee senza mi- narlo. Questi fatti narrati dal Vasari, il quale nel modo stesso del suo racconto mostra di non intendere abbastanza la mente di Leonardo, fimno lede che non si credeva troppo a quegli studj , perchè in quel modo non erano soliti studiare coloro che si reputavan sapienti. Onde egli stanco oramai dei loro dotti fastidj , e stanco di passare la vita senza aver dato mano a quasi nulla di grande, abbandonava Firenze. La fortuna gli aveva negato di spendere l'opera sua a benefizio della patria, ma non poteva torgli la coscienza della sua forza. Arrivato a/ppena in Milano, scriveva al Duca la lettera che abbiamo riportata. Dove avesse imparato tutto quello che egli riferisce, non sappiamo. Sappiamo bene, che egli poteva mantenere molto più che non promet- tesse, e che il frutto dei suoi studj apparve ben presto. Fondata in Mi- lano l'Accademia Vinciana, scriveva per quella il trattato della pittura, e continuava sul canale della Martesana gli studj d'idraulica che aveva incominciati sull'Arno. Due volte si è occupato dei canali di quella pro- vincia: nel 1492 per ordine di Lodovico il Moro, e dal 1507 al 1510, chia- mato da Lodovico di Francia. I lavori della seconda volta sembrano più importanti di quelli della prima. Diciamo frattanto, che i lavori del ca- nale della Martesana, diretti dall'ingegnere Bertolino da Novara dal 1457 al 1460-, derivavano le acque dell'Adda sotto il forte di Trezza, e le con- ducevano vicino a Milano. Le acque di questo canale erano vendute per la irrigazione. Nel 1480 sfiancatesi le mura ed il suolo ricaddero nel fiume, onde 200 braccia di canale fu d'uopo di nuovo scavare nel sasso. Una conca era stata costruita presso San Marco, col fine di provvedere alla navigazione del canale, la quale non si era frattanto potuta ottenere. Lo- dovico il Moro, richiamato dall'esilio, suggerì al nipote Giovan Galeazzo il pensiero di rendere navigabile il canale della Martesana, e in nome di lui fece in data de' 16 maggio 1483 il decreto per ciò eseguire.1 Seb- bene la venuta di Leonardo voglia riferirsi a questo tempo, non è ben certo che a Leonardo fosse affidata la direzione dei lavori della Martesana, come non è certo il quando fossero condotti. Sembra però doversi argo- mentare, che da prima non fossero intrapresi con troppo felice successo. Perchè in alcuni frammenti di ricordi presi da Leonardo in una ispezione fatta nel 1492 ai canali di Lombardia per ordine del Moro si trova un esame critico delle opere costruite e le correzioni da farsi. Egli dimostra che le acque del canale non sarebbono state bastanti a portar navi, se non si ristringeva il canale quasi della metà, e che derivando dall' Adda * Amoretti, pag. 189. DI LEONARDO DA VINCI * 77 maggior copia di acque poteva anco provvedersi alla irrigazione, scavando a lato del naviglio vene di acqua, dalle quali si versasse quella che soprabbon clava. La cavatura del naviglio, la relativa perizia sono notate nei codici di Leonardo. Egli disegnò parimente la conca di San Marco, edificio di già esistente; fece l'analisi critica di tutte le sue parti; 1 scrisse intorno al moto che ha l'acqua nell' aprire le cateratte al disopra, in mezzo 0 disotto; le differenze di livello nel calare o muovere in superfìcie le cadute, i ritrosi, gl'incurvamenti delle onde, come si vede nelle conche di Milano;2 rilevò i difetti delle conche esistenti, e ne propose i ripari. Tutto ciò deve farci credere che egli intendesse i canali del Milanese do- ver essere in "gran parte rifatti, e non potremmo asserire o negare che a lui ne fosse affidata allora la cura. Certo che le correzioni proposte furono poi fatte, e probabilmente dal 1506 al 1510, tempo in cui Leo- nardo rimase lungamente in Lombardia non di altro occupato che di la- vori idraulici. Sappiamo che nei codici vinciani leggesi un capitolo inti- tolato Del canale della Martesana, in cui espone il suo parere sul minorare il danno che risulterebbe al Lodigiano per le acque tolte all' irrigamento dei prati a favore delia navigazione, e che questo capitolo è stato scritto nel 1508. L' Oltrocchi vide nel codice Atlantico il disegno delle porte superiori e inferiori delle conche, la livellazione fatta da Leonardo, il modo onde provvide all'evasione del Lambro che attraversava il canale, i luoghi in cui divisò le conche, con tre delle quali portò l'Adda sul piano del fos- sato, dove non erano ancora portate le acque per la soverchia loro al- tezza; e con altre due conche diede loro sfogo nel vecchio fossato navi- gabile, per circondare tutta la città, dopo d'avere assicurato il perpetuo uguale livello con adattato scaricatojo prima che in esso entrasse. 3 Le lettere di Lodovico di Francia che richiamano il Vinci da Firenze, riportate dal Grave, sono del 1506. A' 5 luglio 1507 scrive dalla canonica di Vaprio, dove aveva ripreso 1 suoi studj per la navigazione dell'Adda, intendendo risalirla sino a Bri- vio. Disegnò il corso dell'Adda, e al fianco del disegno notò le misure del lavoro da farsi, e su cui computarne le spese: comincia il disegno da Brivio , e si stende sino all' imboccatura del naviglio sotto Trezzo. 1 Molti manoscritti di Leonardo rimasero lungo tempo dimenticati a Vaprio nella villa Melzi,s e sono forse quelli, nei quali aveva consegnati gli studj, più 1 Amoretti, pag. 193. 2 Amoretti, pag. 185. 3 Amoretti, pag. 191. 4 Amoretti, pag. 197. 5 Libri, pag. 34. 78 COMMENTARIO ALLA \ ITA particolari sul corso dell'Adda. Da ciò dobbiamo concludere che il Moro non aveva ottenuta la navigazione dell'Adda che col danno dei partico- lari, ai quali aveva tolto tutte le acque che servivano alla irrigazione, e che Leonardo ristrinse il canale, aperse nelle pareti di esso sopra un certo livello i bocchelli, di cui parla nelle lettere scritte da Firenze nel 1511, distribuendo e regolando l'oncia dell'acqua, secondo le teorie che egli espone nell' Idraulica. Gli ultimi quattro libri dell'Idraulica di Leonardo contengono i risul- tati delle sue osservazioni sul moto delle acque ; i primi cinque , le teorie e le speculazioni più sottili della scienza. Noi dobbiamo credere che i quattro siano quelli che Leonardo ha scritti nel tempo che dirigeva i la- vori d'idraulica nella Lombardia, o sieno almeno cavati in gran parte dai ricordi che egli prendeva a mano a mano che gli si presentavano casi degni eli osservazione. Nel sesto e settimo libro delle rotture fatte dall'acqua e delle cose portate dall'acqua, considera i danni dell'acqua contro gli argini, dove essa faccia maggiore o minore concavità o rottura per il ristringere degli argini, per il crescere di velocità, per il risaltare dell'acqua contro un ostacolo, per l'aumentarsi dell'inclinazione del fondo, per F inegualità di esso fondo ; dove cavano il fondo e dove cavano l' ar- gine due acque correnti che s'incontrano; quello che accada dovè due fiumi entrano l'uno nell'altro; dove cresca e dove si abbassi il letto del fiume; come debba rendersi il terreno ai luoghi scoperti e scorticati dal corso delle acque ; come si debba colle acque correnti condurre il terreno dei monti alle' valli paludose, e farle fertili, e sanar l'aria circostante. Tutto ciò che primo Benedetto Castelli ha discorso sulla misura delle acque correnti, era già stato registrato da Leonardo nel libro ottavo del- l'Idraulica parlando dell'oncia dell'acqua e delle canne. Le questioni sulla quantità di acqua da estrarsi dai canali della Lombardia per la irriga- zione, la giusta distribuzione e la vendita di essa, chiamavano a sè l'at- tenzione di Leonardo per determinare la vera quantità dell' oncia di acqua che esce da una data luce. Abbiamo veduto che di questo si era occupato specialmente nel capitolo sul canale della Martesana, e su questo stesso soggetto ritorna scrivendo da Firenze al Melzi nel 1511 sul regolare i bocchelli del naviglio. La questione è considerata sotto gli aspetti più svariati, e si può dire che questo libro è uno dei più importanti del Trat- tato d'Idraulica di Leonardo: a questo appartengono alcuni frammenti tratti dai manoscritti di Leonardo riportati dal Venturi nel suo Saggio su Leonardo da Vinci. Le esperienze proposte per la risoluzione di tutti i casi che gli si presentano alla mente, sono semplici e decisive; esse formano modelli eccellenti per chi si dà allo studio delle cagioni dei fe- nomeni in un campo ancora inesplorato: in esse ha saputo separare ciò DI. LEONARDO DA VINCI 79 che è dovuto a ciascuna cagione negli effetti composti; per ciascuno ha saputo trovare quella esperienza che rende più sensibile la teoria, ed ajuta meglio la niente a formarsi il più vero e il più giusto concetto di ciò che accade in natura. Mentre nei primi libri le esperienze sono messe con severa parsimonia, in questo in cui si trattava di rendere sensibili a tutti delle verità che riguardano gl'interessi di tanti, sono moltiplicate. Quan- tunque dobbiamo giudicare in generale che Leonardo avesse un ingegno più vasto e più speculativo, ma meno pratico del Castelli, ci pare, nel per- correre questo libro, che egli abbia voluto rendersi facile a tutti, per dare una splendida prova che sapeva fare e rovesciare i sistemi con l'ingegno del filosofo, che egli, sapeva come uomo di scienza applicare il ragiona- mento e condurre dai principi astratti, dalle ipotesi ardite alle loro ul- time conseguenze; ma che sapeva egualmente servire alla pubblica utilità, al paragone di ogni altro, e sia chi vuole, nella amministrazione di un ramo così importante di ricchezza pubblica e privata. In questo considera la quantità dell'acqua che versa da diverse luci, avuto riguardo all'al- tezza dell'acqua al disopra di ciascuna, quando il livello si mantiene co- stante, alla variazione della velocità all' abbassarsi del livello, la misura delle once che si danno nelle bocche delle acque, maggiori o minori, se- condo la maggiore o minore velocità dell' acqua che per essa bocca passa ; 1 la diversa quantità di acqua che danno le stesse luci praticate sulla su- perficie di uno stesso canale, secondo le condizioni del canale; 2 e non 1 « Le misure dell'orice che si danno nelle bocche dell'acqua sono maggiori o minori, secondo le maggiori o minori velocità dell'acqua che per essa bocca passa. Doppia velocità dà doppia acqua in un medesimo tempo, e così tripla velo- cità darà tripla in un medesimo tempo quantità d'acqua, e così successivamente seguirebbe in infinito ». (Leonardo, Idraulica, pag. 424). 2 « Il moto d'ogni fiume con egual tempo dà' in ogni parte della sua lun- ghezza egual peso d'acqua. E questo accade » perchè se il fiume, nello sbocca- mento che fa, scarica "un tanto peso di acqua in tanto tempo, necessità vuole, che in luogo dell'acqua scaricata succeda un altrettanto peso d'acqua in altret- tanto tempo, quale si muova dalla parte immediatamente antecedente, e cosi successivamente in luogo di quest' altra acqua succeda con altrettanto peso, in sintanto che s'arrivi alla prima parte della lunghezza del fiume. Altrimenti, se nello sboccamento si scaricasse maggior somma d'acqua di quella che si trova al principio del fiume, seguirebbe che nel mézzo del canale l'.acqua di continuo s'andasse scemando; e per il contrario, se nel medesimo sboccamento passasse minor somma d'acqua di quella che entra al suo nascimento, l'acqua di mezzo crescerebbe continuamente: ma l'uno e 1' altro è manifestamente falso. Adunque il moto di ogni fiume con egual tempo dà in ogni parte della sua lunghezza egual peso d'acqua. Due bocche eguali e simili poste nell'argine del fiume d' egual obliquità di fondo, quella verserà più o meno acqua secondochè più o meno crescerai o diminuirai la larghezza di esso fiume , e tanto quanto accrescerai o diminuirai la larghezza del fiume, tanto minuirai o accrescerai la velocità del so ( oMMKNTAKIO ALLA VITA trascura le speculazioni più sottili sulla forma della superficie dell'acqua presso una bocca, ne di ricercare quale acqua dalle diverse parti del canale si muova all' uscita verso questa. 1 I primi cinque libri, come abbiamo già avvertito, contengono sola- mente la teoria, e sono cavati da questi ultimi. Oltre l'usanza che avea Leonardo di far precedere sempre l'esperienza alla teoria, noi abbiamo una ragione di più per credere quello che abbiamo asserito, osservando che egli rimanda spessissimo nei primi libri del trattato alle proposizioni o alle esperienze degli ultimi. Essi dunque sono stati scritti posteriormente. La costituzione fisica dell'acqua e della terra, la formazione delle nu- vole,2 il modo in cui rimangono sospese nelle più alte regioni dell'atmo- sfera,3 le leggi dell'equilibrio dell'acqua e dell'aria, e dei fluidi in ge- suo moto. Il fiume d'egual profondità avrà tanto più fuga nella minor larghezza quanto la maggior larghezza avanza la minore se sia un luogo che abbia tre varie larghezze, le quali si contengano insieme, e la prima minor larghezza entri nella seconda quattro volte, e la seconda entri due volte nella terza; dico che gli uomini che empiranno con le loro persone detti luoghi, quali siano in continuo cammino, quando li uomini del maggior luogo faranno un passo, quelli del secondo minore ne faranno due». (Loc. cit., pag. 427, 428, 429). 1 « Si dà l'uscita all'acqua vicino alla sua superfìcie, e si dimanda qual parte di superficie d'acqua piglierà moto più veloce, o più tardo in porger acqua ; a tale uscita. E per far regola, metterai particole di cose che stiano a nuoto, che sieno uguali come sono alcune minute semenze di erbe, e metterai in circolo equidistante dall'uscita. E nota la prima che capita alla bocca, ferma l'acqua, guarda il circolo, e così ne farai regola. Per vedere qual acqua del vaso è quella che si muove all'uscita del fondo di esso vaso, piglia due piastre di vetri quadri, i di un quarto di braccio, e falle vicine 1' una all' altra due coste di coltello con uniforme spazio, e salda li estremi dalli tre lati con la cera; poi per il quarto ; lato di sopra 1' empi d' acqua chiara, nella quale sieno sparse piccole semenze, | le quali sieno nuotanti per tutta l'altezza di tal acqua; dipoi farai un piccolo ! buco nel fondo, e da' l'uscita a tal acqua, e tieni l'occhio fermo nella faccia del vaso. E cosi il moto della detta semenza ti darà notizia qual è quell'acqua, che con più velocità corre all'uscita». (Leonardo, Idraulica, pag. 413, 418). 2 « Il caldo dell'elemento del fuoco sempre tira a sè gli umidi vapori, e folte nebbie, e spesse nuvole, i quali spicca dai mari ed altre paludi, e fiumi ed umide valli, e quelle tirando a poco a poco insino alla fredda regione, quella prima parte si ferma, perchè il caldo ed umido non si confonda con il fredde e secco; onde fermatavisi la prima parte, ivi si assettano le altre parti; e così aggiungendosi parte con parte si fanno spesse ed oscure nuvole, e spesse sono rimosse e portate da' venti di una in un'altra regione, dove per la densità loro fanno sì spessa gravezza che cadono in ispessa pioggia. E se il caldo del" sole s'accresce alla potenza dell'elemento, li nuvoli fieno tirati più alto e trovano più freddo, nel quale si diacciano, e causansi tempestose grandini». (Loc. cit.. pag. 289). 3 « Nell'elevazione dei granicoli dell'umido quel che più s'inalza alla vici- nità di tal regione di mezzo più ritarda, quello che lo seguita è più veloce di lui, DI LEONARDO DA VINCI 81 nerale, la ricerca del centro di gravità della terra e dell'acqua, formano il soggetto del primo libro dell' Idraulica di Leonardo. Osservatore acu tissimo del modo di operare delle diverse forze della natura, le separa e le classifica con una potenza d' analisi unica , e con rigore di deduzione pone i principj della filosofia naturale, e gli spinge alle ultime conseguenze. Nel secondo libro riprende più generalmente la teoria e le esperienze proposte nell'ottavo, applicando al moto delle acque in un canale i prin- cipj che servivano alla soluzione dei problemi riguardanti la misura del- l'acqua che esce da una data luce. Il variare della velocità dell'acqua nelle diverse sezioni di un canale, a diverse profondità dalla superficie, avuto riguardo alla natura ed alla obliquità del fondo,1 l'attrito sul fondo2 e sulle pareti del canale, le esperienze da istituirsi per riconoscere se la velocità cresce o scema al crescere della profondità, 8 il moto del- l'acqua vicino ad una cascata, 4 la composizione dei movimenti di due •onde lo raggiunge, e spesso accade che lo percuote di sotto, e si incorpora in lui, e li cresce quantità e peso, e per questo l'aria non potendo sostenerlo dà luogo al suo descenso, il quale percuote tutte le gocciole che gli impediscono il moto del descenso, o anche ne incorpora in sè, ed acquistando gravezza acquista velocità di descenso; per la quale, poiché sia penetrato tutto il suo nuvolo, in ogni grado di descenso acquisterà grado di diminuzione, e molte fiano le volte che tali granicoli non si condurranno a terra L'acqua che cade dal nuvolo alcune volte si risolve in tanta levità per la confregazione che essa ha con l'aria, che essa non può dividere l' aria e spesso si converte in sì minute particole, che essa non può discendere, e così resta in fra l'aria ». (Loc. cit., pag. 291). 1 « Il fiume dritto con egual larghezza e profondità ed obliquità di fondo in ogni grado di moto acquista grado di velocità. Quel fiume è di più veloce corso die men percosso ha il fondo, essendo il fondo sodo e di larghezza uniforme, ed, e converso, quello più tardo che più percosso ha il fondo ». (Loc. cit., pag. 301, 303). 2 « La corrente è più veloce di sopra che di sotto. Questo accade perchè F acqua di sopra confina con l' aria, che è di poca resistenza, per esser più lieve dell'acqua; e 1* acqua di sotto confina con la terra che è di grande resistenza, per essere immobile e più grave che l' acqua. Li fiumi che si muovono contro li corsi de' venti fìano di tanto maggior corso di sotto che di sopra, quanto la sua superficie si fa più tarda, essendo sospinta da' venti che prima ». (Loc. cit., pag. 304, 305). 3 « A conoscere se un' acqua corre più di sotto che di sopra. Di una bac- chetta che sie di sopra infilata in baga e di sotto in sasso, quella parte che avanza di sopra alla baga, se penderà in verso l'avvenimento dell'acqua, cor- rerà l'acqua più in fondo che sopra, e se detta bacchetta penderà verso il fug- gimento dell'acqua, correrà il fiume più di sopra che di sotto; e se resta dritta la bacchetta, il corso sarà di pari velocità di sopra che di sotto ». (Loc. cit., pag. 306). 4 « Dove si vede monti sorgere nelle acque correnti ad uso di bollori, ivi è segno di gran profondità d'acqua, donde tali bollori risultano dopo la percus- sione che fa l'acqua sopra del fondo». (Loc. cit., pag. 509). Vasari, Opere. — Voi. IV. 6 82 COMMENTARIO ALLA VITA ncque che corrono insieme, sono discussi nel secondo libro. Negli altri tre, delle onde dell'acqua, dei ritrosi, dell'acqua cadente, esamina le teorie più complesse del moto dei fluidi, separa le questioni che riguardano il moto permanente1 delle acque, come hanno fatto i geometri moderni, osservando che in questo era più facile rendersi conto esatto dei fenomeni complessi; e quando anco non giunge alla scoperta delle leggi che le governano, poiché tutto in questo studio egli doveva creare e sino la lin- gua, traccia la strada che dovrà condurvi, quando lo stato della scienza sarà più avanzato, o indica almeno le esperienze più adatte a dare l'idea di ciò che accade in natura. 2 Alcune delle note che abbiamo riportate da questi tre libri, si trovano con poche varianti nei documenti che il Venturi ed il Libri hanno tratti dai manoscritti di Leonardo, dove parla degli effetti della forza centrifuga nella formazione elei ritrosi, pone le basi della teoria dell' onde, 3 pone in confronto i movimenti che accadono nell'acqua e nell'aria, considera le diverse sezioni di una vena fluida che esce da uno spiracolo di data forma, l'assottigliarsi dell'acqua nella caduta 1 « Giunte insieme le maggiori e le minori tardità delle onde, cioè dell'onda in sè, con la velocità de' suoi lati, e tardità del suo colmo, essa si fa uguale al comune corso del suo fiume. Provasi per la quarantesima dell' ottavo qual dicer che il fiume dà tragitto in ogni parte della sua lunghezza con egual tempo ad egual quantità d' acqua, essendo esso fiume di qualunque varietà si sia. Adunque non può l'onda essere più veloce del comun corso del suo fiume, perchè darebbe maggior quantità di acqua in una parte del fiume che nell'altra ». (Loc. cit., pag. 331). 2 «Il moto elico ovvero revertiginoso d'ogni liquido è tanto più veloce, quanto egli è più vicino al centro della sua rivoluzione. Questo che noi proponiamo è caso degno d'ammirazione. Conciò sia che il moto circolare della ruota è tanto più tardo, quanto egli è più vicino al centro del circon volubile. È il medesimo moto per velocità e larghezza in ciascuna intera rivoluzione dell'acqua, che sia nella circonferenza del maggior circolo, come nel minore. Per vedere se li retrosi sono più larghi in fondo che di sopra, piglia una bacchetta, e falle quelle alette di tavola, e dàlie tanto peso da pie che la parte di sotto vada in fondo, e legala con un filo sospesa ad un bastone, e cacciane una parte sott'acqua, e guarda se la parte di sopra nel suo girare si piega o no, e quanto ». (Loc. cit., pag. 335, 336). 8 « Se getterai in un medesimo tempo due piccole pietre alquanto distanti 1' una dall'altra sopra un pelago senza moto, tu vedrai causare intorno alle dette due pietre due separate quantità di circoli, le quali quantità accrescendo vengono a scontrarsi insieme. Domando se l'un cerchio, nello scontrarsi con suo accre- scimento nell'accrescimento dell'altro .... Ovveramente, se tali loro percussioni risaltano indietro in fra gli angoli eguali. Questo è bellissimo quesito e sottile. Al quale rispondo, che se il moto dell'impressione dell'acqua sia accompagnato col moto della medesima acqua, come occorrerebbe se i circoli fossero cagionati da grandissime percussioni, non è dubbio che ivi creandosi nuovo moto riflesso per la percussione dell'/onda, si cagióni avere nuova impressione in modo, che le prime restano distrutte ; ma se il moto dell'impressione dell'acqua sia DI LEONARDO DA VINCI 83 cinta per il crescere della velocita ; 1 e sebbene non giunga alla teoria di Galileo sulla caduta dei gravi, indica con bastante esattezza che l'acqua cadente acquista in ogni grado di discesa grado di velocità; e percorre ad una ad una tutte le quistioni più spinose di una teoria, che ha eser- citato successivzimente l'ingegno dei più grandi geometri, e ne attende tuttora gli sforzi. Il Trattato di Pittura scritto per l'Accademia Vinciana dimostra quale alto concetto egli si facesse dell'arte, Comincia da fissare norme, le quali debbano essere invariabili come i principj di una scienza; e che non solamente accompagnato dall'impeto ; benché apparisca qualche dimostra- zione di movimento, l'acqua non si parte dal suo sito; perchè l'aperture fatte dalle pietre subito si richiusero, e quel moto fatto dal subito aprire e serrare dell'acqua fa in lei un certo riscotimento che si può piuttosto dimandare tre- more che movimento. E che quello io dico ti si faccia più manifesto, poni mente a quelle festuche che per loro leggerezza stanno sopra l'acqua, e vedrai che per l'onda fatta sotto loro per l'accrescimento dei circoli non si partono però dal loro sito. Essendo adunque questo tale risentimento di acqua piuttosto tremore che movimento, non si possono, per incontrarsi, rompersi l'un l'altro, perchè avendo l'acqua tutte le sue parti di una medesima qualità è necessario che le parti attacchino esso tremore l'un' l'altra, senza mutarsi di luogo : perchè stando l'acqua nel suo sito, facilmente può pigliare esso tremore dalle parti vicine, e porgerlo alle altre vicine, sempre diminuendo per potenza sino al fine. E perchè in tutti i casi del moto dell'acqua è gran conformità coli' aria, io allegherò per esempio l'aria; nella quale, benché le voci che la penetrano si partano con cir- colari movimenti dalle loro cagioni, niente di meno li circoli mossi da diversi principii si penetrano insieme senza alcun movimento, e passano e penetrano l'un l'altro, mantenendo sempre per centro le loro cagioni ». (Loc. cit. , pag. 320). 1 « Per esperimentare la proporzione degl'intervalli del discenso dell'acqua d' eguali ed uniformi pesi, sia. posta in piedi per linea perpendicolare V asse U, e sia con terra mista con cimatura bene interrata ; alla quale sia congiunta ad uso di libro l'asse OP, e si possa serrare subito con due corde .... et nell'estremo di essa asse interrata sia messo il piè d'una cerbottana stoppata da piè, e piena di pallotte di ugual peso e figura; poi ferma bene la cerbottana, e l'asse inter- rata subito lascia andare il contrappeso, e le due asse si serreranno, e le pal- lotte che cadevano tutte si ficcheranno in essa terra, e potrai poi misurare la proporzione della varietà delli loro intervalli : e se vorrai vedere il discenso del- l' acqua, fa far il simile al miglio uscito dal moggio .... Se in tal parte del suo descenso non si assottigliasse per la metà del suo nascimento, e oltre a questo non si facesse il doppio più veloce, seguiterebbe che in due tanti tempi s'empi- rebbe un vaso in tale assottigliamento che non farebbe al suo nascimento, e questo sarebbe impossibile, perchè l'acqua che di sopra si versasse in un'ora, non capiterebbe in tal sito dove essa si assottiglia per metà in ispazio di due ore. Onde sarebbe necessario che tal acqua se ne andasse in fumo ; o veramente si moltiplicasse al continuo in varie torture : e questo in esperienza non si vede. E se tu volessi dire che l'acqua che discende fosse d'uniforme grossezza, a questo si responderebbe che essendo la detta acqua più veloce nel fine che nel principio, verbigrazia diciamo il doppio, due tanti più d'acqua capitasse al 84 COMMENTARIO ALLA VITA possa il pittore dipartirsene senza cadere in errore. 1 Perchè intenda che senza di queste la pratica ed il giudizio dei pittori si componga di con- venzioni e si pasca di chiacchiere e di sogni brutti, falsi e discordi. 2 E per dar ordine a questa pratica, muove francamente la guerra a tuttociò che l'uso ha approvato e che non si vede in natura, alla bassa e servile imi- tazione di ciò che è stato fatto precedentemente con qualche lode,3 e vuole che il pittore impari soltanto dalla natura, e fìssi su quella la ra- gione delle cose imparate. 4 II libro terzo è tutto composto in ordine al Trattato del moto locale e all'anatomia, ai quali lavorava contempora- neamente. Egli descrive come si comportano gli ufficj delle diverse membra e dei muscoli del corpo umano, e come i loro movimenti si eseguiscano secondo le leggi della meccanica ; come debbano disporsi attorno ai centro di gravità, perchè l'azione che il pittore vuole rappresentare mostri ef- fetto. 5 Alla semplicità e alla esattezza delle espressioni si riconosce facil- mente nel pittore lo scienziato, che il primo, dopo Archimede, si occu- fìne del descenso, che quello che di sopra si versa: la qual cosa non può stare in natura. Necessaria cosa è che V acqua che cade con continuo discenso in fra l'aria sia di figura piramidale, ancora che sempre esca da una medesima grossezza di canna. E la ragione si è, che la qualità del descenso non sia di eguale velocità, come si è detto ; imperocché quella che più à caduta più si fa sottile, e quella che non cade, fa 1' opposito. Adunque se tu gittassi pallotte di piombo di eguali spazj, essi non osserverebbero eguali spazj infra loro, anzi an- derebbono diminuendo inverso l'altezza con continua diminuzione ». (Loc. cit., pag. 364, 365). 1 « La scienza non pasce di sogni li suoi investigatori : ma sempre sopra li primi veri e noti principj procede successivamente ». Trattato della Pittura. 2 « Studia prima la scienza, e poi la pratica nata da essa scienza. Che sem- pre dove manca la ragione, suppliscono le grida : la qual cosa non accade nelle cose certe ». 8 « Nessuno dee imitare la maniera di un altro, perchè sarà detto nipote e non figliuolo della natura Vedi le attitudini degli uomini nei loro accidenti, senza che essi si avveggano che li consideri E quelle noterai con brevi segni in un tuo piccolo libretto, e serberai come tuoi autori e maestri ». 4 « Pittore che desideri grandissima pratica, hai da intendere, che se tu non la fai sopra buon fondamento delle cose naturali, farai opera con assai poco onore, e men guadagno ; e se la farai buona, l' opere tue saranno molte e buone, con tuo grande onore e utilità. Quella pittura è più laudabile, la quale ha più conformità con la cosa imitata Questo paragonerò a confusione di quei pit- tori, i quali vogliono racconciare le cose di natura ; la quale usanza è tanto penetrata e stabilita nel lor corrotto giudizio, che fan credere lor medesimi che la natura, o chi imita la natura, faccia grandissimi errori a non fare come essi fanno ». 5 « Ricordo a te, pittore, che nel movimento che tu fingi essere fatto dalle tue figure, che tu scopra quelli muscoli, li quali soli si adoprano nel moto ed azione della tua figura. E quel muscolo, il quale più è adoperato, più si mani- DI LEONARDO DA VINCI 85 pava in meccanica della ricerca del centro di gravita delle figure, ritrovava innanzi al Maurolico e al Commandino il centro di gravità della piramide, conosceva la teoria del piano inclinato e delle forze applicate obliqua- mente alla leva. Se noi avessimo tuttora il trattato sul moto locale e delle percussioni, opera inestimabile, al dir del Paciolo, noi vedremmo che dopo aver cominciato nella scienza dell'equilibrio, dove avevano finito gli anti- chi maestri, forse poneva innanzi al Galileo i fondamenti della dinamica : e se a lui occupato in tanti studj e così varj mancava talora il tempo di ridurre il concetto suo ad una dimostrazione rigorosa, non mancava la mente per discernere quale di ogni fenomeno sia la cagione. Il settimo libro degli alberi e delle verdure è un trattato di fisiologia vegetale tanto perfetto, quanto lo permettevano le cognizioni d'allora.1 Quando egli parla di colori e della prospettiva aerea e della visione, mostra che nissuno meglio di lui ne conosceva la teoria, e indica che formandosi l'imagine di un oggetto in due modi diversi per i due occhi di un osservatore, perchè festi; e quello che è meno adoperato, meno si spedisca; e quello che nulla è adoperato, resti lento e molle, e con poca dimostrazione. E per questo ti per- suadi a intendere l'anatomia dei muscoli, corde ed ossi, senza la quale poco farai per sapere nei diversi movimenti e forze, qual nervo o muscolo è di tal movimento cagione, e solo far quelli evidenti a questi ingrossati, e non gli altri per tutto: come molti fanno, che per parere gran disegnatori fanno i loro nudi legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un sacco di noci più che su- perficie umane, o pure un fascio di ravani piuttosto che muscolosi nudi. Sempre il peso dell' uomo che posa sopra una sola gamba sarà diviso con equal parte op- posta sopra il centro della gravità che sostiene. L' estensione del braccio raccolto muove tutta la ponderazione dell'uomo sopra il suo piede, sostentacolo del tutto come si mostra in quello che con le braccia aperte va sopra la corda senz'altro bastone. — Dell' uomo che porta un peso sopra le sue spalle. — Se tutto il peso dell'uomo e del peso da lui portato non fosse diviso con egual somma sopra il centro della gamba che posa, sarebbe necessità che tutto il composto rovinasse; ma la necessità provvede che tanta parte del peso naturale dell'uomo si getta su un dei lati, quanta è la quantità del peso accidentale che si aggiunge dal- l' opposto lato ». 1 t Sulle osservazioni botaniche fatte da Leonardo si possono leggere alcuni capitoli del suo Trattato della Pittura. È da vedere a questo proposito un ar- ticolo del signor Gustavo Uzielli inserito nel Nuovo Giornale Botanico, num. 1, marzo 1869, stampato in Firenze. In questo articolo si vuol dimostrare che Leo- nardo fu il primo che abbia indicato in modo preciso le varie leggi della Fillo- tassi', che a lui parimente si deve l'osservazione circa al modo di riconoscere l'età d'un albero dal numero de' cerchi concentrici del suo fusto e la posizione sua dalla eccentricità di essi cerchi, e come annualmente si accresca la scorza dell'albero. Nel già citato Saggio delle opere di Lionardo è da leggere un bello e dotto scritto del prof. Gilberto Govi, nel quale coll'ajuto in gran parte de' di- segni del codice Atlantico, si fa rilevare quel che Lionardo ha ricercato e scritto più specialmente sopra alcuni problemi di fisica e di meccanica. 86 COMMENTARIO ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI il quadro mostrasse lo stesso rilievo del vero bisognerebbe che le due immagini si soprapponessero. Non ha guari la esperienza ha confermato le asserzioni di Leonardo; e questo e un nuovo elogio dovuto a colui che innanzi al Porta ha descritta la camera ottica. Poiché tutti conoscono il Trattato della pittura, e ad ogni modo sarebbe impossibile analizzarlo, ba- sterà accennare che egli dalle regole generali, nelle quali compendia intero il suo concetto , ai minuti particolari che va ricercando con una forza di analisi da non aver paragone alcuno, mostra tanta superiorità d'idee e tanta potenza d'intelletto, da non sperare che mai non sia chi l'agguagli nel sentimento dell'arte. 11 Libri e il Venturi, che hanno potuto esaminare gran parte dei ma- noscritti di Leonardo, hanno reso nei loro eccellenti scritti il più esatto conto delle opere sue. Noi non possiamo che rammentare le sue ricerche sulla chimica, sull'ottica, sulla meteorologia, sulla geologia, nelle quali mostra sempre lo stesso acume di osservazione , e si accosta sì spesso alla scoperta del vero. Non ostante, più temuto, per quelle che dicevansi le sue arti segrete, che riverito per la sua scienza, morì negletto in terra straniera; i suoi ricordi furono dimenticati, il frutto dei suoi studj rimase lungo tempo ravvolto nell'oscurità, nessuno dei suoi trattati fu pubblicato lui vivente, e il tesoro della scienza portata a così alto grado di perfezione cadde dalle sue mani senza trovare chi allora lo raccogliesse. 87 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI 1452. Nasce Leonardo in Vinci. 1472. E scritto nel Libro Rosso de' debitori e creditori della Compagnia de1 Pittori di Firenze. 1476. Stava tuttavia nella bottega del Verrocchio. 1478, 1 gennajo. Gli è allogata a dipingere la tavola per l'altare della cappella della Signoria. 1478, 16 marzo. Riceve in acconto per la detta pittura 25 fiorini d'oro. 1480, marzo. I frati di San Donato a Scopeto gli danno a fare la pala o ancona dell'aitar maggiore della loro chiesa. 1483. Sino a questo anno incirca, Leonardo dimora in patria, occupato nella pittura. La Rotella, la Medusa, il Nettuno per Antonio Segni, il cartone d'Adamo e d'Eva, furono fatti in quel tempo. 1483. (?) Leonardo va in cerca di ventura presso Lodovico Sforza detto il Moro reggente del ducato di Milano. 1483-1489, e così nei primi anni del suo soggiorno in Milano. Fa il ri- tratto di Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli, amate da Lodo- vico il Moro. 1 1 La Gallerani fu maritata al conte Lodovico Pergamino. Nel secolo passato questo ritratto vedevasi ancora in Milano presso i marchesi Bonesana. ■ — L'Amo- retti vide in. Milano, presso un mercante di vino, una tavola con Nostra Donna ^ il putto sedente in atto di benedire una rosa. Vi si leggeva il nome di Cecilia, in due versi riuniti, così:. Per Cecilia qual te orna lauda e adora El tuo unico figliolo o beata Virgene et ora. Leonardo dopo ritrasse la Cecilia anche un' altra volta, ed era posseduta dai Pallavicini di San Calocero. (Amoretti, Mem. storie, di Leonardo da Vinci, ecc., pag. 38, 39, 80, 165). 88 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA 1487. Fa un modello per la cupola del Duomo di Milano. 1489. (?) Costruisce un congegno di carrucole e di corde, per traspor- tare in più venerabile e sicuro luogo, cioè nell'ultima arcata della nave di mezzo del Duomo di Milano, la sacra reliquia del santo Chiodo. 1489. Dirige gli spettacoli dati per le nozze del duca Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona. 1490. Fa l'apparecchio degli spettacoli per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d' Este. 1490. 23 aprile. Comincia il libro Della luce e delle ombre, e ricomincia il modello del cavallo, ossia la statua equestre di Francesco I Sforza. 1491. Ordina la festa della giostra di Galeazzo Sanseverino. 1492. Fa degli stuclj per render navigabile il canale della Martesana da Trezzo a Milano. 1492. È occupato a dirigere gli ornati e a dipingere egli stesso le sale- delia ròcca dove Lodovico il Moro abitava. 1492. Fa il bagno per la duchessa Beatrice nel parco del castello. 1492. Quadro con Nostra Donna, il Putto, san Giovanni e san Michele, che ammirasi in casa Sanvitale a Parma, dove è scritto: Lionardo Vinci fece. 1492. 1493. Attende al modello della statua equestre di Francesco I Sforza. ! 1494. Immagina un'allegoria per il duca Lodovico. 1495. Fa i ritratti di Lodovico il Moro, della moglie e de' figliuoli nel Calvario dipinto in fresco dal Montorfano nel refettorio del convento delle Grazie a Milano. 1496. Fa le figure, in numero di sessanta, nel Trattato De divina propor- tione di Fra Luca Paciolo, che fu poi pubblicato nel 1509. 1496. (?) Tavola con la Natività eli Nostra Donna, mandata dal Duca di Milano in dono all' Imperatore. 1496. Dipinge il. Cenacolo nel refettorio delle Grazie a Milano. 1498. Era sempre nel numera degli uomini virtuosi che frequentavano la corte di Lodovico il Moro. 2 1499. Riceve in dono dal duca Lodovico sedici pertiche d'una vigna, re- centemente comperata dal monastero di San Vittore presso porta Vercellina. 1 II modello fu finito, ed esposto sotto un arco di trionfo nella piazza di Castello, nelle nozze di Bianca Maria Sforza (nipote di Lodovico il Moro) col- T Imperatore Massimiliano. (Ibid., pag. 49). 2 Compiuta la pittura del Cenacolo, si dette a comporre l'opera del moto locale, delle percussioni e de' pesi, avendo già con tutta diligenza al degno libro della pittura e de' movimenti umani posto fine. Cosi Luca Paciolo. (Ibid., pag. 84)., E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI 80 1499-1500. Parte con Luca Paciolo alla volta di Firenze. 1500. (?) La forma della statua equestre di Francesco I Sforza, intorno alla quale Leonardo avea consumato sedici anni continui , è rovinata, fatta bersaglio a' balestrieri guasconi, quando i Francesi entrarono in Milano. 1500. Va a Venezia. 1500. (?) Tornato a Firenze, fa i ritratti di Madonna Lisa del Giocondo, e di Amerigo Benci. Studia il modo di render navigabile l'Arno da Firenze a Pisa. 1501. Dipinge per il segretario Robertet una tavoletta con la Madonna. 1501, 29 luglio. Lionardo con strumento dove è detto pittore e scultore, fatto in Firenze, dichiara d'aver ricevuto da Pietro di messer Gio- vanni de Orerò, milanese, il canone d'un anno del fitto d'un pezzo di terra posto presso Porta Vercellina di Milano. 1502. Dal Duca Valentino ha la patente di suo architetto e ingegnere generale in Romagna. Ì502, 30 luglio. Era a Urbino, ove disegnò una colombaja, una scala a varie entrate, e la fortezza. 1502, 1 agosto. È a Pesaro. 1502, 8 agosto. A Rimini. 1502, 11 agosto. A Cesena. 1502, 6 settembre* Al Cesenatico, e disegnane il porto. Dall'Emilia torna in patria; poi viaggia nella parte meridionale della Toscana. 1503, 25 gennajo. È tra gli artefici chiamati a dire il loro parere sul luogo più conveniente dove porre il David di Michelangelo. 1503, 23 luglio. Si trova nel campo sotto Pisa, per consultare sul disegno di un'opera da farsi per volgere il corso dell'Arno. 1503-1504. Si trova scritto a fog." 93 tergo del Libro Rosso de' creditori e debitori della Compagnia de' Pittori, sopra citato. 1503-1505. Cartone della battaglia d' Anghiari e cominciamento della pit- tura nella Sala del Consiglio. 1504, 9 luglio. Muore ser Piero da Vinci suo padre. 1505. È sempre in Firenze. 1506. In compagnia d' altri architetti dà il suo parere sopra la chiesa di San Salvadore che minacciava rovina e sopra il modo di rifare il campanile di San Miniato al Monte. 1506, 30 maggio. Lionardo, egregio pittore e cittadino fiorentino promette da quel giorno a tre mesi prossimi futuri si sarebbe presentato per- sonalmente in Firenze dinanzi de' Magnifici Priori, alla pena, man- cando, di 150 fiorini d'oro in oro. 1507. Muore Francesco suo zio. Torna a Firenze. Due quadri con Nostra Donna, cominciati a Firenze, e condotti ad assai buon punto. 90 PROSP. CRONOL. ecc. DI L. DA VINCI 1507, 27 aprile. Lo Cliaumont ordina che sia restituita a Leonardo la vigna donatagli da Lodovico il Moro. 1507, 15 agosto. Lettera dello Cliaumont alla Signoria di Firenze in rac- comandazione di Lionardo partito per Firenze, perchè voglia solle- citare la spedizione della sua causa contro i fratelli. 1507, 18 settembre. Lionardo scrive da Firenze al cardinale Ippolito d'Este per questa medesima cagione. 1507. ottobre. Era tornato a Milano. Suoi lavori idraulici. 1508. Scrive un capitolo intitolato : Del canale della Martesana. 1509. Compie lo scaricatelo del naviglio di San Cristofano di Milano. 1509. Ha in dono dal re di Francia dodici once d'acqua da astrarsi dal naviglio grande ih vicinanza di San Cristoforo. 1509. Probabilmente fa l'apparato per l'ingresso trionfale in Milano di Luigi XII. Forse in quest' anno stesso fa il ritratto di Giangiacomo Trivulzio, cit. dal Lomazzo: Trattato della pittura, lib. VII, cap. xxv. 1510. 21 ottobre. Interviene con varj architetti ad un consiglio per esa- minare i miglioramenti che si potessero fare nella fabbrica della cupola del Duomo di Milano. 1511. È in Firenze a cagion della lite co' suoi fratelli, per la eredità di Francesco suo zio. 1512. Torna a Milano. 1513. Nell'ottobre trovasi di nuovo in Firenze. 1514. 24 settembre. Parte da Milano per Roma con Giovanni (Beltraffio?), Francesco Melzi, Lorenzo (del Faina?) e il Fanfoja. 1514. Va a Roma con Giuliano de' Medici ad assistere alla incoronazione di Leone X. Dipinge ivi due quadretti per Baldassarre Turini da Pescia , datario di Leone X. Uno di questi si dice nella Galleria di Dusseldorf. 1514. È a Parma. 1514, di dicembre. Nuovamente è a Firenze. 1515. A quest'anno riferisce l'Amoretti la figura del leone fatto in Pavia da Leonardo, che camminò per la sala, fermossi dinanzi a Fran- cesco I eli Francia, e apertosi il petto lo mostrò tutto pieno di gigli. 1515, di dicembre. Si trova a Bologna nell'occasione del concordato fatto in quella città tra Francesco I e Leone X. 1515. Ivi disegna il ritratto di Artus maestro di camera del re. 1516, sul finire del gennajo. Va in Francia con Francesco I, in qualità di pittore del re, con lo stipendio di 700 scudi all'anno. 1518, 22 aprile. Fa testamento a Cloux presso Amboise. 1519, 2 maggio. Muore. 91 GIORGIONE DA CASTELFRANCO PITTOR VINIZIANO ( Nato nel 1478 ; morto nel 1511 ) Ne1 medesimi tempi 1 che Fiorenza acquistava tanta fama per l'opere di Lionardo, arrecò non piccolo orna- mento a Vinezia la virtù ed eccellenza d'un suo cittadino, il quale di gran lunga passò i Bellini da loro tenuti in tanto pregio, e qualunque altro fino a quel tempo avesse in quella città dipinto. Questi fu Giorgio, che in Castel- 1 « Quegli che con le fatiche cercano la virtù, ritrovata che l'hanno, la « stimano come vero tesoro, et ne diventano amici, ne si partono giammai da « essa. Conciosiachè non è nulla il cercare delle cose : ma la difficultà è poi che « le persone l'hanno trovate, il saperle conservare ed accrescere. Perchè ne' no- « stri artefici si sono molte volte veduti sforzi maravigliosi di natura, nel dar « saggio di loro, i quali per la lode montati poi in superbia, non solo non « conservano quella prima virtù, che hanno mostrato et con difficultà messo in « opera, ma mettono oltra il primo capitale in bando la massa de gli studj nel- « l'arte da principio da lor cominciati; dove non manco sono additati per di- « menticati, che si fossero da prima per stravaganti et rari, et dotati di bello « ingegno. Ma non già così fece il nostro Giorgione, il quale imparando senza « maniera moderna cercò, nello stare co'Bellini in Venezia, et da sè, di imitare « sempre la natura il più che e' poteva; nè mai per lode che ne acquistasse, in- « termisse lo studio suo; anzi quanto più era giudicato eccellente da altri, « tanto pareva a lui saper meno, quando a paragone delle cose vive considerava « le sue pitture, le quali per non essere in loro la vivezza dello spirito, repu- « tava quasi non nulla. Per il che tanta forza ebbe in lui questo timore, che la- « vorando in Vinegia fece maravigliare non solo quegli che nel suo tempo fu- « rono, ma quegli ancora che vennero dopo lui. Ma perchè meglio si sappia « l'origine et il progresso d'un maestro tanto eccellente, cominciando da' suoi « principii, dico ecc. ». Così leggesi nella prima edizione. 02. (ilORGIONE DA CASTELFRANCO franco in sul Trevisano nacque Tanno 1 478 1 essendo doge Giovan Mozenigo, fratel del doge Piero; dalle fattezze della persona e dalla grandezza dell'animo chiamato poi col tempo Giorgione; il quale, quantunque egli fusse nato d'umilissima stirpe, non fu però se non gentile e di buoni costumi in tutta sua vita. Fu allevato in Vinegia, e di- lettassi contino vamente delle cose d'amore, e piacqueli il suono del liuto mirabilmente e tanto, che egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente, che egli era spesso per quello adoperato a diverse musiche e ragunate di persone nobili. Attese al disegno, e lo gustò grande- mente, e in quello la natura lo favorì sì forte, che egli innamoratosi delle cose belle di lei non voleva mettere in opera cosa che egli dal vivo non ritraesse. E tanto le fu suggetto e tanto andò imitandola, che non solo egli acqui- stò nome d'aver passato Gentile e Giovanni Bellini, ma di competere con coloro che lavoravano in Toscana, ed erano autori della maniera moderna. Aveva veduto Gior- gione alcune cose di mano di Lionardo molto fumeggiate e cacciate, come si è detto, terribilmente di scuro: e que- sta maniera gli piacque tanto, che, mentre visse, sempre andò dietro a quella, e nel colorito a olio la imitò gran- demente. Costui gustando il buono dell'operare, andava scegliendo di mettere in opera sempre del più bello e del più vario che e' trovava. Diedegli la natura tanto benigno spirito, che egli nel colorito a olio ed a fresco fece alcune vivezze ed altre cose morbide ed unite e sfu- mate talmente negli scuri, che fu cagione che molti di quegli che erano allora eccellenti, confessassimo lui esser 1 "Nella prima edizione il Vasari aveva scritto 1477. Il suo cognome fu Barbarella Vedelago, altro villaggio della provincia trevigiana, contrasta a Ca- stelfranco T onore di aver dato i natali a Giorgione. 1 Si dice che Giorgione fosse figliuolo naturale di Jacopo Barbarella, fa- miglia assai onorata di Castelfranco, quivi venuta ad abitare da Venezia, e che nascesse da una giovane contadina di Vedelago. Noi diamo de' Barbarella l'al- bero e lo stemma, giovandoci di quello pubblicato nel Giornale Araldico (set- tembre 1878) dall' ab. Camavitto {La famiglia di Giorgione da Castelfranco). GIORGIONE DA CASTELFRANCO 93 nato per metter lo spirito nelle figure, e per contraffar la freschezza della carne viva più che nessuno che dipi- gnesse non solo in Venezia, ma per tutto.1 Lavorò in Venezia nel suo principio molti quadri di Nostre Donne ed altri ritratti di naturale, che sono e vivissimi e belìi, come se ne vede ancora tre bellissime teste a olio di sua mano nello studio del reverendissimo Grimani patriarca d'Aquileia, una fatta per Davit (e, per quel che si dice, è il suo ritratto), con una zazzera, come si costumava in que1 tempi, infino alle spalle, vivace e colorita che par di carne : ha un braccio ed il petto ar- 1 *Mal si appone il Vasari se crede che Giorgione apprendesse la sua ma- niera di colorire da Leonardo. Essa è affatto diversa dalla leonardesca, e si è for- mata, com'è ben chiaro, su quella di Griambellino. Leonardo perfezionò il si- stema delle velature, mentre Giorgione, sbozzando prima con colori bigi o scuri, indicava il modellato e il chiaroscuro, e cercava quindi di far risaltare le tinte locali, e di ottenere la soave gradazione e l'armonia del colorito, per mezzodì toni carnosi, forti nelle parti di luce, sottili e trasparenti nelle ombre, ma sempre condotti con finezza e delicatezza di pennello. Sennonché con questa maniera egli diede, d'ordinario, a' suoi dipinti una tinta troppo scura; onde è che la bellezza del suo colorito consiste più nella maravigliosa finezza delle singole tinte, che nella verità convincente e materiale dell'insieme. Questa verità mate- riale, l'arte di contraffare la carne viva, come dice il Vasari, e di farla spiccar dal quadro quasi di rilievo, come una sostanza morbida e lucente, fu ottenuta da Giorgione in particolar modo con un colorire largo e pastoso, semplice ed armonioso ne' tuoni, che colpisce non tanto per mezzo delle ombre, quanto dei toni stessi de' colori e degli arditi contrasti di chiaroscuro. Con Giorgione inco- mincia la vera arte veneziana del colorito, l' arte cioè di dar vita persino al co- lore, e di modellarlo col semplice muover del pennello, d'indicare i piani, e di far risaltare da quel leggero e largo pennelleggiare il sentimento della forma. Dopo lui, vanno a mano a mano scomparendo i fondi lisci, ed al legno succede una tela fitta e talvolta a spina, che rende più facile il modellare del pennello e il passaggio de' toni chiari; i colori son dati più francamente, con più larghezza e materiale evidenza; indi ricoperti di una velatura generale, ond'essi riflettono la luce anziché, come accade nei- dipinti di Leonardo, l'assorbiscano. Questa maniera di colorito fu condotta alla sua perfezione da Tiziano. Il Tintoretto in- vece la corruppe, avendo messo in opera non fondi chiari, ma scuri, de' quali usava per le mezze tinte. Quest'ultima pratica, favorevole assai alla bravura ed alla speditezza, seguitarono molti Italiani e Olandesi; ma essa ebbe per conse- guenza un tale oscurarsi ne' quadri, che molti ne rimasero guasti interamente. IlRidolfi, a pag. 89, fa osservare giustamente, che Giorgione si servì di poche tinte e semplici, come Apelle ed Echione, che parimente dipingevano con soli quattro colori. Il De Piles osserva, che la cognizione dei contrasti é il carattere principale della sua pittura. 94 (ilORGIONE DA CASTELFRANCO mato, col quale tiene la testa mozza di Golia.1 L'altra è una testona maggiore, ritratta di naturale, che tiene in mano una berretta rossa da comandatore, con un ba- vero di pelle, e sotto uno di que1 saioni all'antica: que- sto si pensa che russe fatto per un generale di eserciti. La terza e d'un putto, bella quanto si può fare, con certi capelli a uso di velli, che fan conoscere l'eccellenza di Giorgione, e non meno l'affezione del grandissimo Pa- triarca eh' egli ha portato sempre alla virtù sua, tenen- dole carissime, e meritamente. 2 In Fiorenza è di man sua in casa de' figliuoli di Giovan Borgherini il ritratto d'esso Giovanni, quando era gio- vane in Venezia, e nel medesimo quadro il maestro che lo guidava; che non si può veder in due teste ne miglior macchie di color di carne ne più bella tinta di ombre.3 In casa Anton de' Nobili è un' altra testa d' un capitano armato, molto vivace e pronta, il qua] dicano essere un de' capitani che Gonsalvo Ferrante menò seco a Venezia, quando visitò il doge Agostino Barberigo ; 4 nel qual tempo 1 Un quadro di Giorgione con questo soggetto trovasi nell' Imp. Galleria di Belvedere a Vienna. t È nella seconda camera del primo piano segnato del numero 20. Vuoisi una copia posteriore del quadro qui ricordato dal Vasari. ( V. Crowe e Caval- caseli^, Hist&ry of Painting in North Itali/, II, 165). 2 *E)i questi due ritratti non sapremmo dar contezza veruna. Uno dei mi- gliori dipinti che Giorgione fece in Venezia, è la storia della burrasca sedata per miracolo dei santi Marco, Niccolò e Giorgio. Era un tempo nella Scuola di San Marco, ora si conserva nella Pinacoteca di Venezia. Il Vasari omise di de- scriverla qui , perchè la credette opera di Jacopo Palma, nella Vita del quale ne parla con grandi elogi. Il gruppo de' quattro remigatori si crede rifatto da Paris Bordone. Un intaglio di questo quadro ci dà lo Zanotto, Pinacoteca Veneta il- lustrata ecc. 3 *Non sapremmo assicurare se questo dipinto possa essere quello in tela che si conserva nella Pinacoteca di Berlino. — t Rappresenta due uomini di mezza età, vestiti di nero, e seduti gravemente presso un tavolino; l'uno volto di faccia allo spettatore, è in atto di ascoltare l'altro di profilo che legge una lettera. Questo quadro dai critici moderni non è messo in dubbio che non sia veramente di Giorgione. (V. Crowe e Cavalcaseli^, op. cit. , II, 154). 4 * Nella Galleria di Belvedere a Vienna si conserva una mezza figura grande al naturale di un guerriero armato, con una corona d' ellera in capo e un'ala- barda nella mano sinistra. È questi forse il gran Consalvo? GIORGIONE DA CASTELFRANCO 95 si dice che ritrasse il gran Consalvo armato, che fu cosa rarissima, e non si poteva vedere pittura più bella che quella, e che esso Consalvo se ne la portò seco. Fece Giorgione molti altri ritratti, che sono sparsi in molti luoghi per Italia, bellissimi, come ne può far fede quello di Lionardo Loredano fatto da Giorgione quando era doge, da me visto in mostra per un'Assensa,1 che mi parve veder vivo quel serenissimo principe; oltra che ne è uno in Faenza in casa Giovanni da Castel Bolognese ' intagliatore di carnei e cristalli eccellente,2 che è fatto per il suocero suo:3 lavoro veramente divino, perchè vi è una unione sfumata ne1 colori, che pare di rilievo più che dipinto. Dilettossi. molto del dipignere in fresco, e fra molte cose che fece, egli condusse tutta una facciata di Cà Soranzo in su la piazza di San Polo, nella quale, oltra molti quadri e storie ed altre sue fantasie, si vede un quadro lavorato a olio in su la calcina; cosa che ha retto all'acqua, al sole ed al vento, e conservatasi fino a oggi. Ècci ancora una Primavera, che a me pare delle belle cose che e'dipignesse in fresco, ed è gran peccato che il tempo r abbia consumata sì crudelmente. Ed io per me non trovo cosa che nuoca più al lavoro in fresco che gli scirocchi, e massimamente vicino alla marina, dove por- tono sempre salsedine con esso loro. Seguì in Venezia Tanno 1504 al ponte del Eialto un fuoco terribilissimo nel Fondaco de' Tedeschi, il quale lo consumò tutto con le mercanzie , e con grandissimo danno de' mercatanti : dove la signoria di Venezia ordinò di ri- farlo di nuovo , e con maggior commodità di abituri e di 1 Così chiamano a Venezia la festa dell'Ascensione. 2 'Questi è Giovanni Bernardi, del quale il Vasari torna a parlare più lun- gamente in questa stessa Terza Parte delle Vite. 3 t Costui era Antonio Mondini da Faenza, padre della Girolama, seconda moglie del Bernardi. (V. Gian Marcello Valgimigdi, Dei pittori e degli arti- sti faentini de' secoli XV, XVI; Faenza, Conti, 1874, a p. 147). 90 G IORGIONE DÀ CASTELFRANCO magnificenza e d'ornamento e bellezza fu speditamente finito; 1 dove essendo cresciuto la fama di Giorgione, fu consultato ed ordinato da chi ne aveva la cura, che Gior- gione lo dipignesse in fresco di colori, secondo la sua fantasia, purché e1 mostrasse la virtù sua e che e' facesse un'opera eccellente, essendo ella nel più bel luogo e nella maggior vista di quella citta.2 Per il che messovi mano Giorgione, non pensò se non a farvi figure a sua fantasia per mostrar l'arte; che nel vero non si ritrova storie che abbino ordine o che rappresentino i fatti di nessuna persona segnalata o antica o moderna; ed io per me non l'ho mai intese, ne anche, per dimanda che si sia fatta, ho trovato chi V intenda; perchè dove è una donna, dove e un uomo in varie attitudini; chi ha una testa di lione appresso, altra con un angelo a guisa di Cupido; ne si giudica quel che si sia. V è bene sopra ]a porta principale che riesce in Merzerìa una femina a se- 4 t Questo incendio accadde il 28 gennajo 1505. Fu decretato dalla Repubblica che il Fondaco fosse ricostruito, e a questo effetto fu aperto un concorso pel disegno della nuova fabbrica, al quale si presentarono Giorgio Spavento vene- ziano, e Girolamo tedesco. Per qualche tempo si disputò chi de' due concorrenti sarebbe stato scelto, ma finalmente fu risoluto nel 19 giugno di quell'anno dal Senato e dai Pregadi di approvare la pianta di Girolamo. Al quale nondimeno dopo due giorni fu sostituito Antonio Scarpagnino architetto veneziano. Vogliono alcuni che la nuova fabbrica fosse innalzata secondo il modello di Fra Giocondo veronese, e si appoggiano alla testimonianza d'un poemetto di Pietro Contarini in lode di Andrea Gritti, nel quale favellando del Fondaco de' Tedeschi dice: Teulonicum mirare Forum spectabile fama Nuper Jocundi nobile Fratris opus. Ma il Selvatico (Sull'architettura e sulla Scultura veneziana) trova molta diffe- renza di stile tra il Fondaco de' Tedeschi, il castello di Gaillon in Normandia e il Palazzo del Consiglio di Verona, architettati, come si crede, da Fra Gio- condo. 2 +La facciata dalla parte del canale fu data a dipingere a Giorgione, l'altra che guarda il ponte, a Tiziano, che superò Giorgione. Queste pitture nel 1508 erano terminate, come risulta da un lodo degli 14 dicembre dell'anno suddetto, da noi cit. a pag. 642, nota 3, del tom. Ili, e pubblicato dal Gay e, Carteggio ecc., II, 137, e dal Gualandi, Memorie di Belle Arti , Serie III, pag. 90. Giorgione si contentò del prezzo di ducati 130, sebbene gli uomini deputati a stimarle giudi- cassero valere ducati 150. GIORGIONE DA CASTELFRANCO 97 clere, c'ha sotto una testa d'un gigante morta, quasi in forma d'una Iuditta,1 ch'alza la testa con la spada, e parla con un Todesco quale è a basso ; ne ho potuto in- terpretare per quel che se l' abbi fatta, se già non l' avesse voluta fare per una Germania. Insomma e' si vede ben le figure sue esser molto insieme, e che andò sempre acquistando nel meglio ; e vi sono teste e pezzi di figure molto ben fatte e colorite vivacissimamente; ed attese in tutto quello che egli vi fece che traesse al segno delle cose vive, e non a imitazione nessuna della maniera: la quale opera è celebrata in Venezia e famosa non meno per quello che e' vi fece, che per il commodo delle mer- €anzie ed utilità del pubblico. 2 Lavorò un quadro d' un Cristo che porta la croce ed un Giudeo lo tira, il quale col tempo fu posto nella chiesa -di San Rocco, ed oggi, per la devozione che vi hanno molti, fa miracoli, come si vede.3 Lavorò in diversi luoghi come a Castelfranco e nel Trivisano,4 e fece molti ritratti a varj principi italiani; e fuor d'Italia furono mandate 1 La Giuditta, o altra femmina che ella sia, non è di Gibrgione, ma di Ti- ziano; e sotto nome di lui si trova intagliata dal Piccini nel 1658. ( BoTTAPa ). 2 Per P accennata cagione degli scirocchi e dell' aria salmastra sono quasi affatto perite queste pitture. Nel 1760 ne pubblicò alcuni saggi lo Zanetti nella raccolta di 24 stampe di Varie pitture a fresco de' principali maestri vene- ziani ecc. 8 * Questo quadro è tuttavia nell'Arciconfraternita di San Rocco ; ma da tutti è assegnato a Tiziano, avendolo asserito per il primo il Ridolfi, nella Vita del Vecellio. Ma Venezia possiede di Giorgione un quadro da tutti tenuto senza ■ dubbio del suo pennello; ed è quel bellissimo colla Madonna, sant' Omobono, santa Barbara, e un ritratto in profilo, mezze figure, che è nella Scuola de' Sartori. t Pare che il Vasari non fosse gosì ben risoluto circa all'autore di questo ■dipinto, perchè nella Vita di Tiziano lo attribuisce a lui. I moderni critici, seb- bene restino un po' incerti nel lor giudizio, per essere quel dipinto assai guasto dal tempo e dai restauri, nondimeno vi riconoscono in quel poco che rimane gì' indizi d' una maniera non punto inferiore a quella di Giorgione. (V. Crowb e ■Cavalcaseli^, .Tiziano , la sua vita e i suoi tempi: Firenze, Successori Le Mon- nier, 1877, voi. I, p. 50). 4 *Per i dipinti di Giorgione in Trevigi si consulti il Federici, Memorie Trevigiane, II, 2, 3. t Tra le sue pitture in Trevigi è celebre nel Monte di Pietà Cristo messo nel sepolcro dagli angeli. Vasari, Opere. — Voi. IV. 7 98 GIORGIONE DA CASTELFRANCO molte dell1 opere sue come cose degne veramente, per far testimonio che se la Toscana soprabbondava di ar- tefici in ogni tempo, la parte ancora c^i là vicino a1 monti non era abbandonata e dimenticata sempre dal cielo. Dicesi che Giorgione ragionando con alcuni scultori nel tempo che Andrea Verrocchio faceva il cavallo di bronzo/ che volevano, perchè la scultura mostrava in una figura sola diverse positure e vedute girandogli at- torno, che per questo avanzasse la pittura, che non mo- strava in una figura se non una parte sola; Giorgione, che era d1 oppinione che in una storia di pittura si mo- strasse, senza avere a caulinare attorno, ma in una sola occhiata tutte le sorti delle vedute che può fare in più gesti un uomo, cosa che la scultura non può fare se? non mutando il sito e la veduta, tal che non sono una, ma più vedute; propose di più, che da una figura sola di pittura voleva mostrare il dinanzi ed il dietro e i due profili dai lati ; cosa che e1 fece mettere loro il cervello a partito; e la fece in questo modo. Dipinse uno ignudo che voltava le spalle ed aveva in terra una fonte d'acqua limpidissima, nella quale fece dentro per riverberazione la parte dinanzi : da un de' lati era un corsaletto brunito che s' era spogliato, nel quale era il profilo manco, perchè nel lucido di quell'arme si scorgeva ogni cosa; dall'altra parte era uno specchio che drento vi era l' altro lato di quello ignudo; cosa di bellissimo ghiribizzo e capriccio, volendo mostrare in effetto che la pittura conduce con più virtù e fatica, e mostra in una vista sola del natu- rale più che non fa la scultura: la qual' opera fu som- mamente lodata e ammirata per ingegnosa e bella. Ei- 1 *Cioè la statua equestre del capitano Bartolorameo Colleone, posta sulla piazza di San Giovanni e Paolo a Venezia. Questo ragionamento non poteva tenersi da Giorgione, quando il Verrocchio faceva il cavallo di bronzo, perchè se l'artefice veneziano è nato nel 1478, al tempo di quel lavoro egli era fanciullo di dieci anni. (Ved. a pag. 367, nota 2, tom. III). GIORGIONE DA CASTELFRANCO 99 trasse ancora di naturale Caterina regina di Cipro, qual viddi io già nelle mani del clarissimo messer Giovan Cornaro.1 E nel nostro libro una testa colorita a olio, ritratta da un Tedesco di casa Fucheri, che allora era de1 maggiori mercanti nel fondaco de' Tedeschi ; 2 la quale è cosa mirabile; insieme con altri schizzi e disegni di penna fatti da lui. Mentre Giorgioii e attendeva ad onorare e se e la patria sua, nel molto conversar che e' faceva per trattenere con la musica molti suoi amici, s' innamorò d'una madonna, e molto goderono V uno e l' altra de' loro amori. Avvenne che Tanno 1511 ella infettò di peste; non ne sapendo però altro e praticandovi Giorgione al solito, se li appiccò la peste di maniera, che in breve tempo nella età sua di trentaquattro anni se ne passò all'altra vita,3 noi) senza dolore infinito di molti suoi amici che lo amavano per le sue virtù, e danno del mondo che perse. Pure tollerarono il danno e la perdita con lo esser restati loro due eccellenti suoi creati: Sebastiano Viniziano, che fu poi frate del Piombo a Soma, e Tiziano da Cadore,4 che 1 *Non si sa qual fortuna abbia avuto questo ritratto. 2 * Intorno a questa famiglia dei Fuccheri (Fugger) è detto da noi qualche cosa a pag. 645, nota 1, tom. III. Il Ridolfi, tra le opere di Giorgione, descrive il ritratto «d'un tedesco di casa Fuchera, con pelliccia di volpe in dosso, in « fianco in atto di girarsi. Questo ritratto, insieme con una mezza figura di Un « ignudo pensoso, con panno verde sopra a' ginocchi, e corsaletto accanto dove « egli traspare, erano nelle case de' signori Giovanni e Jacopo Van Voer in « Anversa ». Della figura dell'ignudo non abbiamo notizia; ma quanto al ritratto del Fuccher, possiamo assicurare che esso oggi si trova nella R. Pinacoteca di Monaco, ed è quella mezza figura in tavola, volta sul sinistro fianco in atto di girarsi, con lunghi capelli, una pelle in dosso, e nella sinistra mano un pajo di guanti. Nel catalogo di essa Pinacoteca è detto il ritratto di Giorgione. Se ne ha una stampa litografica nel voi. II della Galleria suddetta pubblicata in tedesco. 8 Secondo il Ridolfi, egli morì d'afflizione, perchè un suo scolaro, Pietro Luzzo da Feltre, detto Zarato o Zarotto, gli sedusse la donna da lui amata. — *I1 Lanzi afferma, che questo Luzzo sia la stessa persona di Morto da Feltro, del quale il Vasari scrive la Vita più sotto. — t Ma il racconto del Ridolfi ha meno autorità di quello del Vasari, ed è perciò meno credibile. I resti mortali di Giorgione furono riposti nel 1638 nella chiesa di San Liberale di Castelfranco. 4 * Tiziano non fu creato di Giorgione, ma sì bene condiscepolo presso Gio- vanni Bellini, quindi seguace ed emulo formidabile nel nuovo stile. Molti^disce- 100 GIORGIONE DA CASTELFRANCO non solo lo paragonò, ma lo ha superato grandemente: 1 de1 quali a suo luogo si dira pienamente V onore e Y utile che hanno fatto a questa arte. poli e imitatori di Giorgione noverano gli scrittori: quelli che il Vasari nomina come suoi allievi sono : Giovanni da Udine e Francesco Torbido da Verona, detto il Moro; tra gli imitatori pone Lorenzo Lotto e il Pordenone. 1 Dopo queste parole, nella prima edizione si trovano aggiunte le seguenti relative a Tiziano medesimo : « Come ne fanno fede le rarissime pitture sue, « et il numero infinito de' bellissimi suoi ritratti di naturale, non solo di tutti « i principi cristiani, ma de1 più belli ingegni che sieno stati ne' tempi nostri. «. Costui dà vivendo vita alle figure che e' fa vive, come darà et vivo et morto « fama et alla sua Venezia, et alla nostra terza maniera. Ma perchè e' vive et « si veggono l'opere sue, non accade qui ragionarne ». Peraltro nella seconda edizione scrisse pure la Vita di Tiziano, benché fosse vivo tuttavia. i Tra le opere di Giorgione non ricordate dal Vasari, ma dal consenso de' più intendenti ascritte a lui, registreremo nella chiesa di San Liberale in Castelfranco la tavola con la Vergine e il Putto fra mezzo a san Francesco e san Liberale, già nella cappella di Tuzio Costanzo, le cui pareti furono egual- mente dipinte da Giorgione. Nella Galleria Nazionale di Londra è una tavoletta con un cavaliere armato e col capo scoperto, che si vuole sia lo studio della figura di san Liberale dipinta nel quadro di Castelfranco. Si attribuiscono a lui alcuni avanzi di pitture in Castelfranco nella casa detta di Giorgione ed ora chiamata casa Pellizzari. Nella Galleria di Belvedere in Vienna è un quadro detto dell'Oroscopo o de'Filosofi Caldei, che fu già nella Galleria Contarmi di Ve- nezia, e nel palazzo Manfrini l'altro chiamato la Famiglia dì Giorgione, un tempo appartenuto a Gabbriello Vendramin di Santa Fosca. A Kingston Lacy in Inghilterra è il Giudizio di Salomone, non finito, una volta nella casa Gri- mani Calergi di Venezia e poi nella galleria Marescalchi a Bologna. In Firenze nella Galleria de' Pitti è il quadro intitolato il Concerto o la Musica. Si dice che questo quadro lo acquistasse nel secolo xvn il cardinal Leopoldo de' Medici da Paolo del Sera : ma è da notare che Ferdinando I possedeva un' opera di Gior- gione con lo stesso soggetto, la quale nel 1597 si dice nelle Ricordanze di Co- simo Latini ministro della Galleria, sotto Tanno 1597 (Archivio di Guardaroba nel R. Palazzo Pitti), che « Giaches Bilivelt à cavato dalla Tribuna una Musica « di mano di Giorgione alta br. 1 incirca, nominata come cosa molto mira- « bile da Giorgio Vasari nel suo libro. Disse detto Giaches che S. A. lo portò « di Siena, e questo dì incassato è consegnato al maiordomo per mandarlo al « Duca di Baviera, cioè al Ser.m° S. Duca Massimiliano di Baviera per parola « di S. A. S. » : ma essendo essa anc' oggi nella Galleria de' Pitti,x si può credere che poi non gli fosse altrimenti mandata. Nella stessa Galleria è ancora un altro quadro, che rappresenta un uomo armato e il suo paggio: si dice essere questo il ritratto del Gattamelata, celebre capitano, ma non è provato. La Galleria degli Uffizj possiede due preziosi lavori del nostro autore, che furono già nella villa di Poggio Imperiale. Nell'uno è rappresentato Mosè fanciullo alla prova de' car- boni ardenti, nell'altro il Giudizio di Salomone; ma di alcune di queste opere è discorso anche nel Commentario che segue. 101 103 COMMENTARIO > ALLA. Vita di Giorgione da Castelfranco Di alcune pitture di Giorgione, dal Vasari non descritte Bene a ragione scrisse il Vasari, che le opere del Barbarelli sono «parse in molti luoghi d'Italia, e che fuori ne furono mandate molte, come cose degne veramente. Difatto, non v'ha quasi raccolta e italiana «e straniera che non abbia da pregiarsi di qualche dipinto di Giorgione. Ma perche, oltre a non esser noi sicuri che tutto ciò che a lui, vissuto soli trentaquattro anni , si attribuisce , gli appartenga veramente, la legge fatta a noi stessi anco più stretta sin dal principio di questa terza Parte, di esser cioè più parchi nelle citazioni, ci vieta di annoverarle partita- mente tutte; ci contenteremo di registrare solamente quelle citate dai due più antichi scrittori, che sono l'Anonimo Morelliano e il Eidolfi, in- dicando, di quelle che per noi si può, la corsa fortuna. Venezia. In casa di messer Antonio Pasqualino. — Amore che tiene in mano una freccia, mezza figura: copia da quello stesso che più sotto è citato in casa Ram. (Anonimo Morelliano, pag. 56). Testa di San Gia- como, col bordone (p. 58). San Girolamo nudo, che siede in un deserto al lume di luna, copiato da una tela di Giorgione (p. 63). — In casa di messer Giovannantonio Venier. — Soldato armato fino alla cintura, senza celata (p. 73). — In casa di messer Giovanni Ram. — La testa di un pastorello , che tiene in mano un frutto (p. 78). Amòre che tiene in mano una freccia (p. 79). — In casa di messer Gabriele Vendramin. — Cristo morto sopra il sepolcro, con l'angelo che lo sostiene; racconciato da Tiziano (p. 80). 104 COMMENTARIO ALLA VITA — In casa di messer Michele Contarmi. — Nudo a penna, in un paese ; e un altro nudo dipinto, che possedeva lo stesso Anonimo (p. 85). — In casa di messer Piero Servio. — Un ritratto di suo padre (p. 89). — Presso i signori Vidman erano tre rappresentazioni di favole : nel- l'una, la nascita d'Adone; nell'altra, il giovane stesso in soavi abbrac- ciamenti con Venere, e nella terza quando viene ucciso dal cinghiale. (Ridolfi, Vite dei pittori veneziani, p. 80). Lo stesso autore novera con belle descrizioni diverse poesie da Gior- gione dipinte sopra rotelle, armarj, casse ed altre masserizie, e che per lo più erano favole tratte da Ovidio; come l'Età dell'Oro, Giove che ful- mina i Giganti, Deucalione e Pirra, il serpente Pitone, Apollo e Dafne, 10 trasformata in vacca, Fetonte, Diana e Calisto, Mercurio che ruba gli armenti ad Apollo, Giove e Pasifae, Cadmo che semina i denti dell'uc- ciso serpente, e Dejanira rapita dal centauro Nesso. 1 Il Ridolfi rammenta anche un quadro di mezze figure grandi quanto 11 naturale, rappresentante Cristo condotto al Calvario da molta sbirra- glia, uno de' quali lo tirava con fune, e un altro con cappello rosso lo- beffava; lo accompagnavano le pietose Marie, e la Veronica porge vagli un panno lino. Non sapremmo affermare se questo è quel medesimo quadro rammentato dal Vasari, che il Ridolfi stesso attribuì a Tiziano. Vedi a pag. 97 la nota 3. Dipinse anche un gran testone di Polifemo con cappellaccio in capo,, che gli formava ombre gagliarde sul viso ; degna fatica di sì gran mano per l'espressione di sì gran volto. Egli rammenta pure una tela rappresentante il congresso di una fa- miglia, con nel mezzo un vecchio castratore con cappellaccio che gli adom- 1 Familiari a Giorgione furono anche le invenzioni fantastiche e da novel- liere, molto affini al genere così detto romantico. Un altro quadro di questa maniera era quello posseduto dal conte Cassi gonfaloniere di Pesaro nel 1845. Sono tre mezze figure rappresentanti due uomini e una donna svenuta; soggetto veneziano cavato dalla novella xli di Matteo Bandello, che ha questo argomento: « Uno di nascosto piglia l'innamorata per moglie, e va a Baruti. Il padre della* « giovane la vuol maritare. Ella di dolore svenisce, e per morta è seppellita. « Quel dì medesimo ritorna il vero marito, la cava dalla sepoltura, e si accorge « che non è morta; onde la cura, e poi nozze solenni celebra ». Per la grandezza e la. disposizione delle figure, pareva fatto per servir di riscontro al Concerto che è nella Galleria de' Pitti. Nel dì 3 d'ottobre del 1846 fu venduto al barone Ettore de Garriod per il re Guglielmo II d'Olanda; e nella vendita della sua galleria è stato ritenuto dal presente re suo figliuolo. Questo quadro fu illustrato dal duca Pompeo Benedetti da Montevecchio in una Lettera pittorica sopra un interessante quadro di Giorgio Barbarelli da Castelfranco, dove si introduce discorso sul vario stile de' sommi coloritori dell'italiana scuola: Spoleto, tip. Bassoni; 1826, in-8 di pag. 22. Vedi Giornale Arcadico, tom. XXX, p. 385-86. DI GIORGIONE DA CASTELFRANCO 105 brava mezzo il viso, lunga barba, in atto di castrare un gatto, tenuto in grembo da una donna, la quale, mostrandosi schifa di quell'atto, ri- volgeva altrove il viso. Era vi presente una fantesca colla lucerna in mano, un fanciullo che porgeva- gli empiastri ed una fanciulla che recava un altro gatto, il quale, difendendosi colle unghie, le stracciava il crine. Fece ancora una donna ignuda, in compagnia di un pastore che suo- nava lo zufolo, ed ella mirandolo sorrideva. Ritrasse se stesso in forma di David, con braccia ignucle e corsaletto in dosso, che teneva la testa di Golia: aveva da una parte un cavaliere con giubba e berretto all'antica, e dall'altra un soldato. Questa pittura andò in mano di Andrea Vendramin. In casa Marcello, una Venere ignuda dormiente, e ai piedi Cupido con augellino in mano. In casa di G. B. Sanuto, una mezza figura di donna in abito zinga- resco col petto scoperto e i capelli raccolti in sottil velo: appoggia la destra mano ad un libro scritto di varj caratteri. In casa Leoni da San Lorenzo, una tela con Saul che tiene pei ca- pelli il capo di Golia recatogli dal giovinetto David : mezze figure. In altra tela, Paride colle tre Dee, di piccole figure. In casa Grimani -da Santo Ermagora, la Sentenza di Salomone, di bella macchia, colla figura del ministro non finita. Un quadretto in tavola col medesimo soggetto (che fa riscontro ad altra tavoletta con Mosè alla prova dell'oro e del fuoco) è nella Galleria di Firenze. E di ambedue si ha un intaglio nel tom. Ili della serie I della Galleria di Firenze illustrata ; Firenze, presso Molini e Laudi. Il senatore cav. Gussoni aveva una Nostra Donna con san Girolamo ed altre figure. Il senatore Domenico Ruzzini possedeva il ritratto di un capitano ar- mato ; i signori Contarmi da San Samuele , quello di un cavaliere in armi nere; i signori Malipieri, un San Girolamo in mezza figura che legge in un libro ; e Niccolò Crasso, il ritratto di Luigi Crasso celebre filosofo, avo suo, posto a sedere con occhiali in mano. Il Ridolfi vide ancora in dodici quadri di mezzana grandezza dipinta la favola di Psiche, e li descrisse molto vivamente a pag. 84-87 delle sue Vite. Castelfranco. Chiesa parrocchiale. — Tavola per Tuzio Costanzo, con- dottiere d'uomini d'arme, con Nostra Donna e il Divino Infante: nel de- stro lato fece san Liberale, in cui ritrasse se stesso, e nel sinistro san Fran- cesco, nel quale riportò l'effige di un suo fratello, e vi espresse ogni cosa con naturale maniera, dimostrando l'ardire nell'invitto cavaliere e la pietà nel serafico santo. — * Vuoisi invece che nella testa di san Li- 106 COMMENTARIO ALLA VITA Iterale sia ritratto Matteo Costanzo figliuolo di Tuzio, che morì giovane in1 Ravenna nel 1504, e fu dal padre fatto trasportare a Castelfranco e seppellire in San Liberale. Nella Galleria Nazionale di Londra è una pit- tura a olio, di Giorgione, rappresentante san Liberale, che si riconosce per originale di quello dipinto da lui nella tavola di Castelfranco. Trevigi. Monte Santo o Monte di Pietà. — Cristo morto portato dagli angeli, che in se contiene così elaborato disegno e un colorito così pa- stoso, che par di carne. — ■ i I signori Crowe e Cavalcasene non lo cre- dono di Giorgione , ma del Pordenone. {History of Painting in North Ildly, II, 146 e seg.). Verona. Presso i signori Muselli. — Un giovinetto con pelliccia tenuta bizzarramente a traverso le spalle. Cremona. Chiesa dell'Annunziata. — Tavola con San Sebastiano che ha legato alle spalle un panno , e vi è tratta per terra una celata ; e nel frontespizio dell'altare due angioletti che tengono una corona. Questo quadro, citato dal Ridolfì,. è anche nominato nella Guida di Cremona del Panni (1762). — t Oggi si conserva nella Pinacoteca di Brera a Milano, e i critici moderni lo vogliono piuttosto d'uno de' Dossi. Genova. — Dicesi essere appresso i signori Cassinelli di Genova un quadro di mezze figure quanto il naturale, dove era espresso il simbolo della Vita umana. In esso era una donna con un putto tra le braccia, il quale, appena aperti gli occhi alla luce, dirottamente piangeva. Nel mezzo si vedeva un forte uomo tutto armato; poco lungi un giovinetto in di- sputa coi filosofanti, e tra negoziatori, con una vecchiarella. E finalmente appariva un vecchio ignudo, curvo dagli anni e canuto, che meditava sopra un teschio umano. (Ridolfì, op. cit., pag. 81-83). Firenze. Galleria de' Pitti. — Il così detto Concerto di musica fra tre persone. Mezze figure, erroneamente indicate in alcuni cataloghi per Gio- vanni Calvino, Martino Lutero e Caterina de Bore. Il Ridolfì, pag. 81, così lo descrive: « Quel di mezzo (ritratto) è di un frate agostiniano, che suona con molta grazia il clavicembalo, e mira un altro frate di faccia carnosa col rocchetto e mantellina nera, che tiene la viola; dall'altra parte è un giovinetto molto vivace con berretta in capo e fiocco di bianche piume: quali per la morbidezza del colorito, per la maestria e artificio usatovi, vengono riputati dei migliori dell'autore. » Questa tela, soggiunge il Ridolfì, era posseduta da Paolo del Sera, gentiluomo fioren- tino. Fu tra' quadri portati a Parigi nel 1799; e se ne ha un intaglio nel voi. I della Galleria de' Pitti pubblicata per cura di L. Bardi, e nella tav. lxxxviii della Storia del prof. Rosini. Roma. Palazzo Aldobrandino — Una figura di un San Sebastiano sino a mezza coscia. DI GIORGIONE DA CASTELFRANCO 107 — Palazzo Borghese. — Un David. Vienna. Galleria di Belvedere. — I così detti Astrologi. Tre persone vestite all'orientale stanno insieme raccolte. Due in piè sul davanti del quadro, cioè un vecchio che al vestito, alla lunga barba, al compasso che tiene in mano, e alla tavola con segni astrologici, si conosce per Caldeo: un uomo ancor giovane sta conversando con lui; e presso que- st' ultimo siede in terra il terzo personaggio ancor più giovane , che tiene rivolti gli sguardi in alto, e punta il compasso sopra un quadrante. Nel fondo si vedono a sinistra alcuni alberi, a destra una rupe, e in mezzo un paese colla levata del sole. Altre volte questo quadro a olio in tela fu tenuto come una rappresentazione dei tre Magi. Se ne ha una piccola incisione nel tom. I dell'opera La Galerie I. et R. au Belvedére à Vienne; Vienne et Prague, 1821-1828. — t Appartenne in antico alla galleria di Taddeo Contarmi in Venezia. L' Anonimo Morelliano (pag. 64) cita questo quadro in casa Contarini a Venezia, § dice che, incominciato da Giorgione, fu finito da Sebastiano del Piombo. * Monaco. — La Vanità, sotto Timagine d'una bella donna che tiene una candela vicina a spegnersi dinanzi ad uno specchio , nel quale riflette la figura d'una vecchia con la conocchia, ornata di gioje e di medaglie d' oro. — Quadro a olio in tela rappresentante due mezze figure, il soggetto del quale è così descritto dal Ridolfi : « Si videro ancora in Venezia due mezze figure: l' una rappresentava Clelio Plozio assalito da Claudio, che 10 afferrava pel collare del giubbone , tenendo l' altra mano al fianco sopra 11 pugnale ; e nel volto di quel giovinetto appariva il timore , e l' impeto dell'assalitore, che finalmente rimase da Plozio ucciso. » Il soggetto è tratto da Valerio Massimo, lib. lx. Questo quadro è stato inciso a bulino da J. Trayen, e a fumo dal Prenner. Un altro piccolo intaglio si vede nel tomo I della Galerie de Vienne già citata. 109 ANTONIO DA CORREGGIO PITTORE (Nato nel 1494?; morto nel 1534) Io non voglio uscire del medesimo paese/ dove la gran madre natura, per non essere tenuta parziale, dette al mondo di rarissimi uomini della sorte che avea già 1 Nella prima edizione la Vita del Correggio comincia nel seguente modo : « Sforzasi bene spesso la benigna natura infondere tanta grazia ne' nostri arte- fici, con tanta divinità nel maneggiare de' colori, che se e' fussero accompagnati da profondissimo disegno, ben farebbono stupire il cielo, come egli empiono la terra di maraviglia. Ma sempre si è potuto vedere ne' nostri pittori, che quelli che hanno ben disegnato, hanno avuto qualche imperfezione nel colorire; et che molti che fanno perfetta una qualche cosa particulare, lasciano poi per la mag- gior parte le cose loro più imperfette che perfette. Il che per il vero nasce da la difficultà della arte, la quale ha da imitare tanti capi di cose, che uno artefice solo non può farle tutte perfette. Laonde ben si può dire che e' sia, non dico maraviglia, ma miracolo grandissimo che gli spiriti ingegnosi faccino quello che e' fanno. Et i Toscani per avventura in maggior numero certo che gli altri: di che proverbiata la madre dello universo da infiniti a chi non pareva avere il debito loro in questa divisione, fece degna la Lombardia del bellissimo ingegno di Antonio da Correggio, pittore singularissimo. » — La vita di questo gran luminare dell'arte pittorica è stata per lungo tempo involta in grande oscurità. Il Vasari fu il primo che nel secolo xvi intraprendesse a scriver di lui con qualche estensione: ma il suo lavoro riuscì scarso, e in più luoghi inesatto. Se ne accorse egli in appresso, e procacciò in parte di rimediarvi nella Vita di Gi- rolamo da Carpi. Posteriormente il P. Resta, il Mengs, il Ratti, il Tiraboschi, l'Antonioli, il Fea, il Lanzi, e in ultimo il P. Pungileoni, rifrustando archivj, rintracciando memorie, confrontando monumenti, rischiararono varj punti dub- biosi e supplirono a non poche omissioni del biografo aretino. La vita pertanto dell'Allegri è oggi bastantemente illustrata: ma non siamo pervenuti a tal punto, che dopo il corso di più secoli e le fatiche di parecchi scrittori. Questo sia detto in difesa di messer Giorgio, strapazzato dagl'indiscreti anche per quello ch'ei non poteva sapere. Se qui si volesse dare un compendio di quanto è stato scritto in aggiunta al Vasari, dovrémmo oltrepassare d'assai i limiti ordinar) di queste 110 ANTONIO DA CORREGGIO molti e molti anni adornata la Toscana; infra e' quali fu di eccellente e bellissimo ingegno dotato Antonio da Correggio/ pittore singularissimo, il quale attese alla maniera moderna tanto perfettamente, che in pochi anni, dotato dalla natura ed esercitato dall'arte, divenne raro e maraviglioso artefice. 2 Fu molto d1 animo timido , e annotazioni. Ci restringeremo dunque a riferire quelle cose che ne son sembrate più necessarie, e pel resto a indicare i fonti, da cui si possono attingere più estese notizie. — * Altre fonti, alle quali si possono attingere notizie su questo pittore, ci sono somministrate dalla moderna letteratura artistica tedesca, cioè: Fiorillo, Storia della Pittura in Italia; Lanzi, Storia della Pittura in Itatia, traduzione tedesca del Wagner con note del Quadri; Hirt, Osservazioni artistiche fatte in un viaggio a Dresda e a Praga; Kugler, Manuale della storia della Pitturai Forster; Lettere sulla Pittura ecc. Per conoscere il merito artistico del Cor- reggio, leggasi il Mengs, Memorie concernenti la vita eie opere di A. Allegri, nelle sue opere edite dall'Azara (Bassano, 1783). La nota degli scrittori che parlano del Correggio si ha anche nel Fussli, Dizionario artistico ecc., e nel tomo III delle Memorie del P. Pungileoni. 1 *Ebbe i natali in Correggio, città della provincia di Modena, da Pellegrino Allegri e da Bernardina Piazzoli alias degli A romani. Ei fu solito di sottoscri- versi Antonio Lieto, latinizzando il suo vero cognome. Vuoisi che nascesse nel 1494; ma solo per tradizione o per congettura, mancando i documenti che attestino ciò. 2 * Credono alcuni che egli avesse i primi rudimenti dell'arte da Lorenzo Allegri suo zio paterno, e da Antonio Bartolotti, mediocri pittori di Correggio; e che dal celebre plasticatore Begarelli imparasse non poco. 11 cronista Spaccini dà per maestra al Correggio Francesco Bianchi, alias Frati, pittor modenese molto buono; e questo è più probabile che non la scuola del Mantegna, della quale nè prima nè poi ritrae punto la maniera del Correggio. Contribuì non poco al suo sviluppo artistico e a formare il suo stile, l'aver vedute le cose di Leo- nardo da Vinci. Ma eiò non basta a spiegare il carattere particolare che il Cor- reggio impresse ne' suoi lavori. Quindi conviene ammettere che la forza creatrice del suo ingegno e il genio artistico gli facessero conseguire una maniera tutta nuova e sua propria. Erano innati in lui il sentimento affascinante, l'ingenuità e la grazia che si ravvisa nelle sue pitture ; grazia che talvolta degenera in so- verchia dolcezza. Il suo modo di colorire si potrebbe chiamare una chiarifica- zione della maniera leonardesca; imperciocché tutto ciò che in Leonardo è an- cora fumeggiato e cacciato terribilmente di scuro, presso il Correggio è lucido, colorato e chiaro. Ma egli dipinge, come Giorgione, con largo e pastoso pen- nello, a grandi tratti; di modo che il suo dipingere è piuttosto un modellare che un disegnare. t Di Antonio Bartolotti soprannominato, che nacque in Correggio nel 1450 e vi morì nel 1527, sono da vedersi le Notizie di Antonio Allegri e di Antonio Bartolotti suo maestro ecc. dell' avv. cav. Quirino Bigi. Modena, Vincenzi, 1873. Da esse apparisce che il Bartolotti fu pittore assai valente e molto adoperato dai signori di Correggio. ANTONIO DA CORREGGIO 111 con incommodità di se stesso in continove fatiche eser- citò r arte per la famiglia che lo aggravava; 1 ed ancora che e1 fusse tirato da una bontà naturale, si affliggeva nientedimanco più del dovere nel portare i pesi di quelle passioni che ordinariamente opprimono gli uomini. Era nell'arte molto maninconico e suggetto alle fatiche di quella,2 e grandissimo ritrovatore di qualsivoglia diffi- cultà delle cose : come ne fanno fede nel duomo di Parma una moltitudine grandissima di figure lavorate in fresco e ben finite, che sono locate nella tribuna grande di detta chiesa; nelle quali scorta le vedute al di sotto in su con stupendissima maraviglia.3 Ed egli fu il primo 1 Non fu il Correggio sì povero com'è stato creduto alcun tempo; nè d'abbietta, nè d'illustre famiglia, come han preteso varj scrittori ugualmente male informati. Egli era figlio d'un mercatante che possedeva qualche bene; onde può dirsi che lo stato suo fosse in quella beata mediocrità tanto lontana dalla ricchezza, quanto dall'indigenza. Da giovinetto fu instruito nelle lettere da Giovanni Berni piacentino e dal Marastoni modenese, e nella filosofia da G. B. Lombardi di Correggio., celebre medico, stato già professore in Bologna e in Ferrara. Ciò basta a mostrare un'educazione non plebea. Di ventisei anni (se è vero ch'egli nascesse nel 1494) sposò la sua concittadina Girolama Merliniv giovinetta di tre lustri, e n'ebbe quattro figli; tre femmine, due delle quali mo- rirono in tenera età, e un maschio, Pomponio, cui educò alla pittura. — *Di Pomponio Lieti diremo qualcosa più sotto. 2 Nel modo stesso che il Vasari parla del Perugino quasi come d' un uomo senza religione, mentre da' quadri suoi spira un intimo sentimento religioso; cosi egli ci presenta il Correggio come un artista malinconico e soggetto alle fatiche dell'arte, dove che ne' suoi dipinti si manifesta la più schietta serenità di spirito,, ed una scorrevolezza d'esecuzione che vince le difficoltà senza alcuno sforzo.' Vero è che le stesse sue opere mostrano come all'arte sua fosse unito uno studio profondo della prospettiva e del disegno, in specie nelle movenze e negli scorti delle figure, ed una diligenza indefessa nel maneggiare i colori; ma non sapremmo persuaderci ch'egli fosse tristo e malinconico ed oppresso, nel mentre che rappresentava gli oggetti più giocondi e leggiadri con un vigore di spirito,, che non si lascia inceppare da ostacoli materiali. 8 *I1 Vasari non descrive qui i soggetti degli affreschi del Correggio nel Duomo di Parma. A questa mancanza egli supplisce nella Vita di Girolamo da Carpi. Il Correggio vi dipinse Nostra Donna Assunta che circondata da schiere d'angeli viene accolta da Cristo in cielo. Nei quattro angoli sono dipinti i quat- tro santi protettori di Parma, seduti sopra nuvole e accompagnati da angeli. Questo è l'ultimo dei grandi lavori da esso condotti a termine a Parma; e fu dipinto tra gli anni 1526 e 1535. Ne ebbe mille ducati d'oro, corrispondenti a mille zecchini. (Tiraboschi, Meni, cit. , pag. 264 ). La Gloria ha sofferto assai. Il 112 ANTONIO DA CORREGGIO che in Lombardia cominciasse cose della maniera mo- derna: per che si giudica, che se l'ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e stato a Koma, averebbe fatto miracoli, e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furon tenuti grandi.1 Conciosia che essendo tali le cose sue, senza aver egli visto delle cose antiche2 o delle buone moderne, necessariamente ne seguita che se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato l1 opere sue, e crescendo di bene in meglio, sarebbe ve- nuto al sommo de1 gradi. Tengasi pur per certo , che nes- suno meglio di lui toccò colori, ne con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui: tanta era la morbidezza delle carni eh' egli faceva, e la grazia con che e' finiva i suoi lavori. Egli fece ancora in detto luogo due quadri grandi lavorati a olio, nei quali, fra gli altri, in uno si vede un Cristo morto che fu lodatissimo.3 Ed in San Giovanni in quella città fece una tribuna in fresco, nella quale figurò una Nostra Correggio fu il primo che, dipingendo le cupole, ne distruggesse, per così dire, le volte architettoniche, dilatando lo spazio non diviso oltre i termini dell' archi- tettura per mezzo della prospettiva. Mentre gli antichi pittori usavano di quelli spazj architettonici, dividendoli in liste e varj partimenti di figure, e dipingendo queste ultime in piè, il Correggio si giovò delle leggi degli scorti prospettici per riempire tutta la cupola di figure, che vedute da basso sembrano ritte librate in aria, e scortate di sotto in su, come avea fatto già prima in Roma Melozzo da Forlì, ma sopra spazj piani. Con questa incuranza delle proporzioni architetto- niche egli introdusse nell'arte l'arbitrio, onde i pittori barocchi de' secoli ap- presso offendevano tutte le regole delle linee architettoniche. 1 Se il Correggio abbia veduto Roma o no, è stato uno dei punti più con- troversi della sua vita. Oggi peraltro le ragioni di coloro, i quali, contraddicendo al Vasari, sostenevano la opinione affermativa, sono state tutte confutate. Leg- gasi la Storia pitt. deh Lanzi, Scuola Parm., epoca seconda; e le Meni. ist. d'Ant. Allegri, del P. Pungileoni, tom. I, p. 64 e seg. — *I1 Prospetto Crono- logico posto in fine di questa Vita mostrerà anch'esso che l'Allegri non uscì mai di Lombardia. 2 Le cose antiche doveva averle vedute nelle raccolte di Mantova e di Parma, e più negli studj particolari di Francesco Mantegna e d'Antonio Begarelli, ricchi di gessi e di disegni tratti dalle antiche sculture. 3 È l'altro il Martirio di San Placido e di San Floriano. Questi due qua- dri erano in San Giovanni de' Monaci Benedettini. Sono adesso nella Pinacoteca Parmense. ANTONIO DA CORREGGIO 113 Donna che ascende in cielo fra moltitudine di Angeli, ed altri Santi intorno: la quale pare impossibile ch'egli potesse non esprimere con la mano, ma imaginare con la fantasia, per i belli andari de' panni e delle arie che e' diede a quelle figure, delle quali ne sono nel nostro Libro alcune disegnate di lapis rosso di sua mano, con *certi fregi di putti bellissimi, ed altri fregi fatti in quella -opera per ornamento con diverse fantasie di sacrifizj al- l'antica.1 E nel vero, se Antonio non avesse condotte l'opere sue a quella perfezione che le si veggono, i di- segni suoi (sebbene hanno in loro una buona maniera •e vaghezza e pratica di maestro) non gli arebbano ar- recato fra gli artefici quel nome che hanno l'eccellen- tissime opere sue. È quest' arte tanto difficile ed ha tanti capi, che uno artefice bene spesso non li può tutti fare perfettamente; perchè molti sono che hanno disegnato divinamente, e nel colorire hanno avuto qualche imper- fezione; altri hanno colorito maravigliosamente, e non lianno disegnato alla metà. Questo nascie tutto dal giu- dizio e da una pratica che si piglia da giovane, chi nel disegno e chi sopra i colori. Ma perchè tutto s'impara per condurre l'opere perfette nella fine, il quale è il colorire con disegno tutto quel che si fa; per questo il Correggio merita gran lode , avendo conseguito il fine della perfezione nell' opere che egli a olio e a fresco colorì: come nella medesima città, nella chiesa de' Frati 1 Qui al Vasari faliisce la memoria. Questo soggetto fu da lui dipinto nella cupola della Cattedrale. Nella tribuna o cappella maggiore di San Giovanni ■espresse T Incoronazione di Nostra Donna con varj santi: pittura che nel 1587 fu atterrata per allungare il coro , e rifatta da Cesare Aretusi. Una parte nondi- meno dell'opera correggesca, e segnatamente il gruppo della Madonna, fu sal- vata da quella devastazione, e posta nella seconda aula della R. Biblioteca. Nella cupola poi della stessa chiesa di San Giovanni ei dipinse l'Ascensione di Gesù Cristo e gli Apostoli in atto di maraviglia; e sopra la porta del Capitolo eseguì a fresco, in una lunetta, la figura di San Giovanni Evangelista, la quale sussiste tuttavia — * Questi lavori in San Giovanni furono eseguiti prima di quelli del Duomo, cioè tra gli anni 1520 e 1525; e gli furono pagati 472 zecchini d'oro. Vasah-, Opere — Voi. IV. 114 ANTONIO DA CORREGGIO de1 Zoccoli eli San Francesco, che vi dipinse una Nun- ziata ih fresco tanto bene, che accadendo per acconcime di quel luogo rovinarla , feciono que' Frati ricignere il muro attorno con legnami armati di ferramenti; e ta- gliandolo a poco a poco, la salvorono, ed in un altro loco più sicuro fu murata da loro nel medesimo con- vento.1 Dipinse ancora sopra una porta di quella citta una Nostra Donna che ha il figliuolo in braccio; eh1 è stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di que- sta opera, elove ne ha riportato da' forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode e onore infinito.2 In Sant'Antonio ancora di quella citta dipinse una ta- vola, nella qual' è una Nostra Donna e Santa Maria Maddalena; ed appresso vi è un putto che ride, che tiene a guisa di angioletto un libro in mano, il quale par che rida tanto naturalmente , che muove a riso chi lo guardarne lo vede persona di natura malinconica, che non si rallegri. Evvi ancora un San Girolamo; ed è colorita3 di maniera sì maravigliosa e stupenda, che i pittori ammirano quella per colorito mirabile, e che non si possa quasi dipignere meglio. * 1 Questa pittura non fu eseguita nella chiesa degli Zoccolanti (altro error di memoria del Vasari), ma bensì in quella della SS. Annunziata a Capo di Ponte. Pier Luigi Farnese la fece trasportare nell' atrio interiore a man sinistra. Ha non poco sofferto dall'umidità e dai sali della calce. 2 Questa Madonna, detta della Scala, fu dipinta in una stanza della Porta Promana. Nel 1554, in ossequio di detta immagine, vi fu fabbricata una chie- setta, la quale venne demolita nel 1812, e la pittura trasportata nell'Accademia di Belle Arti. 3 *Tavola famosa, detta del San Girolamo, dalla figura del santo ivi intro- dotta. Fu commessa al Correggio nel 1523 da Briseide Colla vedova d'Orazio Bergonzi, e fu pagata 400 lire imperiali. La compì in sei mesi, e n'ebbe da quella signora in di più un regalo di due carri di fascine, di alcune staja di grano e d'un porco. Essa adornò col detto quadro la sua cappella in Sant'Antonio di Parma nel 1528, nel qual anno morì. Nel passato secolo corse rischio di esser' venduto al re di Portogallo. Scoperto il maneggio, fu per ordine sovrano tolto- da quella chiesa, e trasportato nella Pinacoteca Parmense, dove tuttavia si am- mira. (Pungileoni, Mem. cit., I, 179 e seg.; II, 209). Fu intagliato in rame dallo Strànge e dal Gandolfi. La Galleria de' Pitti ne ha una copia del Baroccio. * Dice colorita, riferendola a taoola, come aveva nella mente. ANTONIO DA CORREGGIO 115 Fece similmente quadri ed altre pitture per Lom- bardia a molti signori; e fra l'altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II pet mandare allo Im- peratore : cosa veramente degna di tanto principe. Le quali opere vedendo Giulio Romano , disse non aver mai veduto colorito nessuno eh' aggiugnesse a quel segno. L' uno era una Leda ignuda e V altro una Venere , sì di morbidezza colorite e d' ombre di carne lavorate , che non parevano colori, ma carni. Era in una un paese mi- rabile: ne mai lombardo fu, che meglio facesse queste cose di lui; ed oltra di ciò, capegli sì leggiadri di co- lore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni Amori, che delle saette facevano prova su una pietra, quelle d' oro e di piombo, lavorati con bello artificio: e quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida, che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne occupava; onde nello scor- gere quella candidezza con quella dilicatezza faceva agli occhi compassione nel vedere. 1 Per che certissimamente 1 *I1 Vasari descrive poco esattamente questi due quadri, che il Pungi- leoni (I, 228) suppone dipinti circa il 1532. La Danae, ora nella Galleria Bor- ghese a Roma, e non la Venere, come erroneamente dice il Vasari ; la Leda, ed un terzo quadro rappresentante Io, erano posseduti da Cristina di Svezia; di- poi passarono nelle mani del cardinale Azzolini, quindi in quelle del Duca di Bracciano, e finalmente del Duca d'Orléans, il cui figlio Luigi ne fece distrug- gere le teste, pèrche troppo vivamente esprimevano l'eccesso della voluttà. La testa dell'Io (che sembra aver perduto anche l'ultima velatura) vi fu supplita dal Prudhon ; quella della Leda, dallo Schlesinger, e molto maestrevolmente. Questi due quadri si conservano ora nel Museo di Berlino. Una bella copia del- l'Io è nella Galleria di Belvedere a Vienna. Il Lomazzo (lib. IV, cap. i, della Pittura) dice che presso il cav. Leone Aretino si trovavano due quadri, «nel- l'uno de' quali è dipinta la bella Io con Giove sopra una nube; e nell'altro Danae e Giove che le piove in grembo in forma di pioggia d'oro, con Cupido ed altri Amori; co' lumi talmente intesi, che tengo di sicuro che niun altro pittore in colo- rire ed allumare possa eguagliarli: i quali furono mandati in Ispagna da Pompeo suo figliuolo statuario ». Anche nella Galleria Rospigliosi a Roma è una Leda. (V. Coppi ab. Ant. , Notizie di un quadro del Correggio, ecc.; Roma, 1845). t Negl' Inventari degli oggetti d' arte che appartennero alla marchesa Isabella Estense Gonzaga, pubblicati dal conte Carlo D'Arco tra i documenti no ANTONIO DA CORREGGIO Antonio meritò ogni grado ed ogni onore vivo, e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte. Dipinse ancora in Modena una tavola d'una Madonna, tenuta da tutti i pittori in pregio e per la miglior pittura di quella citta.1 In Bologna parimente e di sua mano, in casa gli Arcolani gentiluomini bolognesi, un Cristo che nell'orto appare a Maria Maddalena; cosa molto bella.2 In Keggio era un quadro bellissimo e raro, che non è molto che passando Messer Luciano Pallavigino, il quale molto si diletta delle cose belle di pittura, e vedendolo, aggiunti alle sue Notizie d'Isabella Estense (V. Appendice all' Archivio Storico Italiano, voi. II, pag. 203), e ristampati nell'altra sua opera Le Arti e gli Artisti Mantovani (Mantova, 1859), si notano « Due quadri del già Antonio da « Coregio, in uno de' quali è dipinto l'istoria di Apolo et Marsia; ne l'altro è « tre Virtù, cioè Fortezza, Giustizia et Temperantia, le quali insegnano ad un « fanciullo misurare il tempo, a ciò possa essere coronato di lauro et acquistare « la palma». In altri cataloghi sono registrati (D'Arco, op. cit., Le Arti ed Artisti ecc., voi. II, pag. 134, 160, 161) come del Correggio i seguenti quadri, cioè una Venere e Mercurio che insegna a leggere a Cupido; un Ecce Homo ed un San Girolamo con un teschio di morto in mano ; mezze figure. Il signor ca- nonico Willelmo Braghirolli, nel suo articolo .De' rapporti di Federigo II Gon- zaga con Antonio Allegri da Correggio, inserito nel Giornale d'Erudizione Artistica (Perugia, 1874, voi. Ili, p. 325), ha pubblicate varie lettere, la più parte tratte dall'Archivio Gonzaga di Mantova, e tra queste una della Veronica Gambara alla marchesa Isabella del 3 di settembre 1528, nella quale si parla d' un quadro del Correggio rappresentante la Maddalena nel deserto ricoverata in un orrido speco a far penitenza-, la quale è genuflessa dal lato destro con le mani giunte alzate al cielo, pregando; ed alcune del duca Federigo II ad Alessandro Caccia governatore di Parma, e del Caccia al Duca. Da esse si ri- leva che il Correggio aveva avuto commissione dal Duca di fare alcuni cartoni cogli amori di Giove; i quali alla morte del Correggio furono ricercati ad istanza del detto duca, e non potuti ritrovare. Ora de' detti cartoni, che forse dovevano servire per arazzi, che cosa sia accaduto, per quante diligenze sieno state fatte, non è riuscito di saper nulla. Un catalogo delle opere del Correggio si può vedere nella Guide aux principaux monuments de Parme, stampata in Parma nel 1871 dal signor Carlo Malaspina. 1 *Si crede che lo scrittore intenda ragionare del quadro rappresentante la Madonna col divin Figlio che sposa santa Caterina, e del quale fa nuovamente, menzione nella Vita di Girolamo da Carpi. Questo dipinto, che dal Correggio fu donato alla sua sorella, quando ella si maritò, conservasi adesso nel R. Museo di Parigi, e fu inciso da E. Picare Una bellissima replica è posseduta dal R. Mu- seo di Napoli, pervenutavi dalla Casa Farnese, e fu incisa da G. Felsing. Un altro intaglio è nella tav. i del voi. II del Museo Borbonico. 2 Dalla famiglia Ercolani passò al card. Aldobrandini , indi a un Ludovisio; poscia fu portato in Spagna, e da Carlo II posto nelP antisagrestia dell' Escuriale. ANTONIO DA CORREGGIO 117 non guardò a spesa di danari; e come avesse compero una gioia, lo mandò a Genova nella casa sua.1 E in Reggio medesimamente una tavola, drentovi una Nati- vità di Cristo, ove partendosi da quello uno splendore, fa lume a' pastori e intorno alle figure che lo contem- plano; e fra molte considerazioni avute in questo sug- getto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della sua divinità, che con i raggi par che per- cuota quella figura, si mette la mano dinanzi agli occhi, tanto bene espressa, che è una maraviglia. Evvi un coro di Angeli sopra la capanna che cantano, che son tanto ben fatti , che par che siano piuttosto piovuti dal cielo , che fatti dalla mano d'un pittore.2 È nella medesima città un quadretto di grandezza di un piede; la più rara e bella cosa che si possa vedere di suo, di figure pic- cole; nel quale è un Cristo nell'orto: pittura finta di notte, dove l'Angelo, apparendogli, col lume del suo splen- dore fa lume a Cristo; che è tanto simile al vero, che non si può ne immaginare ne esprimere meglio. Giuso a pie del monte, in un piano, si veggono tre Apostoli che dormano; sopra' quali fa ombra il monte, dove Cristo ora, che dà una forza a quelle figure, che non è possi- bile; e più là in un paese lontano, fìnto l'apparire del- l'aurora, e' si veggono venire dall' un de' lati alcuni sol- dati con Giuda: e nella sua piccolezza questa istoria e 1 È difficile rintracciare il passaggio di questo quadro, del quale non è indicato il soggetto. Nel 1805 il gen. conte Isidoro Lecchi pretendeva d' averlo in poter suo. 2 Vera maraviglia è questa pittura chiamata la Notte del Correggio, Ja quale adorna presentemente la R. Galleria di Dresda. Era uno dei cento quadri della Galleria Estense, che da Francesco III duca di Modena furon venduti nello scorso secolo ad Augusto III elettor di Sassonia e re di Polonia, per la somma di centotrentamila zecchini, fatti coniare espressamente a Venezia. Di quei cento quadri, sei erano del Correggio: la Notte suddetta, il San Giorgio, il San Sebastiano, la Madonna con quattro santi, la piccola Maddalena giacente, e il ritratto del medico Grillenzoni, o più veramente del medico Lombardi, come prova il Pungileoni (Mem. cit. , I, 36 e seg. ). ANTONIO DA CORREGGIO tanto bene intesa, che non si può ne di pazienza ne di studio per tanta opera paragonalla. 1 Potrebbonsi dire molte cose delle opere di costui; ma perchè fra gli uomini eccellenti dell'arte nostra è am- mirato per cosa divina ogni cosa che si vede di suo, non mi distenderò più. Ho usato ogni diligenza d'avere il suo ritratto; e perchè lui non lo fecie, e da altri non è stato mai ritratto, perchè visse sempre positivamente, non l'ho potuto trovare.2 E, nel vero, fu persona che non si stimò nè si persuase di sapere far l'arte, cono- 1 *Ora è posseduto dal Duca di Wellington. Nella Galleria di Londra n' è una copia antica venduta per originale. Narra lo Scannelli che l'Allegri dipin- gesse questo quadretto, eh' è proprio un giojello, per un farmacista, al quale era debitore di quattro o cinque scudi. Fu poi venduto per 400 al conte Pirro Vi- sconti, indi per maggior somma acquistato dal marchese Caracena per il re di Spagna Filippo IV, e fu trovato" nella battaglia di Vittoria, insieme con altri quadri preziosi, sopra l'imperiale della carrozza di Giuseppe Buonaparte , depre- data da un colonnello del Duca di Wellington. t Altri dicono che fosse donato al Duca di Wellington da Ferdinando VII re di Spagna. Dei molti altri quadri che sono veramente del Correggio o si at- tribuiscono a lui sarebbe faccenda troppo lunga il ragionare: perciò ci conten- teremo di notare quelli che sono nella Galleria degli Uffizj di Firenze, cioè una testa di fanciullo di grandezza quasi colossale; studio dipinto in carta. Il Riposo in Egitto, stato dipinto dal Correggio per la chiesa de' Francescani di Correggio e pagato 100 ducati d' oro. Si crede che questo quadro fosse poi mandato a re- galare alla casa de' Medici dal duca Francesco I di Modena. Il Lanzi ragiona a lungo di questo quadro, e narra come fosse dapprima creduto del Baroccio o del Vanni, e poi restituito al Correggio. La testa di San Giovanni in un bacino. La Vergine che adora il suo divin figliuolo. Questa tavola fu regalata a Cosimo II de' Medici dal duca di Modena, e nel 1617 fu posta nella Galleria. Nel Museo del Louvre di Parigi è l'Antiope e Giove, e nella Galleria Nazionale di Londra Mercurio che istruisce Cupido alla presenza di Venere. Questo quadro fece parte della collezione di Carlo I re d' Inghilterra, che lo comprò nel 1630 dal duca di Mantova. Dopo diversi passaggi, venne ultimamente in possesso del marchese di Londonderry, il quale nel 1834 lo vendè alla Galleria suddetta insieme con un Ecce Homo, che si dice essere stato primamente posseduto dal conte Prati di Parma e dipoi dai Colonna di Roma. Nella Galleria dell' Escuriale di Madrid si conservano del Correggio, secondo i cataloghi, un quadro col Mar- tirio di san Placido e di santa Flavia, un Noli me tangere, ed un Deposto di croce, inciso dal Rosaspina. 2 * Intorno ai ritratti creduti del Correggio, vedasi il Lanzi, Stor. Pitt.\ Pungileoni, Mem. del Correggio, II, 254 e seg. Quello pubblicato dal Bottari è falso. E non v'ha prova che la testa dipinta dal Gambara presso la porta principale del Duomo di Parma, e detta il ritratto del Gorreggio, sia di lui. ANTONIO DA CORREGGIO 119 scendo la difficultà sua, con quella perfezione che egli arebbe voluto; contentavasi del poco, e viveva da bo- llissimo cristiano. Desiderava Antonio, siccome quello ch'era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare, ed era divenuto perciò tanto misero,1 che più non poteva essere. Per il che si dice che essendoli stato fatto in Parma un paga- mento di sessanta scudi di quattrini , esso volendoli por- tare a Correggio per alcune occorrenzie sue, carico di quelli si mise in cammino a piedi; e per lo caldo grande che era allora, scalmanato dal sole-, beéndo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima feb- bre, ne di quivi prima levò il capo, che finì la vita,9 nell'età sua d'anni quaranta o circa.3 Furono le pitture sue circa il 1512: e fece alla pit- tura grandissimo dono ne' colori da lui maneggiati, come vero maestro ; e fu cagione- che la Lombardia aprisse per lui gli occhi: dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria; perchè mostrandoci i suoi capegli fatti con tanta facilità nella difficultà del fargli, ha insegnato come e' si abbino a fare;4 di che gli debbono eternamente tutti 1 Alcuni scrittori stimando che la parola misero avesse il significato di po- vero , mentre il Vasari l'usa in quello d'avaro, si sono sbracciati a dimostrare che il Correggio' era in quella vece piuttosto agiato di beni di fortuna. 2 Questa è una mera favoletta, accreditata ai giorni del Vasari, e da lui e ■da altri troppo facilmente creduta. 8 *Nel libro de' morti della chiesa di San Francesco di Correggio si legge che l'Allegri fu sepolto a dì 6 di marzo del 1534; il che fa supporre ch'egli mo- risse il dì 5 dello stesso mese. Lasciò superstiti i genitori suoi, la moglie, Fran- cesca Letizia e Pomponio suoi figliuoli. * Anche nel Proemio che leggesi in pi-incipio di questa Terza Parte delle Vite, messer Giorgio lodò il Correggio per la maniera di dipingere i capelli; di che si mostrò scandalizzato ilD'Azara (Vedi Opere di R. Mengs), quasi che il Bio- grafo non avesse saputo scorgere altre bellezze nelle opere di quel portentoso pittore. Il lettore avrà certamente rilevato da sè medesimo, che se il Vasari qui si trattiene a lodare questo pregio secondario, non per questo ha taciuto degli altri maggiori, o è stato di essi tepido encomiatore. 120 ANTONIO DA CORREGGIO i pittori: ad istanzia de1 quali gli fu fatto questo epi- gramma da messer Fabio Segni, gentiluomo fiorentino: Hnius cum regeret mortales spiritus artus Pictoris, Charites sujpplicuere Iovi: Non alia pingi dextra, Pater alme, rogamus: Hunc pr&ter, nulli pingere nos liceat. Annuii his votis stimmi regnator Olympi, Et iuvenem subito, sydera ad alta tulit, Ut posset melius Charitum sìmulacra referre Prcesens, et nudas cernerei inde Deas. 1 Fu in questo tempo medesimo Andrea del Gobbo y milanese,2 pittore e coloritore molto vago; di mano del quale sono sparse molte opere nelle case per Milano sua patria; ed alla Certosa di Pavia una tavola grande con 1 Nella prima edizione leggesi inoltre: «Et appresso, quest'altro ancorar. Distihctos homini quantum natura capillos Efficitj Antonj dextra levis docuit. Effìgies itti varias terraeque marisque Nobile ad ornandas ingenium fuerat. Coregium patria j Eridanus mirantur et Alpes: Maestaque pictorum turba dolet tumulo ». * Sulla fine del secolo xvn fu posta sulla sua sepoltura la seguente iscrizione ; ' D. O. M. ANTONIO . ALLEGRI . CIVI . VULGO . IL CORREGGIO . ARTE . PICTURAE . HABITU . PROBITATIS . EXIMIO . MONUM . HOC . POSVIT . HTER . CONTI . CONCIVIS . SICCINE . SEPARAS . AMARA . MORS . OBIIT . ANNO . AETATIS . 'XL . SAL . MDXXXIV . i Nella sala del palazzo municipale di Correggio è il busto dell'Allegri in mezzo» a due urne cinerarie e al disotto un mausoleo, dentro il quale si suppone conser- varsi parte delle ossa del pittore. Sopra il busto leggesi una epigrafe latina dettata dal padre Carlo Antonioli e sotto un distico dell'abate Alfonso Giannotti ( V. Quirino Bigi, Notizie d'Antonio Allegri ecc., pag. 38). 2 * Andrea Solari o Solario, milanese, detto Andrea del Gobbo dal fratel suo- Cristoforo, valente scultore e architetto, che aveva questa imperfezione. Il na- scer suo si pone circa il 1458; e la morte dopo il 1508. Il Lomazzo ci dà il Solario come allievo di Gaudenzio Ferrari; ma tale opinione è assolutamente inammissibile, perchè inconciliabili sono gli anni della vita di questi due pittori: e a questo autore, seguitato da tutti gli altri, debbesi la principal parte nella confusione che è tuttavia nelle notizie di questo pittore così importante. La prima memoria che dell'operar del Solario si conosca, è in quella tavola in San Pietro martire di Murano, dove espresse Nostra Donna col Putto, san Giuseppe, san Girolamo e due cherubini : nella quale soscrisse: Andrea mediolanen- sis 1495 f. Questa tavola è stata erroneamente creduta per lungo tempo opera ANTONIO DA CORREGGIO 121 la Assunzione di Nostra Donna, ma imperfetta per la morte che li sopravvenne;1 la quale tavola mostra di Andrea Salai. Il Solario fu chiamato in Francia dal cardinale Giorgio d'Am- boise, che dettegli a fare de' lavori di pittura; comesi ritrae da certi documenti trovati recentemente nel castello di Gaillon. (Mundler, Essai d'ime analyse critique de la Notice des tableaux italiens du Musée National du Louvre, par* Villotr Paris, 1850, a pag. 122). Lo stesso Mundler, oltre a sostenere con buone ragioni artistiche che al Solario debbesi restituire il ritratto di Carlo d'Amboise, nipote del cardinal Giorgio, che nel Museo del Louvre viene attribuito a Leonardo* da Vinci, restituisce pure allo stesso pittore quella Crocifissione, piena di figure r che è nel Museo stesso sotto il nome del Salai, e porta scritto : Andrea medio- lanensis fa. (ciebat) 1503. Altri due quadri del Solario il Museo di Parigi pos- siede. Nell'uno è Salome figlia di Erodiade che riceve la testa di san Giovanni Battista presentatale dal carnefice; nell'altro, una Nostra Donna che porge il seno al fanciullo Gestì, steso sopra un cuscino coperto di drappo verde, posto sopra una tavola di marmo. Nel fondo si vede una vasta campagna. Porta scritto: Andreas de solario fecit. Questa tavola era a Blois nel convento dei Cordi- glieri, e dicevasi la Vergine del guanciale verde. Maria de' Medici per aver questo quadro fece alcune liberalità al convento, e gli dette in cambio una copia di mano del Mosnier. Similmente a Parigi il conte di Pourtalès possiede due qua- dri di questo pittore; nell' uno. de' quali, rappresentante la testa di san Giovanni sopra un piatto d'argento, è segnato il suo nome e l'anno 1507; l'altro, no» firmato, ma certo al pari del primo, è una Madonna col Putto. Il signor George possiede il grande e bel quadro della Salome col carnefice che tiene la testa recisa di san Giovanni Batista, proveniente dalla Galleria d'Orléans. Il Félibien ri- corda un Ecce Homo nel gabinetto del Duca di Liancourt; e il Piganiol de la Force (Descript, hist. de Paris, 1765, tom. Vili, pag.- 185) cita questo stesso quadro à V hotel de la Rochefoucauld. Una Vergine col piccolo san Giovanni è registrata nel Catalogo de' quadri del Principe di Carignano (1742 ), e fu ven- duta 240 lire (Mundler, Essai ecc., pag. 122, 203). In Siena, nello studio dei pittore Francesco Galgani, erano due tavole del Solario. In una, lunga diciotto- soldi e alta altrettanti, è Cristo in mezza figura Che porta la croce. Nell'angoli superiore destro è scritto colla biacca: an. mediolanens. f. 1505. Nell'altra, che è alta un braccio e sei soldi, e larga un braccio e due soldi, è figurato pari- mente Cristo che porta la croce, e dietro a lui quattro soldati. In basso appena si leggono queste lettere: andre : Questa tavola è molto guasta. t Di Andrea Solario ha scritto modernamente Girolamo Luigi Calvi nella seconda parte delle Notizie de' principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano ecc., Milano, Agnelli, 1865. Quanto all'andata del Solario a' servigi del cardinale d'Amboise per ornare il suo castello di Gaillon in Nor- mandia, dall'operetta del Deville Comptes de depenses de la construction du chdteau de Gaillon, si ritrae che il pittore milanese andò a Gaillon nel mese d'agosto del 1507, dove stette due intieri anni e vi dipinse in fresco le pareti della cappella e la tavola dell'altare colla Natività di Cristo. Il castello di Gail- lon fu distrutto nella rivoluzione francese, e gli affreschi del Solari disparvero insieme con altri lavori de' migliori artefici francesi. I quadri posseduti dal Pour- talès andarono venduti in Inghilterra non sono molti anni. 1 *Questa tavola fu terminata da Bernardino Campi, e si conserva tuttavia nell' altare della sagrestia nuova della Certosa suddetta. ANTONIO DA CORREGGIO quanto egli fusse eccellente ed amatore delle fatiche dell' arte. 1 1 *Fra gli allievi del Correggio, i cui nomi possono leggersi nel Lanzi, nel Pungileoni ecc. , annoverar si dee Pomponio Allegri detto Lieto, suo figliuolo, pittore di qualche merito, ma di gran lunga inferiore al padre, dal quale per altro poco poteva apprendere, avendolo lasciato in età di dodici anni. Nacque Pomponio il 3 di settembre 1522, e fu tenuto a battesimo dal prof. G. B. Lom- bardi soprannominato. Sposò Laura Gemignani, dalla quale ebbe molti figliuoli. Nel 1546, 5 febbrajo, convenne coi sacerdoti Niccolò Correggio e Batista Merli, di dipingere tutta la cappella del Corpus Domini nella chiesa di San Quirino di Correggio, per il prezzo di 50 scudi d'oro. Questi affreschi furono un secolo fa coperti di bianco. Nel 1546 gli fu ordinato dalla Comunità di Parma di dipin- gere il quadro sul muro dell1 Incoronata della piazza. Dal 1560 al 1562 dipinse la nicchia della cappella del Duomo di Parma, dove fece Mose sul Sina che ri- ceve da Dio le tavole della legge : lavoro pagatogli ottanta scudi d' oro. Nè questa volta sola fu in Parma adoperato il suo pennello; imperciocché racco- gliesi dai pubblici libri, aver egli nel 1565 dipinto l'arco della torre verso la Piazzola; e nel 1577, trentun cartelli con imprese, motti ed epitaffi per i fu- nerali di Maria di Portogallo moglie d'Alessandro Farnese ; e finalmente nel 1584, il camino della sala, ove si radunavano gli Anziani. Nel 1590 fu eletto con Inno- cenzo Martini a stimare le pitture condotte. da Giovan Batista Tinti nella cupola della chiesa di Santa Maria degli Angeli. Pomponio trovasi ancor vivente nel 1593, e a lavorare col suddetto Martini alcuni quadri da porre in opera nel catafalco del duca Alessandro Farnese. L'anno della sua morte è ignoto. (Affò, Il Par- migiano servitor di piazza, Parma, 1796; Pungileoni, Mera. cit. , I, 26 e seg.; II, 262 e seg.). 123 o r~l o "Sfl 00 o - O ^ - 5^ O <1 P3 PS £ OD O (D^ bc fa ^3 •< a> E* O ci C o ti o u ^ 00 CD ed o ri 5 ^-5b PS o> < cd e fcfiri t O cfiri "Sila t/ì o C3 oO CD a ^ 2 S * g.S o o -sì ~ . (=1.2 O CD QO ? CD ì> S-> e ci oO % p ° o1^ 125 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI ANTONIO DA CORREGGIO 1494. (?) Nasce in Correggio Antonio da Pellegrino Allegri, detto Domano, e da Bernardina Piazzoli, alias Aromani, o Oromani, o Ormani. 1511, 12 gennajo. Leva al fonte battesimale di Correggio un bambino di casa Vigarini, per nome Antonio. 1514, 4 luglio. Lascito di Quirino Zuccardi di una casa al convento di San Francesco di Correggio, perchè sia fatta una tavola da altare per la chiesa suddetta. 1514, 30 agosto. Prende a dipingere una tavola d'altare per la chiesa di San Francesco de' Minori Conventuali di Correggio, pel prezzo di cento ducati.1 1 Stette questa tavola al suo luogo sino al 1638, nel quale anno videsi al- l'improvviso sparire, e sostituirvi una copia. (Tiraboschi, Mem. cit., pag. 41, 42). Essa rappresenta Nostra Donna seduta col Putto in braccio sopra una specie di trono, in mezzo ad una loggetta sostenuta da colonne di ordine jonico. Nel piedistallo del trono è dipinto un bassorilievo con una medaglia nel mezzo ricinta da una ghirlanda di lauro, e sostenuta da due garzoncelli , dentro la quale è Mosè con le tavole della legge. Fanno cerchio al capo della Vergine alcune teste di angeli. Ai lati del trono è san Francesco in atto d'inginocchiarsi, san Giovan Batista, santa Caterina vergine d'Alessandria e sant'Antonio da Pa- dova. Nel vaso, o fonte, che si vede vicino a san Giovanni, leggesi in quattro linee questa iscrizione, la cui autenticità per altro è molto sospetta: antonius de allegris p. (Pungileoni, Mem. cit., I, 40 e seg. ; II, 66-73). Questa tavola passò nella Galleria Estense, poi in quella di Dresda. t II contratto dell' allogazione di questa tavola tra il superiore del con- vento de' Francescani di Correggio da una parte, e Antonius filius Peregrini de Allegris dall'altra in presenza di suo padre che presta il consenso, fu sti- pulato il 30 d'agosto 1514. Il pittore, allora ventenne, s'obbligò di dipingere questo quadro per 100 ducati d'oro. L'anno dopo era finito. 126 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA 1515, 4 aprile. Riceve il prezzo di cento ducati pel quadro dipinto ai frati di San Francesco di Correggio. 1516, 4 ottobre. È patrino di Anastasia Elisabetta di Giannantonio To- vaglioli di Correggio. 1517, 14 luglio. È presente in Correggio alla lettura del testamento di Giovanna da Montecorvino. 1517. Quadro dello Sposalizio di Santa Caterina con san Sebastiano.1 1518, gennajo. È testimone in Correggio ad un rogito che si trova tra gli atti di F. A. Bottoni. 1518, 17 marzo. Tiene al sacro fonte Rosa figliuola di Francesco Bertoni altrimenti Sagari. 1518. La badessa Giovanna di Piacenza gli commette di dipingere una camera del monastero di San Paolo di Parma. 1519, 1° febbrajo. Francesco del q. Niccolò Aromani suo zio materno fa donazione al Correggio di tutti i suoi mobili, dì una casa posta in Borgo Vecchio, e di varie bifolche di terra. 1519, 4 e 15 settembre. È testimone in Correggio a due atti rogati da Francesco Bottoni. 1519, 14 ottobre. Fa quitanza a don Giovanni Guidotto di Roncopò, ar- ciprete d'Albinea, nel contado reggiano, d'ogni suo avere per una tavola per la sua chiesa. 2 1520, (?) Sposa Girolama del fu Bartolommeo Merlini de Braghetis armigero. 1520-1525. Affreschi nella cupola di San Giovanni di Parma de' Monaci Cassinesi, pagatigli, compreso il fregio, gli archi e i piloni, du- cati 472. 1521, 28 aprile. Riceve un poliedro del. prezzo di ducati otto dal mona- stero di San Giovanni di Parma, per. conto di mercede. 1521, sulla fine d'aprile. Torna da Parma a Correggio. 1521, 15 maggio. È ascritto alla fratellanza spirituale della Congregazione Cassinese. 1521, 26 luglio. Dote costituita in ducati 251 in terreni a Girolama Mer- lini di Correggio già sposata all' Allegri, 8 1521, 3 settembre. Gli nasce Pomponio Quirino. . 1 Questo quadro si crede fosse donato dal duca di Modena al conte di Bruni, quando Augusto III re di Sassonia fece acquisto di tutta la Galleria Estense. Si dice che esso sia ora nella Galleria imperiale di Pietroburgo. (Pungilèoni, Mem., cit. v II, 107). 2 Non si sa che soggetto vi fosse dipinto: passò nella Galleria Estense, ma dove oggi si trovi s'ignora. » Il Pungilèoni dice che la Merlini, nata nel 1503, sposò l'Allegri in età di anni sedici : ma non ne adduce prove sufficienti. E DELLE OPERE DEL CORREGGIO 127 1521, 18 settembre. Innanzi al potestà di Correggio dichiara di revocare Francesco degli Affarosi dall'ufficio di suo procuratore nella lite intentata contro Romanello degli Aromani, che gli disputava il pos- sesso dei beni donatigli da Francesco Aromani, e di eleggere a, quell'ufficio il notajo Niccolò Balbi. 1521, 8 novembre. È testimone ad un atto di Niccolò Mazzucchi in Cor- reggio. 1521, 10 dicembre. Sentenza di Sigismondo Angustoni, giudice di Correg- gio, colla quale si rimette l'Allegri nel possesso della casa e dei beni a lui dovuti dall' Aromani. — Ascanio Merli, altro giudice, dichiara nullo il processo, e condanna l'Allegri nelle spese. 1522, 14 ottobre. Si alloga con Alberto Pratonero a dipingere una tavola- colla Natività del Redentore per la cappella Pratoneri in San Pro- spero di Reggio, pel prezzo di lire 208, ossia ducati 47 1/2 d'oro.1 1522, 1° novembre. Si accorda per dipingere il fregio intorno la chiesa di San 'Giovanni di Parma, pel prezzo di ducati d'oro larghi 66. 1522, 3 novembre. S'alloga a dipingere la cupola, la cappella e il coro della Cattedrale di Parma, pel prezzo di mille cento ducati d'oro.2 1523, 20 gennajo. Riceve ducati 6 d' oro dal monastero di San Giovanni. 1523, 26 gennajo. Si trova presente all'atto solenne di divisione tra la- moglie sua e lo zio di lei Giovanni Merlini. 1523, 13 marzo. Riceve dal monastero suddetto ducati 20 d'oro. •1523, 8 giugno. Riceve altri ducati 60. 1523. Tavola con Nostra Donna e il Putto, con san Girolamo che gli pre- senta i suoi scritti, e la Maddalena in atto di baciargli il pie sinistro.8 1 Questa famosa tavola, detta la Notte del Correggio, passò nel 1640 nella Galleria Estense, poi in quella di Dresda, dove tuttavia s'ammira. (Tiraboschi,. Mem. cit., pag. 53, 54; Pungileoni, Mem. cit., II, 180; Fabriani, Lettera so- pra un autografo di Antonio Allegri, Modena, Soliani, 1833, in-8). t II fac-simile della ricevuta fatta dal pittore ad Alberto Pratonero d'una parte della somma pattuita per quest'opera è pubblicato nel n° 135 della Scrit- tura di Artisti Italiani (sec. xiv-xvii) riprodotta con la fotografìa da Carlo Pini e corredata di notizie da Gaetano Milanesi. Firenze, 1876-77, in 4. 2 Sembra per altro che non ponesse mano al lavoro prima del 1526. (Tira- boschi, Mem.. cit., pag. 51, 52; Pungileoni, Mem. cit., II, 182-86). 3 i Nel rovescio del quadro dello Sposalizio di santa Caterina che si con- serva nella. Galleria dell' Ermi tage a Pietroburgo, si leggeva in caratteri gotici : « Laus Deo per dona Mathilda d'Este Antonio Lieto da Corregio fece il presente « quadretto per sua divozione; anno 1517». Molte Gallerie, e fra queste quella di Napoli, possiedono delle ripetizioni di questo quadro; del quale si hanno di- verse-incisioni di differenti tempi, oltre quella del Moitte, della grandezza del quadro, incisa a contorno nella descrizione dell' Ermi tage, tom. I, pag. 30. (Vedi Livret de la Galerie Imperiale de V Ermitage ecc., dell'anno 1838, pag. 31). 128 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA 1524, 4 gennajo. Riceve dal monastero di San Giovanni ducati 25. 1524, 23 gennajo. Riceve ducati 27 per compimento della mercede delle pitture di San Giovanni, convenuta in ducati 272. 1524, 6 dicembre. Gli nasce una figliuola per nome Francesca Letizia.1 1525, febbrajo. Assiste in Correggio come testimone a più atti pubblici. 1525, 18 febbrajo. Fa istanza al Potestà di Correggio per l'esame d'un testimone nella sua causa con gli Aromani. 1525. (?) Dipinge in Modena una tavola per la Confraternita di San Se- bastiano. 2 1525, 26 agosto. È presente in Parma con altri 16 artisti per esaminare la chiesa della Steccata, che aveva fatto qualche movimento cre- duto pericoloso alla stabilita della fabbrica. 8 1526, 24 settembre. Gli nasce un'altra figliuola per nome Caterina Lu- crezia, la quale, a quanto pare, morì in tenera età. 1526, 29 settembre. Da' fabbricieri del Duomo di Parma riceve 76 ducati per compimento del primo quarto della paga, che è di 275 ducati. 1527, 3 ottobre. Gli nasce una terza figliuola, per nome Anna Geria. 1527, ottobre. Si compone nella sua causa con gli Aromani. 1527, 25 dicembre. Muore in Correggio Lorenzo suo zio paterno, pittore anch' egli. 1528. Continua a dipingere la cupola del Duomo di Parma. 1528, 3 sett. Veronica Gambara da. Correggio scrive alla marchesana di Mantova, che l'Allegri ha compito or ora il quadro della Maddalena. 1528. Dipinge per la Confraternita di Santa Maria della Misericordia in Correggio un'ancona con tre figure, il Padre Eterno nel mezzo, e i santi Giovanni Battista e Bartolommeo ai lati. 4 1 Essa fu maritata in Pompeo Brunori. (Tiraboschi, Mem. cit., pag. 30). 2 II quadro rappresenta la Beata Vergine col Bambino, in alto; in basso, san Geminiano, san Rocco, san Sebastiano. Passò nella Galleria Estense; ora è in quella di Dresda. (Gherardi, Descrizione ms. ; Pungileoni, II, 193, 194). 8 t II documento che riguarda questo fatto, cavato dall'Archivio dell'antica Compagnia della B. V. della Steccata di Parma fu pubblicato dal cav. Quirino Bigi di Correggio nel suo Discorso sopra Antonio Allegri, stampato in Parma dal Carmignani, 1860. 4 t Queste tre figure furono poi comprate per 300 ducatoni di Spagna dal principe Siro di Correggio, il quale spogliato del principato, ed avendo patito molte traversie ed in ultimo l'esilio, le volle porre in salvo, pregando i principi di Novellara a riceverli e custodirli nel loro palazzo. Di questi quadri, dopo varie vicende, quello del Padre Eterno fin dal 1832 fa parte della Pinacoteca Vaticana, l'altro del San Giovanni passò in ultimo nel possesso della famiglia Bianconi di Bologna. Vedi nella serie 2a, pag. 183 delle Memorie delle Belle Arti ecc. pub- blicate da M. Gualandi, la illustrazione Intorno una pittura del Correggio rap- presentante San Giovanni esistente in Bologna. E DELLE OPERE DEL CORREGGIO 129 1530, 19 giugno. La data di quest' anno è scolpita nella cornice del quadro della Madonna della Scodella. 1 1530. (?) Lavora pel Duca di Mantova. 1530, 17 novembre. Riceve 175 ducati dai fabbricieri del Duomo per se- conda rata della pattuita mercede. 1530, 29 novembre. Compra un podere, per 195 scudi e 10 soldi, da Lu- crezia Pusterla di Mantova, vedova di Giovanni Cattania da Cor- reggio. 1531, febbrajo. Si trova di nuovo in Parma. 1533, 7 e 15 gennajo. È testimone in Correggio ad alcuni atti di Alfonso Bottoni e di Alfonso Guzzoni, notari. 1533, 8 settembre. Compra alcune bifolche di terra in Correggio. 1534, 24 gennajo. E testimone all' istru mento dotale di 20 mila scudi d'oro di Chiara da Correggio e d'Ippolito Gambara. 1534, 5 marzo. Muore in Correggio, ed è sepolto il dì 6 di marzo nella chiesa de' Francescani. 2 1534, 15 giugno. Paolo Burani, fattore del magnifico dottore Alberto Panciroli di Reggio, riceve scudi 25 d'oro da Pellegrino Allegri in restituzione di altrettanti già dati dal Panciroli ad Antonio Allegri figlio del sopraddetto per dipingergli un' ancona per un altare in Sant'Agostino, non potutasi eseguire da esso, perchè sorpreso dalla morte poco dopo aver ricevuto il denaro. 1542, 1° marzo. Muore Pellegrino padre d'Antonio Allegri. 1545. Muore Bernardina madre di Antonio Allegri. 1 Opera dell'Allegri, già nella chiesa di San Sepolcro dei canonici Late- ranensi, ora nella R, Galleria di Parma. (Tiraboschi, Mem. cit., pag. , 57-59; e Pungileoni, II, 198). È detta la Madonna della Scodella, perchè la Vergine tiene in mano una scodella e la porge al bambino, mentre san Giuseppe gli offre alcuni datteri staccati da una vicina pianta, ed un angelo sta legando ad un tronco l'asinelio. Il Pungileoni congettura che questo quadro fosse dipinto circa il 1527 o 1528. 2 Quantunque si possa ragionevolmente credere che sia morto il 5, nondi- meno il Necrologio non nota che il dì della sepoltura, cioè il 6. Vasar-, Opere — Vo!. IV. 131 PIEKO DI COSIMO PITTOR FIORENTINO (Nato nel 1462; morto nel 1521 ) Mentre che1 Giorgione ed il Correggio con grande loro loda e gloria onoravano le parti di Lombardia, non mancava la Toscana ancor ella di belli ingegni, fra' quali non fu de' minimi Piero figliuolo d'un Lorenzo orafo,2 1 « Chi pensasse a' pericoli de' virtuosi, et agli incomodi che e' sopportano nella vita, si starebbe per avventura assai bene lontano da la virtù; considerando massimamente, che se bene ella fa di bellissimi ingegni, ella ne fa ancora de' tanto astratti et difformi da gli altri, che fuggendo la pratica de gli huomini cercano solamente la solitudine. Il che faccendo a comodo loro,, incorrono in maggiore incomodo de la vita; et lasciandosi manomettere da la nebbia de la dappocag- gine, mostrano a' popoli fare ciò che e' fanno, per lo amore che e' portano alla filosofia, anzi più tosto furfanteria, che tale è veramente questa loro. Et certa- mente non è che il bene et il buono non li piaccia, et che avendone non l'usas- sero; ma faccendo de la necessità virtù, non vogliono che altri vada ne le stanze loro, per non vedere le loro meschinità, ricoperte da bizzarria o da altro spirito filosofico. Et hanno questi il core tanto amaro nel .vedere l' azioni d' altri studiosi et eccellenti, considerando il monte d'altri esser maggior del loro, che sotto spezie di dolcezza danno morsi terribili, i quali le più volte tornano in danno loro; sì come la stessa vita fantastica gli conduce a fini miserabili ; come aper- tamente potè vedersi in tutte le azioni di Piero di Cosimo. Il quale a la virtù che egli ebbe, se fusse stato più domestico et amorevole verso gli amici, il fine de la sua vecchiezza non sarebbe stato meschino; et le fatiche durate da lui ne la giovanezza gli sarebbono state alimento fino a la morte: dove non facendo servigio ad alcuno, non potè essere mentre che visse aiutato da nessuno ». Così la prima edizione. 2 t Piero di Lorenzo di Piero d'Antonio succhiellinajo nacque nel 1462, come apparisce dalla portata di suo padre al Catasto del 1480. In essa egli dice che « Piero suo figliolo istà al dipintore e non à salaro (salario). Riparasi in bo- tega di Cosimo {Rosselli) a S. Maria in Campo». Piero allora aveva 18 anni. Il Vasari dice che morisse ottuagenario nel 1521 , ma in quest' anno Piero aveva l'età di 59 anni. 132 PIERO DI COSIMO ed allievo di Cosimo Rosselli, e però chiamato sempre e non altrimenti inteso che per Piero di Cosimo : poiché in vero non meno si ha obligo e si debbe riputare per vero padre quel che c'insegna la virtù e ci dà il bene essere, che quello che ci genera e dà l1 essere semplice- mente. Questi dal padre, che vedeva nel figliuolo vivace ingegno ed inclinazione al disegno, fu dato in cura a Cosimo, che lo prese più che volentieri: e fra molti di- scepoli eh1 egli aveva, vedendolo crescere con gli anni e con la virtù, gli portò amore come a figliuolo, e per tale lo tenne sempre. Aveva questo giovane da natura uno spirito molto elevato, ed era molto stratto e vario di fantasia dagli altri giovani che stavono con Cosimo per imparare la medesima arte. Costui era qualche volta tanto intento a quello che faceva, che ragionando di qualche cosa, come suole avvenire, nel fine del ragiona- mento bisognava rifarsi da capo a raccontargniene , es- sendo ito col cervello ad un'altra sua fantasia. Ed era similmente tanto amico della solitudine, che non aveva piacere se non quando pensoso da se solo poteva andar- sene fantasticando e fare suoi castelli in aria. Onde aveva cagione di volergli ben grande Cosimo suo maestro, per- chè se ne serviva talmente nell'opere sue, che spesso spesso gli faceva condurre molte cose che orano d'im- portanza, conoscendo che Piero aveva e più bella ma- niera e miglior giudizio di lui. Per questo lo menò egli seco a Roma, quando vi fu chiamato da papa Sisto per far le storie della cappella, in una delle quali Piero fece un paese bellissimo, come si disse nella Vita di Cosimo.1 E perchè egli ritraeva di naturale molto eccellentemente, fece in Roma dimolti ritratti di persone segnalate, e particularmente quello di Verginio Orsino e di Ruberto Sanseverino, i quali misse in quelle istorie. Ritrasse an- 1 Vedi pag. 187-88 del tom. III. PIERO DI COSIMO 133 cora poi il duca Valentino, figliuolo di papa Alessandro VI: la qual pittura oggi, che io sappia, non si trova; ma bene il cartone di sua mano, ed e appresso al reverendo e virtuoso messer Cosimo Bartoli proposto di San Gio- vanni.1 Fece in Fiorenza molti quadri a più cittadini, sparsi per le lor case, che ne ho visti de' molto buoni; e così diverse cose a molte altre persone.2 È nel novi- ziato di San Marco, in un quadro, una Nostra Donna ritta col Figliuolo in collo, colorita a olio:3 e nella chiesa di Santo Spirito di Fiorenza lavorò alla cappella di Gino Capponi una tavola, che vi è dentro una Visitazione di Nostra Donna con San Nicolò e un Sant'Antonio che legge con un par d'occhiali al naso, che è molto pronto. Quivi contrafece uno libro di cartapecora un po' vecchio, che par vero; e così certe palle a quel San Niccolò, con certi lustri, ribattendo i barlumi e riflessi l'una nell'al- tra, che si conosceva infine allora la stranezza del suo cervello, ed il cercare che e' faceva delle cose difficili.* E bene lo dimostrò meglio dopo la morte di Cosimo, che egli del continuo stava rinchiuso, e non si lasciava veder lavorare, e teneva una vita da uomo piuttosto bestiale che umano. Non voleva che le stanze si spaz- zassimo; voleva mangiare allora che la fame veniva; e non voleva che si zappasse o potasse i frutti dell'orto, anzi lasciava crescere le viti e andare i tralci per terra; ed i fichi non si potavono mai ne gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa, come la sua na- 1 Di questo cartone non si sa che sia avvenuto. 2 * Piero nel 25 di gennajo del 1504 fu uno de' maestri chiamati a consi- gliare sulla collocazione da darsi al David di Michelangelo. (Vedi Gaye, Car- teggio, ecc., II, '455 ). 3 È smarrito. 4 Questa tavola fin dai giorni del Bottari non era più in detta chiesa, per- chè era stata trasferita nella cappella privata della villa Capponi a Legnaja. — *A1 presente sono padroni di questa villa i signori Benucci. Ma prima che pas- sasse in loro proprietà era stata spogliata di tutti gli oggetti d'arte che v'erano: onde oggi non sappiamo qual sorte abbia avuta questa tavola di Pier di Cosimo. 134 PIERO DI COSIMO tura; allegando che le cose d'essa natura bisogna lassarle custodire a lei, senza farvi altro. Eecavasi spesso a ve- dere o animali o erbe o qualche cosa che la natura fa' per istranezza ed a caso dimolte volte, e ne aveva un contento e una satisfazione che lo furava tutto a se stesso, e replicavalo ne1 suoi ragionamenti tante volte, che ve- niva talvolta, ancor che e1 se n'avesse piacere, a fastidio. Fermavasi talora a considerare un muro, dove lunga- mente russe stato sputato da persone malate, e ne ca- vava le battaglie de' cavagli e le più fantastiche città e più gran paesi che si vedesse mai: simil faceva de1 nuvoli dell' aria. Diede opera al colorire a olio, avendo visto certe cose di Lionardo fumeggiate e finite con quella diligenza estre- ' ma, che soleva Lionardo quando e' voleva mostrar l' arte ; e così Piero, piacendoli quel modo, cercava imitarlo, quantunque egli fusse poi molto lontano da Lionardo, e dall'altre maniere assai stravagante, perchè bene si può dire che e' la mutasse quasi a ciò eh' e' faceva.1 E se Piero non fusse stato tanto astratto, e avesse tenuto più conto di se nella vita, che egli non fece, arebbe fatto conoscere il grande ingegno che egli aveva, di maniera che sarebbe stato adorato; dove egli per la bestialità sua fu piuttosto tenuto pazzo, ancora che egli non facesse male se non a se solo nella fine, e benefizio ed utile con le opere all' arte sua. Per la qual cosa doverebbe sempre ogni buono ingegno ed ogni eccellente artefice, ammae- strato da questi esempli, ayer gli occhi alla fine. We la- sciarò di dire che Piero nella sua gioventù, per essere capriccioso e di stravagante invenzione, fu molto ado- perato nelle mascherate che si fanno per carnovale, e fu a que' nobili giovani fiorentini molto grato, avendogli lui molto migliorato e d'invenzione e d'ornamento e di 1 Questa varietà di maniere rende difficile il riconoscere le opere sue me- diante i confronti. PIERO DI COSIMO 135 grandezze e pompa quella sorte di passatempi. E si dice che fu de1 primi che trovasse di mandargli fuora a guisa di trionfi, o almeno gli migliorò assai con accomodare l'invenzione della storia non solo con musiche e parole a proposito del subietto, ma con incredibil pompa d'ac- compagnatura di uomini a pie ed a cavallo, di abiti ed abigliamenti accomodati alla storia: cosa che riusciva molto ricca e bella, ed aveva insieme del grande e dello ingegnioso. E certo era cosa molto bella a vedere, di notte, venticinque o trenta coppie di cavalli ricchissima- mente abigliati, co'lor signori travestiti secondo il sug- getto della invenzione; sei o otto staffieri per uno, ve- stiti d'una livrea medesima, con le torcie in mano, che talvolta passavano il numero di quattrocento; e il carro poi o trionfo pieno di ornamenti o di spoglie, e bizzar- rissime fantasie: cosa che fa assottigliare gli ingegni, e dà gran piacere e satisfazione a' popoli. Fra questi, che assai furono ed ingegniosi, mi piace toccare brevemente d'uno che fu principale invenzione di Piero già maturo d'anni, e non come molti piacevole per la sua vaghezza, ma, per il contrario, per una strana e orribile ed inaspettata invenzione di non piccola sati- sfazione a' popoli; che come ne' cibi talvolta le cose agre, così in quelli passatempi le cose orribili, purché sieno fatte con giudizio ed arte, dilettano maravigliosamente il gusto umano: cosa che apparisce nel recitare le tra- gedie. Questo fu il carro della Morte, da lui segretissi- mamente lavorato alla sala del Papa,1 che mai se ne potette spiare cosa alcuna, ma fu veduto e saputo in un medesimo punto. 2 Era il trionfo un carro grandissimo tirato da bufoli, tutto nero e dipinto d'ossa di morti e 1 *Così si chiama una sala che è nel convento di Santa Maria Novella, fatta nel 1418 per ricevere papa Martino V, quando stette in Firenze, e poi altri papi. 2 Da quello che più sotto dice il Vasari intorno all'allusione di questa ma- scherata, si congettura che fosse fatta nel carnovale del 1511. 136 PIERO DI COSIMO di croce bianche; e sopra il carro era una Morte gran- dissima in cima, con la falcie in mano; ed aveva in giro al carro molti sepolcri col coperchio: ed in tutti que1 luo- ghi che il trionfo si fermava a cantare, s'aprivano e uscivano alcuni vestiti di tela nera, sopra la quale erano dipinte tutte le ossature di morto nelle braccia, petto, rene e gambe, che il bianco sopra quel nero, ed appa- rendo di lontano alcune di quelle torcie con maschere che pigliavano col teschio di morto il dinanzi e '1 diruto e parimente la gola, oltra al parere cosa naturalissima, era orribile e spaventosa a vedere; e questi morti, al suono di certe trombe sorde e con suon roco e morto, uscivano mezzi di que' sepolcri, e sedendovi sopra, can- tavano in musica piena di malenconia quella oggi nobi- lissima canzone: Dolor, pianto e penitenzia, ec. Era innanzi e adrieto al carro gran numero di morti a cavallo sopra certi cavagli con somma diligenzia scelti de' più secchi e più strutti che si potessin trovare, con covertine nere piene di croci bianche; e ciascuno aveva quattro staffieri vestiti da morti con torcie nere, ed una stendardo grande nero, con croci ed ossa e teste di morto. Appresso al trionfo si strassinava dieci stendardi neri; e mentre camminavano, con voce tremanti ed unite diceva quella compagnia il Miserere, salmo di Davit. Questo duro spettacolo, per la novità, come ho detto,, e terribilità sua, misse terrore e maraviglia insieme in tutta quella città; e sebbene non parve nella prima giunta cosa da carnovale, nondimeno per una certa novità, e per essere accomodato tutto benissimo, satisfece agli animi di tutti; e Piero, autore ed inventore di tal cosa, ne fu sommamente lodato e commendato, e fu cagione che poi di mano in mano si seguitassi di fare cose spi- ritose e d'ingegnosa invenzione; che in vero per tali PIERO DI COSIMO 137 suggetti e per condurre simil feste non ha avuto questa città mai paragone; ed ancora in que' vecchi che lo vi- dero ne rimane viva memoria, ne si saziano di celebrar questa capricciosa invenzione. Senti' dire io a Andrea di Cosimo,1 che fu con lui a fare questa opera, ed Andrea del Sarto, che fu suo discepolo e vi si trovò anche egli, che e' fu opinione in quel tempo, che questa invenzione fussi fatta per significare la tornata della Casa de' Me- dici, del dodici in Firenze; perchè allora che questo trionfo si fecie erano esuli, e come dire morti, che dovessino in breve resuscitare; ed a questo fine interpretavano quelle parole che sono nella canzone: Morti siam, come vedete; Così morti veclren voi:. Fummo già come voi siete; Vo' sarete come noi, ec, volendo accennare la ritornata ioro in casa, e quasi come una resurrezione da morte a vita, e la cacciata ed abas- samento de'contrarj loro: oppure che fusse, che molti dallo effetto che seguì della tornata in Firenze di quella illustrissima Casa, come son vaghi gli ingegni umani di applicare le parole e ogni atto che nascie prima, agli effetti che seguon poi, che gli fu dato questa interpre- tazione. Certo è che questo fu allora oppinione di molti, e se ne parlò assai. Ma ritornando all'arte ed azioni di Piero, fu allogato a Piero una tavola alla cappella de1 Tedaldi nella chiesa de' Frati de' Servi, dove eglino tengono la veste ed il guanciale di San Filippo2 lor frate; nella quale fìnse la Nostra Donna ritta, che è rilevata da terra in un dado, e con un libro in mano, senza il Figliuolo, che alza la testa al cielo, e sopra quella è lo Spirito Santo che la 1 *Feltrini. Di lui si legge la Vita più innanzi, insieme con quella del Morto da Feltre. 2 'Benizi. 138 PIERO DI COSIMO illumina. Ne ha voluto che altro lume che quello che fa la colomba lumeggi e lei e le figure che le sono in- torno, come una Santa Margherita ed una Santa Cate- rina che la adorano ginocchioni ; e ritti son a guardarla San Pietro e San Giovanni Evangelista, insieme con San Filippo frate de1 Servi e Sant'Antonino arcivescovo di Firenze; oltra che vi fece un paese bizzarro e per gli alberi strani e per alcune grotte. E per il vero, ci sono parti bellissime; come certe teste che mostrano e disegno e grazia, oltra il colorito molto contino vato: e certa- mente che Piero possedeva grandemente il colorire a olio. Fecevi la predella con alcune storiette piccole, molto ben fatte; ed in fra l'altre ve n'è una quando Santa Margherita . esce del ventre del serpente, che per aver fatto quello animale e contraffatto e brutto, non penso che in quel genere si possa veder meglio, mostrando il veleno per gli occhi, il fuoco e la morte in uno aspetto veramente pauroso. 1 E certamente che simil cose non credo che nessuno le facesse meglio di lui, nè le ima- ginasse a gran pezzo; come ne può render testimonio un mostro marino che egli fece e donò al magnifico Giu- liano de1 Medici,2 che per la deformità sua è tanto stra- vagante, bizzarro e fantastico, che pare impossibile che la natura usasse e tanta deformità e tanta stranezza nelle cose sue. Questo mostro è oggi nella guardaroba del duca Cosimo de1 Medici; così come è anco, pur di mano di Piero, un libro d'animali della medesima sorte, bellissimi e bizzarri, tratteggiati di penna diligentissi- mamente, e con una pazienza inestimabile condotti; il quale libro gli fu donato da messer Cosimo Bartoli pro- posto di San Giovanni, mio amicissimo e di tutti i nostri 1 La tavola qui descritta venne in potere del cardinale Leopoldo de1 Medici; ed ora si conserva nella R. Galleria di Firenze, nella sala maggiore della Scuola Toscana. Ma della predella non sappiamo il destino. 2 *I1 duca di Nemours. PIERO DI COSIMO 139 artefici, come quello che sempre si è dilettato ed ancora si diletta di tale mestiero.1 Fece parimente in casa di Francesco del Pugliese intorno a una camera diverse storie di figure piccole; ne si può esprimere la diversità delle cose fantastiche che egli in tutte quelle si dilettò dipignere, e di casamenti e d'animali e di abiti e stru- menti diversi, ed altre fantasie, che gli sovvennono per essere storie di favole. Queste istorie, doppo la morte di Francesco del Pugliese e de' figliuoli, sono state le- vate, ne so ove sieno capitate. E così un quadro di Marte e Venere con i suoi amori e Vulcano, fatto con una grande arte e con una pazienza incredibile. Dipinse Piero per Filippo Strozzi vecchio un quadro di figure piccole, quando Perseo libera Andromeda dal mostro; che v'è dentro certe cose bellissime: il qual è oggi in casa il signor Sforza Almeni, primo cameriere del duca Cosimo, donatogli da messer Giovanni Batista di Lorenzo Strozzi, conoscendo quanto quel signore si diletti della pittura e scoltura; e egli ne tien conto grande, perchè non fecie mai Piero là più vaga pittura ne la . meglio finita di questa, atteso che non è possibile veder la più bizzarra orca marina ne la più capricciosa di quella che si im- maginò di dipignere Piero, con la più fiera attitudine di. Perseo che in aria la percuote con la spada. Quivi fra '1 timore e la speranza si vede legata Andromeda, di volto bellissima; e qua innanzi molte genti con diversi abiti strani sonando e cantando, ove sono certe teste che ri- dano e si rallegrano di vedere liberata Andromeda, che sono divine. Il paese è bellissimo, e d'un colorito dolce e grazioso; e quanto si può unire e sfumare colori, con- dusse questa opera con estrema diligenzia.2 1 Nè del mostro, nè del libro d'animali possiamo dar contezza. 2 E presentemente sta nella detta R. Galleria, nella sala minore della Scuola Toscana. Nel corridore della stessa Galleria si veggono, del medesimo autore altre tre storie, che forse son quelle appartenute a Francesco del Pugliese e 140 PIERO DI COSIMO Dipinse ancora nn quadro, dov' è una Venere ignuda con un Marte parimente, che spogliato nudo dorme so- pra un prato pien di fiori; ed attorno son diversi amori, che chi in qua chi in là traportano la celata, i bracciali e l'altre arme di Marte. Evvi un bosco di mirto, ed un Cupido che ha paura d'un coniglio: così vi sono le co- lombe di Tenere e V altre cose di amore. Questo quadro è in Fiorenza in casa Giorgio Vasari, tenuto in memoria sua da lui, perchè sempre gli piacquer i capricci di questo maestro.1 Era molto amico di Piero lo spedalingo de- gl'Innocenti; e volendo far fare una tavola che andava all'entrata di chiesa a man manca, alla cappella del Pugliese, la allogò a Piero, il qual con suo agio la con- dusse al fine: ma prima fece disperare lo spedalingo, che non ci fu mai ordine che la vedesse se non finita; e quanto ciò gli paresse strano e per l'amicizia e per il sovvenirlo tutto il dì di danari, e non vedere quel che citato poco sopra dal Vasari. Rappresentano : 1. il Sacrifizio a Giove per la libe- razione d'Andromeda; 2. la Liberazione di lei, composizione in parte somigliante all' altro quadro dello stesso soggetto; 3. le Nozze di Perseo disturbate da Fineo. — *A carte 30 dell'Inventario deìla R. Galleria, del 1589, è detto che il quadro d'Andromeda liberata da Perseo fu disegnato da Leonardo da Vinci, e da Pier di Cosimo colorito solamente: e ciò è ripetuto anche nei vecchi cataloghi successivi. 1 *Fu detto che questo quadro pervenisse colla eredità Gaddi in casa Nerli di Borgo San Niccolò; ma oggi sarebbe vana ogni ricerca in quel palazzo, dopo che esso, insieme cogli oggetti d'arte che v'erano, passò in proprietà di più e diverse famiglie. Se non che nella Pinacoteca di Berlino va sotto il nome di Pier di Cosimo una tavola a tempera con questo stesso soggetto, che potreb- besi credere il quadro qui descritto. Vedesi a destra Venere che riposa dinanzi a un cespuglio di mirto. Amore che si tiene attaccato alla madre, e presso il quale sta seduto un coniglio, addita Marte dormiente dall'altro lato. Ai pie' di Venere, due colombe che si baciano. Il fondo è un ridente paese, nel quale son cinque Amorini che scherzano colle armi di Marte. — Tavola alta 2 piedi e 3 pol- lici e 1/2; larga 5 piedi, 9 pollici e 4/2. — Evvi ancora, sotto il nome del pittore medesimo, un altro quadro rappresentante Ercole al bivio tra la Virtù e il Vizio : a destra, il tempio della Virtù sopra un'altura scoscesa, e viandanti che cercano di ascendervi; a sinistra, un cavaliere sopra un cavallo con una fanciulla in groppa, alla quale un giovane presenta un falcone; altri cavalieri, i quali precipitano in voragini e vortici di fuoco. Tavola a tempera, alta 2 piedi e 3 pollici e larga 6 piedi e 2 pollici. — t Evvi ancora un altro quadro coli' incontro di Gesù e di San Giovan Battista, fanciulli. PIERO DI COSIMO 141 si faceva, egli stesso lo dimostrò, che ali1 ultima paga non gliele voleva dare se non vedeva V opera : ma minac- ciato da Piero che guasterebbe quel che aveva fatto, fa forzato dargli il resto, e con maggior collera che prima, aver pazienza che la mettesse su. E in questa sono veramente assai cose buone.1 Prese a fare per una cappella una tavola nella chiesa di San Piero Grattolini, e vi fece una Nostra Donna a sedere, con quattro figure intorno, e due Angeli in aria che la incoronano: opera condotta con tanta diligenzia, che n'acquistò lode ed onore: la quale oggi si vede in San Friano, sendo rovi- nata quella chiesa.2 Fece una tavoletta della Concezione nel tramezzo della chiesa di San Francesco da Fiesole; la quale e assai buona cosetta, sendo le figure non molto grandi.3 Lavorò per Giovan Vespucci, che stava dirim- petto a San Michele della via de1 Servi, oggi di Pier Sal- viati, alcune storie baccanarie che sono intorno a una camera; nelle quali fece sì strani fauni, satiri e silvani, e putti e baccanti, che è una maraviglia a vedere la di- versità de' zaini e delle vesti, e la varietà delle cere ca- prine, con una grazia ed imitazione verissima. Evvi in 1 * Questa tavola, che per la sicurezza del disegno, per la pratica del co- lorito, e per l'aria di alcune teste, è opera assai ragguardevole, non è più in chiesa, ma si custodisce con altri quadri in una stanza dello Spedale degli In- nocenti. Rappresenta Nostra Donna seduta in trono, col Divin Putto nudo sulle sue ginocchia, il quale ha nella destra una rosa e nella sinistra un anello. Di- nanzi al trono è, a destra, santa Rosa di Viterbo inginocchiata che porge una rosa al Divino Infante; a sinistra, santa Caterina regina d'Alessandria, parimente in ginocchione colla sinistra protesa, in atto di ricevere l'anello dal Bambino Gesù. I santi Pietro e Giovanni Evangelista stanno più indietro; e più. presso ai lati del trono si vedono in adorazione tre graziosi angioletti per parte, coro- nati di fiori. Sopra l'arco del seggio due angioletti nudi attengonsi a due cande- labri accesi, ed aprono la cortina. Il fondo è un paese montuoso con casamenti. Se ne vede un mediocre intaglio nella tav. xxxvn dell' Etruria Pittrice. 2 La chiesa di San Pier Gattolino fu demolita per l' assedio del 1529. La tavola posta in San Frediano è smarrita. 3 * La tavoletta colla Concezione non si vede più ; invece è nel coro addos- sata all' aitar maggiore una tavola colla Incoronazione di Nostra Donna in mezzo a sei santi inginocchioni , attribuita a Piero di Cosimo. (Vedi Bandini, Lettere desolane, pag. 211). 142 PIERO DI COSIMO una storia Sileno a cavallo su uno asino con molti fan- ciulli, chi lo regge e chi gli dà bere; e si vede una letizia al vivo, fatta con grande ingegno.1 E, nel vero, si conosce in quel che si vede di suo uno spirito molto vario ed astratto dagli altri, e con certa sottilità nello investigare certe sottigliezze della natura che penetrano, senza guardare a tempo o fatiche, solo per suo diletto e per il piacere dell1 arte. E non poteva già essere altrimenti, perchè, innamorato di lei, non cu- rava de1 suoi comodi, e si riduceva a mangiar continua- mente ova sode, che, per rispiarmare il fuoco, le coceva quando faceva bollir la colla; e non sei o otto per volta, ma una cinquantina; e tenendole in una sporta, le con- sumava a poco a poco : nella quale vita così str attamente godeva, che l'altre, appetto alla sua, gli parevano ser- vitù. Aveva a noia il piagner de' putti, il tossir degli uomini, il suono delle campane, il cantar de1 frati: e quando diluviava il cielo d'acqua, aveva piacere di veder rovinarla a piombo da' tetti e stritolarsi per terra. Aveva paura grandissima delle saette, e quando e' tonava straor- dinariamente, si inviluppava nel mantello, e serrato le finestre e l'uscio della camera, si recava in un cantone fin che passasse la furia. Nel suo ragionamento, era tanto diverso e vario, che qualche volta diceva sì belle cose, che faceva crepar dalle risa altrui. Ma per la vecchiezza, vicino già ad anni ottanta,2 era fatto sì strano e fanta- stico, che non si poteva più seco. Non voleva che i gar- zoni gli stessino intorno, di maniera, che ogni aiuto per la sua bestialità gli era venuto meno. Venivagli voglia di * * Non sappiamo il destino di queste pitture. Due fregi in tavola di Pier di Cosimo, con fauni, satiri, putti e ninfe, comprò il negoziante Freppa in Firenze. — t Le pitture poi che noi crediamo essere state in muro, e non in tavola, si perderono quando il march. Lodovico Incontri fabbricò sulle case de' Vespucci il suo palazzo. La Galleria Nazionale di Londra possiede di lui una tavola a tempera con la Morte di Procri. Faceva parte della raccolta Lombardi di Firenze. 2 t Circa all'età in cui Piero morì, vedi la nota 2 a pag. 120. PIERO DI COSIMO 143 lavorare, e per il parletico non poteva, ed entrava in tanta collera, che voleva sgarare le mani che stessino ferme; e mentre che e' borbottava , o gli cadeva la mazza da poggiare, o veramente i pennelli, che era una com- passione. Adiravasi con le mosche, e gli dava noja infino a l'ombra. E così ammalatosi di vecchiaja, e visitato pure da qualche amico, era pregato che dovesse acconciarsi con Dio: ma non li pareva avere a morire, e tratteneva altrui d'oggi in domane; non che e1 non russi buono e non avessi fede; chè era zelantissimo, ancora che nella vita fusse bestiale. Ragionava qualche volta de1 tormenti che per i mali fanno distruggere i corpi, e quanto stento patisce chi consumando gli spiriti a poco a poco si muore: ir che e una gran miseria. Diceva male de' medici, degli speziali e di coloro che guardano gli ammalati e che gli fanno morire di fame; oltra i tormenti degli sciloppi, medicine, cristieri, e altri martori, come il non essere lasciato dormire quando tu hai sonno, il fare testamento f il veder piagnere i parenti, e lo stare in camera al buio: e lodava la giustizia, che era così bella cosa l'andare alla morte, e che si vedeva tant'aria e tanto popolo, che tu eri confortato con i confetti e con le buone pa- role; avevi il prete ed il popolo che pregava per te, e che andavi con gli Angeli in paradiso; che aveva una gran sorte chi n'usciva a un tratto. E faceva discorsi e tirava le cose a' più strani sensi che si potesse udire. Laonde per sì strane sue fantasie vivendo stranamente, si condusse a tale , che una mattina fu trovato morto appiè d'una scala, l'anno 1521; ed in San Pier Mag- giore gli fu dato sepoltura.1 1 Nella prima edizione leggesi: « Nè è mancato poi chi per le sue azioni gli abbi fatto memoria di epitaffi, che metto solamente questo : PIERO DI COSIMO PITTOR F. S' io strano , et strane fur le mie figure ; Diedi in tale stranezza et grazia et arte ; Et chi strana il disegno a parte a parte , Dà moto, forza, et spirto alle pitture ». 144 PIERO DI COSIMO Molti furono i discepoli di costui , e fra gli altri An- drea del Sarto, che valse per molti. Il suo ritratto s'è avuto da Francesco da San Gallo, che lo fece mentre Piero era vecchio, come molto suo amico e domestico: il qual Francesco ancora ha di mano di Piero (che non la debbo passare) una testa bellissima di Cleopatra con uno aspido avvolto al collo, e dua ritratti, l'uno di Giu- liano suo padre, l'altro di Francesco Giamberti suo avolo, che paion vivi.1 1 t II signor Gustavo Frizzoni in un suo scritto intitolato L'arte italiana nella Galleria Nazionale di Londra, stampato ne\V Archivio Storico Italiano, dispensa V, 1879, ha scoperto che i due ritratti de'Sangallo sono «ora nella Galleria dell'Aja in Olanda, e che la testa della Cleopatra -faceva parte della Raccolta del signor Federigo Reizet già direttore del Museo del Louvre ed oggi è posseduta dal Duca d'Aumale. Il signor Frizzoni non dubita di assegnarla a Pier di Cosimo, benché nel Catalogo di quella Raccolta sia attribuita ad Antonio del Pollajuolo, e di più crede che essa non rappresenti la fiera regina d'Egitto, la quale avrebbe dovuto avere in mano l'aspide in atto di accostarselo al seno; ma suppone invece che sia il ritratto della Simonetta Vespucci, alla quale il pit- tore per capriccio ha posto attorno al collo quell'animale. E che in quella testa sia raffigurata la Simonetta è anche detto nella iscrizione sottoposta. Rispetto poi al ritratto di Giuliano da Sangallo, per lui è cosa certa che è lo stesso, da cui il Vasari cavò quello che diede inciso, ma a rovescio, nella Vita di Giuliano. 145 BRAMANTE DA URBINO ARCHITETTORE (Nato nel 1444; morto nel 1514) Di grandissimo giovamento ali1 architettura fu vera- mente il moderno operare di Filippo Brunelleschi, avendo egli contrafatto e dopo molte età rimesse in luce V opere egregie de' più dotti e maravigliosi antichi. Ma non fu manco utile al secolo nostro Bramante, acciò, seguitando le vestigie di Filippo, facesse agli altri dopo lui strada sicura nella professione dell'architettura, essendo egli di animo, valore, ingegno e scienza in quella arte non solamente teorico, ma pratico ed esercitato sommamente.1 Ne" poteva la natura formare uno ingegno più spedito, che esercitasse e mettesse in opera le cose dell' arte con maggiore invenzione e misura e con tanto fondamento, quanto costui. Ma non meno punto di tutto questo fu necessario il creare in quel tempo Giulio II, pontefice animoso , e di lasciar memorie desiderosissimo ; e fu ven- tura nostra e sua il trovare un tal principe (il che agl'in- gegni grandi avviene rare volte), alle spese del quale e' potesse mostrare il valore dello ingegno suo e quelle 1 *ìl Brunelleschi e l'Alberti introdussero neir architettura lo stile romano: potrebbesi dire che Bramante lo raffermasse, accomodandolo con buon gusto e solidità ai bisogni della età moderna. Visabi. Ooere. — Voi. IV. 10 146 BRAMANTE DA URBINO arteficiose difficultà che nell'architettura mostrò Bra- mante; la virtù del quale si estese tanto negli edificj da lui fabricati, che le modanature delle cornici, i fusi delle colonne, la grazia de1 capitegli, le base, le men- sole, ed i cantoni, le volte, le scale, i risalti, ed ogni ordine d'architettura tirato per consiglio o modello di questo artefice, riuscì sempre maraviglioso a chiunque lo vide : laonde queir obligo eterno che hanno gì' ingegni che studiano sopra i sudori antichi, mi pare che ancora lo debbano avere alle fatiche di Bramante. Perchè, se pure i Greci furono inventori della architettura, e i Ro- mani imitatori, Bramante non solo imitandogli con in- venzion nuova ci insegnò, ma ancora bellezza e diffi- cultà accrebbe grandissima all'arte, la quale per lui imbellita oggi veggiamo. Costui nacque in Castello Durante/ nello stato di Ur- bino, d'una povera persona, ma di buone qualità; e 1 *Non sono concordi gli scrittori nè sul nome e cognome di questo artefice, riè sul luogo di nascita. Chi lo vuol nato in Monte Asdrualdo, chi in Stretta, altri in Fermignano, altri in Urbino. Ma la opinione più accettata è quella del Vasari, che pone il nascer suo in Castel Durante nello stato d'Urbino, oggi Urbania, da papa Urbano Vili che la eresse in vescovado e gli dette il suo^nome. E quanto al nome e cognome suo, vi ha chi lo disse Bramante Durantini, chi Bramante Lazzari, chi Bramante Asdruvaldini. Cesare Cesariani, che l'ebbe a suo primo precettore, lo dice Donato da Urbino, cognominato Bramante (Vedi i suoi Commentar) sopra Vitruvio); e ciò conferma Giovan Battista Caporali suo amico, a pag. 101-102 del suo Commento sopra a Vitruvio stampato a Pe- rugia nel 1536: e questo debbesi ormai tenere per il suo vero nome e co- gnome. Quanto ai genitori suoi, tennero i più che egli nascesse da un Severo Lazzari e da Cecilia Lombardelli, ambedue di nobile estrazione; ma il Pungi- leoni, coli' esame di documenti e di antichi scrittori, ha ormai provato ciò esser falso, e che il padre suo fu Angelo di Renzo del castello di Farneta, sopranno- minato Bramante, e la madre si chiamò Vittoria di Pascuccio di Monte Asdrualdo. Vedi Pungileoni, Memorie intorno alla vita e le opere di Donato o Donnino Bramante, Roma, Ferretti, 1836, in-8°. t Intorno alla patria ed alla famiglia di Bramante si può leggere con gran frutto ed utilità quello che presentemente ne ha scritto il chiarissimo architetto barone Enrico di Geymùller nella sua dottissima e magnifica opera intitolata Les Projets primitifs pour la Basilique de Saint-Pierre de Rome par Bramante, Raphael Sanzio, Fra Giocondo, les Sangallo etc. publiés ponr lapremière fois en facsimile, Paris, Baudry, con atlante di tavole in-foglio e un volume in-quarto di BRAMANTE DA URBINO 147 nella sua fanciullezza, oltre il leggere e lo scrivere, si esercitò grandemente nello abbaco. Ma il padre, che aveva bisogno che e' guadagnasse, vedendo che egli si dilettava molto del disegno, lo indirizzò, ancora fanciul- letto, all'arte della pittura; nella quale studiò egli molto le cose di Fra Bartolomeo, altrimenti Fra Carnovale da Urbino,1 che fece la tavola di Santa Maria della Bella testo in tedesco e francese. Di quest1 opera che è in corso di stampa, noi abbiamo potuto ave're per squisita cortesia del nobile autore (e ne lo ringraziamo gran- demente) le bozze delle .Notizie di Bramante che precederanno la descrizione e spiegazione delle tavole. Delle quali Notizie noi faremo capitale per le annota- zioni della presente Vita. Diremo dunque che il grande architetto apparteneva non alla famiglia Lazzari, ma sibbene alla Braman te, la quale aveva alcune piccole possessioni in Monte Asdrualdo, Pistrino e Monte Brandi , luoghi posti ne' con- torni del paese di Fermi gnano, a tre miglia da Urbino. Agnolo di Pascucci o alias Bramante pagava nel 1496 d'imposta lire 8, soldi 6 den. 6 per la prima delle suddette possessioni. Bramante si crede che sia nato in un poderetto posto nel medesimo territorio chiamato allora del Colle, e più tardi Ca Bramante. La denominazione di Bramante de Asdrubaldinis che si legge nell'atto notarile del 10 maggio 1492, e quella di Bramantes Asdruvaldinus nella medaglia conia- tagli dal Caradosso pare che provenga dal nome di Monte Asdrualdo : e di fatto il padre d'Agnolo alias Bramante, da cui, come è detto, nacque Bramante, è chiamato Pascuccio d'Antonio da Monte Asdrualdo. Op. cit. pag. 18 e 19. 1 *Fra Bartolommeo dell'Ordine de' Predicatori, a cui il volgo, forse a ca- gione dell'aspetto prosperoso e dell'indole amena e festevole, impose il nome di Fra Carnovale, fu figliuolo di Giovanni di Bartolo Coradini e di una tal Miche- lina, di cui s'ignora il cognome. Fu pittore assai riputato; ma oggi poco o nulla conosciamo di lui per giudicare esattamente del merito suo. La tavola da lui dipinta per Santa Maria della Bella in Urbino fu tolta dal cardinale Legato Bar- berini, sostituendovi una copia di Claudio Ridolfi veronese, la quale anch'essa fu poi portata via. Neil' anno 1451 a' 5 di giugno si sciolse dalla obbligazione con- tratta con la Compagnia del Corpo di Cristo di dipingere una tavola pel prezzo di 40 ducati d'oro, forse per mancanza di tempo; atteso che, oltre al ministero monastico, i doveri di pievano di San Casciano di Cavallino gli dessero poco agio di attendere all'arte. Il padre Pungileoni, dal quale togliamo queste notizie {Elogio Storico di Giovanni Santi, pag. 52 e seg. ), aggiunge che da un libro di Memorie del suburbano convento di San Bernardino della stessa città d'Ur- bino si ricava che Fra Carnovale dipinse la tavola dell' aitar maggiore di quella chiesa, nella quale figurò Nostra Donna seduta in trono , e sui ginocchi ignudo e dormiente il divino Infante: a destra ed a sinistra pose sei santi, tra' quali sono san Giovanni Batista, san Girolamo e san Francesco; dietro la Vergine locò quattro angeli. Innanzi al trono, prostrato in ginocchio e chiuso nelle armi , è Federigo duca d'Urbino in atto supplichevole. Nel volto della Vergine vuoisi ritratta la Batista Sforza sua moglie, e negli angeli e nel bambino Gesù i suoi figliuoli. Questa tavola, e non quella di Santa Maria della Bella, come erronea- mente dice il Rosini, passò quindi ad ornare la Pinacoteca di Brera a Milano, 148 BRAMANTE DA URBINO in Urbino. Ma perchè egli sempre si dilettò dell1 archi- tettura e della prospettiva, si partì da Castel Durante ; e condottosi in Lombardia, andava ora in questa, ora in quella citta lavorando il meglio che e1 poteva, non però cose di grande spesa o di molto onore , non avendo an- cora ne nome ne credito. Per il che deliberatosi di ve- dere almeno qualcosa notabile, si trasferì a Milano1 per e nell'opera di questo titolo se ne vede una stampa, ed un' altra nella tav. cxm della Storia del precitato Rosini e nel Litta, Famiglie celebri, Montefeltro. Ignoto è Tanno della nascita di Fra Carnovale; ma probabili congetture possono farsi intorno a quello di sua morte. Errano coloro che la dissero avvenuta nel 1478; imperciocché fino al maggio del 1484 trovasi memoria di lui nei documenti allegati dal P. Pungileoni : e se nel 1488 alla pievania di Cavallino eragli succeduto un tal Baldassarre, è naturale il supporre eh' ei mancasse di vita nello spazio di questi quattro anni. (Vedi ancora P. Marchese, Memorie degli artefici Domeni- cani, I, 350-358). 1 * Circa l'andata di Bramante a Milano si congettura con buone ragioni che accadesse circa il 1472, e forse anche qualche anno avanti. Egli già fino da' primi tempi e come architetto e come pittore fu molto operoso, ed era uno degli eccellenti tra' molti buoni ingegni che ornavano la corte di Lodovico il Moro. Secondo il De Pagave, Scirro Scirri fu maestro a Bramante nell'archi- tettura. Si crede che egli abbandonasse la patria nel trentesimo anno dell'età sua, vale a dire nel 1464, dopo aver edificato presso il fiume Metauro il tem- pietto rotondo della Madonna del Riscatto. E dice il De Pagave, che prima di andare in Lombardia, egli edificasse pure in Romagna chiese, palazzi ed altre fabbriche. Di ciò mancano i documenti; ma è probabile che egli lavorasse più tempo e in più luoghi prima di recarsi a Milano : non si può per altro cono- scere se come architetto o come pittore. Difficile è pure l'additare una pittura autentica fatta da lui. Il Passavant (Addizioni supplementari per la storia delle antiche scuole pittoriche lombarde, nel Kunstblatt, anno 1838, pag. 270), seguendo le notizie del De Pagave, gli dà a maestro Bramantino il vecchio (Ago- stino di Bramante) ed a scolaro Bramantino il giovane (Bartolommeo Suardi), e dice: « Pur troppo non saprei indicare con certezza alcun suo dipinto, essendo periti quelli accennati dal Vasari e dal Lomazzo, e sembrandomi più che so- spette le indicazioni del Lanzi : imperciocché il quadro dell'Incoronata a Lodi, attribuito da costui al Bramante, è opera dei fratelli Piazza, e gli affreschi della cappella di San Brunone nella Certosa di Pavia furono dipinti da Ambrogio Fossano detto il Borgognone ». Ed a pag. 277 prosegue: « Per offrire argo- mento ad altre ricerche, osserverò qui che 1,' Anonimo Morelliano, pag. 47, fa menzione di parecchi affreschi eseguiti -da Bramante a Bergamo, in parte nel 1486 : e particolarmente dei filosofi dipinti sulla facciata del palazzo del Po- destà; e di quelli fatti a terretta verde nella sala del palazzo medesimo: oltreciò, di una Pietà che si vede a sinistra di chi eatra nella chiesa di San Brancazzo ». Rispetto poi alle sue opere di architettura, resta da esaminare, se le cattedrali
  • 2 3 S3£ .H i-, — « o 1-1 205 COMMENTARIO ALLA VITA di Fra Bartolommeo della Porta * PARTE PRIMA Della famiglia di Fra Bartolommeo - del tempo e del luogo della sua nascita A noi pareva che intorno a questo insigne pittore domenicano , dopo quel che ne avevano scritto il Vasari, e a' nostri giorni più copiosamente e con grandissimo amore e diligenza il Padre V. Marchese del medesimo Istituto, non restasse più nulla da dire o da aggiungere. Ma avendo preso ad esaminare quel che apparteneva più specialmente alla sua famiglia, al luogo ed al tempo del nascer suo, ci siamo accorti che il racconto di que' biografi non era circa questi particolari 1 in tutto conforme alla te- stimonianza de' documenti che avevamo raccolti ; perciò' abbiamo stimato opportuno di farne argomento del presente Commentario. Gli antichi di Fra Bartolommeo furono lavoratori di terra del popolo di San Michele a Montecuccoli, piviere di Santa Reparata a Pimonte nella Potesteria di Barberino di Mugello; dove nel 1427, un Piero, quivi ve- nuto da quel di Genova, lavorava un podere posto in Casugnano, di pro- prietà di Carmagnino di Bellino da Montecuccoli. Era costui allora vec- chio di ottant'anni e infermo, con Piera sua moglie della medesima età, e con Jacopo suo figliuolo ammogliato in quel tempo con una Margherita; la quale poi gli partorì nel 1430 Bartolo, nel 34 Giusto, e nel 37 Jacopo. Oltracciò Jacopo aveva avuto nel 1418 dalla sua prima moglie innominata un altro figliuolo per nome Paolo , che fin da fanciullo fu garzone di un vetturale soprannominato il Fattorino; onde fu detto del Fattorino. 1 Nella quarta edizione delle sue Memorie de' piti insigni pittori 3 scultori e architetti domenicani, pubblicata in Bologna dal Romagnoli, 1878-79, il P. Mar- chese fecé capitale delle notizie comunicategli da noi, intorno a questi partico- lari della vita di Fra Bartolommeo. 206 COMMENTARIO ALLA VITA Stette Bartolo suddetto per molto tempo in Montecuccoli : ma poi partitosi di colà tornò a Soffignano, villa del contado di Prato, insieme con Giusto e Jacopo, dove, dicono quest'ultimi nella loro portata al- l'Estimo del 1469, erano venuti da poco in qua ad abitare. Ma dopo parecchi anni Bartolo si divise da loro, e nel 1487 lo troviamo con tutta la sua famiglia nella vicina villa di Savignano, dove viveva nel 1504 Do- menico suo figliuolo, nel quale si spense la discendenza di Bartolo. Intanto Giusto, mortogli il fratello Jacopo, aveva, essendo già vecchio, pigliato a lavorare un poderetto degli Spighi da Prato in Soffignano, chia- mato la Lastruccia, onde i suoi discendenti ebbero il cognome de' Lastrucci, che crediamo durino tuttavia in Prato, o ne' luoghi convicini. Rimase di lui dopo la morte sua, accaduta poco dopo il 1515, il solo Vito, il quale non ostante il grave carico di tredici figliuoli , undici maschi e due femmine, potè coi denari messi insieme colla sua industria e coi risparmi comprare alcune terre in Soffignano, alle quali, morto egli nel 1554, Gio. Battista, Bartolommeo ed Antonio suoi figliuoli ne aggiunsero altre acquistate nella villa di San Godenzo, oltre il già nominato poderetto della Lastruccia, venduto loro nel 1567 da madonna Fiammetta di Pietro Bizochi, vedova di Lionardo Spighi, ed una casetta in Prato nella Via della Gorellina. Resta ora che diciamo di Paolo del Fattorino , il maggiore de' figliuoli del detto Jacopo di Piero, e padre del nostro Fra Bartolommeo. 11 qual Paolo , non trovandosi nominato nelle portate de' fratelli all' Estimo di Soffignano, nè in quelle di Savignano, è da credere che fino da giovane si fosse diviso da loro; e che per il mestiere di vetturale dovendo andare con i suoi muli ora in un luogo ed ora in un altro, non avesse per molto tempo dimora ferma in nessuno. Solamente pare che avendo egli, già in- nanzi cogli anni, menato per moglie la Bartolommea figliuola di Zanobi di Salimbene detto Gallone, spedalingo di San Giuliano fuori della Porta a San Pier Gattolini, tornasse ad abitare in una casa del popolo di San Fe- lice in Piazza, posta presso le mura della città dal lato della Porta sud- detta, dove lo troviamo nel 1476, quando con istrumento del 26 giugno compra un pezzo di terra nel comune di San Martino a Brozzi. 1 Mentre Paolo dunque dimorava in quella casa, ebbe nel 1475 dalla Bartolommea un figliuolo chiamato Bartolommeo, o Baccio, al modo fiorentino, che fu il nostro pittore. Il Vasari lo dice nato nel 1469 ; ma noi in questo par- ticolare prestiamo più fede a Paolo, il quale nella sua portata al Catasto del 1481 (Quartiere Santo Spirito, Gonfalone Ferza) dà a Bartolommeo 6 anni ; parendoci diffìcile che egli potesse errare nell' assegnare l' età d' un figliuolo così tenero. Ma non corse molto tempo che la Bartolommea, forse 1 Rogiti di ser Jacopo Camerotti. DI FRA BARTOLOMMEO 207 per le conseguenze del parto, si morì : onde Paolo dato il bambino a balia, e bisognandogli chi governasse la casa, fu forzato a pigliar novamente moglie, la quale fu una giovane per nome Andrea figliuola di Michele di Cenni da Panzano, rimasta vedova di Stefano d'Antonio detto il Trafelino, vetturale di San Donato in Poggio. Ed avendo comprato nel 1478 per il prezzo di 159 fiorini una casa vicino alla Porta suddetta,1 Paolo vi tornò con Baccio, monna Andrea e Piero, avuto da lei. Visse Pablo colla seconda moglie anni dieci in circa, ed in questo spazio essa gli partorì quattro figliuoli maschi, cioè il detto Piero nel 77, Domenico nel 78, Michele nel 79 e. Francesco dopo 1' 81, morti tutti bam- bini, fuorché Pietro. Era egli pervenuto a sessantanove anni d'età, quando sul finire del giugno 1487 fu assalito da grave malattia, giudicata da' me- dici mortale. Onde volendo disporre delle cose sue innanzi di morire fece testamento il primo giorno del luglio seguente,2 nel quale lasciò all' Andrea uxori sue dilectissime propter mutuum amorem et delectationem quam ad invicem inter se hàbuerunt, le doti sue, e l'abitazione nella casa di esso testatore , coli' obbligo negli' eredi di somministrarle vitto e vestito condecente; chiamando alla sua eredità Baccio, Piero e Francesco suoi figliuoli, a' quali diede per tutori, ed a suo tempo curatori, Giusto suo fratello e, non potendo egli, l'altro fratello Jacopo, Zanobi detto Gal- lone suo suocero, e Vitale di Benedetto, vetturale. Dopo il qual testa- mento, aggravandoglisi sempre più il male, passò Paolo di questa vita, e a' nove di quel mese fu sepolto nella chiesa di San Pier Gattolini. Due anni innanzi al morire, aveva egli messo il suo Baccio nella bottega di Cosimo Rosselli ad imparare la pittura, a ciò consigliato da Benedetto da Majano. Del qual fatto ragionando il P. Marchese, dice di non sapere se il Dà Majano operasse da buono e leale amico , scegliendo a maestro di Baccio colui che a suo avviso era, così nell'arte come nel- l'ingegno, inferiore a molti, ed oltracciò allora già vecchio, e più che alla pittura, tutto intento alle esperienze dell'alchimia. Ma noi crediamo che il detto Padre in questo s'inganni; imperciocché, Cosimo, allorquando il giovanetto del Fattorino andò a stare con lui, non era vecchio, sibbene nei suoi quarantasei anni, cioè nel vigore dell'età virile, nè aveva trala- sciata l'arte, anzi vi attendeva allora più di proposito che mai, avendo appunto in quel tempo dipinto a fresco in Sant'Ambrogio la storia del Miracolo, che a giudizio degl'intendenti è la migliore delle sue opere. Di più noi lodiamo il Da Majano del consiglio dato a Paolo di mettere il 1 Con strumento del 7 settembre, rogato dal suddetto notajo. 2 Ricevuto ne' rogiti di ser Donato Ciampelli. Protocollo dal 1486 al 1489 a c. 29 ecc. 208 COMMENTARIO ALLA VITA figliuolo sotto la disciplina del Rosselli, perchè oltre all'essere Cosimo per- sona molto dabbene ed amorevole, aveva ancora grande riputazione di ot- timo maestro nell' insegnare ; onde molti giovani desiderosi d'imparare erano concorsi alla sua bottega, divenuta per tal cagione fiorentissima. De' quali giovani, i più riuscirono dipoi nella pittura molto eccellenti, come Piero detto di Cosimo, Angelo di Donnino, Andrea Feltrini, Mariotto Albertinelli, e sopra tutti, il nostro Baccio. Non sopravvisse monna Andrea al marito che cinque anni, essendosi morta nel giugno del 1492 allo Spedale di Santa Maria Nuova, dove giacendo inferma fece il suo testamento,1 nel quale lasciò erede Piero suo figliuolo, coli' obbligo di dare alla Bartolommea avuta da Lorenzo d'Antonio suo primo marito, dieci fiorini d'oro quando si maritasse: i quali furono poi pagati dal suddetto Albertinelli in nome di Baccio cura- tore del detto Piero , allorché la Bartolommea fu sposata nel primo di feb- brajo 1501 a Lorenzo di Lionardo da San Donato in Poggio. Così avendo perduto in pochi anni il padre e la matrigna, rimase a Baccio tutto il carico delle cose domestiche e la cura di Pietro suo fratello, il quale allora andava alla scuola coli' intenzione di farsi prete, come poi avvenne. Intanto conoscendo Baccio che le entrate delle piccole possessioni paterne, e i gua- dagni nella bottega del Rosselli non bastavano al mantenimento suo e del fratello, pensò di partirsi dal maestro; e presa a pigione una stanza, vi fece per alcuni anni l'arte sopra di se in compagnia dell' Albertinelli. Entrato poi Baccio nella religione domenicana col nome di Fra Bar- tolommeo, ebbe sul principio molti pensieri e brighe per cagione di Piero suo fratello, il quale dai continui e gravi mali che nella sua prima gio- vinezza l'avevano assalito, era rimasto come mentecatto. Avevagli Fra Bar- tolommeo, dopo che ebbe professato nel convento di San Domenico di Prato , fatta donazione della sua parte dell' eredità paterna con strumento degli 11 settembre 1501, rogato in Firenze da ser Lorenzo Vivuoli, ed insieme postolo sotto il governo de' suoi più prossimi parenti dal lato della madre, da durare per tempo di dieci anni, dopo i quali, se Piero non fosse riconosciuto abile a governar se ed amministrare le cose sue, era stabilito che egli insieme con tutti i suoi beni dovesse esser commesso in uno spe- dale o luogo pio, o presso alcuna persona, secondochè avrebbe giudicato il priore che alla fine di que' dieci anni fosse stato nel convento di San Marco. Ma non ne erano ancora trascorsi cinque che i parenti di Piero, non potendo reggere alle continue sue stranezze, non vollero più saperne di lui. Onde Fra Bartolommeo con scrittura del primo di gennajo 1506 (st. c.)2 lo diede 1 Rogato da ser Griso Griselli il 6 di quel mese. 2 È riferita dal P. Marchese ne' Documenti alla Vita di Fra Bartolommeo. DI FRA BARTOLOMMEO 209 a governare co' medesimi patti, e di più coli' obbligo d'insegnargli la pit- tura, all' Albertinelli suddetto. Ma le pazzie di Piero non cessavano: anzi essendosi ordinato a prete, ed uscito della casa di Mariotto, si era dato ad una vita disordinata e vagabonda, cominciando ancora a dar fondo alle cose sue. Per il che fu costretto Fra Bartolommeo , intervenendovi l' au- torità di Fra Santi Pagnini, allora priore di San Marco, a commettere con atto stipulato ai 12 di gennajo 1512 1 il detto Piero con tutti i suoi beni nello Spedale degl'Innocenti di Firenze, dov' è da credere che egli finisse i suoi giorni, non avendosi altra memoria di lui. Recapitolando adunque le principali cose discorse fin qui, noi crediamo di aver provato che Fra Bartolommeo nacque nel 1476 in Firenze, e non in Savignano, o come altri suppone in Soffignano; perchè nel primo luogo non si trova che mai abbia abitato Paolo del Fattorino suo padre , e nep- pure nel secondo, dove solamente dimorarono Giusto e Jacopo, suoi zii pa- terni ; il che è confermato da tutti gli strumenti contemporanei, che lo dicono sempre de Florentia, ed uno del 15 luglio 1500 lo chiama pictor florenlinus. PARTE SECONDA Prospetto cronologico della vita e delle opere di Fra Bartolommeo 1475. Nasce Bartolommeo da Paolo di Jacopo del Fattorino. 1487, 9 luglio. Muore Paolo del Fattorino. 1498. Portata al Catasto di Baccio e Pietro, suoi figliuoli. 1499-1500. Affresco nel cimitero di Santa Maria Nuova di Firenze. 1500, 26 luglio. Si fa frate in San Domenico di Prato. 1501. Fa professione nel detto convento. 1501, 12 gennajo. Sua procura a Mariotto Albertinelli, pittore. 1501, 6 settembre. Gli è concessa facoltà di disporre de' suoi beni. 1501, 11 settembre. Fa donazione a Pietro suo fratello. 1501, 12 dicembre. Fa mandato di procura generale al detto Mariotto. 1502, 29 agosto. Fa donazione d'ogni suo credito al detto Piero. 1504, 13 novembre. Allogazione della tavola per la chiesa di Badia. 1508. Tavola per San Pier Martire di Murano, ora a Lucca. 1 Fu rogato da ser Pierfrancesco Olivieri, e trovasi in copia autentica nel- l'Archivio dello Spedale degl'Innocenti. Vasari, Opere — Voi. IV. 14 210 COMMENTARIO ALLA VITA • 1509. Tavola in San Martino di Lucca. 1509. Fa compagnia all'arte con Mariotto Albertinelli. 1510. 20 novembre. Gli e allogata dalla Signoria di Firenze la tavola per l'altare della Sala grande del Palazzo de' Priori. 1511. Tavola collo Sposalizio di Santa Caterina, ora nel Museo del Louvre a Parigi. 1511. Tavola nella cappella Mastiani in Santa Caterina di Pisa, rap- presentante la Beata Vergine col figliuolo in braccio, seduta in mezzo ai santi Pietro e Paolo. L'anno 1511 si legge nell' imbasamento, sul quale siede la Vergine. 1512. Santa Caterina d'Alessandria e santa Maria Maddalena. Queste due pregevoli tavolette si conservano nella Galleria del R. Istituto di Belle Arti di Siena, dove pervennero dal convento di Santo Spirito de' Do- menicani di detta citta. L'anno 1512 si trova scritto nella infranta ruota . sulla quale posa il piede la martire alessandrina. 1512, 2 gennajo. Ser Piero fratello di Fra Bartolommeo commette se è i suoi beni nello Spedale cìegl' Innocenti di Firenze. 1512, 5 gennajo. Si scioglie la società artistica tra Mariotto e Fra Bartolommeo. 1512, aprile. La Repubblica fa dono al vescovo d'Autun, ambasciatore del re di Francia, di' una tavola di Fra Bartolommeo, ora a Parigi nel Museo del Louvre. 1512, Tavola per la cappella Pepi in Cestello. 1513, 10 di giugno. Si stanziano 100 fiorini larghi d'oro in oro per parte di pagamento della tavola suddetta della Sala grande del Con- siglio. 1514, 10 luglio. Finisce di dipingere l'affresco di una Nostra Donna col Putto nell'Ospizio di Santa Maria Maddalena in Pian di Mugnone. 1514 circa. È invitato dal re di Francia a recarsi a' suoi servigj. 1514. Dipinge la figura di san Marco. 1515, 11 febbrajo. In quest'anno gli fu allogata a dipingere una ta- vola per San Domenico di Pistoja, nei modi e forme espresse' nel do- cumento , che qui riferiremo per estratto : « Sia noto e manifesto a qua - « lunque vedrà questa presente scrittura, come Fra Bartolomeo dipintore « dell'Ordine de' Predicatori, e Frate di San Marco di Firenze, ha preso « a dipingere una tavola grande di larghezza circa braccia 4 e un terzo , « e di altezza circa 5 braccia: la qual tavola fa ad istanza di messer Jacopo « Panciatichi piovano di Quarrata : il quale messer Jacopo promette dare « in pagamento di detta tavola ducati 100 d'oro inoro, per il legname . « colori et pictura di detta tavola ». Segue del modo di pagamento ; quindi: « I santi di questa tavola che vuole messer Jacopo, sono questi; DI FRA BARTOLOMMEO 211 « cioè: la Vergine col Bambino, san Giovan Batista, santo Bastiano; e « quelli più che parranno al detto Fra Giovanni Maria Canigiani, e Fra Bar- « tolomeo dipintore suddetto ». Dopo altre parole di formula segue la so- scrizione del pittore in questi termini : « Io Fra Bartholomeo sopra decto « sono contento a quanto di sopra è decto, et per fede di ciò mi sono « sottoscritto di mia mano oggi decto dì di sopra. » La data è scritta là dove si parla del modo di pagamento.1 — Oggi questa tavola non è più in San Domenico, ne sappiamo dove si trovi. Esiste per altro nella chiesa medesima, all'altare Fioravanti, un affresco, trasportatovi dall'interno del convento nel 1669, rappresentante Nostra Donna col Figliuolo in braccio; ma alquanto danneggiato.2 1515. Dipinge la tavola del San Sebastiano. 1515. Tavola colla Salutazione angelica, nel Museo del Louvre a Pa- rigi. La Madonna seduta in trono dentro una specie di nicchia tiene in man® un libro, e contempla l'angiolo Gabbriello che appare in aria, por- tando un ramo di gigli. San Giovan Batista, san Paolo, san Girolamo e san Francesco, stanno ai lati della Vergine; santa Margherita e santa Maria Maddalena sono inginocchioni sul davanti, l'una col vaso degli unguenti, l'altra con una croce. Il quadro porta scritto: F. Bart.s floren. or.ìs praè. 1515. 1515. Quadro della Madonna della Misericordia in San Romano di Lucca. 1515, 4 ottobre. Aveva finito di dipingere sul muro della chiesuola di Santa Maria Maddalena in Pian di Mugnone un' Annunziata. 1516. Di quest'anno si vuole la tavola ch'era in Santa Maria in Ca- stello di Prato ed ora nel Museo di Napoli. 1516. Tavola della Purificazione, ora nella Galleria Imperiale di Vienna. 1516. Tavola per la cappella Billi nella Nunziata, ora nella Gal- leria Pitti. 1516, di novembre. Stima le pitture della cappella nel palazzo pubblico di Firenze, fatte da Ridolfo del Ghirlandajo. 1516. Presentazione al Tempio, nella Galleria di Belvedere a Vienna, e Sacra Famiglia in quella Corsini a Roma. • 1517. Affresco nell'Ospizio di Santa Maria Maddalena in Pian di Mu- . gnone, nel quale è figurato Cristo che appare alla Maddalena in sembianze d'ortolano. La data è scritta sopra una pietra, dove la Maddalena posa la mano destra. 1 Filza, di testamenti e contratti del convento di San Domenico, dal 1400 al 1724, nell'Archivio del Patrimonio Ecclesiastico nell'Ospedale di Pistoja. No- tizia avuta dall'egregio nostro amico abate Giuseppe Tigri di Pistoja. 2 Tolomei, Guida di Pistoja, pag. 108. 212 COMMENTARIO ALLA VITA 1517, 14 giugno. Sua lettera al duca di Ferrara Alfonso I d'Este, nel inandare per lui un quadro colla Vergine e varj santi, ed una testa del Salvatore per la duchessa. 1517, 6 ottobre. Muore. 1529, 29 di marzo. Si delibera che la tavola dipinta da Fra Barto- lommeo sia levata dal convento di San Marco e portata nella Sala del Gran Consiglio. PARTE TERZA Prospetto cronologico della vita e delle opere di Fra Paolino da Pistoja Di questo, che fu il più valoroso e il più conosciuto discepolo di Fra Bartolommeo, brevissimo cenno fa il Vasari. Sennonché non poche essendo le notizie che di questo pittore domenicano ha raccolte il P. Vincenzo Marchese,1 merita che esse sien riprodotte dall'opera dell'egregio scrit- tore, sotto forma di prospetto cronologico, a commentario di quanto ne ha scritto il Vasari. 1490. Nasce in Pistoja Fra Paolo (detto Fra Paolino) da Bernardino d'Antonio Detti chiamato del Signoraccio, e da Antonia di Paolo Maconi sua moglie. Dal padre apprende i rudimenti dell'arte. Veste l'abito domenicano, forse nel convento di San Domenico di Prato. 1503? Si reca a Firenze. 1510. Nella Imperiale Galleria a Vienna è una tela con Nostra Donna col Putto, seduta in trono, circondata dai santi Domenico, Pietro mar- tire, Maddalena, Barbara, Teresa e Caterina. Nel piedistallo del trono è scritto Tanno 1510, e le parole: svb tvvm praesidivm confvgimvs sancta dei genitrix, e in una cartella questi motti: Caritatem habete. Humilita- tem servate. Patipertatem voluntariam possedete. Castitatem mentis et cor- poris custodite. Di essa si ha un intaglio nel 3° tomo dell'opera di detta Gallerìa, pubblicata nel 1825. 1511. È in Roma nella Galleria Borghese al num. 31 della seconda camera, una tavola segnata col solito monogramma e coli' anno 1511, at- tribuita a Fra Bartolommeo, ma che altri riconosce piuttosto della mano di Fra Paolino. Rappresenta il Bambino Gesù giacente in terra, e presso di lui il piccolo san Giovanni con una croce. La Vergine indietro ingi- 1 Memorie più volte citate, 226-46. DI FRA BARTOLOMMEO 213 inocchiata, e san Giuseppe alla destra. Parimente nella Galleria del pa- lazzo Sciarra è una Vergine col Bambino Gesù e il piccolo san Giovanni assegnata a Fra Bartolommeo, ma che con più ragione si può dire del suo scolare. t 1511. Una tavola colla Madonna, il Bambino, il Battista e san Giu- seppe, che porta la data e il monogramma suddetto, è nella Galleria Cor- sini di Firenze, anch'essa attribuita al Della Porta, ma pare da asse- gnarsi più giustamente a fra Paolino. ( Crowe e Cavalcaseli^ , op. cit., Ili, pag. 482), 1513. Modella due statue di terra, rappresentanti san Domenico e santa Maria Maddalena, per la chiesuola di questo nome in Pian di Mu- gnone. 1516. Colorisce le dette due statue, le quali oggi si vedono in due nicchie delle testate laterali al maggiore altare. 1516. Nel chiostro del convento di San Spirito di Siena dipinge in fresco, insieme con Fra Agostino converso, un Crocifisso con ai lati la Beata Vergine e san Giovanni Evangelista; e dappiedi, santa Caterina da Siena e santa Maria Maddalena, prostrate in ginocchio: tutte figure grandi quanto il vivo. Questo affresco per lungo tempo fu tenuto per opera di Fra Bartolommeo; ma un libro di Ricordanze di quel convento (ora nell' archivio del Patrimonio Ecclesiastico unito a quello dell' Opera del Duomo senese) ne scopre il nome de' veri pittori. Un intaglio di questo affresco si vede nell'opera intitolata: Raccolta delle più celebri pitture esistenti in Siena, incìsa da P. Lasinio; Firenze, 1835. 1519. Deposto di croce con san Giovanni, la Maddalena, san Dome- nico e san Tommaso d'Aquino. Questa tavola fu solamente dintornata dal Frate, e colorita da Fra Paolino. Fu posta nel maggiore altare della chiesa di Santa Maria Maddalena in pian di Mugnone il 21 di luglio 1519. Ora è nella fiorentina Accademia delle Belle Arti. Grande e bella tavola con l'Assunzione di Nostra Donna, posse- duta da' Domenicani in Santa Maria del Sasso presso Bibbiena. Essa fu disegnata dal Della Porta e colorita interamente da Fra Paolino. 1525. Altra tavola che adorna l'altare di santa Lucia nella inferior chiesa del Sasso, nella quale espresse Nostra Donna col figliuolo in brac- cio, santa Lucia inginocchione , e alcuni santi Domenicani. 11 pittore vi pose l'anno mdxxv, e le iniziali del suo nome: F. P. 0. P. (Frater Pauhis Ordinis Praedicatorum ). 1525. Del medesimo anno era segnata una tavola, ora perduta, che egli colorì per il noviziato di San Domenico di Fiesole. Eravi figurata Nostra Donna genuflessa in atto di adorare il pargoletto Gesù, sorretto da un angelo; ed ai lati san Giuseppe e sant'Agnese. 214 COMMENTARIO ALLA VITA 1525. Due quadri già esistenti nel soppresso convento di San Dome- nico in San Giinignano, dei quali uno passò nella chiesa di Sant'Ago- stino, e l'altro in quella eli Santa Lucia a Barbiano. In ambedue e rap- presentata Nostra Donna seduta in trono, con ai lati alcuni santi, e nel gradino del trono il consueto angioletto in atto di suonare il liuto. L'anno 1525 è scritto d'oro in basso nel quadro di Barbiano. L'altro tìi Sant'Agostino si vuole del 1530. 1526. Fra' più bei quadri che Fra Paolino facesse è da annoverare quell'Adorazione de' Magi, che vedesi nella cappella del Santissimo Sa- cramento in San Domenico di Pistoja. Il Tolomei {Guida di Pistoja, pag. in), che vide le antiche memorie di quel convento, afferma che questa tavola fu dipinta nell'anno 1539. Ma dall'articolo necrologico di Fra Paolino stesso, che si legge nel Necrologio di Pistoja (ora nell' archivio vescovile di quella città), è detto chiaro ch'egli quando condusse quel quadro aveva trentasei anni: lo che prova che ciò fu nel 1526. Il Brulliot al n. 2041 della prima parte del suo Dictionnaire des Mo- nogrammes, Marques figurées, ecc. (Munich, 1832), riporta due mono- grammi perfettamente simili, composti di un P compenetrato da un F, sormontato da una +; uno dei quali porta segnato l'anno 1428; l'altro il 1526. Trovò il primo monogramma in un quadro di storia attribuito a Fra Filippo Lippi; l'altro in un quadro rappresentante Gesù Cristo in mezzo ai Dottori, composizione di quattordici figure, meta del vivo, che viene attribuito a Fra Paolino da Pistoja : 1" uno de' quali era a Vienna in possesso di M.r Lasalle, l'altro a Lipsia in' mano di M.r Campò. Seb- bene l' autore non abbia potuto fare il confronto tra' due dipinti in que- stione, pure sembragli, che una delle date sia falsa e aggiuntavi poste- riormente, massime quella dell'anno 1428. Potrebbe darsi per altro, soggiungiamo noi, che questo millesimo fosse alterato dal restauratore; nella supposizione che l'opera fosse di Fra Filippo, e che originalmente dicesse 1528. 1528. Grande e bellissima tavola nella chiesa di San Paolo in Pistoja. La Regina del Cielo siede nobilmente in trono, e in alto due nudi an- gioletti sorreggono le tende' di un padiglione. Sulle ginocchia di lei è il pargoletto Gesù ignudo. A piò del trono pose santa Caterina martire e santa Apollonia sul gradino; santa Maria Maddalena e santa Agnese sul piano. Intorno al trono fan corona , alla destra della Vergine , san Paolo , san Giovan Batista, san Domenico, e un'ultima figura di profilo, che sembra il ritratto di Fra Girolamo Savònarola; alla sinistra ritrasse san Piero, san Jacopo, san Lorenzo, sant'Antonio, ed un altro santo, del quale appare solo il volto. Seduto sul gradino fece un angioletto che suona il liuto. Il pittore segnò l' opera col suo nome e l' anno così : opus f. pauli. DI FRA BARTOLOMMEO 215 de pisT.(orio) OR.(dinis) pnAiE.(dicatorum) mdxxviii. Questa tavola era stata dipinta per i religiosi del convento di San Domenico di Pistoja; e poi, non parendo loro adattata al luogo, la venderono alla chiesa priorale di San Paolo. 1543. Si pone sull' altare di Santa Maria della Quercia presso Viterbo la tavola che, lasciata imperfetta da Fra Bartolommeo, fu ultimata da Fra Paolino; Essa rappresenta l'Incoronazione di Nostra Donna, con at- torno molti angeli, ed in basso sono inginocchioni tutti i santi dell'Or- dine domenicano e molti altri. Nel colmo di essa è dipinto un Dio Padre in atto di benedire, circondato da angeli. Ora è nel coro, -i Nella stessa chiesa fece pure un altro lavoro (non si conosce bene se in fresco owero in tavola); ma di questo dipinto oggi non si ha contezza. In Santa Maria delle Grazie o del Letto di Pistoja è una tavola con Maria Vergine seduta in trono che tiene in braccio Gesù Bambino; ai lati stanno i santi Caterina, Girolamo, Sebastiano e Maria Maddalena. Un' altra tavola che si dice di Fra Paolino è nelle stanze dell'Ac- cademia pistojese di Lettere, Scienze ed Arti. È una Nostra Donna in trono col Putto in collo, con i santi Francesco e Benedetto. Nella Pieve di Cutigliano, paese della montagna pistojese, è cre- duta di lui una tavola con Maria Vergine e alcuni santi. Fu restaurata nel 1839. (V. Tigri, Guida di Pistoja. Pistoja, Tipografia Gino, 1854). Nella chiesa di San Domenico della sua patria vedesi ancora un altro quadro, che nel "concetto ritrae assaissimo di quella tavola del Frate che ora è nella R. Galleria 4 eie' Pitti. Evvi, siccome in quella, Nostra Donna seduta, col Putto ignudo in grembo, che sposa santa Caterina da Siena. Dal lato opposto è genuflessa santa Maria Maddalena. Fan co- rona alla Vergine, santa Apollonia, san Domenico,, san Pietro martire e santa Cecilia. In una stanza d'udienza del Palazzo del Comune di Pistoja si vede una bella tavola di Fra Paolino, che rappresenta la Vergine in trono che ha sulle ginocchia il divin Figlio; appresso san Jacopo e san Zeno, figure al naturale ; e nel davanti genuflesse sant' Agata e santa Eulalia ; e a pie del trono stassi ritto in vaga postura un san Giovannino, che accenna con compiacenza al Salvatore. 1547, 3 d'agosto. Muore in patria, nell'età di anni cinquantasette, essendo giunto soltanto al diaconato. < * 217 MARIOTTO ALBERTINELLI PITTOR FIOKENTINC (Nato nel 1474; morto nel 1515) Mariotto Albertinelli,1 familiarissimo e cordialissimo amico, e si può dire un. altro Fra Bartolomeo, non solo per la continua conversazione e pratica, ma ancora per la simigli anza della maniera, mentre che egli attese da- dovero all'arte, fu figliuolo di Biagio di Bindo Alberti- nelli : 2 il quale levatosi di età d1 anni venti dal battiloro , dove infino a quel tempo avea dato opra, ebbe i primi principj della pittura in bottega di Cosimo Rossegli; nella quale prese tal domestichezza con Baccio dalla Porta, che erono un' anima ed un corpo : e fu tra loro tal fra- 1 Nella prima edizione la Vita di Mariotto comincia così: « Di grandissima possanza è un commerzio nell'amicizia che piaccia, e i costumi et una maniera che stringa a osservare per la dilettazione non solo i gesti nelle azioni, ma i caratteri, i lineamenti et l'arie nelle figure. Et certamente si vede gli stili che le persone seguono, esser quegli che più ci entrano nel core, sforzandoci del continuo contrafar quegli sì bene, che si giudica spesso spesso la medesima mano : dove i giudicii de gli artefici possono appena conoscere la vera da la imitata: come si può vedere nell'opre dipinte da Mariotto Albertinelli ecc. ». 2 t Mariotto, figliuolo di Biagio di Bindo battiloro e di Vittoria di Biagio Rosani sua prima moglie morta nel giugno del 1479, nacque ai 13 ottobre 1474, come apparisce dal Libro de' Battezzati della città di Firenze, conservato nell'Ar- chivio dell'Opera secolare di Santa Maria del Fiore. Egli era degli Albertinelli, o meglio Bertinelli, famiglia popolana, da non confondersi coli' altra dello stesso nome che appartenne .all' antica nobiltà fiorentina. Seconda moglie di Biagio fu la Maria figliuola di Niccolò di Sandro Biliotti, sposata il 30 maggio del 1487, come si vede nell'Alberetto posto in fine a questa Vita. 218 MARIOTTO ALBERTINELLI tellanza, che quando Baccio partì da Cosimo per far l'arte da se come maestro, anche Mariotto se n'andò seco ; dove alla porta San Piero Gattolini V uno e V altro molto tempo dimorarono, lavorando molte cose insieme.' E perchè Mariotto non. era tanto fondato nel disegno, quanto era Baccio, si diede allo studio di quelle anti- caglie che erano allora in Fiorenza, la maggior parte e le migliori delle quali erano in casa Medici;2 e disegnò assai volte alcuni quadretti di mezzo rilievo che erano sotto la loggia nel giardino di verso Sari Lorenzo; che in uno è Adone con un cane bellissimo, ed in un altro duoi ignudi, un che siede ed ha a1 piedi un cane, l'altro è ritto con le gambe sopraposte che s'appoggia ad un bastone, che sono miracolosi: e parimente due altri di simil grandezza, in uno de' quali sono due putti che por- tano il fulmine di Giove, nell'altro è uno ignudo vecchio, fatto per l'Occasione, che ha le ali sopra le spalle ed a' piedi, ponderando con le mani un par di bilance.3 Ed oltre a questi, era quel giardino tutto pieno di torsi di 1 *Vedi più sotto la nota 2, a pag. 220. 2 Nel palazzo di Via Larga eretto da Cosimo Pater patriae col disegno di Michelozzo, indi posseduto ed ampliato dai marchesi Riccardi, poi passato ili proprietà del Governo, ed oggi per compra nella Provincia di Firenze, dove ri- siede il Consiglio Provinciale e il Prefetto di Firenze. 3 t II silenzio de' passati annotatori del Vasari a proposito di questi qua- dretti di mezzo rilievo potrebbe far credere che neppur uno di essi sia perve- nuto fino a noi. Ma invece noi siamo lieti di potere affermare che la più parto di essi esistono tuttavia. Così quello de1 due ignudi, de' quali l'uno siede ed ha a' piedi un cane, e l'altro è ritto con le gambe soprapposte, si vede presente- mente incastrato sopra la porta d'ingresso della stanza avanti alla sala di Luca Giordano nel palazzo Riccardi; come crediamo che uno de' due putti che por- tano il fulmine di Giove sia nella Galleria degli Uffizj. Quanto poi al quadretto con un vecchio ignudo, fatto per l'Occasione, come dice il Vasari, alato alle spalle ed a' piedi, ponderando con le mani un par di bilance, l'opinione nostra, che si accorda con quella di molte persone intelligenti, è che esso sia presen- temente posseduto dal cav. Raffaello Lamponi de'-conti Leopardi, capitano dei RR. Carabinieri. Questo bassorilievo in marmo pentelico, che è una delle più belle cose dell'arte greca che si possano vedere, stette per più di due secoli in- castrato nel muro sopra il camino d'una sala del palazzo in via della Spada che fu già di Roberto Dudley, conte di Warwich e di Leicester e duca di Nor- MARIOTTO ALBERTINELLI 219 femmine e maschi , che erano non solo lo studio di Ma- rio tto, ma di tutti gli scultori e pittori del suo tempo; che una buona parte n' e oggi nella guardaroba del duca Cosimo, ed un'altra nel medesimo luogo, come i dua torsi di Marsia, e le teste sopra le finestre, e quelle degl'imperatori sopra le porte.1 A queste anticaglie stu- diando Mariotto fece gran profitto nel disegno, e prese servitù con madonna Alfonsina madre del duca Lorenzo, la quale, perchè Mariotto attendesse a farsi valente, gli porgeva ogni ajuto. Costui dunque tramezzando il dise- gnare col colorire, si fece assai pratico, come apparì in alcuni quadri che fece per quella signora, che fumo mandati da lei a Roma a Carlo e Giordano Orsini, che vennono poi nelle mani di Cesar Borgia. Ritrasse ma- thumberland, il quale sul finire del secolo xvi fuggendo, le persecuzioni religiose d'Inghilterra venne in Firenze, e vi morì, molto stimato ed accarezzato dalla nobiltà fiorentina e favorito dai granduchi Cosimo II e Ferdinando II. Onde si può credere che o per dono di uno di que' principi, o per compra, egli venisse nel possesso di quel bellissimo bassorilievo. Del quale il presente possessore aveva proposto l'acquisto al Museo del Louvre; e le trattative erano andate tanto innanzi, che non mancava altro che il permesso del Governo italiano per spedirlo in Francia: permesso che fu chiesto, e che il Governo non diede. Allora il cav. Lamponi, non potendo vendere all'estero il suo bassorilievo, l'of- ferse al Governo italiano per quel prezzo che aveva patteggiato col Museo del Louvre. Ed il Governo non potendosi da un lato negare a questa proposta, e dall'altro essendo mal disposto ad incontrarne la spesa, richiese dapprima il parere della Commissione consultiva di Belle Arti di Firenze, e circa al pregio artistico di quel bassorilievo e circa al suo valore venale. E la Commissione elesse dal suo seno due scultori di gran nome, il Duprè ed il Santarelli, i quali, esaminata quell'opera, presentarono un Rapporto, in cui dicevano che il bas- sorilievo era originale di singolare bellezza e senza dubbio uscito da scarpello greco, e facevano voti che il Governo cercasse con ogni suo potere che quel prezioso cimelio fosse conservato all' Italia. Ma il parere della Commissione Con- sultiva non piacque al Governo, e pensò di contrapporgli quello d' una Commis- sione archeologica creata a Roma per. questo effetto; la quale, bene imburiassata, /enne a Firenze, vide il bassorilievo, e tornata a Roma, diede in un suo Rap- porto un giudizio del tutto contrario e sfavorevole. Del qual giudizio solamente salendosi il Governo, e di quello solo tenendo conto, non ebbe scrupolo di of- rire al cav. Lamponi, per l'acquisto del bassorilievo, la somma di lire 2000! 1 Alcune di queste sculture furon disperse alla seconda cacciata de' Medici; iltre, e segnatamente i due torsi di Marsia, restaurati da Donatello e dal Ver- occhio, sono adesso nella R. Galleria. — * Intorno a questi due torsi di Marsia edi quanto è detto nel tona. II, pag. 407, nota 2, e tom. III, pag. 367, nota 1. 220 MARI OTTO ALBERTINELLI donna Alfonsina di naturale molto bene;1 e gli pareva avere trovato per quella familiarità la ventura sua. Ma essendo l'anno 1494 che Piero de' Medici fu bandito, man- catogli queir ajuto e favore, ritornò Mariotto alla stanza di Baccio," dove attese più assiduamente a far modegli di terra ed a studiare, ed affaticatosi intorno al naturale ed a imitar le cose di Baccio ; onde in pochi anni si fece un diligente e pratico maestro : perchè prese tanto animo, vedendo riuscir sì bene le cose sue, che imitando la maniera e l'andar del compagno, era da molti presa la mano di Mariotto per quella del Frate. Perchè interve- nendo l'andata di Baccio al farsi frate, Mariotto per il compagno perduto era quasi smarrito e fuor di se stesso; e sì strana gli parve questa novella, che, disperato, di cosa alcuna non si rallegrava; e se in quella parte Ma- riotto non avesse avuto a noja il commercio de' frati, de' quali di continuo diceva male, ed era della parte che 1 Alfonsina Orsini moglie di Pietro, affogato nel G-arigliano, e figliuola di Roberto conestabile del Regno di Napoli, morta nel 1520. (Bottari). f De' quadri fatti per l'Alfonsina de' Medici e del ritratto di lei non si sa oggi dire che ne sia stato. É nel Museo del Louvre una piccola tavola con Cristo che apparisce alla Maddalena, assegnata per lungo tempo al Perugino, nella quale i signori Crowe e Cavalcaseli riconoscono la mano d' uno uscito dalla bottega del Rosselli. (Op. cit. Ili, 485). 2 * Più volte l'Albertinelli e il Della Porta fecero insieme compagnia all'arte. La prima innanzi il 1494, quando ambidue lasciarono la scuola di Cosimo Ros- selli, che poi fu sciolta per l'indignazione presa da Mariotto contro Baccio, al- lorché videlo stringere tanta amicizia e familiarità col Savonarola capo della parte de' Piagnoni, contraria degli Arrabbiati, cui l' Albertinelli apparteneva. Ma questa scissura durò breve tempo, cioè sino alla cacciata di Piero de' Medici nel 1494, come qui narra il Vasari stesso. Quanto durasse questa nuova compagnia non c'è noto. Sappiamo per altro, che sui primi del 1509, quando Baccio avea da nove anni vestito l'abito domenicano, un'altra ne fu rinnovata tra loro, i quali fecero luogo di studio comune una stanza del convento di San Marco. Patti di questa ultima furono: A tutte le spese occorrenti, sia per colori, sia per tele e per altre masserizie, provvederebbe il sindaco del convento; e al termine della compagnia, venduti i dipinti con ogni altra masserizia, e detratte le spese, il gua- dagno fosse metà di Mariotto, e metà del Della Porta, ossia del convento. Quali pitture operassero insieme durante questa compagnia, si può vedere nella citata opera del P. Marchese. Essa fu sciolta il 5 gennajo 1512, e la somma repartita tra' due pittori montò a ducati 424 d'oro. (Mem. cit., II, 17, 22, 65, 77, 488). MARIOTTO ALBERTINELLI 221 teneva contra la fazione di frate Girolamo da Ferrara,1 arebbe l'amore di Baccio operato talmente, che a forza nel convento medesimo col suo compagno si sarebbe in- cappucciato egli ancora. Ma da Gerozzo Dini, che faceva fare nell' Ossa il Giudicio che Baccio aveva lasciato im- perfetto, fu 'pregato che, avendo quella medesima ma- niera, gli volesse dar fine; ed inoltre, perchè v'era il cartone finito di mano di Baccio ed altri disegni, e pre- gato ancora da Fra Bartolomeo che aveva avuto a quel conto danari, e si faceva coscienza di non avere osser- vato la promessa, Mario tto all'opra diede fine; dove con diligenza e con amore condusse il resto dell'opera tal- mente, che molti non lo sapendo, pensano che d'una sola mano ella sia lavorata:2 per il che tal cosa gli diede grandissimo credito nell' arte. Lavorò alla Certosa di Fio- renza, nel Capitolo, un Crocifìsso con la Nostra Donna è la Maddalena appiè della croce, ed alcuni Angeli in aere che ricolgono il sangue di Cristo; opera lavorata in fresco, e con diligenza e con amore assai ben con- dotta.3 Ma non parendo che i frati del mangiare a lor modo li trattassero, alcuni suoi giovani che seco impa- ravano l'arte, non lo sapendo Mariotto,, avevano con- trafatto la chiave di quelle finestre, onde si porge a' frati la pietanza, la quale risponde in camera loro, ed alcune volte secretamente, quando a uno e quando a uno altro, rubavano il mangiare. Fu molto romore di questa cosa 1 Essendo stato protetto dalla moglie di Pietro de' Medici, è naturale che non seguisse il partito di chi voleva l'abbassamento di quella famiglia. 2 Di quest'opera si è già reso conto nella Vita di Fra Bartolommeo. (Vedi nota 1 a pag. 178). — f Dai libri dello Spedale già citati a questo proposito annotando la Vita di Fra Bartolommeo, parrebbe che Mariotto desse fine alla pittura del Giudizio intorno al 1500. 3 Sotto questa pittura leggesi la seguente iscrizione: MARIOTTI FLORENTINI OPUS PRO QUO PATRES DEUS ORANDUS EST A. D. MCCCCCVI MEN.S. SEPT. 222 MARIOTTO ALBERT1NELL1 tra1 frati, perchè delle cose della gola si risentono così bene come gli altri; ma facendo ciò i garzoni con molta destrezza, ed essendo tenuti buone persone, incolpavano coloro alcuni frati che per odio l'un dell'altro il faces- sero: dove la cosa pur si scoperse un giorno; per che i frati, acciocché il lavoro si finisse, raddoppiarono la pie- tanza a Mariotto ed a' suoi garzoni, i quali con allegrezza e risa finirono quella opera. Alle monache di San Giu- liano di Fiorenza fece la tavola dello aitar maggiore, che in Gualfonda lavorò in una sua stanza, insieme con un'altra nella medesima chiesa, d'un Crocifisso con An- geli e Dio Padre, figurando la Trinità in campo d'oro, a olio. 1 Era Mariotto persona inquietissima, e carnale nelle cose d'amore, e di buon tempo nelle cose del vivere: perchè venendogli in odio le sofisticherie e gli stilla- menti di cervello della pittura, ed essendo spesso dalle lingue de' pittori morso,,, come è continua usanza in loro e per eredità mantenuta, si risolvette darsi a più bassa e meno faticosa e più allegra arte; ed aperto una bel- lissima osteria fuor della porta San Gallo, ed al ponte Vecchio al Drago una taverna e osteria, fece quella molti mesi, dicendo che aveva presa un'arte, la quale era senza muscoli, scorti, prospettive, e, quel ch'importa più, senza biasmo ; e che quella che aveva lasciata era contraria a questa, perchè imitava la carne ed il sangue, e questa faceva il sangue e la carne ; e che quivi ognora si sen- tiva, avendo buon vino, lodare, ed a quella ogni giorno si sentiva biasimare. Ma pure venutagli anco questa a noja, rimorso dalla viltà del mestiero, ritornò alla pit- 1 * Ambedue queste tavole ora si conservano nella Gallei-ia dell' Accademia delle Belle. Arti; la prima rappresenta Nostra Donna seduta in trono col Putto in braccio, ed ai lati san Domenico e san Niccolò di Bari inginocchioni, san Giuliano e san Girolamo in pie; in basso del trono è scritto: opus mariooti. Della Trinità si vede un intaglio nella Galleria dell' Accademia più volte citata. MARIOTTO ALBERTINELLI 223 tura: dove fece per Fiorenza quadri e pitture in casa di cittadini; e lavorò a Giovan Maria Benin tendi tre storiette di sua mano;1 ed in casa Medici, per la crea- zione di Leon X, dipinse a olio un tondo della sua arme, con la. Fede, la Speranza e la Carità, il quale sopra la porta del palazzo loro stette gran tempo. Prese a fare nella Compagnia di San Zanobi, allato alla canonica di Santa Maria del Fiore, .una tavola della Nunziata, e quella con molta fatica condusse. Aveva fatto far lumi a posta, ed in su l'opera la volle lavorare,2 per potere condurre le vedute, che alte e lontane erano, abbagliate diminuire, e crescere a suo modo. Eragli entrato in fan- tasia che le pitture che non avevano rilievo e forza ed insieme anche dolcezza , non russino da tenere in pregio ; e perchè conosceva che elle non si potevon fare uscir del piano senza ombre, le quali avendo troppa oscurità restano coperte, e se son dolci non hanno forza, egli arebbe voluto aggiugnere con la dolcezza un certo modo di lavorare, che l'arte fino allora non gli pareva che avesse fatto a suo modo: onde, perchè se gli porse oc- casione in questa opera di ciò fare , si mise a far perciò fatiche straordinarie, le quali si conoscono in uno Dio Padre che è in aria ed in alcuni putti, che son molto rilevati dalla tavola per uno campo scuro d' una prospet- tiva che egli vi fece, col cielo d'una volta intagliata a nezza botte, che girando gli archi di quella e diminuendo e linee al punto, va di maniera indentro, che pare di ilievo; oltra che vi sono alcuni Angeli che volano spar- gendo fiori, molto graziosi. 3 1 Non dicendo il Vasari che cosa rappresentassero, è ben difficile il rin- •acciarle. 2 Cioè sul luogo, ove la tavola doveva rimanere. 3 Questa pure trovasi nell'Accademia delle Belle Arti; ed è assai ben con- ìrvata. — * Porta scritto: 1510 • mariotti • florentini • opus. t Nella raccolta dello Spedale di Santa Maria Nuova è un'altra tavola j1 medesimo soggetto, nel mezzo della quale è un pilastro finto di noce, nella li base sta scritto in lettere d' oro: orate • prò . pictore • a • d • mcccccxiii (?) 224 MARIOTTO ALBERTINELLI Questa opera fu disfatta e rifatta da Mariotto innanzi che la conducesse al suo fine più volte, scambiando ora il colorito o più chiaro o più scuro, e talora più vivace ed acceso ed ora meno; ma non si satisfacendo a suo modo, ne gli parendo avere aggiunto con ]a mano ai pensieri dell'intelletto, arebbe voluto trovare un bianco che fusse stato più fiero della biacca; dove egli si mise a purgarla per poter lumeggiare in su i maggior chiari a modo suo. Mentedimeno, conosciuto non poter far quello con r arte che comprende in se V ingegno ed intelligenzia umana, si contentò di quello che avea fatto, poiché non aggiugneva a quel che non si poteva fare; e ne conse- * guì fra gli artefici di questa opera lode ed onore, con credere ancora di cavarne per mezzo di queste fatiche da e1 padroni molto più utile che non fece , intravenendo discordia fra quegli che la facevano fare e Mariotto. Ma Pietro Perugino, allora vecchio, Ridolfo Ghirlandaio, e Francesco Granacci la stimarono, e d'accordo il prezzo di essa opera insieme acconciarono. Fece in San Bran- cazio di Fiorenza in un mezzo tondo la Visitazione di Nostra Donna.1 Similmente in Santa Trinità lavorò in una tavola la Nostra Donna, San Girolamo e San Za- nobi, con diligenza, per Zanobi del Maestro;2 ed alla chiesa della Congregazione de' preti di San Martino fece una tavola della Visitazione, molto lodata.3 Fu condotto 1 Dopo la soppressione della chiesa di San Pancrazio, non sappiamo in quali mani andasse la pittura qui nominata. 2 *Sino dal 1813 questa tavola passò a Parigi, e si conserva tuttavia nel Museo del Louvre. Rappresenta Nostra Donna in piedi con Gesù Bambino nelle braccia, che benedice a san Girolamo e a san Zanobi inginocchiati. In lontananza, dalla parte sinistra, si vede san Girolamo orante appiè di un Crocifisso; a di- ritta, il miracolo del fanciullo risorto dal vescovo san Zanobi. Sul plinto del bas- sorilievo ch'è sotto i piedi della Vergine, rappresentante Adamo ed Eva, presso l'albero della scienza, si legge: mariocti • de bertinellis • opus • a. d. mdvi. 8 Nell'aprile del 1786 questa tavola dall'Accademia delle Belle Arti, ov'era stata trasmessa dall'uffizio del Patrimonio Ecclesiastico, passò alla Galleria degli Uffìzj. Essa porta ripetutamente segnato V anno mdiii nei due ornati pilastri del MARIOTTO ALBERTINELLI 225 al convento della Quercia fuori di Viterbo1, e quivi poi che ebbe cominciata una tavola, gli venne volontà di veder Eoma;1 e così in quella condottosi, lavorò e finì a frate Mariano Fetti,2 a San Salvestro di Monteca vallo, alla cappella sua, una tavola a olio con San Domenico, Santa Caterina da Siena che Cristo la sposa, con la No- stra Donna \ con delicata maniera.3 Ed alla Quercia ri- tornato, dove aveva alcuni amori, ai quali per lo desi- derio del non gli avere posseduti, mentre che stette a Eoma, volse mostrare ch'era nella giostra valente, per- chè fece l'ultimo sforzo: e come quel che non era ne molto giovane ne valoroso in così fatte imprese, fu sfor- zato mettersi nel letto; di che dando la colpa all'aria di quel luogo, si fe' portare a Fiorenza in ceste: e non gli valsero aiuti ne ristori, che di quel male si morì in pochi giorni, d'età d'anni quarantacinque; ed in San Pier Maggiore di quella città fu sepolto,4 De-' disegni di portico aperto, che forma il fondo del quadro. Senza dubbio è questa l'opera più bella che sia uscita dal pennello dì Mariotto. La composizione semplice a grandiosa, la nobile espressione dei caratteri, e la eccellente esecuzione vigo- rosa, sono degne non che del Frate, del più grande maestro. Si può ben dire che il subietto è rappresentato col più bello stile dell'arte antica, e nel tempo stesso col più puro sentimento cristiano. — Il Vasari non rammenta il gradino, che, sciolto dalla tavola, è nella Galleria stessa. Si compone di tre storie, che sono l' Annunziazione di Nostra Donna, la Nascita di Cristo e la Presentazione al tempio. Della tavola si ha un intaglio di Vincenzo della Bruna veneziano; il gradino si vede inciso nell'opera della Galleria suddetta, pubblicata per cura di una Società. 1 * Nella Vita del Pontormo a questo proposito soggiunge: « Non molto dopo essendo Mariotto partito di Firenze (dopo la venuta di Raffaello), ed andato a lavorare a Viterbo la tavola che Fra Bartolomeo vi aveva incominciata ». Questo quadro sarebbe stato quello con Nostra Donna circondata da santi do- menicani, dal Frate lasciato sol disegnato. Ma dalle memorie del convento di Santa Maria della Quercia appare invece, che essa tavola fu condotta a termine da Fra Paolino da Pistoja, come abbiamo veduto a pag. 215. (Vedi P. Marchese, Mem. cit., II, 96, 97). 2 Di Fra Mariano è stata già fatta menzione nella Vita di Fra Bartolommeo. 3 Ne\Y Itinerario di Roma, compilato da A. Nibby, trovasi indicata nella penultima cappella di detta chiesa una Maddalena di Mariotto, invece dello Spo- salizio di santa Caterina. 4 Nella prima edizione il Vasari termina questa Vita con le seguenti parole: 'Vasari, Opere. - Voi. IV. 15 226 MARIOTTO ALBERTINELLI mano di costui ne sono nel nostro Libro, di penna e di chiaro e scuro, alcuni molto buoni; e particolarmente «Et dopo non molto tempo fu onorato con questa memoria: Mente parum (fateor) constàbam ; mentis acwnen Sed tamen oslendunt piota ^ fuisse miài. «Furono le sue pitture circa Tanno mdxii ». Se il Vasari intese in tal anno quello della sua morte, l' Albertinelli sarebbe nato circa il 1467, e per conse- guenza tre anni prima di Fra Bartolommeo. Lo Zani invece lo crede nato nel- l'anno 1475 e morto nel 1520: ed in questo anche noi saremo d'accordo con lui. — (t Quanto all'anno in cui nacque l'Albertinelli, vedasi quel che noi abbiamo detto nella nota 2, a pag. 217. Rispetto poi alla sua morte, ora sappiamo che accadde ai 5 di novembre del 1515 e che fu sepolto in San Pier Maggiore. Dal suo matrimonio coll'Antonia d'Amadore d'Ugolino vinattiere, ebbe Mariotto un solo figliuolo chiamalo Biagio, nel quale pare che si spengesse la sua discen- denza). — Altre pitture di Mariotto si additano nei pubblici luoghi, in case private di Firenze e fuori; ma noi non faremo particolar menzione se non delle seguenti: — Firenze. In casa Tolomei, in Via de'Ginori. Tondo in tavola, assai bello, con Maria Vergine seduta nel mezzo, che tiene sulle ginocchia il Bambino Gesù; a destra il piccolo san Giovanni; nel fondo, dal lato sinistro, si vede, di piccola proporzione, san Giuseppe che conduce un giumento. — In casa Riccardi del Vernaccia. Tondo in tavola. La Vergine siede col sinistro braccio appoggiato ad un melogranato, dal quale il. piccolo san Giovanni spicca un ramoscello e porge la destra al Bambino Gesù, che seduto in terra fa l'atto di alzarsi; san Giu- seppe siede a diritta della Vergine, e mostra un pomo granato a Gesù, .che fa l'atto del benedire. Il fondo è un porticato con bellissima prospettiva dipinto sulle massime del Frate. L'aria dal volto della Madonna è la stessa dell'An- nunziata, ora all'Accademia delle Belle Arti. — Presso il sig. Giovanni Gagliardi, restauratore e negoziante di quadri. Madonna col Putto seduto sulle ginocchia. Dietro sono due angeli, de' quali si vede solamente la testa. Il Putto tiene in mano una crocellina. È del tono stesso di colore dell'Annunziata nell'Accademia. Questa tavola proviene da casa Salviati. — Galleria Panciatichi. Madonna col Putto sulle ginocchia che accarezza la madre, la quale lo abbraccia in atto di baciarlo. Composizione, disegno e colore che ritrae anch'esso della maniera di Fra Bartolommeo. — Il Moreni, nei Contorni di Firenze (III, 68), cita nella chiesa del monastero di Lapo una tavola con i santi Bastiano e Giovanni Batista, segnata sotto colla iscrizione: orate? prò mariotto pictore. — In Bologna, nella Galleria Hercolani, nel 1837 era tuttavia quella tavola rappresentante un Crocifisso con ai lati la Vergine addolorata e san Giovanni Evangelista, segnata dell'anno 1506 e dal can. Crespi attribuita a Mariotto. Vedi le sue Aggiunte alla Felsinei Pittrice, Roma 1769; e Giordani, Collezioni di manoscritti e di quadri vendibili in Bologna nel Palazzo Hercolani, Bologna 1837. t In casa del marchese Girolamo D'Adda di Milano è un quadretto con un Crocifisso, a' piedi del quale stanno inginocchiati tre frati domenicani, e tra questi è il Savonarola, e forse gli altri due sono i suoi compagni nel martirio. Vuoisi che sia pittura dell'Albertinelli ; ma noi dubitiamo se Mariotto, che fu de'contrarj al frate, potesse pensare a dipingere questo soggetto. Tra le opere di Mariotto non ricordate dal Vasari, sono da notare nella raccolta di Castle Ho- M ABIOTTO ALBERTINELLI 221 una scala a chiocciola, difficile molto, che bene l1 inten- dea, tirata in prospettiva. 1 ward in Inghilterra, una piccola tavola con Adamo che dissuade Eva dallo spic- care il pomo dall'albero vietato: essa è tentata dal Demonio, che in forma di serpente avvolge il suo corpo intorno al tronco dell'albero. Nel fondo è la Crea- zione, e il Discacciamento de' nostri primi parenti dal Paradiso terrestre. Nella medesima raccolta è pure un Sacrifizio d' Abramo, assai bello. Ambedue queste tavolette sono state attribuite ora a Raffaello, ora al Francia, ed ora a Lorenzo Costa, ma la mano dell'Albertinelli è evidente. Nel Museo Fitzwilliam di Cam- bridge si conserva uria tavola, assai guasta, con la Vergine, il Putto e san Gio- vannino, e con la iscrizione: mariotti fiorentini òpus. mdix. (Vedi Crowe e Cavalcaseli^, op. cit., voi. Ili, pag. 487 e 489). Quest'ultima tavola è forse ' quella stessa che possedeva il restauratore Gagliardi. Neil' atto di divisione della compagnia all'arte stata tra Mariotto e Fra Bartolommeo, stipulato il 5 di gen- najo 1513 (st. c. ) e pubblicato dal P. Marchese ne' documenti alla Vita di Fra Bartolommeo, tra le tavole che furono assegnate all'Albertinelli n'è registrata una disegnata di mano di Filippo che andava alla Certosa di Pavia, e un' altra tavola simile disegnata di mano di Fra Bartolomeo che va a Pavia alla Cer- tosa. Il P. Marchese crede che Filippo quivi nominato sia Filippino Lippi; ed in ciò si appone benissimo. Ma di questo fatto, che ha qualche importanza nella vita dei suddetti due artefici, come vedremo, egli non mostra di fare gran conto, passandosene con poche parole. Ora, rispetto a questa tavola, in un documento del 1511, rogato da ser Alessandro da Cascese, si trova narrato che avendola i monaci della Certosa di Pavia allogata a dipingere a Filippino Lippi nel 1504 per l'aitar maggiore della loro chiesa pel prezzo di quarantacinque ducati d'oro; nella quale doveva esse» rappresentata la Pietà, con i santi Paolo ed Antonio; Filippino era poco dopo morto, lasciando la tavola solamente disegnata. Onde, dopo sette anni, desiderando sempre que' monaci di ornare il loro altare, avevano eletto due de' loro come procuratori del monastero, perchè si portassero a Fi- renze, e vedessero di aggiustare questa faccenda con la Margherita vedova di Filippino e tutrice de' suoi figliuoli. Venuti perciò in Firenze i detti procuratori, stipularono una convenzione, per la quale la suddetta Margherita si obbligò a restituire quaranta ducati d' oro di quelli che aveva ricevuto il defunto Filippino, rilasciandole gli altri cinque a titolo di elemosina; e riallogarono a Mariotto Albertinelli un'altra tavola, dove avrebbe dipinto quello che gli fosse stato com- messo dal priore del detto monastero, per il prezzo di venti ducati che avreb- begli pagati la detta Margherita de' quaranta che si era obbligata di restituire. Fra gli altri patti ci fu ancora che il monastero cedeva all'Albertinelli la tavola che Filippino aveva disegnata. Pare che quella presa a dipingere dall'Alberti- nelli fosse disegnata da Fra Bartolommeo: ma dell'una e dell'altra tavola non si ha altra memoria, se non quella che si legge sotto l'anno 1511 ne' ricordi del sindaco di San Marco riportata dal P. Marchese, che dice: Fra Bartolomeo ìnostro e Mariotto dipintori a di 3 luglio ducati 12 d'oro in oro: sono del \conto di danari hanno havuti da quelli della Certosa di Pavia per dipinture [hanno fatto loro. 1 * Nella collezione de' disegni della Galleria degli Uffizj abbiamo veduto, nel cartone n° 5 della cartella II, un originale disegno a lapis rosso della Visita- zione, fatto assai maestrevolmente. 228 MAR10TT0 ALBERTINELLI Ebbe Mariotto molti discepoli, fra1 quali fu Giuliano Bugiardini, il Franciabigio, fiorentini, ed Innocenzio da Imola; de' quali a suo luogo si parlerà. Parimente, Vi- stilo pittor fiorentino fu suo discepolo, e migliore di tutti questi per disegno, colorito e diligenzia, e per una mi- glior maniera che mostrò nelle cose che e1 fece, condotte con molta diligenza. E ancor che in Fiorenza ne siano poche, ciò si può vedere oggi in casa di Giovambattista di Agnol Doni in un quadro d1 una spera colorito a olio a uso di minio, dove sono Adamo ed Eva ignudi che mangiano il pomo; cosa molto diligente: ed un quadro d'un Cristo deposto di croce insieme coi ladroni, dove e uno intrigamento bene inteso di scale. Quivi alcuni aiutano a dipor Cristo, ed altri in sulle spalle portono un ladrone alla sepoltura, con molte, varie e capricciose attitudini e varietà di figure atte a quel suggetto, le quale mostrano che egli era valentuomo.1 Il medesimo fu da alcuni mercanti fiorentini condotto in Ungheria, dove fece molte opere, e vi fu stimato assai. Ma questo povero uomo fu per poco a rischio di capitarvi male, perchè essendo di natura libero e sciolto, ne potendo sopportare il fastidio di certi Ungheri importuni che tutto il giorno gli rompevano il capo con lodare le cose di quel paese, come se non fusse altro bene o filicità che in quelle loro stufe, e mangiar e bere, ne altra grandezza o no- biltà che nel loro re ed in quella corte, e tutto il resto del mondo fosse fango; parendo a lui, come è in effetto, che nelle cose d'Italia fusse altra bontà, gentilezza e bellezza; stracco una volta di queste loro sciocchezze, e per ventura essendo un poco allegro, gli scappò di bocca che e1 valeva più un fiasco di trebbiano ed un berlin- 1 * Questa Deposizione di croce fu fatta comprare al marchese Federigo Man- fredini per opera d'Andrea del Sarto, e dal medesimo lasciata per testamento, insieme con tutta la sua quadreria, al Seminario Patriarcale di Venezia. Il pro- fessore Rosini ne ha dato un intaglio alla tav. cxxxv della sua Storia. MARIOTTO ALBERTINELLI 229 gozzo, che quanti re e reine faron mai in que' paesi: e se e' non si abbatteva che la cosa dette nelle mani ad un vescovo galantuomo, e pratico delle cose del mondo, e (che importò il tutto) discreto, e che seppe e volle voltare la cosa* in burla, egli imparava a scherzar con bestie; perchè quelli animalacci Ungheri, non intendendo le parole, e pensando che egli avesse detto qualche gran cosa, come s'egli fusse per torre la vita e lo stato al loro re, lo volevano a furia di popolo, senza alcuna re- denzione, crucifiggere. Ma quel vescovo dabbene lo cavò d'ogni impaccio, stimando quanto meritava la virtù di quel valentuomo, e pigliando la cosa per buon verso, lo rimise in grazia del re, che intesa la cosa, se ne prese sollazzp; e poi finalmente fu in quel paese assai stimata ed onorata la virtù sua. Ma non durò la sua ventura molto tempo, perchè non potendo tollerare le stufe ne queir aria fredda nimica della sua complessione , in breve lo condusse a fine; rimanendo però viva la grazia e fama sua in quelli che lo conobbero in vita, e che poi di mano in mano videro l' opere sue. Furono le sue pitture circa l' anno mdxii. 1 1 * Abbiamo veduto nella nota 4, a pag. 225 e segg. come il Vasari chiuda con questa data la Vita dell' Albertinelli nella prima edizione. Qui vediamo questa data attribuita a Visino; e il Lanzi, di fatto, trasse da un manoscritto la notizia che Visino morì in Ungheria nel 1512. t Chi fosse questo pittore, e quale il suo proprio nome, non ci è riuscito di trovare. Tra i pittori fiorentini che andarono in Ungheria fu Raffaello di Ga- lieno ricamatore, morto colà intorno al 1525, e forse in costui è da riconoscere f artefice che il Vasari chiama Visino. Ad ogni modo questa data del 1512 o si voglia riferire alla morte dell' Albertinelli, o a quella di Visino, sarà sempre sbagliata. 231 233 RAFFAELLINO DEL GARBO PITTOR FIORENTINO (Nato nel 1466; morto nel 1524) Kaffaello del Garbo;1 il quale essendo, mentre era fanciulletto , chiamato per vezzi Raffaellino,9 quel nome si mantenne poi sempre ; fu ne' suoi principi di tanta espettazione nell'arte, clie di già si annoverava fra i più eccellenti : cosa che a pochi interviene : ma a po- chissimi poi quello che intervenne a lui, che da ottimo 1 « È gran cosa, che la natura si sforza talora di far un ingegno, che ne' suoi primi principj fa cose di tanta maraviglia, che gli uomini si promettono di lui, che e1 debba salir sopra il cielo; e tanta aspettazione si pongano nell'animo, che 0 per vigore della natura, o per capriccio della fortuna lo inalzano fino al mezzo, e in un tratto a terra, onde lo levarono, lo ritornano. Talché chi aveva appoggiata tutta la fede in quella persona, tronca i rami della speranza; et non solo tace la impossibilità di colui, ma vitupera il primo moto, che lo mise su' salti del venire più che mortale: nè si resta con «infinito oprobrio sotterrarlo sì, che mai più de terra non si può rilevare. Nè per cosa che fra tante cattive poi operando si faccia buona (tanta forza ha lo sdegno negli animi di coloro, i quali aspetta- vano miracoli), non lo vogliono riguardare o considerare in maniera alcuna, chiudendosi gli occhi il più delle volte, per non avere a vedere il vero. Laonde sbigottito l'animo dello operante, oltra al divenir d' animo più vile, di continuo viene in declinazione, et fassi più debile di forze. Et di tali molti se ne veggono in questa arte, et infiniti ancora nelle altre scienzie. Per il che chi ben comincia 1 principj, trattenendoli con onesti mezzi, rare volte è che non conduca l'opre sue a ottimo fine. Questo non fece Raffaellin del Garbo ecc. ». Così nella prima edizione. 2 *Nè il Vasari nè altri seppero di chi fosse figliuolo questo pittore. Noi possiamo dirlo oggi con sicurezza, mediante il libro dei debitori, creditori e ri- 234 RAFFAELLINO DEL GARBO principio e quasi certissima speranza si condusse a de- bolissimo fine; essendo per lo più costume così delle cose naturali come delle artificiali, dai piccoli principi venire crescendo di mano in mano fino all'ultima perfezione. Ma certo molte cagioni così dell' arte come della natura ci sono incognite, e non sempre ne in ogni cosa si tiene da loro l'ordine usitato: cosa da fare stare sopra di se bene spesso i iudizj umani. Come si sia, questo si vide in Eaffaellino; perchè parve che la natura e l'arte si sforzassero di cominciare in lui con certi principj stra- ordinarj, il mezzo de' quali fu meno che mediocre, e il fine quasi nulla. Costui nella sua gioventù disegnò tanto, cordi, detto il Libro Rosso, dal 1472 al 1520, esistente nel vecchio Archivio della fiorentina Accademia delle Belle Arti. In esso, a carte 114 tergo, tra' debitori e creditori per tasse d'entrature, d' offerte, di feste ecc., è registrato anche Raf- faello di Bartolommeo del Garbo, cogli anni 1503 e 1505. Questa notizia è di qualche importanza, come vedremo nel Commentario che segue. t Nel Libro a parte del Quartiere di Santo Spirito dell'anno 1498, a c. 48, si legge nel gonfalone Scala la portata di Raffaello di Bartolomeo dipintore del popolo di Santa Lucia soprarno, che forse potrebbe essere il nostro Raffaellino. In essa egli dice di non avere gravezza, e nessuna sostanza, e che tiene a pi- gione due botteghe l'una di Torrigiano Torrigiani in Borgo San Iacopo, e l'altra di Luca Renieri nel popolo di Santa Maria del Fiore; ed in quest'ultima sta a dipingere. — Raffaellino del Garbo fu così chiamato, perchè faceva l'arte sua nella via di questo nome, in una bottega della Badia di Firenze, posta sotto la chiesa del monastero, e dirimpetto alla piazza di Sant'Apollinare. E ciò è provato dai libri della detta Badia, ne' quali dal 1513 al 1517 è registrato tra i pigionali Raffaello di Bartolommeo di Giovanni dipintore. Nella Matricola dell'Arte de' Medici e Speziali si legge sotto il 15 di novembre 1499, che fu matricolato Raphael Bartolomei Nicolai Capponi pictor nel Garbo. La qual famiglia Cap- poni, venuta dal contado di Bologna, 'faceva il merciajo in Firenze fino dagli ultimi anni del secolo xv. Ora noi crediamo che Raffaello de' Capponi sia quel medesimo che fece la tavola con Nostra Donna e varj santi, oggi conservata nella raccolta dello Spedale di Santa Maria Nuova, nella quale egli si sottoscrive Raphael de caponibvs me pinsit (sic) a. d. mccccc. Ma questo pittore non è da confondersi con Raffaellino del Garbo, non solo per la diversità della famiglia, ma, quel che più vale, per la dissomiglianza che passa tra le loro pitture. Infatti mentre in Raffaellino del Garbo si vede un fedele seguace della maniera di Fi- lippino suo maestro; Raffaello Capponi si mostra nella detta tavola dello Spedale uno che cerca d'imitare la Scuola Perugina, e specialmente il Pinturicchio, ri- tenendo però nella severità e gravità delle figure le qualità proprie dell'arte fiorentina, come notano benissimo i signori Crowe e Cavalcasene: op. cit. II, pag. 456. RAFFAELLINO DEL GARBO 235 quanto pittore che si sia mai esercitato in disegnare per venir perfetto: onde si veggono ancora gran numero di disegni per tutta l' arte , mandati fuora per vilissimo prezzo da un suo figliolo,1 parte disegnati di stile, e parte di penna e d'acquerello; ma tutti sopra fogli tinti, lu- meggiati di biacca, e fatti con una fierezza e pratica mirabile; come molti ne sono nel nostro Libro, di bel- lissima maniera. Oltre ciò, imparò a colorire a tempera ed a fresco tanto bene, che le cose sue prime son fatte con una pazienza e diligenzia incredibile, come s1 è detto. Nella Minerva,, intorno alla sepoltura del cardinal Ca- raffa, V è quel cielo della volta tanto fine, che par fatta da miniatori, onde fu allora tenuta dagli artefici in gran pregio : e Filippo suo maestro 5 lo reputava in alcune cose molto migliore maestro di se ; ed aveva preso Raffaello in tal modo la maniera di Filippo, che pochi la cono- scevano per altro che per la sua. Costui poi, nel partirsi dal suo maestro, rindolcì la maniera assai ne' panni, e fé1 più morbidi i capegli e l'arie delle teste: ed era in tanta espettazione degli artefici, che mentre egli seguitò questa maniera, era stimato il primo giovane dell1 arte ; perchè gli fu allogato dalla famiglia de' Capponi, i quali avendo sotto la chiesa di San Bartolomeo a Monte Oli- veto, fuor della porta a San Friano, sul monte fatto una cappella che si chiama il Paradiso , vollono che Raffaello facesse la tavola : nella quale a olio fece la Resurrezione di Cristo, con alcuni soldati che quasi come morti sono cascati intorno al sepolcro, molto vivaci e begli, e hanno le più graziose teste che si possa vedere; fra e quali, in 1 i Si chiamò Bartolommeo, e per soprannome il Bontaca. Fu anch'esso pittore e si matricolò all'arte a' 4 di giugno 1537. Morì a' 25 novembre 1555 ed ebbe sepoltura in San Simone. 2 *Cioè Filippo Lippi, detto Filippino per distinguerlo da Fra Filippo suo padre. Il Vasari dà cenno dei lavori di Raffaellino alla Minerva nella Vita del primo. Il Bottari avverte che queste pitture sono state guastate da chi ha pre- teso risarcirle. 236 RAFFAELLTNO DEL GARBO una testa di un giovane, fu ritratto Niccola Capponi, che è mirabile; parimente, una figura, alla quale è cascato addosso il coperchio di pietra del sepolcro, ha una testa che grida, molto bella e bizzarra.1 Perchè visto i Cap- poni T opera di Kaffaello esser cosa rara, gli fecion fare uno ornamento tutto intagliato , con colonne tonde e ric- camente messe d' oro a bolo brunito : e non andò molti anni, che dando una saetta sopra il campanile di quel luogo, forò la volta e cascò vicino a questa tavola, la quale, per essere lavorata a olio, non offese niente; ma dove ella passò accanto all'ornamento messo d'oro, lo consumò quel vapore, lassandovi il semplice bolo senza oro. Mi è parso scrivere questo a proposito del dipignere a olio, acciò si veda quanto importi sapere difendersi da simile ingiuria; e non solo a questa opera l'ha fatto, ma a molte altre. Fece a fresco in sul canto d'una casa, che oggi e di Matteo Botti, fra'l canto del ponte alla Carraia e quello della Cuculia, un tabernacoletto, dren- tovi la Nostra Donna col Figliuolo in collo, Santa Cate- rina, e Santa Barbera ginocchioni; molto grazioso e di- ligente lavoro.2 Nella villa di Marignolle, de' Grirolami, fece dua bellissime tavole con la Nostra Donna, San Za- nobi, ed altri Santi; e le predelle sotto, piene di figurine di storie di que' Santi, fatte con diligenza. Fece sopra le monache di San Giorgio, in muro, alla porta .della chiesa una Pietà con le Marie intorno : e similmente sotto quello un altro arco con una Nostra Donna, nel mdiiii; opera degna di gran lode.3 Nella chiesa di Santo Spirito in Fio- renza, in una tavola sopra quella de'Nerli di Filippo suo 1 Questa tavola, perfettamente conservata, vedesi nell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, ed è giudicata la più bella opera di Raffaellino. 2 La pittura di questo tabernacolo, essendo consumata dal tempo, fu rifatta per mano di Cosimo Uli velli. (Bottari). 8 La chiesa di San Giorgio, ora detta dello Spirito Santo sulla Costa, fu rifatta quasi dai fondamenti nel 1705, e in questo rifacimento perirono tutte le pitture a fresco che vi erano per l' avanti. RAFFAELL1N0 DEL GARBO 237 maestro, dipinse una Pietà; cosa tenuta molto buona e lodevole; ma in un'altra di San Bernardo, manco per- fetta di quella.1 Sotto la porta della sagrestia fece due tavole: una quando San Gregorio papa dice messa, che Cristo gli appare ignudo, versando il sangue, con la croce in spalla; ed il diacono e subdiacono parati la ser- vono ; con dua Angeli che incensano il corpo di Cristo : 2 sotto, a un'altra cappella, fece una tavola, drentovi la Nostra Donna, San Ieronimo e San Bartolomeo. Nelle quale due opere durò fatica, e non poca;3 ma andava ogni dì peggiorando: ne so a che mi attribuire questa disgrazia sua, che il povero Raffaello non mancava di studio, diligenzia e fatica, ma poco gli valeva: laddove si giudica, che venuto in famiglia grave e povero, ed ogni giorno bisognando valersi di quel che guadagnava, oltre che non era di troppo animo, e- pigliando a far le cose per poco pregio, di mano in mano andò peggio- 1 * Della tavola con la Pietà non abbiamo contezza. Quanto all'altra del San Bernardo, osserveremo, che nella cappella Nasi è posta una tavola della Vergine che appare al detto santo, copiata da Felice Ficherelli soprannominato Riposo, dall'originale che il Baldinucci e il Cinelli dicono di Pietro Perugino (della cui maniera, a dir vero, ritrae molto), a differenza del Richa che lo dice di Raffaellin del Garbo. La tavola originale, che per tanti anni era stata presso il patrono, nel 1827 fu venduta a Carlo Del Chiaro mercante di quadri fioren- tino, e quindi acquistata dal re Lodovico di Baviera, che la collocò nella Pina- coteca di Monaco, nel cui catalogo è così descritta: « Nostra Donna in compa- gnia di due angeli apparisce a san Bernardo, che seduto sotto un portico aperto legge in un libro aperto sopra uno scannello, mentre che san Bartolommeo e un altro santo dietro lui rimangono stupiti a quell'apparizione. Figure minori del vero ». Noi non abbiamo veduto questo originale ; ma invece abbiamo sott' oc- chio un disegno con qualche cambiamento, che trovasi nella collezione della Galleria 'di Firenze tra quelli assegnati al Perugino. Ora, se noi consideriamo la maniera di questo disegno, che sebbene ritragga alcunché della Scuola Um- bra, differisce per altro notabilmente dalla maniera del Vannucci, e se consi- deriamo che il Vasari non rammenta nessun lavoro di questo maestro per quella chiesa; propendiamo a credere che la tavola ora a Monaco possa esser quella qui nominata dal Vasari ed attribuita da lui a Raffaellino del Garbo. 2 * Intorno a questa tavola leggasi ciò che è detto nel Commentario posto in fine della presente Vita. 8 * Questa tavola, che a' tempi del Bottari era nel Capitolo del secondo chiostro del convento ed in antico nella cappella Corsini, è oggi nella Galleria di questa famiglia nel palazzo di Parione. Ne riparleremo nel detto Commentario. 238 KAFFAELLINO DEL GARBO rando, ma sempre nondimeno si vedde del buono nelle cose sue. Fece pei monaci di Cestello nel lor refettorio una storia grande nella facciata , colorita in fresco ; nella quale dipinse il miracolo che fece Iesu Cristo delinque pani e duo pesci, saziando cinque mila persone,1 Fece allo abate de1 Panichi, per la chiesa di San Salvi fuor della porta alla Croce, la tavola dello aitar maggiore con la Nostra Donna, San Giovan Gualberto, San Salvi, e San Bernardo cardinale degli Uberti, e San Benedetto abate; e dalle bande, San Batista e San Fedele armato, in duo nicchie che mettevano in mezzo la tavola; la quale aveva un ricco ornamento, e nella predella più storie di figure piccole della vita di San Giovan Gual- berto: nel che si portò molto bene, perchè fu sovvenuto in quella sua miseria da quello abate; al qual venne pietà di lui e della sua virtù; e Eaffaello nella predella di quella tavola lo ritrasse di naturale, insieme col gene- rale loro che governava a quel tempo.2 Fece in San Pier 1 Abbiamo altre volte notato, che dove erano i monaci di Cestello in Borgo Pinti sono adesso le monache di Santa Maria Maddalena de1 Pazzi. — *L' affresco esiste tuttavia nel refettorio del detto monastero. 2 * Questa tavola passò nel Museo del Louvre a Parigi. Dal recente Catalogo del signor Villot ne caviamo volentieri la descrizione: « Nostra Donna seduta colle mani giunte riceve dal suo Figliuolo la corona dell'immortalità, in mezzo a una gloria. Lo Spirito Santo è sopra il capo di Cristo e della Vergine, cui stanno sotto i piè tre teste di cherubini. Quattro angeli, chi col liuto, chi col cembalo, qual coli' arpa, quale colla viola fanno un celeste concerto. A basso del quadro si vede san Benedetto con un libro e un mazzo di verghe; san Salvi, vescovo di Verona, con il pastorale ed un libro; san Giovan Gualberto, fonda- tore della congregazione di Vallombrosa, con il Crocifisso; san Bernardo degli Uberti, cardinale e vescovo di Parma, con un cappello rosso in capo, e una mitra in mano ». Mancano i santi Batista e Fedele che mettevano in mezzo la tavola, e il gradino con storie della Vita di Cristo di piccole figure. 1 Nel braccio sinistro della medesima chiesa di San Spirito è una tavola a tempera con la Trinità adorata da santa Caterina e santa Maria Maddalena, inginocchiate: e nella predella sono le storie della Natività, la Comunione di santa Maria Egiziaca ed il Martirio di santa Caterina. Questa tavola si vuole di Raffaellino dai signori Crowe e Cavalcasene. Op. cit. Ili, p. 417. Nel Museo di Berlino sono due tavole di lui, l'una con la Vergine e il Putto in piedi che ha ai lati due angeli con strumenti in mano; il fondo è di paese: l'altra parimente con la Madonna e il Figliuolo, e San Gio. Battista accompagnato da angeli in mezzo RAFFAELLLNO DEL GARBO 239 Maggiore una tavola a man ritta entrando in chiesa; 1 e nelle Murate, un San Grismondo re. In un quadro e' fece in San Brancazio, per Girolamo Federighi, una Trinità in fresco, dove e1 fu sepolto, ritraendovi lui e la moglie ginocchioni; dove e' cominciò a tornare nella maniera mi- nuta.2 Similmente fece due figure in Cestello a tempera, cioè un San Eocco e Santo Ignazio, che sono alla cap- pella di San Bastiano.3 Alla coscia del ponte Rubaconte verso le mulina, fece in una cappelluccia una Nostra Donna, San Lorenzo, ed un altro santo; 4 ed in ultimo si ridusse a far ogni lavoro meccanico: e ad alcune mo- nache ed altre genti, che allora ricamavano assai para- menti da chiesa, si diede a fare disegni di chiaro scuro, e fregiature di santi e di storie, per vilissimo prezzo; perchè ancora che egli avesse peggiorato, talvolta gli usciva di bellissimi disegni e fantasie di mano; come ne fanno fede molte carte che poi doppo la morte di coloro che ricamavano, si son veduti5 qua e là; e nel Libro del signore Spedalingo6 ve n' è molti che mostrano quanto valesse nel disegno. Il che fu cagione che si feciono molti paramenti e fregiature per le chiese di Fiorenza e per il dominio ed anche a Roma per cardinali e vescovi, i quali sono tenuti molto begli : ed oggi questo modo del ai santi Bastiano ed Andrea. E nella Galleria di Dresda si addita per opera di questo pittore un'altra tavola a tempera, dov'è figurata Maria Vergine col Bambino, ed ai suoi lati san Girolamo e san Francesco. 1 La chiesa di San Pier Maggiore fu distrutta, dopo che era rovinata in gran parte, nel 1784. Ma la tavola qui citata non v'era più da qualche tempo , come avverte il Bottari. 2 Le pitture fatte alle Murate e in San Pancrazio perirono, quando i detti luoghi furono ridotti a uso profano. 3 *Esistono tuttavia nella chiesa ora di Santa Maria Maddalena, e formano i due laterali di un altare di legno, nel mezzo del quale è un san Bastiano di rilievo. 4 * Pittura distrutta. 8 * Intendasi, disegni. 6 Cioè di Vincenzio Borghini, spedalingo degl'Innocenti, monaco benedet- tino, e letterato illustre, dal quale si crede che il Vasari fosse ajutato nel disten- dere queste Vite. ZIO RAFFAELLINO DEL GARBO ricamare, in quel modo che usava Pagolo da Verona, Galieno fiorentino,1 ed altri simili, è quasi perduto, es- sendosi trovato un altro modo di punteggiar largo, che non ha ne quella bellezza ne quella diligenzia, ed è meno durabile assai che quello : onde egli per questo benefizio merita, sebbene la povertà gli diede scomodo e stento in vita, che egli abbia gloria ed onore delle virtù sue doppo la morte. E, nel vero, fu Raffaello sgraziato nelle pratiche, perchè usò sempre con gente povere e basse, come quello che, avvilito, si vergognava di se, atteso che nella sua gioventù fu tenuto in grande spettazione, e poi si conosceva lontano dall' opere sue prima fatte in gio- ventù tanto eccellentemente. E così, invecchiando, de- clinò tanto da quel primo buono, che le cose non parevano più di sua mano ; ed ogni giorno V arte dimenticando , si ridusse poi, oltra le tavole e quadri che faceva, a dipignere 1 Paolo da Verona, ricamatore, è lodato dal Vasari in fine della Vita dei Pollajuoli (t e di lui abbiamo dato notizie nel tomo III, pag. 499, nota 2). Di Gallieno, nato nel 1454, abbiamo raccolto le seguenti notizie nei libri dell'Archivio dell' Opera del Duomo di Siena, e in quello dell' Opera di Firenze. Gallieno di Michele di Mariano da Firenze, ricamatore, il 23 di febbrajo del 1471 ha lire trentacinque e quattro soldi per un fregio ricamato per il davanzale dell' aitar maggiore del Duomo di Siena. Neil' 11 di agosto del 1472 gli sono pagate cin- quantotto lire per due fregi ricamati a oro di Cipro, con le figure de' santi An- sano, Vittorio, Savino e Crescenzio, avvocati della città di Siena, i quali fregi dovevano servire per i due altari di san Vittorio e di san Savino. Nel 12 di settembre del detto anno, ha lire sei e quattro soldi per tre pezzi di fregio con cinque figure d'oro di Cipro e seta, per servizio dell'altare detto del Duomo; e per due pezzi da aggiungere al fregio degli altari di san Savino e di san Vit- torio. (Archivio dell'Opera del Duomo di Siena, Libro detto delle due Rose, a pag. 134, e 222, 226). Nel 1499, ai 4 di dicembre, gli Operaj del Duomo di Firenze allogarono a Gallieno, Giannozzo e Lorenzo di Michele di Mariano, ricamatori da Firenze, un fornimento da diacono ed uno da suddiacono, d'oro e seta, pel prezzo di fiorini centocinquanta larghi d'oro in oro. (Archivio del- l'Opera del Duomo di Firenze, Deliberazioni dal 1496 al 1507, a pag. 9 tergo e 10). Gallieno fu altresì uno de' maestri chiamati nel 25 gennajo 1504 a giu- dicare del luogo più opportuno per collocare la statua del David di Michelan- gelo. (Gaye, II, 466). Egli ebbe un figliuolo di nome Raffaello, che fu pittore, e si trova registrato sotto gli anni 1503, 1504 e 1505, a carte 117 tergo del più volte citato Libro Rosso dei creditori e debitori e ricordi, dal 1472 al 1520, nell'Archivio della fiorentina Accademia di Belle Arti. — t Sappiamo che questo Raffaello morì in Ungheria verso il 1525. RAFFAELLINO DEL GARBO 241 ogni vilissima cosa; e tanto avvilì, che ogni cosa gli dava noja, ma più la grave famiglia de1 figliuoli che aveva, ch'ogni valor bell'arte trasmutò in goffezza. Perchè, so- vraggiunto da infermità ed impoverito, miseramente finì la sua vita di età d'anni cinquantotto. Fu sepolto dalla Compagnia della Misericordia in San Simone di Fiorenza, nel 1524. Lasciò dopo di se molti, che furono pratiche persone. Andò ad imparare da costui i principj dell' arte nella sua fanciullezza Bronzino fiorentino1 pittore, il quale si portò poi sì bene sotto la protezione di Iacopo da Puntormo2 pittor fiorentino, che nell'arte ha fatto i medesimi frutti che Iacopo suo maestro. Il ritratto di Kaffaello si è cavato da un disegno che aveva Bastiano da Montecarlo,3 che fu anch' egli suo discepolo, il quale fu pratico maestro, per uomo senza disegno. 1 Angiolo Bronzino, di cui il Vasari parla a lungo verso la fine dell' opera, quando tratta degli Accademici del disegno viventi a tempo suo. 2 Questi pure cominciò la sua carriera pittorica tanto felicemente, da de- stare l'ammirazione di Michelangelo e la gelosia d'Andrea del Sarto; e poi la finì come Raffaellino del Garbo. 3 t Bastiano di Niccolò di Bastiano da Montecarlo si matricolò il 6 feb- brajo 1517 (st. c. 1518) e morì il 10 febbrajo 1563. Va ?abi, Opere - Voi. IV. 16 243 COMMENTARIO* ALLA Vita di Raffaellino del Garbo Dì tre pittori fiorentini di nome Raffaello contemporanei di Raffaellino del Garbo. Scrivendo il Vasari di Raffaellino del Garbo, ha fatto intendere sin dal principio, che egli trattava d'un pittore, il quale, avendo dato da gio- vane grandissima espettazione di se, era poi tanto da quel primo buono declinato, che l'ultime cose non parevano più di sua mano. Il qual suo giudizio così sfavorevole noi pensiamo che non abbia avuto altro fonda- mento se non nell' erronea credenza che fossero di Raffaellino del Garbo certe pitture che portavano il nome d'un Raffaello, o ad un artefice di questo nome erano dalla tradizione attribuite. Ond' egli tirato da questo errore, non ritrovando in esse pitture le medesime qualità che aveva av- vertite e lodate in altre opere di Raffaellino, anzi vedendole di maniera e di stile diverse , non seppe con altra migliore ragione spiegare la loro differenza, se non che esse fossero dell'ultime sue cose, nelle quali aveva mostrato di essersi dalla bontà delle prime grandemente allontanato. Ma questo suo ragionamento, oltre al non reggere all'esame più diligente de' fatti ed alle prove de' documenti, che dimostrano quelle opere essere uscite dalla mano di altri artefici, del medesimo nome è tempo, ma di scuola e di pratica diversi; non reggerebbe neppure se per un modo di supposizione quelle pitture si volessero dello stesso Raffaellino ; perchè così credendo, doveva altresì il Vasari provare che il nostro pittore, mutando stile e maniera, avesse veramente peggiorato: il che egli non ha fatto, ne gli sarebbe riuscito così facile; perchè quelle pitture, sebbene differenti, non cedono ne di bontà nè di pregio a quelle che sono senza dubbio di Raffaellino; come si può sempre vedere, essendone tuttavia una in Fi- renze, come diremo. 2U COMMENTARIO ALLA VITA Così avendo dimostrato che il giudizio del Vasari sopra Eaffaellino del Garbo era falso ed irragionevole, perchè fondato sopra un errore di fatto, ci pare cosa giusta che il nome suo, rimasto per tanti secoli sotto il peso di quel giudizio, sia oggi, sebbene tardi, alla debita fama ed onore restituito. Furono in Firenze molti altri pittori del medesimo nome di Raffael- lino del Garbo e suoi contemporanei,1 ma noi intendiamo di ragionare in questo Commentario solamente di tre, avendone più particolare notizia, 1 Ne diamo la nota, compilata massimamente spogliando il libro detto Rosso de1 Debitori e Creditori della Compagnia delittori dal 1472 al 1520 conservato nell'Archivio dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze; le Matricole dell'Arte de' Medici e Speziali , e finalmente le portate del Catasto e dell' Estimo di Firenze. 1. Raffaello di Giovanni d'Antonio. Fu de' Riccomanni e nacque nel 1471. Fece testamento a' 29 di marzo 1533, rogato da ser Filippo del Morello, e morì il 15 di febbrajo 1545. Ne' libri delle Sentenze del Magistrato degli Otto si trova che egli nel 1490 fu esiliato per tre anni da Firenze e dal suo contado per aver ferito Bartolommeo di Tieri da Castelfranco, e che nel 21 di luglio 1512 fu condannato in contumacia alle forche per avere ammazzato Jacopo dal Lago Maggiore. 2. Raffaello di Tommaso d'Antonio. Era di cognome Pittori. Nato nel 1479 e morto il 29 agosto 1528. Ebbe due mogli, cioè Costanza d'Ormanno Dei, e Dorotea di Gilio Mati. Da questa gli nacquero Antonio e Jacopo. 3. Raffaello di Lorenzo di Frosino Tosi. Di undici anni stava nel 1480 con Sandro Botticelli. 4. Raffaello d'Antonio di Biagio. Nacque nel 1482. Fu discepolo di Lionardo da Vinci e nel 1505 lavorò con lui alla pittura della Sala del Consiglio. 5. Raffaello di Domenico di Niccolò. Si matricolò a' 13 luglio 1529. 6. Raffaello di Gallieno. Morì in Ungheria circa il 1525, come abbiamo detto nella Vita di Raffaellino del Garbo. 7. Raffaello di Bartolommeo di Niccolò Capponi. Anche di cos.tui è stato parlato nella detta Vita. 8. Raffaello di Tommaso Cini. Si matricolò il 18 febbrajo 1506. 9. Raffaello d'Alessandro del Tedesco. 10. Raffaello di Lorenzo di Giovanni di Corsino. 11. Raffaello d'Andrea di Lorenzo. Morì nel 1528. Fu marito di Lodovica di Francesco da Castiglione Aretino. 12. Raffaello di Niccolò da Montelupo. 13. Raffaello d'Antonio di Bartolommeo. Fu pittore e mettidoro. Si matri- colò il 5 dicembre 1517, e morì il 4 d'aprile 1542. Ebbe due mogli; Eli- sabetta di Biagio Ciucci, e Maria di Gio. Piero Morosini. 14. Raffaello di Bastiano di Compagno. Fu marito della Manetta figliuola di Gio. Battista Gelli calzajuolo e letterato. 15. Raffaello di Niccolò de' Rossi. Di questo pittore parla il cav. Federigo. Alizèri nelle Notizie de' professori del disegno in Liguria, ricordando tre tavole fatte da lui in Genova tra il 1518 e il 1519. 16. Raffaello Carli. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 245 ed anche perchè uno di loro crediamo che sia l'autore di alcune delle tavole attribuite dal Vasari a RatTaellino: il che ci darà il modo non tanto di far meglio conoscere questi artefici, degni di miglior fama, quanto ancora d'illustrare in parte la storia pittorica fiorentina di quel tempo. Essi sono Raffaello di Francesco, Raffaello Carli e Raffaello di Firenze. Raffaello di Francesco Negli ultimi cinquant' anni del secolo xv visse ed operò in Firenze un pittore chiamato Francesco, nato nel 14.46 da Giovanni di Domenico Botticini anch' esso pittore.1 Del qual Francesco nessuna opera che si sappia è pervenuta fino a noi, salvochè una tavola con un tabernacolo per ri- porvi il Corpo di Cristo, che gli uomini della Compagnia di Sant'Andrea della Veste Bianca gli allogarono per l'aitar maggiore della Pieve di Sant'Andrea, oggi collegiata, d'Empoli con istrumento del seguente tenore : « mcccclxxxiv, xxvin mensis martii — Congregata et cohadunata vni- « versitate hominum — devotissime Sotietatis et Discipline Sancti Andree « de Emporio in horatorio (sic) Discipline, ubi et in quo dieta sotietas, « seu homines diete sotietatis soliti sunt congregari , — locaverunt — Fran- « cisco Johannis Dominici Pieri de Florentia, presenti — ad pingendum, « intagliandum, deaurandum et ornandum coloribus, picturis, figuris et « sculptionibus (sic) et aliis ornamentis, unam tabularti cum pluribns « figuris cum uno pulcro et ornato sacrario seu tabernaculo, ponituram « super altare cappelle maioris plebis Sancti Andree de Emporio, ad ho- « norem et reverentiam Sanctissimi — Corporis Domini nostri Jhesu Christi; « in quo sacrario seu tabernaculo dictum Sanctissimum Corpus teneri de- « beat et honorari; tali modo et forma ut fecit et pinsit (sic) in de- « signum quod ostendit dictus Franciscus dictis hominibus, et ad eius 1 Ecco l'Alberetto della famiglia Botticini pittori, del quartiere Santa Croce, Lion nero e Ruote: Giovanni Domenico I Giovanni pittore ri. 1416 Francesco pittore n. 1446 t 19 luglio 1497 sepolto in Sant'Ambrogio Raffaello pittore Alessandro n. 1477 Le sue memorie giungono fino al 1520 Gio. Battista 246 COMMENTARIO ALLA VITA « exemplar, similitudinem et formam et etiam de meliori, iusta (sic) suuin « posse et ingenio, bona fide, continuando bene diligenter et fidelitcr « dietimi opus. Cum pacto quod dictus Franciscus conductor — obligatus « sit dictam tabulam et tabernaculum cum omnibus suis pertinentiis fa- « cere — et finire prò tempore — duorum annorum, initiandorum die xv « mensis augusti proxime futuri presentis anni, et ut sequitur fìniendorum, « et dictam tabulam super dictum altare ponere et firmare : et cum erit « completa posita et firmata super altare pre dictum, tunc dicti homines — « diete sotietatis — debeant eligere unum hominem — in eorum — ar- « bitrum; — et versa vice dictus Franciscus pictor unum alium eligere « debeat in eius arbitrum : — qui arbitri — debeant — declarare — quan- « tum sit valoris et extimationis dieta tabula, seu opus diete tabule, ta- « bernaculi, et aliorum ornamentorum : — et omne et totum quod per dictos « arbitros — iudicatum fuerit, — intelligatur esse et sit verum pretium « dicti operis. — Quam solutionem — diete tabule et tabernaculi — ho^ « mines diete sotietatis teneantur — solvere — dicto Francisco, hoc modo, « videlicet; prò quolibet anno, donec facta erit dictam tabulam (sic) — « fior: quadraginta emporenses, videlicet ad libras quatuor et solidos duo « prò quolibet floreno; et cum completa erit dictam tabulam (sic) — « omne residuum mercedis et pagamenti ». — (Archivio de' Contratti di Firenze: Rogiti di ser Pietro de' Ruminelli; protocollo dal 1482 al 1484 a c. 172 tergo).* Eran già passati più di sett' anni, e maestro Francesco non aveva per anche compiuta la tavola. Onde gli uomini della Compagnia della Veste Bianca per mezzo del loro governatore fecero richiedere gli Operaj della Pieve d'Empoli nel 24 maggio 1491, che fosse a loro permesso di dar fine alla detta tavola; nella quale avevano speso fino allora più di 400 fio- rini d'oro larghi; e di porla sull'altare della cappella maggiore della detta Pieve. Alla qual domanda gli Operaj ben volentieri acconsentirono, con- siderando che ciò sarebbe stato in onore di Dio, ed in ornamento della loro chiesa.1 Ma non ostante tutte queste loro pratiche, gli uomini della Compa- gnia non ebbero per allora il contento di veder finita la loro tavola ; anzi la cosa andò tanto in lungo , che all' ultimo maestro Francesco si morì ai 16 di gennajo 149S, lasciandola tuttavia imperfetta. Finalmente il pie- vano di Sant'Andrea d'Empoli, per autorità avutane dalla detta Compa- gnia, diede a finirla con strumento de' 10 agosto 1504, che qui sotto ri- feriamo, a Raffaello figliuolo del nominato Francesco. Ma pare che poco 1 Archivio detto, Rogiti di sèr Pietro Ruminelli; Protocollo dal 1490 al 1491 a c. 39 tergo. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 247 più vi restasse a fare, se il pittore s'obbligò di compire il suo lavoro dentro il termine' di quaranta giorni. « Die 10 augusti 1504. Venerabilis vir dopnus Franoiscus Ivonis, « plebanus plebis Sancti Andree de Emporio, cum auctoritate pienissima « conveniendi cum Raffaeìle olim Francisco, pictore de modo et tempore « dandi finem tabule altaris majoris cappelle diete plebis, olim facte per « dictam sotietatem et per pictorem Franciscum patrem dicti Raffaéllis « pictoris; et visa eorum auctoritate habita x die Julii instantis anni 1504 etc. « locaverunt et concesserunt ad finiendam dictam tabulam secundum pri- « mum ordinem et formam conventam cum Francisco patre dicti Raffaéllis <: olim Francisci Johannis pictoris de Florentia. Qui dictus Raffael solepni- « ter obligavit se etc. dictam tabulam, finire in perfectione, ad omnes eius « expensas, hinc et per totum mensem septembris proxime futuri pre- « sentis anni 1504. — Et propterea dicti homines nomine diete sotietatis « promiserunt — eidem Raffaello pictori dare, solvere — in fine et prò « fine diete tabule , fior, xxx auri etc. » (Archivio detto, Rogiti dello stesso ser Piero de' Ruminelli ; protocollo dal 1503 al 1505, a carte 79 tergo). Questa tavola dalla Pieve suddetta passò poi nel palazzo municipale d' Empoli, ove tuttora si vede. È un grande e ricco tabernacolo con colonne spiccate. Nel mezzo e una nicchia per riporvi il Corpo di Cristo. Dalla parte destra sta sant'Andrea , dalla sinistra san Giovan Batista, dignitose e belle figure, collocate dentro finte nicchie , sopravi teste di cherubini. Nel gradino sottoposto sono varie storiette di piccole figure; cioè il martirio di sant'Andrea; la cattura di Cristo; la cena; l'orazione nell'orto ; la decollazione di san Giovan Batista; il banchetto d'Erode. Caratteri di maestro Francesco sono: maestria nel disegno, gmindioso, ardito e fermo; molto sentito nell'estremità con ricercatezza anatomica; le barbe e i ca- pelli con poco movimento di massa e minutamente sfilati; nelle pieghe ricercato e alquanto duro; il colore vigoroso e olivastro nelle ombre. Ma un'opera tutta di mano di Raffaello di Francesco è la tavola datagli a dipingere nel 1506 dagli Uomini della già detta Compagnia della Veste Bianca nella medesima Pieve di Sant'Andrea d'Empoli, come si ritrae da questo contratto d' allogagione : « Die xxvi aprilis 1506. — Presbiter Johannes Lomi Petri, et Johan- « nes Philippus Manetti Antonii, et Nisus olim Joannis Nisi, omnes de « Emporio, electi, constituti et deputati ab hominibus sotietatis Vestis « Albe Sancti Andree site in plebe Sancti Andree de Emporio, super « ornamentum diete sotietatis et hospitalis diete sotietatis, prout de eo « autentico constat publico instrumento manu mei notarii infrascripti, sub « die xn mensis augusti proxime preteriti' 1505; et considerantes etc. — « locaverunt et convenerunt, nomine diete sotietatis, cum Raffaele olim COMMENTARIO ALLA VITA « Fì'ancisci Joannis pictore de Florentia — quod dictus Raffael pictor — « promisit dictis suprascriptis hominibus diete sotietatis — de suo proprio « et ad omnes ejus expensas facere pingere, et lignamen diete tabule fieri « et intagliare facere, secundum formam unius designi sive modelli manu « dicti Raffaellis: ad quod designum diete partes se referunt. In qua ta- « buia pingere debeat, in medio diete tabule, Virginem Mariam cum « Jhesu eius filio, et a parte dextera Sanctum Andream, et a parte si- « nistra Sanctum Johannem Baptistam. Quam tabulam sic bene fìnitam, « voluerunt per pacta inter eos apposita ad minus esse extimationis flo- « renorum octuaginta aureorum larg. de auro in auro. Quam tabulam — « diete sotietati dare fìnitam promisit — hinc ad decem et otto menses « proxime futuros — et prò sua mercede et labore et pretio diete tabule ut « supra extimate — debet recipere dictus Raphael singulo anno prò solu- « tione diete tabule fior, xv auri larg. » ( Archivio detto , Rogiti del detto ser Pietro Ruminelli; protocollo dal 1505 al 1506, a carte 177). Questa tavola oggi e perduta. Una seconda tavola fece il nostro Raf- faello per la Compagnia di Santa Croce detta della Teste Nera, che si adu- nava nella medesima Pieve di Sant'Andrea d'Empoli, allogatagli col se- guente strumento : « mdviii, xviij maii. Speetabìlis vir Josaphat Bartholomei Josaphat « de Albizis civis florentinus, ut et tanquam sindicus et procurator — ho- « minimi Societatis et Confraternitatis Sancte Crucis Vestis nigre de Em- « porio — locavit — provido viro Raphaello Francìsci pictori. — unam « tabulam cum omnibus ornamentis et picturis, inferius vulgari sermone « expressis, videlicet. « Una tavola per Iq^cappella della Compagnia decta, eoe (sic) dreni» « in decta Compagnia, con vno Christo r esurgente glorificato con la croce in « collo, et da pie ima Nostra Donna, Sancta Maria Magdalena, Sam (sic) « giouanni baptista et sancta barbara et con lo adornamento intagliato et '< messo a oro richamente, come si conviene a vna bella et simile tavola. « Quam dictus Raphael teneatur perficrere et perfectam — collocare — « in dieta capella — omnibus expensis tam gabelle quam vecture diete « Societatis et omni alio periculo dicti Raphaelis. Et quod dieta Societas — « teneatur eidem Raphaelli solvere actualiter per totum mensem deceni- « bris proxime futuri 1508, ducatos decem auri in auro largos, et insuper « eidem consignare quoddam creditum ducatorum xviij auri largorum in « auro exigendorum a rectore ecclesie sancti Donati in Greti — et insuper « quolibet anno solvere teneatur dicto Raphaelli per totum mensem au- « gusti cuiuslibet anni, ducatos octo auri in auro largos, usque in integrali « satisfactione diete tabule. Et quod dictus Raphael — teneatur dictam ta- « bulam depictam et ornatam ac in omnibus perfectam, collocare et eri- DI RAFFAELLINO DEL GARBO 249 « gere in dieta capelUv — per totum mensem aprilis millesimi quingen- « tesimi decimi ». (Archivio detto, Rogiti di ser Raffaello Baldesi; pro- tocollo dal 1507 al 1509 a c. 112). Soppressa al tempo del granduca Leopoldo I la Compagnia di San- t' Andrea d'Empoli, questa tavola, creduta allora da molti opera di Pie- tro Perugino, fu per ordine del Governo trasportata nell'anno 1786 alla Fiorentina Accademia delle Belle Arti, donde passò poi, nel 1794, nella E. Galleria. E perchè si seppe allora dai libri della soppressa Compagnia, che l' autore di questa pittura non era altrimenti il Perugino, ma sibbene un Raffaello di Francesco di Giovanni, il quadro fu attribuito da alcuni a Raffaello del Colle, da altri a Raffaellino del Garbo. In questa tavola è figurato il Deposto di Croce, invece del Cristo ri- sorgente, come è detto nel contratto. La qual mutazione sarà stata fatta dal pittore per volontà della Compagnia. Si vede nel mezzo il corpo del morto Redentore posato in grembo alla sua santa Madre, e soste- nuto pèr le spalle da san Giovanni Evangelista , e pei piedi dalla Mad- dalena ginocchione. Dietro alla Madonna sta un'altra delle Marie colle mani incrociate, e dietro alla Maddalena san Giovan Batista. Nel fondo si mostra il Calvario con Gesù che porta la croce in mezzo alle turbe,' e seguito dalla Madre. Il gradino, ora diviso dalla tavola, e danneg- giato da cattivo restauro, ha tre storie, cioè: la Samaritana al pozzo; Cristo che scaccia i profanatori dal tempio ; V ingresso di Gesù in Geru- salemme.1 In Empoli, per altro, è rimasta di questa tavola una vecchia non spregevole copia in tela, nel parlatorio delle monache Benedettine di Santa Croce. Questo Raffaello, figliuolo di Francesco, e nipote di Giovanni de'Bot- ticini, ambidue pittori, nacque in Firenze agli undici settembre del 1477, e messosi fin da fanciullo all'arte, facilmente nella bottega del padre, vi si fece ben presto tanto pratico e risoluto che essendo di poco più di vent'anni potè pigliare l'anno 1498 a dipingere una tavola per la Con- fraternita del Corpus Domini posta nella piazza di Santa Maria di Pog- gibonsi nella Valdelsa.2 Delle opere fatte da lui nel 1504, 1506, e 1508 1 II Deposto di croce è inciso nella tav. xxxm, e le tre storie del gradino, nella tav. xxxm A della Galleria di Firenze illustrata. I signori Crowe e Cavalcasene (op. cit. , III, pag. 454) dicono che la tavola del Deposto di Croce ora nella Galleria degli Uffizj fu veramente finita da Francesco di Giovanni, e che quella da lui non compita e data a finire a Raffaello suo figliuolo non esiste più. Ma le cose non stanno in questo modo ; perchè il Deposto di Croce fu dato a fare a Raffaello di Francesco, e la tavola col tabernacolo allogata a Francesco suo padre, e finita da Raffaello esiste tuttavia, come abbiamo detto. 2 Per ricerche fatte a nostra istanza in Poggibonsi abbiamo saputo che fino al 1871 o 72 stette appesa nella piccola stanza del Battistero della Collegiata di 250 COMMENTARIO ALLA VITA per la chiesa di Sant'Andrea d' Empoli, è stato detto di sopra. Nel- l'anno 1512 prete Mariotto di Gio. Filippo gli diede a fare per la sua chiesa di San Martino e Santa Barbara una tavola con Nostra Donna e i santi titolari ai lati. Questa tavola fu venduta alla Russia nel 1835 per il prezzo di 3000 scudi come opera di Raffaello da Urbino. E sotto questo nome si vede nella galleria dell' Ermitage , sala V, n° 10. L'anno seguente ebbe Raffaello a dipingere un' altra tavola per l' oratorio di Santa Maria detto volgarmente Compagnia della Congrega, fuori e presso il castello di Fucecchio. Ci è ignoto il soggetto di questa tavola, e se ancora esiste. Fece Raffaello due testamenti, il primo il 18 di marzo 1508, rogato da ser Raffaello Baldesi, ed il secondo nel 28 ottobre 1513, da ser Benedetto d'Antonio di Fucecchio, ed in quest'ultimo chiama erede d'una meta de' suoi beni Alessandro suo fratello, e dell'altra meta Giovambatista altro suo fratello qualora volesse ritornare al secolo, e non più stare nella re- ligione de' monaci di Settimo, nella quale era allora. Quando morisse non sappiamo dire; l'ultima sua memoria a noi nota è del 1520. Raffaello Carli Di questo artefice fiorentino, che senza dubbio è il più valente di tutti e tre i Raffaelli, di cui ragioniamo, non si erano avute fino ad ora che scarsissime notizie. Noi dunque diremo che egli nacque circa il 1470 da un Bartolommeo di Giovanni di Carlo di Cocco del popolo di San Lorenzo a Vigliano nel Comune di Barberino di Valdelsa. 11 qual Bartolommeo venuto dal villaggio nativo ad abitare ne' sobborghi di Firenze dalla parte di San Frediano, facendo l'ortolano, si morì intorno al 1479 lasciando Raffaello suo figliuolo, fanciullo di circa nove anni, il quale tornato in casa di un Pasquino di Carlo che si diceva suo parente, vi stette due anni alle spese del detto Pasquino. Alla cui morte i Capponi si ti- rarono in casa il giovanetto Raffaello, e lo allevarono, facendogli im- parare la pittura sotto la disciplina di Pietro Perugino, o di qualcuno de' suoi scolari, che erano in Firenze. Nel 1505 il nostro Raffaello mosse lite a Carlo figliuolo ed erede del detto Pasquino per rivendicare alcuni beni che erano pervenuti a Carlo per parte dell'eredità paterna, e che Raffaello ripeteva per suoi, come quelli che monna Nanna moglie di quel luogo una tavola giudicata di bonissimo pennello del 500, nella quale era dipinta una Nostra Donna in mezzo, e due figure ai lati con alcuni angeli. Questa tavola, che si dice stata venduta segretamente non si sa se a Siena o ad Empoli, si potrebbe supporre che fosse quella dipinta dal nostro Raffaello per la nomi- nata Confraternita, la quale fu in antico una delle addette alla Collegiata di Poggi bonsi. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 251 Giovanni di Carlo Suddetto aveva donati a Bartolommeo suo figliuolo e padre di Raffaello. Il fine di questa lite fu, che i detti beni, secondo il lodo dato agli undici di dicembre 1505 da rnesser Giovanni Benizi chiamato arbitro dalle parti, dovessero essere restituiti a Raffaello loro legittimo possessore. Un'altra lite ebbe il nostro pittore col detto Carlo nel 1516, il quale domandava il rimborso delle spese fatte da Pasquino suo padre nel tempo che tenne Raffaello in casa sua. Ma che esito avesse quest' altra lite non ci è riuscito di trovare. Dopo questo anno non abbiamo altra notizia di lui.1 Di questo pittore assai valente, che tenne una maniera, nella quale si vedono in parte le massime della scuola umbra, ed in parte quelle della fiorentina, "ma che nel colore assai vigoroso si accosta molto più a quest' ultima, noi non conosciamo che l' opere seguenti. La prima è una tavola dipinta nel 1501, dove si sottoscrisse Raphael, karli pinxit. a. d. mccccci. Essa rappresenta quando a san Gregorio papa nel dir la messa , col diacono e suddiacono che lo servono, appare Cristo nudo colla croce in ispalla, versando il sangue dalle sue piaghe. È questa la tavola stessa che il Vasari dice fatta da Raffaellino del Garbo per la chiesa di Santo Spirito di Firenze. Essa fu tolta dalla chiesa di Santo Spirito, e passò in casa Antinori quindi venne nelle mani di Giovanni Gagliardi negoziante e restaura- 1 Anche della famiglia Carli crediamo utile dare qui l'Alberetto: Cocco , I Carlo moglie Antonia Giovanni n. 1410 t 1474 moglie Nanna di Matteo Brandi t 1477 Caio abita in Firenze ed è messo dell' Ufficio de' Contratti Caterina Antonio Bartolomeo t 1478 detto Meo ortolano t 1479 venuto da San Lorenzo a Vigliano nella Val d' Elsa a Firenze Ginevra Lorenzo Andrea Donato Carlo detto Baccio Zanobi Raffaello pittore del pop. di San Frediano n. 1470 circa Dopo il 1516 non si trova per ora altra memoria di lai 252 COMMENTARIO ALLA VITA tore di quadri fiorentino ; ma nella inondazione dell'Arno avvenuta nel novembre del 1844 rimase notabilmente danneggiata. Tuttavia, tale quale ella era, fu comperata dall'inglese Woodburn, mercante di cose d'arte, che la portò a Londra e fecela restaurare. La seconda è quella che il Vasari parimente attribuisce a Raffaellino del Garbo, e che appartiene certamente al nostro Raffaello Carli. In essa è rap- presentata la Vergine accompagnata da due angeli, che apparisce a san Ber- nardo seduto innanzi al suo leggìo, sotto un portico. Dietro di lui è san Bar- tolommeo con il libro e il coltello e un giovane santo colla croce. Questa tavola che era in Santo Spirito nella cappella Nasi, poi Capponi, e che dalle vecchie Guide è detta del Perugino, fu venduta nel 1830 dalla fa- miglia Capponi al re Lodovico I di Baviera, ed oggi si vede nella Gal- leria di Monaco al n° 561 sotto il nome di Pietro Perugino. La terza tavola che stette per lungo tempo in Santo Spirito alla cap- pella de' Corsini, non sono molti anni che fu levata di là, e trasportata alla Galleria de' Corsini nel palazzo di Parione. Vi è figurata Nostra Donna in trono ed ai lati due angeli in piedi dentro fìnte nicchie. A' pie del trono sono inginocchiati i santi Bartolommeo e Giovanni Evangelista. In basso da un lato si legge a lettere d' oro minute questa iscrizione : Raphael de krolis pixit a. d. mcccccii. Il Fantozzi nella Guida di Firenze la crede del Botticelli, altri di Cosimo Rosselli. Il cav. Ulderico Medici, in un opuscolo intitolato La Cappella de' Principi Corsini in Santo Spirito e un quadro di "Raffaello de Carli (?), Firenze, 1875, in-8, suppone, ma senza fon- damento, che Raffaello Carli possa essere Raffaello di Gallieno, e perciò l'autore di questa tavola. Raffaello da Firenze Di questo Raffaello da Firenze diverso dai soprannominati, e del quale non sapendosi il patronimico , ci è impossibile di poter dare notizie della persona e della famiglia, non ci è nota che una sola e da pochi conosciuta opera, fatta nel 1502 ed esistente fuori di patria. È questa una gran tavola centinata con ricco ornamento intagliato e messo a oro, che vedesi appesa nel coro della chiesa del già monastero di Santa Maria degli Angeli nel suburbio di Siena, fuori della porta Romana. Siede nel mezzo Nostra Donna sopra le nuvole, circondata da raggi dorati. Le posa in grembo il Divino Infante, con un cherubino sotto i piedi, ed altri due sopra le spalle. Al lato destro di Lei stanno santa Maria Maddalena e san Girolamo cardinale ; al lato manco san Giovanni Evangelista e sant'Ago- stino. Il campo del quadro è un fondo di paese. Sovrasta al ricco orna- mento che fu intagliato dal celebre Antonio Barili, senese, una lunetta DI RAFFAELLINO DEL GARBO 253 con Dio Padre corteggiato da quattro cherubini; e nei sette partimenti del gradino sottoposto sono espressi diversi santi e sante, e in quello di mezzo, molto più largo degli altri, è rappresentata l'adorazione de' Magi, invenzione ricchissima. Ai piedi del san Girolamo è scritto a lettere d'oro: kaphael de plorentia piNxiT mcccccii. La maniera di questo dipinto non somiglia a nessuno dei due Raffaelli di sopra nominati, e tutti li vince per grandiosità di stile, per forza e grazia di colorito. I movimenti delle figure sono semplici e dignitosi; l'aria delle teste, nobile e vera; i par- titi dei panni, di larghe pieghe, vestono assai bene le membra; ritrae insomma della maniera dei più severi e risoluti maestri fiorentini che fiorirono nel principio del secolo xvi.1 1 Questa tavola è descritta anche dai signori Crowe e Cavalcasene (op. cit., II, 457), i quali dicono che fa a prima vista una grande impressione, ma che poi rimane molto diminuita, esaminando la tavola più dappresso e più diligentemente. Trovano volgare e sparuta la testa di sant'Agostino, esagerato il disegno del- l'Evangelista, e di un panneggiare involto. Ma poi confessano che nella Vergine e nel putto il carattere, la mossa, e lo stile del disegno hanno qualche cosa del Perugino o del Pinturiechio. L'adorazione poi de' Magi nella predella pare a loro del tutto Peruginesca, mentre le altre storie ricordano la scuola del Ghir- landajo.. Suppongono dunque di Raffaello de' Capponi già da noi ricordato nella Vita di Raffaellino, non tanto questa tavola, quanto un'altra nella seconda cap- pella a sinistra della crociata di Santo Spirito, nella quale è Maria Vergine col figliuolo adorata da due angeli che sorreggono una cortina, e messa in mezzo a sinistra dai santi Lorenzo e. Gio. Evangelista, e a destra dai santi Stefano e Bernardo che tiene incatenato il Demonio. Il compianto nostro amico e collega cav. Carlo Pini in certi suoi ricordi manoscritti sopra la chiesa di Santo Spirito parlando della suddetta tavola aggiunge: In tre piccole, cartelle poste nell' orna- mento dipinto del soppediano del trono sono queste lettere a. d. — mdv. — p. la penultima lettera non è più visibile. Ancora l'intagliatore della cornice ha voluto in una cartella della ricca candelabra del pilastro destro incidere l'an- no 1505 così scritto m. v. uhi. Sotto questa tavola è un gradino con la Pietà nel mezzo, e ai lati le storie de' santi espressi nella tavola. Quest'opera dipinta a olio e perfettamente conservata è di tanta bellezza da maravigliare chicchessia. Vi è un sapore di disegno eduna larghezza di stile, segnatamente ne' santi, da scuotere 1' osservatore più freddo. Reca dispiacere che non se ne possa indicare con certezza il suo autore. Il Fantozzi, seguendo il Gargiolli, la dice del Peru- gino: ma Pietro non giunse mai a tanta larghezza di stile. Tanto nella tavola, quanto nella cappella è lo stemma della famiglia Segni. Parimente suppongono i sopraddetti che sia dello stesso pittore la tavola, già data incisa dal Rosini per un'opera di Fra Filippo Lippi, la quale originariamente era in San Matteo di Pisa, ed ora si trova nella galleria dell'Accademia di detta città. In essa è figurata Nostra Donna col figliuolo, due angeli, san Gio. Evangelista, san Giro- lamo, san Gio. Batista, ed un vescovo, a' cui piedi è una femmina di profilo, in mezza figura. TORRIGIANO 255 SCULTOR FIORENTINO ( Nato nel 1472 ; morto nel 1528 ) Grandissima possanza ha lo sdegno in imo che cerca con alterigia e con superbia in una professione essere stimato eccellente, e che in tempo che egli non se lo aspetti, vegga levarsi di nuovo qualche bello ingegno nella medesima arte, il quale non pure lo paragoni, ma col tempo di gran lunga lo avanzi. Questi tali certamente non è ferro che per rabbia non rodessero, o male che, potendo, non facessero; perchè par loro scorno ne' po- poli troppo orribile lo avere visto nascere i putti, e da1 nati, quasi in un tempo nella virtù essere raggiunti: non sapendo eglino che ogni dì si vede la volontà spinta dallo studio negli anni acerbi de' giovani, quando con la frequentazione degli studj è da essi esercitata, crescere in infinito; e che i vecchi dalla paura, dalla superbia e dall'ambizione tirati, diventano goffi, e quanto meglio credono fare, peggio fanno, e credendo andare innanzi, ritornano addietro : onde essi invidiosi .mai non danno credito alla perfezione de' giovani nelle cose che fanno , quantunque chiaramente le vegghino, per l'ostinazione eh' è in loro; perchè nelle prove si vede, che quando eglino per volere, mostrare quel che sanno, più si sfor- 256 TORRIGIANO zano, ci mostrano spesso di loro cose ridicola e da pi- gliarsene giuoco. E nel vero, come gli artefici passano i termini, che l'occhio non sta fermo e la mano lor trema, possono, se hanno avanzato alcuna cosa, dare de' consigli a chi opera ; conciosia che V arti della pittura e scultura vogliono l'animo tutto svegliato e fiero, sì come è nella età che bolle il sangue, e pieno di voglia ardente, e de1 piaceri del mondo capital nimico. E chi nelle voglie del mondo non è continente , fugga gli studj di qualsivoglia arte o scienza, perciocché non bene con- vengono fra loro cotali piaceri e lo studio. E da che tanti pesi si recano dietro queste virtù, pochi per ogni modo sono coloro che arrivino al supremo grado. Onde più sono quelli che dalle mosse con caldezza si partono, che quelli, che per ben meritare nel corso acquistino il premio. Più superbia adunque che arte, ancor che molto va- lessi, si vide nel Torrigiano scultore fiorentino, il quale nella sua giovanezza fu da Lorenzo vecchio de1 Medici tenuto nel giardino che in sulla piazza di San Marco di Firenze aveva quel magnifico cittadino in guisa d'anti- che e buone sculture ripieno, che la loggia, i viali e tutte le stanze erano adorne di buone figure antiche di marmo e di pitture, ed altre così fatte cose, di mano de' migliori maestri che mai russerò stati in Italia e fuori. Le quali tutte cose, oltre al magnifico ornamento che facevano a quel giardino, erano come una scuola ed ac- cademia ai giovanetti pittori e scultori, ed a tutti gli altri che attendevano al disegno, e particolarmente ai giovani nobili; atteso che il detto Magnifico Lorenzo te- neva per fermo, che coloro che nascono di sangue no- bile possino più agevolmente- in ogni cosa venire a per- fezione, e più presto che non fanno per lo più le genti basse, nelle quali comunemente non si veggiono quei concetti ne quel maraviglioso ingegno , che nei chiari di T0RRIGIAN0 257 sangue si vede:1 senza che avendo i manco nobili il più delle volte a difendersi dallo stento e dalla povertà, e per conseguente necessitati a fare ogni cosa meccanica, non possono esercitare l'ingegno ne ai sommi gradi d'ec- cellenza pervenire. Onde ben disse il dottissimo Alciato parlando dei belli ingegni, nati poveramente, e che non, possono sollevarsi per essere tanto tenuti al basso dalla povertà, quanto inalzati dalle penne dell1 ingegno : Ut me piuma levai, sic grave mergit onus.2 Favorì dunque il Magnifico Lorenzo sempre i belli ingegni, ma particolarmente i nobili che avevano a que- ste arti inclinazione ; onde non è gran fatto che di cfuella scuola uscissero alcuni che hanno fatto stupire il mondo; e, che è più, non solo dava prò visione da poter vivere e vestire a coloro che essendo poveri non arebbono po- tuto esercitare lo studio del disegno, ma ancora do- nativi straordinarj a chi meglio degli altri si fusse in alcuna cosa adoperato; onde gareggiando fra loro i gio- vani studiosi delle nostre arti, ne divennero, come si dirà, eccellentissimi. Era allora custode e capo di detti giovani Bertoldo scultore fiorentino, vecchio e pratico maestro, e stato già discepolo di Donato;3 onde inse- gnava loro, e parimente aveva cura alle cose del giar- dino, ed a' molti disegni, cartoni e modelli di mano di Donato, Pippo,4 Masaccio, Paulo Uccello, Fra Gio vanni, 1 Non per effetto del sangue; ma in grazia dell' educazione e delle comodità che i nobili hanno per coltivare la mente. ti Torrigiani furono d'origine popolana, ed in antico vinattieri. Acqui- state coli' esercizio della mercatura grandi ricchezze, ebbero sotto il principato mediceo gradi ed onori, ed in ultimo dai pontefici il titolo di marchese. 2 Verso tolto dall'emblema d'Andrea Alciato, dov'è espresso un giovine, il quale tenendo alzata una gamba e stendendo verso il cielo la destra munita di due ale sul polso pare che brami spiccare il volo ; ma colla sinistra reggendo una pietra, da questa vien tirato verso la terra. 3 Di Bertoldo è stato parlato nella Vita di Donatello. * Filippo di Ser Brunellesco. Vasari, Opere. — Voi. IV. 17 258 TORRIGIANO Fra Filippo, e d'altri maestri paesani e forestieri. E nel vero, queste arti non si possono imparare, se non con lungo studio fatto in ritrarre e sforzarsi d'imitare le cose buone; e chi non ha di sì fatte commodità, sebbene è dalla natura aiutato, non si può condurre se non tardi a perfezione.1 Ma tornando all'anticaglie del detto giardino, elle anelarono la maggior parte male Tanno 1494, quando Piero figliuolo del detto Lorenzo fu bandito di Firenze; perciocché tutte furono vendute all'incanto. Ma nondi- meno la maggior parte furono, l'anno 1512, rendute al Magnifico Giuliano, allora che egli e gli altri di casa Medici ritornarono alla patria, ed oggi per la maggior parte si conservano nella guardaroba del duca Cosimo.2 Il quale esempio veramente magnifico di Lorenzo, sem- pre che sarà imitato da principi e da altre persone ono- rate, recherà loro onore e lode perpetua; perchè chi aiuta e favorisce nell'alte imprese i belli e pellegrini ingegni, da e quali riceve il mondo tanta bellezza, onore, comodo e utile, merita di vivere eternamente per fama negli intelletti . degli uomini. Fra gli altri che studiarono l'arti del disegno in questo giardino, riuscirono tutti questi eccellentissimi: Miche- lagnolo di Lodovico Bonarroti, Giovanfrancesco Eustici, Torrigiano Torrigiani, 3 Francesco Granacci, Mccolò di Iacopo Soggi, Lorenzo di Credi, e Giuliano Bugiardini; e de' forestieri: Baccio eia Monte Lupo, Andrea Contucci 1 * Queste arti s'imparano non solo con lungo studio d'imitare le cose buone fatte da altri, ma coli' imitare specialmente innanzi a tutto la natura. 2 E presentemente nella pubblica Galleria, e nei RR. Palazzi. 3 *Che il Torrigiano si chiamasse per nome Pietro, e non Torrigiano, lo sappiamo non solo per testimonianza di Benvenuto Cellini, ma ancora dai do- cumenti che riferiremo più innanzi. t Nacque Pietro da Antonio Torrigiani Tanno 1472 ai 24 di novembre, com'è registrato nel Libro 2° dell'Età, oggi conservato nell'Archivio di Stato in Firenze tra i libri dell'Ufficio delle Tratte. TORRIGIANO 259 dal Monte Sanso vino, ed altri, de1 quali si farà memoria al luogo loro. Il Torrigiano adunque, del quale al presente scri- viamo la vita, praticando nel detto giardino con i so- praddetti, era di natura tanto superbo e colloroso, oltre all'essere di persona robusta, d'animo fiero e coraggioso, che tutti gli altri bene spesso soperchiava di fatti e di parole.1 Era la sua principale professione la scoltura, ma nondimeno lavorava di terra molto pulitamente e con assai bella e buona maniera. Ma non potendo egli sop- portare che ninno con l'opere gli passasse innanzi, si metteva a guastar con le mani queir opere di man d' al- tri, alla bontà delle quali non poteva con l'ingegno ar- rivare; e se altri di ciò se risentiva, egli spesso veniva ad altro che a parole. Aveva costui particolar odio con Michelagnolo, non per altro, se non perchè lo vedeva studiosamente attendere all'arte, e sapeva che nasco- samente la notte ed il giorno delle feste disegnava in casa; onde poi nel giardino riusciva meglio che tutti gli altri, ed era perciò molto carezzato dal Magnifico Lo- renzo. Perchè mosso da crudele invidia, cercava sempre d'offenderlo di fatti o di parole; onde venuti un giorno alle mani, diede il Torrigiano a Michelagnolo sì fatta- mente un pugno sul naso, che glielo infranse di ma- niera, che lo portò poi sempre così stiacciato, mentre che visse: la qual cosa avendo intesa il Magnifico, ne ebbe tanto sdegno, che se il Torrigiano non si fuggiva di Firenze, n'arebbe ricevuto qualche grave castigo.2 1 II Cellini, che lo conobbe molti anni dopo, quando cioè fu tornato d'In- ghilterra, lo descrive così: «Era quest'uomo di bellissima forma, aldacissimo ; « aveva più aria di gran soldato che di scultore, massimo a' sua mirabili gesti « ed alla sua sonora voce, con uno aggrottar di ciglia atto a spaventare ogni « uomo da qualcosa; ed ogni giorno ragionava delle sue braverie, ecc. ». 2 Lo stesso Torrigiano raccontò al Cellini il fatto medesimo; ma con termini atti a dare un diverso aspetto alla cosa. Ecco come egli si espresse: « Questo « Buonarroti ed io andavamo a imparare da fanciulletti netta chiesa del Car- « mine dalla cappella di Masaccio; e perchè il Buonarroti aveva usanza di uc- 260 TORRIGIANO Andatosene dunque a Roma, dove allora faceva la- vorare Alessandro VI Torre Borgia, vi fece il Torrigiano, in compagnia d'altri maestri, molti lavori di stucchi.1 Poi dandosi danari per lo duca Valentino che faceva guerra ai Romagnoli, il Torrigiano fu sviato da alcuni giovani fiorentini; e così fattosi in un tratto di scultore soldato, si portò in quelle guerre di Romagna valoro- samente. Il medesimo fece con Paulo Vitelli nella guerra di Pisa, e con Piero de' Medici si trovò nel fatto d'arme del Grarigliano, dove si acquistò una insegna e nome di valente alfiere.2 Finalmente, conoscendo che non era per mai venire, ancor che lo meritasse, come desiderava, al grado di capitano, e non avere alcuna cosa avanzato nella guerra, anzi aver consumato vanamente il tempo, ritornò alla scultura; ed avendo fatto ad alcuni merca- tanti fiorentini operette di marmo e di bronzo in figure piccole che sono in Fiorenza per le case de' cittadini, e disegnato molte cose con fierezza e buona maniera, come si può vedere in alcune carte del nostro Libro di sua mano, insieme con altre, le quali fece a concorrenza di Michelagnolo, fu dai suddetti mercanti condotto in In- ghilterra, dove lavorò in servigio di quel re infinite cose di marmo , di bronzo e di legno a concorrenza d' alcuni « celiare tutti quelli che disegnavano, un giorno infra gli altri dandomi noia il « detto, mi venne assai più stizza che '1 solito; e stretto la mano, gli detti sì « grande il pugno in sul naso, che io mi senti' fiaccare sotto il pugno quell'osso « e tenerume del naso, come se fusse stato un cialdone: e così segnato dame, « ne resterà insin che vive ». Dal naturale di costui fiero ed orgoglioso si con- gettura facilmente che il livore e la gelosia furon la causa, e i motteggi il pretesto di questa fiera aggressione. Ma ogni reo quando narra le proprie colpe, le espone in modo da farle parere scusabili. 1 *I1 Torrigiano fece i lavori di stucchi nella Torre Borgia fra il 1493 e il 1494. 2 *La guerra mossa dal Valentino alle città di Romagna fu tra il 1493 e il 1500; e Paolo Vitelli fa sotto Pisa nel 1498. Finalmente il fatto d'arme del Grarigliano, dove i Francesi furono rotti dagli Spagnoli, e Piero de' Medici perì annegato nel passare quel fiume, accadde nel 1503. Questo abbiamo voluto dire non peraltro, che per raddrizzare l'ordine cronologico de' fatti, che nel Vasari, secondo il suo costume, è qui stravolto. TORRIGIANO 261 maestri di quel paese, ai quali tutti restò superiore, e ne cavò tanti e così fatti premj , che se non fusse stato , come superbo, persona inconsiderata e senza governo, sarebbe vivuto quietamente e fatto ottima fine, laddove gli avvenne il contrario.1 Dopo, essendo condotto d'In- ghilterra in Ispagna , vi fece molte opere che sono sparse in diversi luoghi, e sono molto stimate; ma infra l'altre fece un Crocifisso di terra, che è la più mirabile cosa che sia in tutta la Spagna; e fuori della città di Sivi- 1 * L'opera sua maggiore fu il sepolcro in bronzo del re Enrico VII e della regina Elisabetta, eretto nella cappella dell'ordine del Bagno, o di Enrico VII, nella chiesa di Westminster. Fu terminato nel 1519. Il Britton nell' Architectural Antiquitiés of Great Britain, voi. II, pag. 16, dà distinta relazione di questo la- voro. Dai documenti che egli riferisce rilevasi, che il re Enrico VII dispose nel suo testamento dei 31 marzo 1509, che gli fosse posto questo monumento nella cap- pella incominciata da lui. Il primo disegno lo diede il Pageny, il primo modello fu eseguito dal Gamber. Nel 1516, e forse già nel 1512, regnando Enrico Vili, fu stipu- lato un contratto con Pietro Torrigiani, il quale promise di compiere il lavoro innanzi che venisse il novembre del 1519. Il monumento gli fu pagato 1500 lire sterline. In un altro contratto del 5 gennajo 1518, il Torrigiano si obbliga di ese- guire per 2000 lire un monumento per Enrico Vili e per la sua moglie Caterina d'Aragona, un quarto più grande di quello di Enrico VII; di farne un modello, e di ultimarlo in quattr'anni. Questo monumento non fa mai eseguito. Quello di Enrico VII si compone di un'arca di marmo nero, ossia di pietra di paragone, su cui è adagiata la real coppia in bronzo. La base è divisa in sei compartimenti, dove sono scolpiti altrettanti bassorilievi che rappresentano la Madonna col Putto, l'arcangiolo Raffaello che calpesta il drago, i santi Giovanni Battista ed Evan- gelista, Giorgio d'Inghilterra, Antonio da Padova, Cristofano, Vincenzio, Maria Maddalena, Barbara ed Anna. Sui gradini sono poste alcune figure allegoriche, che alludono alle virtù degli estinti. Il tutto è di buon lavoro, e s'avvicina in parte allo stile de' naturalisti di quel tempo, e specialmente di Andrea Contucci dal Monte a San Savino. Il monumento non si può osservar bene, perchè è cir- condato da un cancello di bronzo molto artifizioso, e tutto ornato di figure e di emblemi. Anche parecchie delle figure poste nelle pareti laterali sembrano del Torrigiano. t La somiglianza di stile ha fatto supporre non senza ragione che il Tor* rigiano sia ancora l' autore del monumento di Margherita contessa di Richmond, posto nella cappella contigua a quella del re Enrico VII suo figliuolo. La sua figura di bronzo, che in antico era dorato, giace vestita semplicemente, ed ha dopo i suoi piedi un'antilope col collare, emblema del Lancaster. Parimente gli è attribuita la sepoltura del dott. Young nella cappella di Chancery Lane a Londra. La figura del morto che è di terracotta giace sopra una cassa di pietra, sotto un arco basso, sopra il quale sono una bella testa di Cristo e due angioli, parimente di terracotta. (Ved. Pbrkins, Tuscan sculptors, voi. I, pag. 261 e 262, London, Longman, 1864, in-4 con figure). Il Torrigiano nel 23 e 28 di settembre 262 TORRIGIANO glia, in un monasterio de'frati di San Girolamo, fece un altro Crocifisso ed un San Girolamo in penitenza col suo lione, nella figura del qual santo ritrasse un vecchio di- spensiero de' Botti, mercanti fiorentini in Ispagna; ed una Nostra Donna col Figliuolo, tanto bella, eh1 ella fu cagione che ne facesse un'altra simile al duca d'Arcus; il quale per averla fece tante promesse a Torrigiano, che egli si pensò d'esserne ricco per sempre.1 La quale opera finita, gli donò quel duca tante di quelle monete del 1519, essendo in Firenze, fece patto con Antonio di Piergiovanni di Lorenzo scultore da Settignano, e Antonio detto Toto del Nunziata, pittore, i quali si obbligarono di stare con lui per quattro anni e mezzo, e lavorare dell'arte loro in Italia, Francia, Fiandra, 'Inghilterra,' Germania, ed in qualunque altra parte del mondo, col salario di tre fiorini d'oro al mese, al primo, e di quaranta du- cati all'anno al secondo, oltre le spese del vitto, alloggio e cavalcatura. Con un terzo contratto del 26 ottobre del detto anno lo stesso Torrigiano pattuì con le medesime condizioni e tempo con Gio. Luigi di Bernardino di maestro Jacopo da Verona, dimorante in Firenze. Rispetto alla sepoltura che il Torrigiano si era allogato di eseguire al. re Enrico Vili, noi abbiamo una lettera scritta da Londra alla Signoria di Firenze ai 18 giugno 1519 da Rinaldo de'Ricasoli, console della Nazione Fiorentina in Londra, nella quale si dice che Piero Torrigiani cittadino fiorentino e maestro scultore aveva preso a fare circa due anni fa dal re Enrico suddetto un altare ed altre opere di bronzo per la valuta di 1000 lire di ster- Mni, e che questi denari erano stati sborsati da quella Maestà più tempo indietro nelle mani d' un mercante lucchese che era stato per tale lavoro sicurtà del Tor- rigiano appresso al detto re, dovendogli esso mercante pagare i detti danari di mano in mano che lo scultore andava avanti con quel!' opera. Ora fra gli altri denari il mercante lucchese aveva sborsato per il Torrigiano nelle mani di Pier Francesco Bardi residente a Londra la somma di lire 240 di sterlini, con ordine che ne fossero comperati in Firenze tanti beni sodi per sicurtà del detto lucchese. Prega dunque il Ricasoli la Signoria che faccia ogni opera, perchè quella somma con danno del mercante lucchese non vada nelle mani del Torrigiano, il quale, dice, non ha finito, anzi nemmeno cominciato quel lavoro, e si è partito di colà insalutato hospite e senza licenza di detta Maestà, con animo deliberato di non più tornarvi, e di non finire detta opera: il che è stato ed è con grandissimo disonore e forse danno della nazione fiorentina. (Archivio di Stato in Firenze; filza 37, a c. 108 delle Lettere esterne alla Signoria). 1 *In Ispagna non v'è neppur tradizione che il Crocifisso di terra e la Nostra Donna col Figliuolo dal Vasari rammentati più sopra sieno mai esistiti. Ma il San Girolamo in penitenza, statua di terracotta più grande del vivo, è tal cosa che ha poche rivali in Ispagna. (Vedi il libro intitolato: Les Arts Ita- liens en Espagne, Roma 1825 in-4° gr. ). Del Torrigiano fa cenno anche Fran- cesco d'Olanda, architetto e miniatore del secolo xvi, ne' suoi scritti artistici, dove parlando de' celebri scultori in marmo moderni, cioè del tempo suo, pone Maestro Pietro Torrigiani, modellatore di terra. Egli fece d' argilla il ritratto TORRIGIANO 263 che chiamano maravelis,1 che vagliono poco o nulla, che il Torrigiano, al quale ne andarono due persone a casa cariche, si confermò maggiormente nella sua openione d' avere a esser ricchissimo. Ma avendo poi fatta contare e vedere a un suo amico fiorentino quella moneta e ri- durla al modo italiano, vide che tanta somma non arri- vava pure a trenta ducati; perchè tenendosi beffato, con grandissima collera andò dove era la figura che aveva fatto per quel duca, e tutta guastolla. Laonde quello Spagnuolo, tenendosi vituperato, accusò il Torrigiano per eretico; onde essendo messo in prigione, ed ogni dì esa- minato e mandato da uno inquisitore all'altro, fu giu- dicato finalmente degno di gravissima punizione; la quale non fu messa altrimenti in esecuzione; perchè esso Tor- rigiano per ciò verme in tanta maninconia, che stato molti giorni senza mangiare, e perciò debilissimo dive- nuto, a poco a poco finì la vita: 9 e così col torsi il cibo, si liberò dalla vergogna in che sarebbe forse caduto, essendo, come si credette, stato condannato a morte. z dell'Imperatrice (di Portogallo) che Dio abbia in gloria. (Vedi Raczynski, Les Arts en Portugal etc; Paris, Renouard et C, 1846, in-8). i La statua di' San Girolamo che era nella chiesa de' Gerolinimini di Sivi- glia è ora nel Museo della detta città. Quanto alla Nostra Donna col Putto si vuole che sia quella in terracotta che è nel Museo suddetto. Si attribuisce a lui anche l1 alto rilievo della Carità sopra il timpano della porta interna della cat- tedrale di Granata. Ma i moderni critici vi vedono la maniera dell' arte spagnuola di quel tempo. 1 * Nella prima edizione è stampato marauedis; e così dovrebbe dirsi. 2 « Et acquistonne questo epitaffio: Virginis intactce hic statuam quam f ecerai ira Quod fregit victits ; carcere clausus obiit ». Ciò leggesi soltanto nella prima edizione. t Questa storiella è negata dal Quilliet (Les arts italiens en Espagne), e veramente pare una favola, fondandosi che in Spagna non esiste una tale statua, e che è notoria la liberalità verso gli artisti de' Grandi di quel paese. 3 * Neil' allogazione fatta nel 5 di giugno del 1501 a Michelangelo Buonar- roti di quindici statue per l'altare eretto nel Duomo senese dal card. Francesco Piccolomini , si trova che il Torrigiano (chiamato anche qui Pietro) aveva inco- minciato per quell'altare la statua di San Francesco, la quale il Buonarroti si obbliga, per sua cortesia, di finire. — t Questo documento fu stampato nel voi. Ili 264 T0RRIGIAN0 Furono l'opere eli costui circa gli anni eli nostra salute 1515, e morì l'anno 1522. 1 p. 19 dei Documenti per la Storia dell'Arte Senese raccolti ed illustrati dal dott. Gaetano Milanesi, Siena, Porri, 1856, e nelle Lettere di Michelangelo Buonarroti ecc., Firenze, Success. Le Monnier 1875, Contratti artistici, pag.616. 1 t La morte di Pietro Torrigiani deve essere accaduta tra il luglio e l'agosto del 1528. In quest'anno a' 5 di novembre fu data sentenza dalla Ruota di Firenze in favore di madonna Felice de' Mori vedova del detto Piero, la quale aveva domandato la restituzione della sua dote. Nel libello presentato da lei si dice tra l'altre cose che Piero suo marito mortuus est et decessit jam sunt tres menses et ultra. 265 267 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO ARCHITETTI FIORENTINI ( Nato nel 1445 ; morto nel 1516 — Nato nel 1455 ; morto nel 1534 ) Francesco di Paulo Giamberti,1 il quale fu ragione- vole architetto al tempo di Cosimo de1 Medici, e fu da lui molto adoperato, ebbe due figliuoli, Giuliano ed An- 1 *Non Francesco di Paolo, ma sì bene Francesco di Bartolo di Stefano fu padre de' due Sangallo ; come mostrano chiaramente e la denunzia de' Toro beni fatta nel 1498, riferita dal Gaye (I, 342) e molti altri documenti che si leggono in quello e nel II volume della medesima opera. In questo errore non era già ca- duto il Vasari nella prima edizione delle Vite, dove, dopo il preambolo posto alla Vita de' Sangallo, e poi soppresso nella seconda, ma che da noi sarà nuo- vamente riferito, dice Giuliano figliuolo di Francesco di Bartolo Giamberti. « L'animo et il valore in un corpo che di virtù sia capace, fa di sè effetti in- finiti di maraviglia; conciossia che tutte le persone che sono abiette dalle corti o da i capi, che far possono esperimento degli uomini valenti, sono ancora lon- tani da l'operar loro nella virtù, la quale è figurata per un lume in questo cieco mondo; che è quello che la fa più in infinita grandezza risplendere, et di più lode degna. Onde nasce che, oltra l'opere, il nome suo in infinito cresce, et lascia di sè ne' posteri suoi l'eternità del nome; et Massi animo a quegli che sono timidi, che si mettono innanzi alle fatiche et all'operare. Così dunque s'ab- bellisce il mondo; et si dà animo ai principi che di continuo faccino dell'opere; et si mostra le doti avute da '1 Cielo nelle virtù a i discendenti, i quali de gli altrui sudori acquistano et ricevono infinita comodità. Onde per tal cagione com- prenderemo il valore in questa vita, et nell'arte l'animo pronto, che nelle im- prese difficili mostrò Giuliano di Francesco di Bartolo Giamberti, ecc. ». j t Circa all' anno in cui nacquero Giuliano ed Antonio da Sangallo noi abbiamo segnato il 1445 per il primo, e il 1455 per il secondo, lasciandoci gui- dare dalla loro portata all'Estimo del 1487, nella quale l'uno si dice di 34, e l'altro di 24 anni. Ma la cosa rimane tuttavia incerta, perchè Francesco loro padre nella sua portata all'Estimo del 1460 dà a Giuliano, allora il solo suo figliuolo maschio, l'età. di otto anni; il che riporterebbe la sua nascita al 1452 incirca. Nella speranza che da' libri de' battezzati conservati nell'Archivio dei- IT Opera del Duomo, avremmo trovato il vero, gli abbiamo esaminati, ma senza 268 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO tonio, i quali mise all'arte dell'intagliare di legno, e col Francione legnaiuolo;1 persona ingegnosa, il quale similmente attendeva agl'intagli di legno ed alla pro- spettiva, e col quale aveva molto dimestichezza, avendo eglino insieme molte cose e d' intaglio e d' architettura operato per Lorenzo de' Medici;, acconciò il detto Fran- cesco Giuliano uno de' detti suoi figliuoli; il quale Giu- liano imparò in modo bene tutto quello che il Francione gì' insegnò ,2 che gì' intagli e le bellissime prospettive che poi da se lavorò nel coro del duomo di Pisa, sono ancor oggi fra molte prospettive nuove non senza maraviglia guardate.3 Mentre che Giuliano attendeva al disegno, effetto, perchè sotto gli anni 1452 ed anche ne' seguenti non ci è riuscito di tro- vare il nome di Giuliano, nè, proseguendo nella ricerca, quello di Antonio. Perciò siamo stati costretti per ora a contentarci di seguitare, per gli anni della loro nascita, quelli che risultavano dalla predetta portata del 1487. 1 'Del Francione, che si chiamava per proprio nome Francesco di Giovanni di Francesco, abbiamo dato notizie nella Vita di Baccio Pontelli (tom. II, pag. 654, nota 2 ). 2 i Le prime memorie che abbiamo di Giuliano sono a Roma, dove, se- condo il Libro de' suoi disegni nella Barberiniana, cominciato nel 1465, apparisce che egli vi fu di 20 anni, e dove secondo i documenti nuovamente scoperti e pubblicati egli lavorò dagli ultimi anni del pontificato di Paolo II ai primi di Sisto IV, cioè dal 1469 fino al 1472 almeno, al palazzo di San Marco, a quello pontificio e alla tribuna di San Pietro. Scolpi anche un' arme di marmo alle pri- gioni di Campidoglio. In questi lavori fu compagno di Meo del Caprina, del quale è stato parlato nel Commentario alla Vita di Baccio Pontelli. (Vedi Eugenio Muntz, Les Arts à la Cour des Papes, voi. II, pag. 40 e seguenti). 8 i Intorno a questi lavori noi dicemmo annotando la Vita del Da Majano, quanto allora ne sapevamo. Ma per le nuove informazioni avute dipoi dalla cor- tesia del cav. Leopoldo Tanfani, direttore dell'Archivio di Stato di Pisa, cavate dai libri di amministrazione di quella Primaziale, ora ne conosciamo con più esat- tezza e verità tutti i particolari. E di questi particolari ci giovammo in parte nel Commentario alla Vita di Baccio Pontelli, nel quale dimostrammo che questo artefice dal 1471 al 1479 ebbe a lavorare di tarsia e d'intaglio alcune sedie per il coro di quella Primaziale. Ora compiendone i ragguagli diremo, che dai detti libri apparisce chiaro che Giuliano da San Gallo non lavorò in quel coro, ma Francesco di Giovanni detto il Francione, il quale dal 1467 vi fece quattro sedie, cioè quelle dell' operajo di San Giovanni, e dell' operajo del Duomo, e due altre ai lati di contro al pervio (pergamo) e due spalliere e sedie grandi in coro rasente le scale si monta sul Duomo ; che al Da Majano fu pagata nel 1477 una sedia lavorata di fusaggine, e che finalmente Guido di Filippo da Seraval- lino pisano dal 1490 al 1495 fece pel coro della sagrestia più di quindici quadri di prospettiva. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 269 ed il sangue della giovanezza gli bolliva, l'esercito del duca di Calavria, per l'odio che quel signore portava a Lorenzo de1 Medici, s'accampò alla Castellina per occu- pare il dominio alla signoria di Fiorenza e per venire, se gli fusse riuscito, a fine di qualche suo disegno mag- giore. Per che essendo forzato il Magnifico Lorenzo a j mandare uno ingegnerò alla Castellina, che facesse mo- jlina e bastìe, e che avesse cura e maneggiasse T arti- glieria, il che pochi in quel tempo sapevano fare; vi mandò Giuliano, come d'ingegno più atto e più destro e spedito , e da lui conosciuto come figliuolo di Fran- cesco, stato amorevole servitore di casa Medici. Arrivato Giuliano alla Castellina, fortificò quel luogo dentro e fuori di buone mura e di mulina, e d'altre cose neces- sarie alla difesa di quella la prò vide. Dopo, veggendo gli uomini star lontani all'artiglieria, e maneggiarla e caricarla e tirarla timidamente, si gettò a quella, e l'ac- conciò di maniera, che da indi in poi a nessuno fece male; avendo ella prima occiso molte persone, le quali nel tirarla, per poco giudizio loro noii avevano saputo far sì, che nel tornare a dietro non offendesse. Presa dunque Giuliano la cura della detta artiglieria, fu tanta nel tirarla e servirsene la sua prudenza, che il campo del duca impaurì di sorte, che per questo ed altri im- pedimenti ebbe caro di accordarsi e di lì partirsi:1 di 1 La Castellina, assaltata nel' 26 di giugno del 1478 dalle armi del duca di Calabria e del duca d'Urbino, si arrese nel 3 dell'agosto seguente. Non è dun- Jque vero che le artiglierie degli assediati consigliassero il duca di Calabria ad 1 accordarsi, ma sibbene che le sue sforzarono quei di dentro alla resa. Da una let- tera del duca d1 Urbino, data ai 28 di luglio del detto anno ex' faelicissimis ca- stris sanctissimi Domini nostri et Regis, pubblicata dal G-aye nel voi. I del Garteg. ined., pag. 259, si cava, che Francesco di Giorgio Martini, architetto senese, era nel campo dei collegati: onde può argomentarsi che egli ordinasse Ile opere di assedio non solo della Castellina, ma ancora di Rencine e degli al- I tri luoghi che furono a quei giorni assaltati e presi dai collegati. t Quando la Castellina fu assaltata, non si può dire che Giuliano fosse Itanto giovane, essendo ne' suoi trentatrè anni. Ma quel che più importa è, che nei libri pubblici di quell'anno egli non si trova nominato fra i maestri mandati alla 270 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO che conseguì Giuliano non piccola lode in Fiorenza ap- presso Lorenzo; onde fu poi di continuo ben veduto e carezzato. In tanto essendosi dato alle cose d'architet- tura, cominciò il primo chiostro di Cestello, e ne fece quella parte che si vede di componimento ionico, po- nendo i capitelli sopra le colonne con la voluta che gi- rando cascava fino al collarino, dove finisce la colonna, avendo sotto '1 vuovolo e fusarola fatto un fregio alto il terzo del diametro di detta colonna; il quale capitello fu ritratto da uno di marmo antichissimo, stato trovato a Fiesole da messer Lionardo Salutati vescovo di quel luogo , che lo tenne con altre anticaglie un tempo nella via di San Gallo in una casa e giardino, dove abitava, dirimpetto a Sant'Agata: il quale capitello è oggi ap- presso messer Giovanbatista da Eicasoli, vescovo di Pi- stoia, e tenuto in pregio per la bellezza e varietà sua, essendo che fra gli antichi non se n'è veduto un altro simile. Ma questo chiostro rimase imperfetto, per non potere fare allora quei monaci tanta spesa.1 Intanto venuto in maggior considerazione Giuliano appresso Lorenzo, il quale era in animo di fabbricare al Poggio a Cajano, luogo fra Fiorenza e Pistoia, e n'aveva fatto fare più modelli al Francione e ad altri, esso Lorenzo fece fare di quello che aveva in animo di fare un modello a Giuliano; il quale lo fece tanto di- verso e vario dalla forma degli altri, e tanto secondo il capriccio di Lorenzo, che egli cominciò subitamente a farlo mettere in opera, come migliore di «tutti; ed ac- cresciutogli grado per questo , gli dette poi sempre pro- difesa di quel castello. Andò invece nell'anno seguente insieme con Paolo di Francesco, col Francione e col La Cecca come maestro d'ascia, e non come bombardiere, a fortificare Colle della Valdelsa. 1 t II chiostro fu cominciato nel 1492 da Giuliano, Alamanno e Jacopo di Gio. Salviati, come eredi di Jacopo d'Alamanno Salviati. Essi dopo avervi speso 400 ducati, senza condurlo a perfezione, diedero licenza a' monaci di finirlo o farlo finire da altri. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 271 visione.1 Volendo poi fare una volta alla sala grande di effetto palazzo nel modo che noi chiamiamo a botte, non credeva Lorenzo che per la distanzia si potesse girare; onde Giuliano , che fabbricava in Fiorenza una sua casa,2 voltò la sala sua a similitudine di quella,, per far capace la volontà del Magnifico Lorenzo; per che egli quella del Poggio felicemente fece condurre. Onde la fama sua talmente era cresciuta, che a1 preghi del duca di Cala- 1 Se ne vede un piccolo disegno inciso nella Storia dell' Arte ec. del Conte d' Agincourt, tav. lxxii della prima parte. — *I1 Poliziano in lode di questa villa scrisse una selva intitolata Ambra. Fra le sue lettere àvvene una del 4 no- vembre 1485 diretta a Lorenzo Tornabuoni, colla quale gli dedica quella sua operetta. Può pertanto credersi che il lavoro fatto da Giuliano cada intorno a quel tempo. / 2 t Per fabbricare questa loro casa Giuliano ed Antonio da Sangallo compra- rono, con strumento del 23 settembre 1490 rogato da Alessandro Braccesi, dal Monastero di San Salvadore di Settimo per il prezzo di 80 fiorini d'oro in oro larghi, un pezzo di terra posto nel popolo di San Pier Maggiore e nella via che va alla Porta a Pinti, confinato dalla predetta via, dal chiasso chiamato de' Mor- tagghiadi, poi detto del Bigollo e dai beni del detto monastero; e a' 10 di marzo 1491, acquistarono da esso monastero altro terreno di due staia e mezzo a corda posto nel medesimo luogo. E pare che questo terreno non bastasse, perchè anche nel 1497 i monaci della Badia di Firenze ne venderono a loro un altro pezzo per 25 ducati. Il sig. Rodolfo Redtenbacher, architetto tedesco, nel suo studio intitolato Beitrage zur Kenntniss des Lébens des florentinischen Archi- tekten Giuliano da San Gallo, inserito neWAllgemeine Bauzeitung del 1879, vor- rebbe che T antica casa de' Sangallo fosse stata nelle vicinanze del palazzo de' Me- dici ora Riccardi e che quivi Antonio da Sangallo tenesse in custodia il piccolo Giulio figliuolo di Giuliano de' Medici, e precisamente nel luogo, dove a detto suo fu fabbricato nel 1490 il palazzo Ximenes che fa cantonata tra la via Cavour e la via Ricasoli, supponendo che coi denari della vendita fatta di quella casa al card. Ximenes ( ! ! ) Giuliano si fabbricasse l' altra nella via di Pinti. Ma qui è gran confusione di tempi, di luoghi, e di persone, perchè la casa che i Sangallo pos- sedettero ed abitarono prima di quella di via di Pinti, fu presso San Barnaba, come si rileva dalla portata all'Estimo del 1469 di Francesco Giamberti loro padre, il quale nel 1477 comprò da' monaci della Badia di Firenze un terreno fuori di porta San Gallo nel popolo di San Lorenzo e quivi si fabbricò subito un'altra casa, come egli stesso dichiara nella seguente portata del 1480. E questa non ha niente che fare con quella di via Cavour, di proprietà de' Panciatichi, fon- data dal card Bandino di questa famiglia, e non acquistata da un card. Ximenes, che non fu mai in Firenze nè a' tempi di Giuliano da Sangallo nè dopo. I Pan- ciatichi solamente nel 1815 ereditarono il palazzo di via Pinti dei marchesi Ximenes, i quali lo costruirono, come oggi si vede, sul luogo, ov'era la casa di Giuliano da Sangallo, divenuta di loro proprietà nel 1603 per acquisto fattone dai fideicommissarj di Giuliano, di Francesco e d'Antonio da Sangallo. 272 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO vria fece il modello d'un palazzo per commissione del Magnifico Lorenzo, che doveva servire a Napoli, e con- sumò gran tempo a condurlo.1 Mentre adunque lo lavo- rava, il Castellano di Ostia, vescovo allora della Rovere, il quale fu poi co '1 tempo papa Giulio II, volendo ac- conciare e mettere in buono ordine quella fortezza; udita la fama di Giuliano, mandò per lui a Fiorenza, ed ordinatoli buona prò visione, ve lo tenne due anni a farvi tutti quegli utili e comodità che poteva con l'arte sua.2 E perchè il modello del duca di Cala vria non pa- tisse e finir si potesse, ad Antonio suo fratello lasciò che con suo ordine lo finisse; il quale nel lavorarlo aveva con diligenza seguitato e finito, essendo Antonio ancora di sofncienza in tale arte non meno che Giuliano. Per il che fu consigliato Giuliano da Lorenzo vecchio a pre- sentarlo egli stesso , acciò che in tal modello potesse mo- strare le difficultà che in esso aveva fatto. Laonde partì per Napoli, e presentato l'opera, onoratamente fu rice- vuto non con meno stupore dello averlo il Magnifico Lorenzo mandato con tanto garbata maniera, quanto 1 *Fra i bellissimi disegni di Giuliano da San Gallo esistenti nel detto libro Barberiniano, a pag. 39 si trova la pianta, segnata coiranno 1488, d'un pa- lazzo che Lorenzo il Magnifico intendeva d'innalzare sopra il terreno comprato dallo Spedale degl'Innocenti. Questo palazzo che si stendeva verso le mura della città, da un lato aveva per confine la via San Sebastiano (oggi Gino Capponi) e dall'altro la via Borgo Pinti. La sua facciata, che era rivolta a mezzogiorno, si doveva innalzare nella via nuova aperta dal Magnifico che si chiamò Ventura, e poi prese il nome della Crocetta. Di questo palazzo è un altro disegno nella Raccolta della Galleria di Firenze. Il signor Redtenbacher citato riproduce in minori proporzioni così il primo come il secondo. 2 * Avvi una medaglia che nel diritto porta il ritratto di Sisto IV papa, col motto: Sistvs. • mi • pont . max . vrb • rest., e nel rovescio, la veduta della rócca d'Ostia, colle parole intorno: ivl • card • nepos • in ostio • tiberino. Il Bo- nanni, che riferisce questa medaglia nella sua opera: Numismata Pontificum, crede con buone ragioni che la rócca d'Ostia fosse acconciata intorno al 1483. ì Di questa rócca ha scritto molto dottamente il padre Alberto Gugliel- motti de' Predicatori una Dissertazione stampata in Roma nel 1862 nel voi. XV degli Atti dell'Accademia Archeologica Romana. In essa prova l'autore che de' moderni modi di fortificazione Giuliano fu il primo a dare un bellissimo GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 273 con maraviglia per il magisterio. dell' opera nel modello; il quale piacque sì, che si diede con celerità principio all'opera vicino al Castel nuovo. Poiché Giuliano fu stato a Napoli un pezzo, nel chiedere licenza al duca per tor- nare a Fiorenza, gli fu fatto dal re presenti di cavalli e vesti, e fra l'altre d'una tazza d'argento con alcune centinaia di ducati, i quali Giuliano non volle accettare, dicendo che stava con padrone, il quale non aveva bi- sogno d'oro ne d'argento: e se pure gli voleva far pre- sente o alcun segno di guidardone, per mostrare che vi fosse stato, gli donasse alcuna delle sue anticaglie a sua elezione; le quali il re liberalissimamente, per amor del Magnifico Lorenzo e per le virtù di G iuliano , gli con- cesse: e queste furono, la testa d'uno Adriano Impera- tore, oggi sopra la porta del giardino in casa Medici; una femmina ignuda, più che '1 naturale; ed un Cupido che dorme, di marmo, tutti tondi: le quali Giuliano mandò a presentare al Magnifico Lorenzo, che per ciò ne mo- strò infinita allegrezza, non restando mai di lodar l'atto del libéralissimo artefice, il quale rifiutò l'oro e 1' ar- esempio nella costruzione di quella rocca innalzata innanzi alla venuta de' Fran- cesi in Italia, da' quali si diceva che gl'Italiani avessero appreso que'modi di fortificare. Quando nel 1488 si rifaceva la fortezza di Sarzana, Giuliano ed An- tonio presentarono un nuovo modello di essa fortezza agli Otto di Pratica, che era lodato dagli uomini intendenti, e massimamente da Lorenzo il Magnifico. Onde gli Otto spedirono a Sarzana Antonio da Sangallo col detto modello, perchè lo mostrasse al Francione, al La Cecca, ed a Domenico di Francesco detto iì Capitano, a1 quali era stato commesso queir edilìzio. L'effetto fu che il modello de' Sangallo non fu messo in opera perchè a que' maestri non parve conveniente di gettare a terra il lavoro, che era già molto innanzi, cominciato secondo il primo modello. Ed a questo proposito non è da tacere che a Giuliano è st%ta a' nostri giorni attribuita un'altra opera di architettura militare, cioè il forte di Sarzanello. Carlo Promis nell'occasione che re Carlo Alberto lo fece restau- rare, scrisse e stampò in Torino nel 1838 un suo opuscolo intitolato : Storia del forte di Sarzanello , nel quale non dubitò di affermarne il Sangallo per autore. Ma egli s'ingannò. Perchè dai registri delle lettere degli Otto di Pratica si rileva chiaramente che il detto forte si cominciò a costruire nel 1492 dal Francione secondo il suo modello, al quale fu dato per compagno Luca del Ca- prina, non sempre d'accordo con lui, e che fu terminato nel 1495. Va5am, Opere — Voi. IV. 18 274 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO gento per l'artificio; cosa che pochi avrebbono fatto. Questo Cupido è oggi in guardaroba del duca Cosimo. Ritornato dunque Giuliano a Fiorenza, fu gratissi- mamente raccolto dal Magnifico Lorenzo; al quale venne capriccio , per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo, dell'ordine de' frati Eremitani di Santo Ago- stino, di edificargli fuor della porta San Gallo un con- vento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, ed in ultimo si mise in opera quello di Giuliano: il che fu cagione che Lorenzo lo no- minò da questa opera Giuliano da San Gallo.1 Onde Giu- liano , che da ogni uno si sentiva chiamare da San Gallo, disse un giorno burlando al Magnifico Lorenzo : Colpa del vostro chiamarmi da San Gallo, mi fate perdere il nome del casato antico, e credendo avere andare innanzi per antichità, ritorno a dietro. Per che Lorenzo gli rispose: Che piuttosto voleva che per la sua virtù egli fosse prin- cipio d'un casato nuovo, che dependessi da altri: onde Giuliano di tal cosa fu contento.2 Seguitandosi pertanto 1 *La chiesa e il monastero di San Gallo furono riedificati intorno al 1488. 11 Poliziano in una lettera scritta a Tristano Calco ai 22 di marzo del 1489, dopo aver lodato la eloquenza di Fra Mariano da Gennazzano, che in quell'anno predicava in Firenze, soggiunge: Nam Laurentius ipse Medices, elegans inge- niortim spectator , quantum Uomini tribuatJ non modo substructo protinus insigni caenobio ostendit } sed multo etiam magis assiduitate quadam culturae. i Giuliano fece altresì nel 1489, di commissione dello stesso Lorenzo, il modello in ottagono con la tribuna, per la sagrestia di Santo Spirito, nella forma del Battistero di Firenze. Il qual modello è dal Vasari attribuito ad Andrea del Montesansavino. 2 *Noi siamo in forte sospetto della verità di questo racconto; perchè anche innanzi al tempo della riedificazione di quel monastero, e precisamente nel 1485, troviamo il Giamberti essere soprannominato da San Gallo. (Arch. del Duomo di Firenze, Deliberazioni dal 1482-1486, pag. 107). Anche nel detto libro Bar- beriniano si legge il seguente titolo scritto di sua mano : « Questo libro è di « Giuliano di Francesco Giamberti Architetto, nuovamente da San Gallo chia- « mato, con molti disegni misurati e tratti dall'antico; cominciato A. D. N. S. « 1465 »; sebbene in quanto a quest'ultima testimonianza si possa credere che quel titolo fossevi scritto dallo stesso Giuliano qualche anno dopo al comincia- mento del libro. t Per noi è chiarissimo che Giuliano e il fratello furono detti da Sangallo non per altro se non perchè abitarono per molti anni fuori della Porta San Gallo. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 275 l'opera di San Gallo insieme con le altre fabbriche di Lorenzo , non fu finita nò quella ne l' altre per la morte di esso Lorenzo : e poi ancora poco viva in piede rimase tal fabbrica di San Gallo, perchè nel 1530, per lo asse- dio di Fiorenza, fu rovinata e buttata in terra insieme col borgo, che di fabbriche molto belle aveva piena tutta la piazza; ed al presente non vi si vede alcun vestigio ne di casa ne di chiesa ne di convento. Successe in quel tempo la morte del re di Napoli,1 e Giuliano Gondi, ricchissimo mercante fiorentino, se ne tornò a Fiorenza; e dirimpetto a San Firenze, di sopra dove stavano i lioni, fece di componimento rustico fabbricare un palazzo da Giuliano, co 1 quale per la gita di Napoli aveva stretta dimestichezza. Questo palazzo doveva fare la cantonata finita, e voltare verso la Mer- catanzia vecchia; ma la morte di Giuliano Gondi la fece fermare. Nel qual palazzo fece, fra l'altre cose, un cam- mino molto ricco d'intagli, e tanto vario di componi- mento e bello , che non se n' era insino allora veduto un simile, ne con tanta copia di figure.2 Fece il medesimo per un Yiniziano, fuor della porta a Pinti in Camerata, un palazzo, ed a' privati cittadini molte case, delle quali non accade far menzione. E volendo il Magnifico Lo- renzo, per utilità pubblica ed ornamento dello stato, lasciar fama e memoria, oltre alle infinite che procac- ciate si aveva, fare la fortificazione del Poggio Impe- riale sopra Poggibonzi su la strada di Koma, per farci una città, non la volle disegnare senza il consiglio e di- segno di Giuliano; onde per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato 1 * Ferdinando I re di Napoli morì ai 25 di gennajo 1494. 2 Sussiste tuttavia nel palazzo Gondi sulla piazza di San Firenze. Il Cico- gnara lo dà inciso a contorni nel volume secondo della sua Storia della Scul- tura, tav. xv. — "Se il re Ferdinando di Napoli morì nel gennajo del 1494, il palazzo Gondi deve essere stato architettato poco dopo quel tempo. 276 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO ordine di fortificazione e di bellezza che oggi veggiamo.1 Le quali opere gli diedero tal fama, che dal duca di Milano, a ciò che gli facesse il modello d'un palazzo per lui, fu per il mezzo poi di Lorenzo condotto a Milano; dove non meno fu onorato Giuliano dal duca, che e1 si fusse stato onorato prima dal re, quando lo fece chia- mare a Napoli'. Per che presentando egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempiè quel duca di stu- pore e di maraviglia nel vedere in esso l'ordine e la distribuzione di tanti begli ornamenti, e con arte tutti e con leggiadria accomodati ne' luoghi loro: il che fu ca- gione che, procacciate tutte le cose a ciò necessarie, si cominciasse a metterlo in opera. Nella medesima citta furono insieme Giuliano e Lionardo da Vinci che lavo- rava col duca; e parlando esso Lionardo del getto che far voleva del suo cavallo, n'ebbe bonissimi documenti: la quale opra fu messa in pezzi per la venuta de'Fran- zesi;2 e così il cavallo non si finì, ne ancora si potè finire il palazzo. Eitornato Giuliano a Fiorenza, trovò che Antonio suo fratello, che gli serviva ne'modegli, era divenuto tanto egregio, che nel suo tempo non c'era chi lavorasse ed intagliasse meglio di esso, e massimamente Crocifissi di legno grandi; come ne fa fede quello sopra lo aitar mag- giore nella Nunziata di Fiorenza,3 ed uno che tengono i frati di San Gallo in San Iacopo tra' Fossi, e uno altro nella compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti 1 *Di questa grande e bella opera, che esiste ancora, ma in cattivo stato , parlano due provvisioni del Comune di Firenze in data del 20 di dicembre 1488 e del 5 settembre del 1490. Da uno stanziamento degli Operai del Palazzo della Signoria degli 8 di maggio 1497 (Gaye, I, 587), pare che fin dal 1495 a Giu- liano fosse succeduto in quel carico Antonio suo fratello, il quale nel 1511 e nel 1513 fu mandato colà per sopravvedere ai lavori che la Balìa di Firenze aveva disegnato di farvi. (Gate, II, 127 e 135). 2 Vedi la Vita di Leonardo da Vinci. 3 Adesso sta in un tabernacolo nel coretto accanto alla cappella della Ma- donna, come si è detto nella nota 1 a pag. 447 del tom. IL GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 277 bonissimi.1 Ma egli lo levò da tale esercizio, ed all'ar- chitettura in compagnia sua lo fece attendere , avendo egli per il privato e pubblico a fare molte faccende. Av- venne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtù levò gli appoggi delle speranze a' virtuosi, con la morte di Lorenzo de1 Medici; 2 la quale non solo fu cagione di danno agli artefici virtuosi ed alla patria sua, ma a tutta l'Italia ancora: onde rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi sconsolatissimo; e per lo do- lore si trasferì a Prato, vicino a Fiorenza, a fare il tempio della Nostra Donna delle Carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche pubbliche e private. Dimorò dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e '1 dolore, come potette il meglio.3 Dopo, avendosi- a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto, e voltare la cupola già stata cominciata e 1 *I1 Crocifìsso di San Jacopo tra' Fossi, nel 1849, quando la chiesa fu in- terdetta per dar luogo a' soldati austriaci, fu insieme co' quadri dato in depo- sito all'Accademia delle Belle Arti, che lo ripose nel vestibolo della cappella dei pittori nel chiostro dell'Annunziata. L'altro Crocifisso della Compagnia dello Scalzo non sappiamo dove fosse portato, dopo che essa fu soppressa nel 1785. t II Crocifisso per la Nunziata fu intagliato da Giuliano e da Antonio nel 1482, e quello per la Compagnia dello Scalzo fu fatto dal solo Antonio nel 1514. Nel 1480 Giuliano fece in compagnia del Francione il modello della chiesa de' Servi e quello per l' aggiunta della cappella della Nunziata: nell'anno dopo troviamo che essi ne fecero un altro pel monastero e chiesa di Badia. 2 * Avvenuta agli otto di aprile del 1492, nella sua villa di Careggi. 3 *La fabbrica della chiesa della Madonna delle Carceri fu allogata a Giu- liano il 9 di ottobre del 1485, e così innanzi alla morte del Magnifico. Il canonico Ferdinando Baldanzi, poi vescovo di Volterra (morto arcivescovo di Siena), in una illustrazione che sopra questo tempio pubblicò nel Calendario Pratese, anno II (1847), dice che nel 18 del detto mese ed anno ne fu gettata la prima pietra, e che nel 10 di maggio dell'anno seguente già se ne innalzavano le mura. Nel 1491 era finito^ È questo piccolo tempio di così squisita gentilezza di con- cetto, di così rara ed elegante armonia in ogni sua parte, che non solo è da aversi fra le migliori opere di Giuliano, ma sibbene fra le più vaghe architet- ture di que' tempi. t II modello, e non il disegno, dell' altare della Madonna delle Carceri fu fatto nel 1508 da Giuliano e non da Antonio da Sangallo, come dice il Vasari. Lo .dice messer Baldo Magini nello strumento del 1° luglio 1512, col quale ne alloga la costruzione a Biagio detto Malviso, muratore da Prato, e lo scolpimento suo a Clemente di Taddeo scultore da Santa Maria a Pontanico. 278 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO non finita da Giuliano da Maiano, dubitavano coloro che di ciò avevano la cura, che la debolezza de' pilastri non reggesse così gran peso: per che scrivendo a Giuliano, che se voleva tale opera andasse a vedere; egli, come animoso e valente, andò e mostrò con facilita quella poter voltarsi , e che a ciò gli bastava l' animo ; e tante e tali ragioni allegò loro, che l'opera gli fu allogata. Dopo la quale allogazione, fece spedire l'opera di Prato, e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perchè tale opra avesse fermezza nelle pietre e saldezza e forma e stabilità, e facesse legazione, mandò a Roma. per la pozzolana; nè calce fu che con essa non fosse temperata, e murata ogni pietra: e così in ter- mine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta. 1 Andò poi a Roma, dove a papa Alessandro VI re- staurò il tetto di Santa Maria Maggiore che minava, e vi fece quel palco eh' al presente si vede.2 Così nel pra- ticare per la corte, il vescovo della Rovere,3 fatto car- dinale di San Pietro in Vincola, già amico di Giuliano fin quando era castellano d'Ostia, gli fece fare il mo- 1 "La cupola di Santa Maria di Loreto fu finita di voltare nel 1500, come lasciò ricordo Giuliano medesimo nel suo taccuino che ora è nella Libreria Co- munale di Siena, con le seguenti paróle scritte di majuscolo stampato: al nome DI DIO E DE LA GLORIOSA MADONA S. MARIA SENPRE VERGINE È MEMORIA COME SABATO AD ORE XV A DI XXIII DI MAGO M • CCCCC • IO GIULIANO DI FRANCESCO DA S. GALLO FIORENTINO CHON GRANDISSIMA SOLENITA E DIVOZIONE E PRESISIONE MURAI LUTIMA PETRA DELA CHUPOLA DI SANTA MARIA DI LORETO. DI CHE IDIO CI DIA GRATIA SI CHONSERVI LUNGHO TENPO E A ME DIA GRATIA CHE A LA FINE MIA IO SALVI LANIMA MIA IN SECULUM SICULORUM. AMEN. Questo taccuino, posseduto prima dal cav. Gio. Antonio Pecci, passò nelle mani dell' ab. Giuseppe Ciac- cheri, che morendo lo lasciò alla Libreria Pubblica di Siena, della quale fu il primo e benemerito bibliotecario. Esso è in ottavo di foglio, in pergamena, e si compone di carte 51 scritte. Il ricordo che abbiamo riferito è nell1 ultima carta. Tanto di questo taccuino, quanto dell'altro libro di disegni che è nella Barbe- riniana, si discorre a lungo alle pag. 163 e 242 del voi. II delle Memorie per le Belle Arti stampate in Roma. 2 È fama che questo palco sia stato dorato col primo oro venuto dal- l' America. 3 'Cioè Giuliano, nipote di Sisto IV, che fu poi papa Giulio II. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 279 dello del palazzo di San Pietro in Vincola ; 1 e poco dopo questo, volendo edificare a Savona sua patria un palazzo, volle farlo similmente col disegno e con la presenzia di Giuliano : la quale andata gli era difficile , perciocché il palco non era ancor finito, e papa Alessandro non vo- leva eh' e1 partisse. Per il che lo fece finire per Antonio suo fratello; il quale, per avere ingegno buono e ver- satile, nel praticare la corte contrasse servitù col papa, che gli mise grandissimo amore, e glielo mostrò nel vo- lere fondare e rifondare con le difese a uso di castello la mole di Adriano, oggi detta Castello Santo Agnolo; alla quale impresa fu preposto Antonio. Così si fecero i torrioni da basso, i fossi, e l'altre fortificazioni che al presente veggiamo:2 la quale opera gli die credito grande appresso il papa, e col duca Valentino suo figliuolo, e fu cagione eh' egli facesse la ròcca che si vede oggi a Civita Castellana.3 E così mentre quel pontefice visse, egli di continuo attese a fabbricare; e per esso lavorando, fu non meno premiato che stimato da lui. Già aveva Giu- liano a Savona condotto l'opera innanzi, quando il car- dinale per alcuni suoi bisogni ritornò a Roma, e lasciò molti operai eh' alla fabbrica dessero perfezione con l'or- dine e col disegno di Giuliano, il quale ne menò seco 1 Questo è quel palazzo contiguo alla chiesa dalla parte di tramontana; e che, secondo il Milizia, è cosa di nessun pregio. 2 * Secondo il Ciacconio, Alessandro VI nel 1492 rifece le porte e i propu- gnacoli che dal Vaticano conducono al Castel Sant'Angelo, e nel 1495 restaurò il castello stesso. Della quale opera si vede il ritratto nel rovescio d'una me- daglia che ha questa scritta: arcem • in • mole • divi • hadr • insta vr • foss • ac • PROPVGNACVLIS • MVN. 3 *Nel voi. 216 dei Disegni di Palazzi, nella raccolta della Galleria di Firenze, a carte 82 si trova un foglio, nel quale di penna è segnato un cortile dorico con un piano di stanze sopra, con varie note di mano d'Antonio da San Gallo. In una di queste note si legge: Cortile a Cinta (Civita) Castellana. A tergo, il disegno della rócca e il suo profilo, dentro il quale è scritto: Profilo della roca come ista, cioè come stava innanzi che il Sangallo la rifacesse. t II Brantóme, parlando di Cesare Borgia, dice che la città e la rocca di Civitacastellana erano tanto ben munite, che credeva non aver mai veduto un sito di terraferma più forte di quello. (V. Ravioli, I nove da Sangallo, p. 10). 280 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO a Roma, ed egli fece volentieri questo viaggio per ri- vedere Antonio e l'opere d'esso; dove dimorò alcuni mesi'. Ma venendo in quel tempo il cardinale in disgra- zia del papa, si partì da Roma per non esser fatto pri- gione, e Giuliano gli tenne sempre compagnia. Arrivati dunque a Savona, crebbero maggior numero di maestri da murare ed altri artefici in sul lavoro; ma facendosi ogni ora più vivi i romori del papa contra il cardinale , non stette molto che se n'andò in Avignone, e d'un modello che Giuliano aveva fatto d'un palazzo per lui, fece fare un dono al re: il quale modello era maravi- glioso, ricchissimo d'ornamenti, e molto capace per lo alloggiamento di tutta la sua corte. Era la corte reale in Lione, quando Giuliano presentò il modello, il quale fu tanto caro ed accetto al re, che largamente lo pre- miò e gli diede lode infinite, e ne rese molte grazie al cardinale che era in Avignone. Ebbero intanto nuove che il palazzo di Savona era già presso alla fine : per il che il cardinale deliberò , che Giuliano rivedesse tale opera. Per che andato Giuliano a Savona, poco vi di- morò che fu finito affatto.1 Laonde Giuliano desiderando tornare a Fiorenza dove per lungo tempo non era stato ; con que' maestri prese il cammino: e perchè aveva in quel tempo il re di Francia rimesso Pisa in libertà, e du- rava ancora la guerra tra Fiorentini e Pisani, volendo Giuliano passare , si fece in Lucca fare un salvocondotto , • avendo eglino de' soldati pisani non poco sospetto. Ma nondimeno nel lor passare 'vicino ad Altopascio furono da' Pisani fatti prigioni, non curando essi salvocondotto ne cosa che avessero; e per sei mesi fu ritenuto in Pisa con taglia di trecento ducati, ne prima che gli avesse pagati se ne tornò a Fiorenza.2 Aveva Antonio a Roma 1 Fu poi convertito in un monastero di religiose di Santa Chiara (Milizia). 2 * Sopra questo accidente intervenuto a Giuliano presso il castello di Monte Carlo, si leggono due lettere pubblicate dal Gaye. La prima delle quali, in data GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 281 inteso queste cose, ed avendo desiderio di rivedere la patria e '1 fratello, con licenzia partì da Roma; e nel suo passaggio disegnò al duca Valentino la rócca di Mon- tefìascone:1 e così a Fiorenza si ricondusse l'anno 1503, e quivi con allegrezza di loro e degli amici si goderono. 2 Seguì allora la morte di Alessandro VI, e la successione di Pio III, che poco visse; e fu creato pontefice il car- dinale di San Pietro in Vincola, chiamato papa Giu- lio II: la qual cosa fu di grande allegrezza a Giuliano per la lunga servitù che aveva seco; onde deliberò an- elare a baciargli il piede.3 Perchè giunto a Roma, fu lietamente veduto e con carezze raccolto; e subito fu fatto esecutore delle sue prime fabbriche innanzi la ve- nuta di Bramante. Antonio , che era rimasto a Fiorenza, sendo gonfalo- niere Pier Soderini, non ci essendo Giuliano, continuò la fabbrica del Poggio Imperiale , dove si mandavano a lavorare tutti i prigioni pisani, per finire più tosto tal fabbrica. Fu poi per i casi d'Arezzo4 rovinata la for- del 26 di febbrajo 1497, è diretta dalla Balìa di Firenze al Comune di Lucca; e l'altra è scritta da questo a quella sotto il 30 di giugno dell'anno predetto. (Vedi il voi. I del Carteggio inedito, a pag. 338 e 339). 1 Adesso demolita, fuori che alcuni pezzi di muraglia. (Bottari). 2 *Dopo il caso della prigionia di Giuliano, passarono circa sei anni, innanzi che Antonio si riconducesse da Roma alla patria sua: tanto che in questo lasso di tempo si sarebbe smorzato il grande desiderio in Antonio di rivedere il fra- tello e la patria. Questo sia da aggiungere ai mille esempj della falsità delle cagioni che spesso assegna il Vasari ai fatti che narra, e del poco fondamento che è da fare nell'ordine de' tempi posto da lui in queste sue Vite. 3 *Il ritorno di Giuliano a Roma cade dopo il gennajo del 1504, perchè da questo tempo fino al novembre del 1507 ci lasciano le memorie della sua di- mora in Firenze. 4 *Cioè la ribellione di quella città, accaduta ai 4 di giugno del 1502. (Vedi su questo avvenimento gli storici fiorentini, e massimamente il JDiar io del Ca- nonico Pezzati pubblicato nel voi. 1° dell' Archivio Storico Italiano). Dai molti documenti riferiti dal Gaye si ritrae, che il modello e la costruzione della nuova fortezza di Arezzo si affidarono al solo Giuliano, il quale nel 17 di ottobre del 1502 era già da qualche giorno in quella città, ove tornò più volte nel corso del detto anno, ed anche ne' primi mesi del seguente. Di Antonio in quei documenti non è fatta menzione nessuna. Solamente intorno al 1505 ebbe egli commissione di sopravvedere a quella fabbrica. (Gaye, op. cit., voi. II, pag. 55 e seg.). 282 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO tezza vecchia, ed Antonio fece il modello della nuova, col consenso di Giuliano, il quale da Roma per ciò parti e subito vi tornò: e fu questa opera cagione che Anto- nio fosse fatto architetto del comune di Fiorenza sopra tutte le fortificazioni.1 Nel ritorno di Giuliano in Roma si praticava se '1 di- vino Michelagnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio; per che Giuliano confortò il papa all'impresa, aggiugnendo che gli pareva che per quello edifizio si dovesse fabbricare una cappella a posta, senza porre quella nel vecchio San Piero, non vi essendo luogo; per- ciocché quella cappella renderebbe quell'opera più per- fetta. Avendo dunque molti architetti fatti disegni, si venne in tanta considerazione a poco a poco, che in cam- bio di fare una cappella si mise mano alla gran fabbrica del nuovo San Piero. Ed essendo di que' giorni capitato in Roma Bramante da Castel Durante, architetto, il quale tornava di Lombardia, egli si adoperò di maniera con mezzi ed altri modi straordinarj e con suoi ghiri- bizzi, avendo in suo favore Baldassarri Peruzzi, Raffaello da Urbino,2 ed altri architetti, che mise tutta l'opera in confusione, onde si consumò molto tempo in ragio- namenti; e finalmente l'opera (in guisa seppe egli ado- perarsi) fu data a lui, come a persona di più giudizio, mi- gliore ingegno, e maggiore invenzione. Perchè Giuliano sdegnato, parendogli avere ricevuto ingiuria dal papa, col quale aveva avuto stretta servitù, quando era in 1 *Di questo fatto noi non abbiamo prova nessuna: ben possiamo affermare, che Antonio fin dal 1495 era capomaestro di tutte le muraglie, muramenti ed edificj appartenenti alla cura degli Operai del Palazzo della Signoria, come la sala nuova del Palazzo medesimo, e le fortezze di Firenzuola e di Poggio Im- periale. Vedi uno stanziamento de' detti Operai in data degli 8 di maggio 1497, riferito dal Gaye nel voi. I, pag. 587. 2 Mons. Bottari osserva, che da questo passo sembrerebbe che Bramante avesse trovato in Roma Raffaello; quando nella Vita di Bramante stesso, e in questa, più sotto, si dice che Raffaello vi fu condotto da lui. Egli vorrebbe con- ciliare questa contradizione; ma le sue ragioni son più ingegnose che persuadenti. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 283 minor grado, e la promessa di quella fabbrica, domandò licenza; e così, non ostante che egli fusse ordinato com- pagno di Bramante in altri edifizj che in Roma si face- vano, si partì e se ne tornò, con molti doni avuti dal papa, a Fiorenza. Il che fu molto caro a Piero Soderini, il quale lo mise subito in opera. JSTè passarono sei mesi, che messer Bartolomeo della Rovere, nipote del papa e compare di Giuliano, gli scrisse a nome di Sua Santità, che egli dovesse per suo utile ritornare a Koma: ma non fu possibile ne con patti ne con promesse svolgere Giuliano, parendogli essere stato schernito dal papa. Ma finalmente essendo scritto a Piero Soderini , che per ogni modo mandasse Giuliano a Roma, perchè Sua Santità voleva fornire la fortificazione del torrion tondo comin- ciata da Piccola V, e così quella di Borgo e Belvedere, ed altre cose, si lasciò Giuliano persuadere dal Sede- rino, e così andò a Roma, dove fu dal papa ben raccolto e con molti doni. Andando poi il papa a Bologna, cac- ciati che ne furono i Bentivogli, per consiglio di Giu- liano deliberò far fare da Michelagnolo Buonarroti un papa di bronzo: il che fu fatto, sì come si dirà nella Vita di esso Michelagnolo. Seguitò similmente Giuliano il papa alla Mirandola, e quella presa, avendo molti disagi e fatiche sopportato, se ne tornò con la corte a Roma.1 We essendo ancora la rabbia di cacciare i Fran- zesi d'Italia uscita di testa al papa, tentò di levare il governo di Fiorenza delle mani a Piero Soderini, essen- 1 *I1 Prospetto Cronologico della Vita di Giuliano, che noi abbiamo com- posto sopra a documenti autentici, e collocato in fine di questa Vita, ci prova che questo artefice intorno al novembre del 1507 era già tornato a Firenze, donde non si partì per andare nuovamente a Roma, se non passato il marzo del 1512. Perciò pare a noi impossibile che egli potesse trovarsi a seguire il papa a Bologna ed alla Mirandola. Di fatto, nel febbrajo del 1508, Michelan- gelo aveva già compita la statua di bronzo di Giulio II, e questi nel 21 di gennajo del 1511 aveva preso la Mirandola. Al contrario sappiamo che a Giu- liano dagli Operaj di Santa Maria del Fiore è nell'8 di novembre del 1507 al- logata 1' opera di uno spicchio della cupola in compagnia di Antonio suo fra- 284 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO dogli ciò, per fare quello che aveva in animo, di non piccolo impedimento. Onde per queste cagioni essendosi diviato il papa dal fabbricare, e nelle guerre intricato, Giuliano già stanco si risolvette dimandare licenza al papa, vedendo che solo alla fabbrica di San Piero si at- tendeva, ed anco a quella non molto. Ma rispondendogli il papa in collera : Credi tu che, non si trovino de1 Giu- liani da San Gallo? egli rispose: Che non mai di fede ne di servitù pari alla sua; ma che ritrovarebbe bene egli de' principi di più integrità nelle promesse, che non era stato il papa verso se. Insomma non gli dando al- tramente licenza, il papa gli disse che altra volta gliene parlassi. Aveva intanto Bramante condotto a Eoma Raffaello da Urbino,1 messolo in opera a dipignere le camere pa- pali; onde Giuliano vedendo che in quelle pitture molto si compiaceva il papa, e che egli disiderava che si dipi- gnesse la volta della cappella di Sisto suo zio, gli ra- gionò di Michelagnolo, aggiugnendo che egli aveva già in Bologna fatta la statua di bronzo : la qual cosa pia- cendo al papa, fu mandato per Michelagnolo; e giunto in Eoma, fu allogatagli la volta della detta cappella. Poco dopo tornando Giuliano a chiedere di nuovo al papa licenza, Sua Santità vedendolo in ciò deliberato, fu con- tento che a Fiorenza se ne tornasse con sua buona gra- zia; e poi che l'ebbe benedetto, in una borsa di raso rosso gli donò cinquecento scudi, dicendogli che se ne tello, del Cronaca e di Baccio d'Agnolo, scegliendo dal loro modello, e da quello già tempo fa composto da Antonio Manetti, ciò che sarà opportuno per costruire il detto spicchio. Nel 9 di dicembre del detto anno è eiettò, cogli ar- tefici soprannominati, capomaestro di tutto l'edificio della chiesa e della cupola di Santa Maria del Fiore; e nel dicembre dell'anno seguente, tanto egli, quanto Antonio suo fratello, sono levati dal dirigere quella. (Archivio dell'Opera del Duomo di Firenze. Deliberazioni dal 1507 al 1515). La costruzione poi della nuova cittadella di Pisa tenne Giuliano occupato, si può dire, quasi continua- mente dal 1500 al 1512. 1 * Vedi sopra la nota 2 a pag. 282. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 285 tornasse a casa a riposarsi, e che iii ogni tempo gli sa- rebbe amorevole. Giuliano dunque, baciatogli il santo piede, se ne tornò a Fiorenza in quel tempo appunto che Pisa era circondata ed assediata dall' esercito fioren- tino; onde non sì tòsto fu arrivato, che Piero Soderini, dopo l'accoglienze, lo mandò in campo ai commissari, i quali non potevano riparare che i Pisani non mettes- sino per Arno vettovaglie in Pisa.1 Giuliano, dunque, disegnato che a tempo migliore si facesse un ponte in sulle barche, se ne tornò a Fiorenza: e venuta la pri- mavera, menando seco Antonio suo fratello, se n'andò a Pisa, dove condussero un ponte, che fu cosa molto ingegnosa; perchè, oltre che alzandosi ed abbassandosi si difendeva dalle piene e stava saldo , essendo bene in- catenato, fece di maniera quello che i commessarj di- sideravano, assediando Pisa dalla parte d'Arno verso la marina, che furono forzati i Pisani, non avendo più ri- medio al mal loro, a fare accordo coi Fiorentini: e così si resero. Ne passò molto, che il medesimo Piero Sode- rini mandò di nuovo Giuliano a Pisa con infinito nu- 1 *I documenti mostrano, che Giuliano dal 1500 al 1503 fu architetto ed ingegnere del Comune di Firenze: così, nel 19 novembre del 1500, è mandato a fortificare il Borgo San Sepolcro : nel maggio dell' anno seguente è commissario a condurre certe artiglierie del re di Francia, coli' ordine di nasconderle, o di sotterrarle, o, alla peggiore, di gettarle in Arno, perchè non se ne impadro- nisca il duca Valentino. Nel 12 di ottobre del 1502 va ad Arezzo per ingegnere, e nel 17 del detto mese alla fortificazione del Borgo San Sepolcro. Finalmente, nel 1503, fa il modello del cassero di Arezzo. Ma negli ultimi anni dell'assedio di Pisa apparisce ingegnere del Comune fiorentino il solo Antonio suo fratello. Infatti, nel giugno del 1504 egli era nel »eampo contro Pisa, e faceva un di- segno della fortificazione di Librafatta, e del bastione di Stagno sulla strada di Livorno. Nel luglio va a Marradi ; nel giugno dell' anno seguente rivede la for- tezza di Arezzo; e nel mese dopo, munisce i luoghi della Valdambra. Andato nell'agosto nella Maremma Pisana, per servizio dell'esercito fiorentino, getta un ponte sull'Arno. Dà il disegno della fortificazione di Livorno nel marzo del 1506, e nel maggio del 1508 fa una bastia a Librafatta, e alla Badia di San Savino, e fortifica Fucecchio. Finalmente, nel giugno è per la stessa cagione al Borgo San Sepolcro, a Marradi e alla Verrucola. (Gayk, voi. II del Carteg- gio citato, ad annos). 286 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO mero di maestri, dove con celerità straordinaria fab- bricò la fortezza che è oggi alla porta a San Marco: è la detta porta di componimento dorico.1 E mentre che Giuliano continuò questo lavoro, che fu insino all' an- no 1512, Antonio anelò per tutto il dominio a rivedere e restaurare le fortezze e altre fabbriche pubbliche. Es- sendo poi col favore di esso papa Giulio stata rimessa in Fiorenza ed in governo la casa de' Medici, onde ella era nella venuta in Italia di Carlo Vili re di Francia stata cacciata, e stato cavato di palazzo Piero Soderini, fu riconosciuta dai Medici la servitù che Giuliano ed Antonio avevano . ne' tempi a dietro avuta con quella il- lustrissima casa. E assunto, non molto dopo la morte di Giulio II, Giovanni cardinale de1 Medici, fu forzato eli nuovo Giuliano a trasferirsi a Roma, dove, morto non molto dopo Bramante, fu voluta dar la cura della fab- brica di San Piero a Giuliano:9 ma essendo egli macero dalle fatiche ed abbattuto dalla vecchiezza e da un male di pietra che lo cruciava , con licenzia di Sua Santità se ne tornò a Fiorenza ; e quel carico fu dato al graziosis- 1 *La prima memoria che riguardi la nuova cittadella di Pisa è del 1509. Giuliano era colà mandato il 13 di agosto del detto anno per sopravvedere a quell'opera; e già nel 1510 aveva fatto un modello della porta San Marco, e di parte della cittadella medesima. Nel 1511 faceva il ponte della Spina, e voltava Arno verso la porta alle Piagge. Infine nel maggio dello stesso anno ordinava un modello per gettare a terra la torre della Spina. La dimora di Giuliano a Pisa per conto della cittadella durava ancora nel marzo del 1512. La cui pianta si trova disegnata a carte 3 verso del taccuino di Giuliano, che, come abbiamo detto,- si conserva nella Libreria Comunale, di Siena. 2 * Giuliano fu nominato architetto della fabbrica di San Pietro il primo giorno dell'anno 1514, quando Bramante era ancora vivo, il quale morì il giorno undecimo di marzo del detto anno. (Vedi Fea, Notizie intorno a Raffaello Sanzio, pag. 12; e Gaye, Carteggio ecc., II, 135). ì II signor Barone Geymiiller, già da noi citato nella Vita di Bramante, ha dato in facsimile due disegni di Giuliano, l'uno della pianta di San Pietro e l'altro di una porta trionfale, per il luogo de' musici di detta Basilica fatta .al tempo di Giulio II nel 1505. Parimente nella tavola 28 e 29 sono altri disegni di lui tratti dal codice Barbeiiniano. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN, GALLO 287 simo Raffaello da Urbino;1 e Giuliano, passati due anni, fu in modo stretto da quel suo male, che si morì d'anni settantaquattro l'anno 1517, lasciando il nome al mondo, il corpo alla terra, e l'anima a Dio.2 Lasciò nella sua partita dolentissimo Antonio, che teneramente l'amava, ed un suo figliuolo nominato Fran- cesco, che attendeva alla scultura, ancora fusse d'assai tenera età.3 Questo Francesco, il quale ha salvato insino a oggi tutte le cose de' suoi vecchi e l' ha in venerazione : oltre a molte altre opere fatte in Fiorenza ed altrove di scul- tura e d' architettura , è di sua mano in Orsanmichele la Madonna che vi è di marmo col Figliuolo in collo, ed in grembo a Santa Anna: la quale opera, che è di figure tonde ed in un sasso solo, fu ed è tenuta bel- l' opera.4 Ha fatto similmente la sepoltura, che papa Cle- mente fece fare a Monte Cassino, di Piero de' Medici; 5 1 *Giuliano (secondo il Fea, op. cit. ) durò in questo ufficio fino al 1° di luglio del 1515. Fra Giocondo attese a quella fabbrica dal febbrajo del 1511 al 1° di luglio 1515, in cui morì. Raffaello, che teneva già questo medésimo carico fin dal 1° di aprile del 1514, dopoché fu accettato il suo disegno, rimase primo architetto di San Pietro per breve pontificio del 1° di agosto del 1514. 2 t Giuliano morì in Firenze il 20 d'ottobre 1516, della età di 71 anno, e non di 74, se nacque nel 1445. Il Vasari ricorda nella Vita di Michelangelo che Giuliano fece nel 1516 alcuni disegni per la facciata di San Lorenzo di Firenze che voleva innalzare papa Leone X. Questi disegni bellissimi in numero di sei si conservano nella R. Galleria di Firenze. II signor Redtenbacher nominato li ha riprodotti in litografìa nel già citato suo studio. — Del ritratto di Giuliano da Sangallo che, come si disse annotando la Vita di Pier di Cosimo, si conserva nella Galleria dell'Aja, il signor Redtenbacher ha dato nel suo studio una assai bella incisione in legno. 3 Francesco, quando morì Giuliano, non era d'assai tenera età, ma di 23 anni, essendo nato nel 1494. 4 Sussiste ancora in detta chiesa d' Orsanmichele. s *La sepoltura di Piero de' Medici in Monte Cassino fu fatta per commis- sione di papa Clemente VII, il quale essendo creditore dei monaci di quel mo- nastero per la somma di sedicimila ducati , si accordò con loro che per la detta sepoltura ne spendessero quattromila, rimettendo loro il resto di quella somma. Nel 1547 l'opera era già a buon punto, non mancandovi che tre statue; le quali Francesco avrebbe finite, se quei monaci ne avessero già sborsato il prezzo con- venuto. Nondimeno la sepoltura appena undici anni dopo ebbe il suo compi- 288 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO ed altre opere molte; delle quali non si fa menzione per essere el detto Francesco vivo.1 Antonio, dopo la morte di Giuliano, come quello che malvolentieri si stava, fece due Crucifissi grandi di le- gno; l'uno de1 quali fu mandato in Ispagna, e l'altro fu da Domenico Buoninsegni, per ordine del cardinale Giu- lio eie' Medici vicecancelliere, portato in Francia. Aven- dosi poi a fare la fortezza di Livorno, vi fu mandato dal cardinale de' Medici Antonio a farne il disegno; il che egli fece , sebbene non fu poi messo interamente in opera, ne in quel modo che Antonio l'aveva disegnato.* Dopo, deliberando gli uomini di Montepulciano, per i miracoli fatti da una imagine di Nostra Donna, di fare un tempio di grandissima spesa , Antonio fece il modello, e ne divenne capo ; onde due volte l' anno visitava quella fabbrica, la quale oggi si vede condotta all' ultima per- fezione; che fu nel vero di bellissimo componimento e vario dall'ingegno d'Antonio con somma grazia condotta; e tutte le pietre sono di certi sassi, che tirano al bianco in modo di tivertini: la quale opra e fuor della porta di San Biagio a man destra, e a mezzo la salita del poggio.3 In questo tempo ancora diede principio al pa- lazzo d' Antonio di Monte , cardinale di Santa Prassedia, mento : come da una lettera del 19 d'aprile 1558 scritta da Francesco a Cosimo I si può raccogliere. Della cappella dedicata alla memoria di Piero de' Medici in Monte Cassino esiste la pianta collo spaccato fra i disegni architettonici della Galleria degli Uffizj , segnata: Antonio da Sangallo architetto fiorentino. (Per tutte queste notizie vedi il voi. II del Gaye, pag. 356 e 357). Forse il disegno di quella cappella è da attribuire ad Antonio da Sangallo il giovane. 1 *I1 Vasari torna a parlare di Francesco di Giuliano da San Gallo e di altre sue opere nelle notizie degli Accademici del disegno. 2 *Come abbiamo detto, Antonio fece il disegno delle fortificazioni di quella città nel marzo del 1506. 3 Questa è la bella chiesa di San Biagio fuori di Montepulciano, la quale è fatta a croce greca con cupola e due campanili, uno dei quali non è terminato. — * Si dice che la fabbrica di questa chiesa durasse dal 1518 al 1537. Se ne vede un intaglio nel voi. II dell' Ape Italiana di Belle Arti , giornale romano. Sulla piazza è la canonica con due ordini di logge, dello stesso architetto. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 289 nel castello del Monte San Savino;1 e un altro per il medesimo ne fece a Montepulciano; cose di bonissima grazia; lavorato e finito.2 Fece l'ordine della banda delle case de' frati de1 Servi3 su la piazza loro, secondo l' or- dine della loggia degl'Innocenti. Ed in Arezzo fece i modelli delle navate della Nostra Donna delle Lagrime; che fu molto male intesa, perchè scompagna con la fab- brica prjma, e gli archi delle teste non tornano in mezzo. Similmente fece un modello della Madonna di Cortona, il quale non penso che si mettesse in opera.4 Fu ado- prato nello assedio per le fortificazione e bastioni den- tro alla città, ed ebbe a cotale impresa per compagnia Francesco suo nipote.5 Dopo, essendo stato messo in 1 II palazzo del cardinal del Monte (poi pontefice Giulio III) è ora ridotto a uso di Pretorio. In faccia ad esso evvi un' elegantissima loggia, del medesimo Antonio da San Gallo. 2 * Sopra questo palazzo sono due lettere, del 17 di novembre e del 22 di dicembre del 1519, indirizzate dalla Signoria di Firenze al cardinale del Monte, nelle quali essa mostrando qualche difficoltà che fosse fatto com'era ordinato, perchè, per esser congiunto colle mura della città, dava pericolo che non ser- visse ai disegni di chi avesse voluto fare novità; dice di mandare colà un uomo intelligente, perchè provvegga al bisogno. Il Vasari loda questo palazzo come cosa di bonissima grazia: ma il Gaye al contrario lo stima una delle più deboli opere di «Antonio. (Carteggio ecc., II, 149eseg.). Esso è situato di faccia al Duomo. 3 Di Firenze- Senza questa aggiunta parrebbe che si parlasse sempre di Montepulciano. — t Ciò fu nel 1517. Antonio ebbe per compagno nel guidare questo lavoro Baccio d'Agnolo. 4 Non fu certamente messo in opera; imperocché la detta chiesa nominata del Calcinaio fu costruita- col disegno di Francesco di Giorgio Senese, come ha dimostrato il P. Gregorio Pinucci nelle Memorie storiche di . essa chiesa, e il Prof. Gius, del Rosso nelle Lettere Antellane. (Vedi nel voi. IV a pag. 208, nota 4). i II Biagi (Storia di Colle, Firenze, Campolmi, 1859, in-8) dice che la •chiesa di Sant'Agostino di quella città fu architettata da Antonio da Sangallo nel 1521 a similitudine di San Lorenzo e di Santo Spirito di Firenze. 8 * Francesco non solo fu compagno di Antonio, ma ancora, fin dal 1529, capomaestro generale delle fortificazioni della città. Di più, i documenti riferiti dal Gaye nel voi. II dell' opera più volte citata ci mostrano che egli nel 1528 era a Prato per assettare i vecchi bastioni e fare i nuovi, ed a Pistoja per fortifi- carla, e che nel 1530 muniva Fucecchio. Fu ne' medesimi tempi ai servigi della Repubblica fiorentina un altro ingegnere di nome Giovan Francesco detto pari- mente da Sangallo, il quale nacque nel 1482 da un Lorenzo d'Antonio farsettaio e da Maddalena sorella di Giuliano. Costui nel 1519 fa a Roma e servì da archi- Vasabi, Opere — Voi. IV. 19 290 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO opera il gigante di piazza, di mano di Michelagnolo, 1 al tempo di Giuliano fratello di esso Antonio, e doveri - dovisi condurre queir altro che aveva fatto Baccio Ban- dinelli ,2 fu data la cura ad Antonio di condurvelo a sal- vamento; ed egli, tolto in sua compagnia Baccio d'Agnolo, con ingegni molto gagliardi lo condusse e posò salvo in su quella base che a questo effetto si era ordinata. In ultimo, essendo egli già vecchio divenuto, non si dilet- tava d'altro che dell'agricoltura, nella quale era intel- ligentissimo. Laonde, quando più non poteva per la vec- chiaia patire gli incomodi del mondo, l'anno 1534 rese l'anima a Dio; e insieme con Giuliano suo fratello, nella chiesa di Santa Maria Novella, nella sepoltura de' Giarn- berti, gli fu dato riposo.3 Le opere meravigliose di questi duoi fratelli faranno fede al mondo dello ingegno mirabile che egli ebbono, e della vita e costumi onorati, e delle azioni loro avute in pregio da tutto il mondo. Lasciarono Giuliano ed An- tonio ereditaria l'arte dell'architettura, dei modi del- l'architetture toscane, con miglior forma che gli altri tetto papa Leone X, nel 1527 fu a rivedere- la fortezza di Montepulciano, e nel 1528 a Livorno per la stessa cagione. Poi nel luglio del detto anno fu a Pisa per riparare che l'Arno non danneggiasse la cittadella; e nel settembre a Pi- stoja, per fortificarla. (Gaye, voi. II, ad ahnos). Di lui parla ancora il Vasari nella Vita di Bastiano detto Aristotile, che fu suo fratello. — t Morì nel 1530. 1 *Cioè la celebre statua del David, allogata a Michelangelo il 16 di aprile del 1501, e da lui finita intorno al 1503. Per collocare questo colosso interrogò il Comune di Firenze, ai 25 di gennajo del 1504, il parere di molti artefici, fra i quali furono Giuliano ed Antonio. La Signoria con deliberazione del 30 di aprile del 1504 diede il carico ad Antonio, al Cronaca, a Baccio d'Agnolo, ed a Bernardo della Cecca di condurre il David dall' Opera del Duomo alla piazza de' Signori. (Gaye, II, 454 e seg.). 2 * Intendi il gruppo di Ercole che ammazza Cacco, il quale dall' Opera del Duomo fu tirato in tre giorni per travetti e per forza d' argano in piazza, e collocato sul canto delle scalee del Palazzo de' Signori il 1° di maggio del 1534. (Gaye, II, 177). 3 t Morì il 27 di dicembre 1534 di anni 79. Dell' ascendenza e discendenza de Giamberti o da Sangallo, e di quella delle altre due famiglie dette parimente da Sangallo, discesi da due sorelle di Giuliano e d'Antonio, daremo un copiosis- simo albero formato sopra documenti autentici. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 291 fatto non avevano, e l'ordine dorico con miglior misure e proporzione, che alla Vitruviana opinione e regola prima non s'era usato di fare. Condussero in Fiorenza nelle lor case1 una infinità di cose antiche di marmo bellissime, che non meno ornarono ed ornano Fiorenza, eh' eglino ornassero se ed ornassero V arte. Portò Giu- liano da Roma il gettare le volte di materie che venis- sero intagliate,2 come in casa sua ne fa fede una camera, ed al Poggio a Caiano nella sala grande la volta, che vi si vede ora. Onde obligo si debbe avere alle fatiche sue, avendo fortificato il dominio fiorentino ed ornata la città, e per tanti paesi dove lavorarono, dato nome a Fiorenza ed agli ingegni toscani, c(b per onorata me- moria hanno fatto loro questi versi: Cedile Romani structores, cedite Grati, Artis, Vitruvi, tu quoque cede parens. Etruscos celebrare viros; testudinis arcus, Urna, tholus, statua?, tempia, domusque petunt. 1 *Vedi la nota 2 a pag. 271. 2 Questa fu invenzione di Bramante, come dice il Vasari nella Vita di lui; Giuliano la portò da Roma, e primo la introdusse in Firenze. 293 I .Ma CQ 2 o5.2 2 "e n 'ge5 M CO .Oh. Q 00 OS ih o 'S a o OLFC glie d'A ioret Q .2*1 T, _ O CD H CO .Z ^ • .2 a: 5 &d'm © — l' P-l CD * 8 8 2 © .2 g « Ci WH 1^1 I cj e .5 &g 3 «s È .S'S"© •S o.2 D&Cc3 «5 3«^3 C 2 O S.2 § O w ©'C 5 -< „o » (D ^ Ch CO 2 © W A . ^ ©o ^•2s § 2 Ti © '2 j£ 2 -3 : S © © « 295 COMMENTARIO ALLA. VITA di Giuliano e di Antonio da San Gallo PARTE PRIMA Prospetto cronologico* della vita e delle opere di Giuliano e di Antonio da San Gallo ■ DI GIULIANO 1455. Nasce Giuliano da Francesco di Bartolo Giamberti. 1469_72. Lavora in Roma nei palazzi di San Marco, e Pontificio, e nella costruzione della Tribuna di San Pietro. 1479. È col Francione, La Cecca ed altri alla difesa di Colle. 1483. Intaglia un Crocifisso di legno per la chiesa de' Servi. .1483. Fa un modello per l'aggiunta alla cappella della Nunziata. 1483. Fa la Fortezza d'Ostia. 1483, di luglio. È mandato per bombardiere con una compagnia a Sar- zanello. 1485, 9 ottobre. Gli è allogata la fabbrica della Madonna delle Carceri di Prato. 1485. (?) Rifa il palazzo della villa del Poggio a Cajano. 1485, 24 dicembre. Fa l'ornamento di legname dell'aitar maggiore di Santa Maria del Fiore. 1487. Per la guerra di Sarzana è mandato in campo come maestro d'ascia. 1487 e 1488. Lavora insieme col fratello le spalliere del refettorio di San Pietro di Perugia, certe finestre ed un'ancona di legname. 1488. Fa un modello della nuova fortezza di Sarzana che non è posto in opera. 1488. Edifica la chiesa e il convento di San Gallo. 1 Notabilmente accresciuto. 296 COMMENTARIO ALLA VITA 1488, 24 aprile. È eletto capomaestro del Duomo di Firenze nell'assenza di Giuliano da Majano. 1488, 5 maggio. Rinunzia queir ufficio. 1488. Fa il disegno d'un palazzo per Ferdinando re di Napoli. 1489. Fa il modello in ottafngolo della sagrestia di S. Spirito di Firenze. 1489, Lavora la porta di legname dell' Udienza dell' Arte de' Giudici e Notai. 1490, 23 settembre. Compra un pezzo di terreno in Borgo Pinti dal mo- nastero di Settimo per fabbricarvi una casa. 1491, 5 di gennajo. E uno dei maestri chiamati a giudicare sopra i mo- delli e i disegni presentati al concorso della nuova facciata di Santa Maria del Fiore. 1491. Finisce la chiesa della Madonna delle Carceri. 1492. Comincia la edificazione del chiostro- dinanzi alla chiesa di Cestello. 1497, febbrajo. Tornando di Savona in Toscana, è fatto prigione presso Montecarlo dalle genti de' Pisani. 1497, 29 novembre. 1 Dieci di Balìa lo conducono per capomaestro del loro ufficio. 1499. È uno de' maestri chiamati a dar parere sopra il modo di tifare il campanile di San Miniato al Monte , e di riparare la rovina che mi- nacciava la chiesa di San Salvadore, ossia di San Francesco al Monte. 1500, 13 di maggio. Mura l' ultima pietra della cupola di Santa Maria di Loreto. 1500, 19 novembre. Disegna le nuove fortificazioni di Borgo San Se- polcro. 1501, 18 marzo. Insieme con Simone del Pollajolo fa un Rapporto alla Signoria di Firenze sopra la lite tra i Colligiani per cagione del ponte e dell'acqua del Castello. 1501, 10 maggio. Commissario ad Empoli per condurre certe artiglierie del re di Francia. 1502, febbrajo. Va a Cortona richiesto da quel Comune, per dare sfogo alle acque che ne avevano inondato il contado. 1502, 12 ottobre. Ingegnerò a fortificare Arezzo. 1502, 25 gennajo. Giudica con altri maestri del luogo più conveniente alla collocazione del David di Michelangelo. 1503, 17 giugno. È eletto capomaestro dell'opera del palazzo della Si- gnoria. 1503. Fa il cancello di legname della scala detta della Croce nel palazzo pubblico di Firenze. 1507, 8 novembre. Fa il modello d'uno spicchio della cupola del Duomo di Firenze, in compagnia del Cronaca e di Baccio d'Agnolo. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 297 1507, 26 detto. È fatto insieme col Cronaca e con Baccio d'Agnolo archi- tetto dello spicchio citato. 1507, 9 dicembre. Insieme con Antonio suo fratello, col Cronaca e con Baccio d' Agnolo è eletto capomaestro della chiesa e della cupola di Santa Maria del Fiore. 1508. Fa il modello dell'altare della Madonna delle Carceri di Prato. 1508, dicembre. Gli è levato l'ufficio di capomaestro di Santa Maria del Fiore. 1509, 13 agosto. È mandato a Pisa per conto della nuova cittadella. 1510, 2 'gennajo. Presenta alla Balìa il modello della Porta a San Marco e di parte della cittadella di Pisa. 1511, 18. marzo. Va a Livorno per rimediare ai danni cagionati dal mare al porto. 1511, 11 di marzo. Fa il ponte della Spina a Pisa, e volta Arno verso . la Porta delle Piagge. 1511, 26 maggio. Gli è ordinato un modello per tagliare la torre della . Spina. 1512. È sempre a Pisa per conto della cittadella. 1514, 1 di gennajo. È nominato architetto di San Pietro in Eoma. 15 14^ Riatta in Roma la via Alessandrina. 1514, 15 settembre. Leone X con suo motuproprio concede a lui e a'suoi . successori in perpetuo un pezzo di terreno posto nel Borgo di San Pietro di Roma nella via vecchia. 15, 1 di luglio. Cessa dall'ufficio di architetto di San Pietro. 1516. Fa sei disegni per la facciata di San Lorenzo di Firenze che Leone X intendeva d'innalzare. 16, 20 ottobre. Muore in Firenze ed è sepolto in Santa Maria Novella. DI ANTONIO 1455. Nasce da Francesco di Bartolo Giamberti. 1488. È mandato a Sarzana a mostrare il nuovo modello di quella for- tezza fatto da lui e da Giuliano suo fratello. 1492. Rifonda le difese del Castel Sant'Angelo in Roma. 1495. Fa i torrioni, le fosse e le altre fortificazioni del detto castello. 1496. Lavora i gradini della chiesa di Santa Maria del Fiore. 1496, 17 febbrajo. Fa il modello del nuovo palco .della sala nuova del Gran Consiglio, e glie n'è allogato con altri legnajuoli il lavoro. 1496, maggio. È capomaestro della detta sala in compagnia del Cronaca. 1497, 8 maggio. È di nuovo eletto al detto ufficio, e fatto capomaestro delle mura di Firenzuola e di Poggio Imperiale. 298 COMMENTARIO ALLA VITA 1497, 19 maggio. Fa i modelli del cavalletto e del palco della sala nuova. 1497, 14 novembre. È mandato a rivedere la fortezza di Brolio. 1498, 13 gennajo. Gli e commesso dagli Operaj del palazzo della Signoria che compisca il palco della sala nuova, vi ponga due porticciuole segrete, e riatti l'altare. 1498, 28 maggio. Gli è allogato in compagnia di Baccio d'Agnolo l'or- namento e il lavorio di legname per la cappella del palazzo dei Signori, e l'altare della sala nuova. 1504, 25 gennajo. È uno de' maestri a giudicare del luogo più conve- niente per la collocazione della statua del David. 1504, 28 marzo. È mandato a provvedere alla fortezza disegnata per Ca- strocaro. 1504, 30 aprile. È deputato in compagnia del Cronaca, di Baccio d'Agnolo e di Bernardo della Cecca, a condurre in piazza il David di Mi- chelangelo. 1504, 2 di giugno. Ingegnere del campo fiorentino contro Pisa. 1504, 11 giugno. Disegna il bastione di Stagno sulla strada di Livorno. 1504. Fa un disegno per fortificare Librafatta. 1504, 4-6 luglio. Va a fortificare Marradi. 1505. 12 giugno. Torna a rivedere la fortezza di Arezzo. 1505. Munisce i luoghi della Valdambra. 1505, È nella Maremma pisana, e getta un ponte sull'Arno. 1506, 30 marzo. Parte da Livorno col disegno delle fortificazioni di quel luogo. 1507, 9 dicembre. È uno de' capomaestri della chiesa e della cupola di Santa Maria del Fiore. 1508, 11 maggio. È nel campo sotto Pisa. 1508. Fortifica Fucecchio. 1508, dicembre. Gli è tolta la direzione della fabbrica di Santa Maria del Fiore. 1508. Va a provvedere alla fortificazione del Borgo San Sepolcro, di Mar- radi e della Verrucola. 1509, 8 luglio. Va a Pisa con i modelli della nuova cittadella. 1511. È ancora a Pisa per quella cagione. 1511, 13 giugno. È mandato a sopravvedere ai lavori disegnati per la for- tezza di Poggio Imperiale. 1513, 30 gennajo. Torna a Poggio Imperiale. 1518. Fa il modello della loggia nella piazza de' Servi dirimpetto agl'In- nocenti. 1518. Comincia la chiesa di San Biagio di Montepulciano. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 299 1519. Architetta il palazzo del Cardinale del Monte a Montepulciano. 1521. Vuoisi che architettasse la chiesa di Sant'Agostino di Colle di Valdelsa, cominciata in quest'anno. 1525, 23 giugno. Manda alla Balìa la relazione delle cose da farsi in Montepulciano. 1526. Disegna i bastioni che si dovevano fare per la nuova fortificazione di Firenze. 1526. Papa Clemente VII lo manda a Piacenza per cagione di quella fortezza.1 1527. È Commissario a Castrocaro. 1534, 27 dicembre. Muore in Firenze ed è sepolto in Santa Maria Novella. PARTE SECONDA Di un documento sconosciuto intorno alla facciata di Santa Maria del Fiore La Repubblica fiorentina, sebbene raramente e per breve tempo gustasse la pace, e gli accidenti gravissimi che le occorsero così fuori come dentro la tenessero grandemente distratta, non cessò nondimeno dal pensiero di compire la facciata del suo Duomo. Così al disegno che ne aveva lasciato Arnolfo, forse perche troppo 'semplice, sebbene armonizzante collo stile generale dell'edilìzio, che è più grandioso che ricco, fu sostituito quello di Giotto, più elegante, e meglio corrispondente alla squisitezza mara- vigliosa del campanile. E già secondo il disegno suo era stata condotta per metà dell'altezza la facciata. Noi troviamo che anche a mezzo il secolo xv Donatello scolpiva per le nicchie della facciata alcune statue.2 Questo solo sapevamo fino ad ora in- torno a ciò che era stato fatto per compimento della facciata. Ma una grave lacuna d' un secolo restava nella storia de' varj tentativi fatti per ottenere questo effetto. Infatti da Donatello fino al 1586 gli scrittori che hanno par- lato di proposito della facciata di Santa Maria del Fiore ( e fra questi il più 1 t È stato fino ad ora creduto che a Piacenza fosse mandato Antonio da Sangallo il giovane, ma noi abbiamo invece da una deliberazione de' Dieci di Balìa di Firenze la prova che quella commissione fosse data ad Antonio da Sangallo il vecchio.. 2 Vedi a pag.-400 e 401 del tom. IL 300 COMMENTARIO ALLA VITA prolisso è il Richa), tacciono di un nuovo e maggior tentativo fatto sul finire del secolo xv. E la nostra buona ventura avendoci posto innanzi il docu- mento, per ogni rispetto importantissimo, che accenna a questo fatto, noi ci siamo consigliati di pubblicarlo, perchè da esso non solo potrà trarre giova- mento la storia di quel nobile tempio, ma si verranno ad aggiungere an- cora nuovi particolari della vita di varj artefici che presentarono nel giorno quinto di gennajo del 1490 (1491 stile comune)1 i loro disegni al me- morabile concorso della facciata di Santa Maria del Fiore, aperto con deliberazione del 12 febbrajo del 1489 (1490)/ e di quelli che furono chiamati a giudicarne. Capo e guidatore di questa novella prova è da credere che sia stato Lorenzo de' Medici, il quale delle cose d'architettura intendentissimo, chiamando i migliori artefici al concorso di quell'opera, avrebbe certamente scelto quel modello che più al concetto suo corrispon- desse. Fra gli artefici che in gran numero si presentarono, uno con mo- dello , e gli altri con disegni , troviamo un messer Carlo d' Amerigo de'Benci, canonico 'ed architetto, quasi, sconosciuto, e appena ricordato dal Richa, ma in modo da non sapere in che tempo vivesse.3 Nondimeno il concorso non ebbe veruno effetto, attesoché il consiglio eli Lorenzo il Magnifico seguitato dai più fu che, per essere l'opera da farsi assai lunga, ricercava maggiore e più grave esame, e perciò conveniva differirne ad altro tempo la conclusione. Onde menata in lungo la risoluzione di quella faccenda, avvenne che Lorenzo morì, e di quel concorso e di quella opera per lo spazio d' un secolo non si fece più parola. Rinacque questo bellissimo pensièro sotto il principato, e precisa- mente sotto Francesco I nel 1586; nel quale anno fu barbaramente get- tato a terra quanto della facciata disegnata da Giotto era stato costruito e rimaneva ancora in piedi. Gli storici che ci hanno lasciato ricordo di questa sciagura infinitamente deplorabile, raccontano tutte le gare e le invidie che sorsero tra l'Accademia del Disegno e varj architetti, invi- tati dal granduca a presentare *a un concorso i loro modelli. Narrano al- tresì, che, morto Francesco ed occupati i suoi successori Ferdinando I e Cosimo II in altre faccende, non potè riprendersi questa idea se non dopo il 1630 , regnante Ferdinando II, per ordine del quale fu dato prin- cipio alla facciata secondo il modello lasciato dall'Accademia del Disegno. Ma dimostrandosi il giudizio dell' universale molto contrario a somigliante lavoro, fu lasciato sospeso, e solamente nel 1661, nell'occasione delle nozze di Cosimo III, dovendosi ornare il Duomo, vi si fece, di prospettiva 1 Vedi Documento II posto in fine. 2 Vedi Documento I posto in fine. 8 t Morì il 16 aprile 1490 e fu sepolto nelle Murate. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 301 dipinta in tela, una facciata; la quale da un gagliardo vento fa rotta e gettata sulla piazza. Finalmente nel 1688, allorché doveva venire a Firenze Violante di Baviera, sposa del gran principe Ferdinando, Co- simo III chiamò da Bologna una compagnia di pittori, guidata da Bar- tolommeo Veronesi, i quali' dipingessero la facciata secondo l'architettura di Ercole Graziani. Così, dopo tanti tentativi, la Cattedrale di Firenze si condusse miseramente ad avere una facciata dipinta secondo il gusto corrotto d'un tempo infelice per tutte le arti del disegno. E noi dobbiamo rallegrarci che tutti questi ultimi tentativi sieno riusciti vani. Imperciocché non é da nascondere, che senza la conoscenza e la persuasione di quel che dovrebb' essere una facciata del Duomo fio- rentino, e secondo il pensiero de'suoi primi architetti, e secondo il fine suo, non potrà idearsi giammai il dicevole compimento di quell' edifizio. * Difatto, i varj modelli che ancora restano nell'Opera del Duomo di Fi- renze, fatti pel concorso aperto a'tempi di Francesco I e di Ferdinando II,* ci mostrano quanto gli architetti fossero lontani dal pensiero di conti- nuare il carattere generale della fabbrica; e che vinti dal pregiudizio, allora universale, che lo stile tedesco fosse una storpiatura ed una male- dizione dell'arte, non seppero andar dietro se non a sfrenatezze e a ghi- ribizzi, tristo pervertimento del gusto nella imitazione di alcune singole forme dell'architettura così detta classica. Quale poi fosse lo stile dei disegni presentati al concorso del 1491, non è facile a dire, avendosi di essi perduto ogni memoria. Forse, chi ci dice che quegli artefici non avessero considerato come eziandio la stessa facciata di Giotto mancava di quelle linee fondamentali semplici e gran- diose , quali richiederebbe il Duomo . fiorentino , dopo che l'artistico ardire del Brunellesco, col sovrapporre ad esso una cupola di grandezza tale che non ha esempio nella storia dell'architettura, trasformò la mole fio- rentina quasi in una nuova composizione architettonica ? E dall'altro canto, chi può asserire, che gli architetti, tenendo poco o nessun conto dello stile generale di Santa Maria del Fiore, non abbiano seguito piuttosto quella forma di comporre e di architettare che dai tempi del Brunellesco in poi, così negli edifìzj civili come ne'religiosi, erasi introdotta fra noi, e che può chiamarsi architettura neoclassica toscana ? Sennonché , quanto più il tempo pietoso é andato scancellando quel- l' ultimo indegno sfregio recato al Duomo fiorentino, e il sole e le pioggie van disfacendo quel fuggevole luridume; tanto più la sua pallida fronte ricorda ai cittadini più_generosi de' nostri tempi, esser rimasto incompiuto un voto dei loro gloriosi progenitori. Dal sentimento di questo debito sacro vogliam credere compresi molti architetti toscani de' nostri tempi, i quali provarono il loro ingegno in 302 COMMENTARIO ALLA VITA questo subietto. Nomineremo a cagion di lode Giovanni Silvestri, Gaetano Baccani, Francesco Leoni, Mariano Falcini, Emilio De Fabris, Niccola Matas, Pompeo Faltoni. Nel complesso de'quali disegni appare come l'età nostra meglio s'addentrasse nell' indagare ed apprezzare il sentimento profondo dell' architettura fiorentina, lungamente oltraggiato dai delirj de' passati secoli, e meglio considerando lo spirito e il carattere di quella fabbrica, ne deducesse la ragione e le norme per il suo compimento. Fra gli stranieri, che sappiamo, Giangiorgio Mùller, di San Gallo in Svizzera, studiò profondamente questo subietto (1843-1844). Dopo aver fatto cinque disegni per questa facciata nello stile e nel concetto degli antichi maestri , fermò l' animo in un sesto componimento che pubblicò in intaglio, corredato di una dottissima illustrazione,1 nella quale facen- dosi a narrare la storia del Duomo fiorentino, e i tentativi per donarlo della sua facciata, discórre con mirabile sentimento e cognizione dell' arte "delle ragioni dell'architettura nelle cattedrali toscane, e del concetto che la fronte principale di esse debbe esprimere. Raro intelletto, veramente ispirato da senso artistico profondo! Anima inna morata potentemente del- l'arte, e da nobile ispirazione vera guidata.2 Se noi diciamo che il dise- gno del Miiller ci sembra, almeno in molte parti, il più conveniente e il più proprio alla facciata del Duomo fiorentino, questo non sia d'offesa agii artisti toscani, se vero è che lè arti e le scienze non abbiano spe- cial patria su questa terra, ma solo una comune nella umana intelligenza, la quale si spande per l'universo creato. Dopo ciò, non vorremo muover lamento se la metà del secolo xix non ha per anche veduto ornar di una facciata la fronte del Duomo fio- rentino, e tanto meno vogliamo dolercene, dopo che a bene sperare ci conforta lo studio maggiore e la miglior conoscenza delle ragioni archi- tettoniche e dei fini di quell'edilìzio/ che si manifestano nell'insieme degli ultimi tentativi fatti dai prenominati architetti. Si ridesti dunque 1 Stampata nell' Allgemeìne Bauzeitung (Giornale universale di Architet- tura) di Vienna, anno 1847, con questo titolo: Ueber die einstige Vollendung des florentiner Domes. Ein Beitrag zur Barlegung der Gestaltung und Be- deutung des christlichen Bomes, non J. G. Mtiller, Architekt aus S. Gallen. (Intorno al futuro compimento del Duomo di Firenze. Memoria per dichiarare la forma e il significato del Duomo Cristiano, di Giangiorgio Mùller architetto di San Gallo). t Questa Memoria fu tradotta in italiano dal dott. Bartolommefo Malfatti, e pubblicata in Firenze pei tipi del Le Monnier nel 1852 con un Avvertimento di A. Reumont e Carlo Milanesi. 2 Gran danno che questo egregio artista e poeta fosse rapito all'arte nel fior degli anni e delle speranze. Egli morì nel 1848 di ventisette anni! Ne ha scritto una bella e copiosa vita il signor Ernesto Forster di Monaco di Baviera. DI ANTONIO E DI GIULIANO DA SAN GALLO 303 il desiderio e il proposito di voler compiuta una volta quest' opera; e noi vedremo gli artisti riaccendersi di nobil gara a novelle prove : sulle quali tutte portando poi un esame profondo e spassionato intelletti severi e ben veggenti, sia fermo un concetto veramente degno del Duomo di Fi- renze. Allora vedremo le forze di un popolo, delle cose della religione e dell' arte amico intelligente e magnanimo , unirsi concordi in dar com- pimento a questa mole, che puossi appellare forse la più splendida e la più magnifica glorificazione monumentale del Cristianesimo. i QueJ che si dice nel principio di questa seconda parte del Com- mentario, intorno alle vicende della' costruzione del Duomo di Firenze ed alla parte che vi ebbero Arnolfo e Giotto, oggi non regge più, dopo- ché i moderni critici coli' esame di queir edifizio e la scorta de' documenti contemporanei, hanno portato maggiore e miglior luce su questo assai intricato argomento. E il resultato de' loro studj è che dei lavori fattivi da Arnolfo non restino che poche cose , forse il cominciamento della fac- ciata, e i fondamenti de' muri laterali, essendo 'stati demoliti i quattro primi archi delle navate fatti da lui, allungato il corpo della chiesa ben cinquanta braccia ed ingrandite le tribune, quando nel 1357 dopo lungo intervallo fu ripresa la fabbrica. Quanto a Giotto, il quale non potè at- tendervi che poco, perchè distratto in quel tempo in altri lavori, e poi per essersi morto,. si crede che desse solamente principio alla incrosta- tura di marmi policromi de' fianchi. Insomma, il Duomo di Firenze, quale oggi si vede, non fu che dopo il 1357, rifatto, allungato, ed ampliato nelle tribune, secondo il disegno di Francesco Talenti e di Giovanni di Lapo Ghini. Intorno a questo argomento è da leggere il dotto e bel la- voro del prof. Cammillo Boito, intitolato: Francesco Talenti, Ricerche storiche sul Duomo di Firenze dal 1294 al 1367. Milano, 1866. Eispetto poi al nobile e giusto desiderio di veder ornato della sua facciata il Duomo fiorentino , non passarono molti anni che fu soddisfatto. Agli 8 di novembre 1861 fu* pubblicato in Firenze un Programma, col quale si apriva un concorso per la facciata di Santa Maria del Fiore , e creata una Commissione giudicante di architetti professori nelle principali Ac- cademie d'Italia; la quale eie' 42 disegni precedenti non proferì il suo giudizio che sopra 16, e ne stampò il Rapporto a' 6 di febbrajo 1863. La Commissione non conferì i tre premi maggiori, ma solo i tre minori, e chiese che il terzo de' maggiori fosse diviso tra altri sei concorrenti. Non riuscito questo primo esperimento, ne fu aperto un secondo nel 1865, nel quale dovevano concorrere i professori che avevano giudicato del primo. Ma neppur questo ebbe successo migliore. Finalmente nel 1867 si fece il terzo, e la Commissione chiamata a giudicarlo diede il suo parere in favore del disegno tricuspidale presentato dal prof. Emilio De Fabris, il 304 COMMENTARIO ALLA VITA quale, posto mano all'opera, l'ha già condotta con gran prestezza per una terza parte quasi a fine, in modo da dare ragionevole speranza che in pochi anni il magnifico tempio di Santa Maria del Fiore avrà, nella sua facciata, il tanto lungamente desiderato ed aspettato suo compimento. Documento I « mcccclxxxviiii ( 1490 stile comune) « Die duodecima Februarii « Spectabiles Consules Artis Lane, civitatis Florentie, servatis etc. Asserentes quod diebus proxime elapsis fuit illis ad memoriam reductum per nonnullos ex primatibus civitatis sepe sepius , qualiter maximum est dedecus civitatis liabere faciem ecclesie a parte exteriori ita ut habetur, scilicet imperfecta, et etiam pars que constructa est, esse sine aliqua ratione aut iure architecture , et in multis patitur detrimentum : et quod opus esset multa commendatione dignum superius providere: quare pre- fati domini Consules ad hoc ut predicta fìant, si fieri visum erit bonum et conveniens, omni meliori modo quo potuerunt, deliberaverunt et li- centiam dèderunt Operariis tam presentibus quam futurìs Opere diete ecclesie, quod superius possint providere, deliberare et ordinare, expen- dere et omnia alia facere que et quemadmodum et prout et sicut illis visum fuerit, et oportere cognoverint de tempore in tempus in futurum, omni exceptione remota, non òbstante etc. » (Archivio dell'Opera del Duomo di Firenze: Deliberazioni dall'anno 1486 all'anno 1491, a carte 68). Documento II « mcccclxxxx (1491 stile Comune) « Die quinta Januarii « Masus Luce domini Masii de Albizis Thomas olim Andrese Thomse de Minerbectis nec non Operarii Operae Sanctse Marise Floris de Florentia. Attendentes ad comodum civitatis et templi Sanctse Marise Floris predi ctse, et propte- rea cupientes venire ad resolutionem faciei dietse talis ecclesise, prout olim consultum extitit per -nonnullos cives ex primatibus dietse civitatis ad id convocatos per eorum antecessores; et visis designis et modellis undique habitis et collectis; et' viso quod nulla extat spes aliunde reci- piendi modellos, et seu designa predicta; et viso desiderio civitatis et populi universi; et omnibus aliis visis et consideratis , et iustis et ratio- nabilibus causis moti, omni meliori modo ecc., deliberaverunt quod dicti tales modelli et seu designa ostendantur et manifestentur, et propterea ambo cives fiorentini, DI ANTONIO E DI GIULIANO DA SAN GALLO 305 convocarentur iterimi prò hac presenti suprascripta die omnes infrascripti cives, cum omnibus et singulis architectis infrascriptis, quorum auctori- tate pariter et Consilio, modellus et seu designum magis probabile appro- betur et sequatur. Quorum quidem hominum nomina sunt ista , videlicet Silvester Joannis de Populeschis Ridolphus Joannis Falconi « Dominus Carolus olim Amerigi de Bencis canonicus, civis et archi- tectus. Fecit modellimi, ymmo designum. Duo ex Consulibus Artis Lanse. Absens quia Legatus. D. Absens Absens Absens Absens Absens Absens Absens Petrus Francisci de Alamannis eques. Nicolaus Rodulphius Bernardus del Nero Roggerius Corbinellus Rodulphus Rodulphius Antonius Paganellus Paulus Antonius Soderinus Antonius Manectus, civis et arcbiteotus. 1 Perus (sic) Machiavellus Petrus Corsinus S. * Angelus Niccolinus utriusque juris doctor Andreas Junius Joannes Serristorus Julianus Salviatus Joannes Cavalcantes Antonius Bernardi Miniatis S. Mariae Novellae D. Antonius Malegonnella Dominicus Bartholus Laurentius Lenzus Bernardus Oricellarius Jacobus Ventura Joannes Franciscus Tornabonus Nicolaus Federigus Phylippus Stroctius Petrus Populeschus 1 Di Antonio di Taccio Manetti, nobile fiorentino, architetto, cosmografo e matematico, è stato parlato nella Vita di Filippo di Ser Brunellesco, tomo II, pag. 329, nota 4. Vasahi, Opere - Voi. IV. 20 306 COMMENTARIO ALLA VITA S.. JOANNIS D. Bartholomeus Scala Laurentius Medices Abseiis Masus Alexander Alexander de Filicaria Absens Ser Joannes Guidius scriba Reformationum Braccius Martellus « Nomina eorum qui fecerunt modellimi seu designimi, et absentes erant tempore aperitionis et ostensionis eorum, sequuntur et sunt ista, videlicet: Julianus Leonardi de Maiano1 Benedictus eius germanus Magister Franciscus senensis2 Phylippus Fratris Phylippi pictor3 Joannes Verrochius, sive del bronzo 4 Bernardus Ghalluzus, civis florentinus5 Antonius Pollaiuolus Duo designa. Hic tunc tein- poris decesserat Unum designum Unum designum Unum designum Unum designum Unum designum. Hic antea decesserat Unum designum 3 Era morto, come abbiamo detto nella Vita di lui, nel dicembre del 1490. 2 Questi certamente è il celebre Francesco di Giorgio Martini pittore, scul- tore ed architetto senese, del quale si ha la Vita nel voi. Ili, pag. 69. Il docu- mento ci dà intorno a lui una notizia nuova, e che gli torna in lode, essendoché fra gli artefici che presentarono disegni a questo memorabile concorso, egli è forse il solo non fiorentino. 3 Che Filippino s'intendesse d'architettura, non deve far meraviglia: era a quei tempi quasi ordinario negli artefici lo avere notizia delle tre arti del di- segno. Ma che fosse anche pratico architetto , è cosa nuova affatto. Da altro do- cumento sappiamo che nel 26 di giugno del 1498 fu fra gli architetti chiamati a consigliare sopra il riattamento della lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore. 4 I Verrocchi o del Verrocchio furono orafi fiorentini. Da Francesco di Luca delVerrocchio ebbe l'arte e il soprannome Andrea Cioni, conosciuto più comu- nemente per Andrea del Verrocchio. t Un Giovanni non sappiamo che in questo tempo sia stato nella famiglia Verrocchi: perciò crediamo che il notajo per errore scrivesse Giovanni invece di Giuliano, che fu figliuolo del suddetto Francesco e nacque nel 1450. 5 Nome nuovo fra gli architetti fiorentini è questo. Costui fu Bernardo di Francesco Galluzzi cittadino fiorentino nato nel 1441 e morto facilmente in Pisa nel 1490 dopo aver fatto colà il suo testamento, del quale l'Albertini nel suo opuscolo De miràbilibus urbis Romae, altra volta citato, fa ricordo come di colui che in compagnia di Antonio dal Ponte a Sieve fu architetto di Alessandro VI. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO Sequuntur nomina architectorurn 307 Franciscus de Fesulis sculptor 1 Absens Franciscus aurifex Unum designum D. Franciscus araldus Magnifice Do- minationis Fiorentine 2 Fecit designum Absens Zenobius Landus Absens Phylippus Baldi Absens Laurentius Vulparia 3 Victorius Bartoluccius 4 Simon Pollaiuolus Franciscus Monciattus 5 Benedictus de Maiano Francione lignarius 6 1 t Costui è Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole, valente scultore, del quale abbiamo parlato nella "Vita di Andrea Verrocchio, tom. III, p. 371, nota 2. 2 Francesco di Lorenzo Filareti araldo del comune di Firenze fu non solo poeta, ma anche architetto, come, oltre a questo documento, si può conoscere da quello riferito dal Gaye sopra il consiglio dato da più artefici circa il luogo, ove collocare la statua del David di Michelangelo. ( Carteggio ecc. , II , 454 e seg. ). 8 Di questo ingegnoso meccanico recammo notizie nella Vita di Alesso Bal- dovinetti. 4 È il figliuolo di Lorenzo Ghiberti. Noi sappiamo che nel 1473 egli per l'Opera di Santa Maria del Fiore lavorava una cassetta per le reliquie. 5 Di Francesco di Domenico di Simone detto Monciatto nato nel 1432 e morto nel 1512, ecco le notizie che abbiamo raccolte. Nel 1466 in compagnia di Giovanni di Domenico da Gajole fa il coro di legno di San Miniato al Monte, e nel 1472 rifa gli armarj per la sagrestia della detta chiesa. Nel 1471 lavora il coro di legname del Duomo di Firenze , nella forma che si vede ritratto nella medaglia della Congiura de' Pazzi scolpita dal Pollajuolo. Nel 1473 è uno de' mae- stri del lavoro di legname fatto nella Sala dell' Udienza nel Palazzo della Signoria di Firenze. 6 Di Francesco di Giovanni, detto il Francione, è stato parlato nella Vita di Baccio Pontelli. 7 f Forse è Francesco Bozzolini da Fiesole. 8 Costui fu Jacopo d'Antonio nato nel 1442; egli è il solo che presentasse un modello, a differenza degli altri che fecero un disegno. Absens Absens Julianus de Sanghallo Simon Caprina Franciscus de Fesulis 7 Jacobus lignarius, alias Piattola Meus del Caprina Laurentius Credis pictor Dominicus Grillandarius Fecit modellum 8 308 COMMENTARIO ALLA VITA Coshius pictor Antonius Covonius Perusinus pictor Joannes Graffione 1 Baldassar faber 2 Scorbachia 3 Andreas de Monte Sancti Sabini Clemens del Tasso 1 Matteus Jacobini Matteus Cioli 5 Andreas de Eubbia Blasius Frigio Bartholomeus claudus6 Lucas Cortonensis Sander Botticelli Amerigus aurifex7 Bernardettus aurifex 8 Alexus Baldovinettus Joannes pifferus et frater eius 9 Andreas de Fesulis 10 Lapus sculptor 11 1 Questi è il Graffione, discepolo di Alesso Baldovinetti. 2 t Forse questi è Baldassarre di Nanni di Domenico di Barone, nato nel 1452, che fu padre di Giovanni orefice detto il Piloto morto di ferite nel 1536. 3 ì Lo Scorbacchia chiamavasi per proprio nome Giovanni Mariano. Fu ca- pomaestro muratore della chiesa di Santo Spirito dal 1475 al 1490. 4 t Di questo intagliatore di legname è stato parlato nel Commentario alla Vita di Benedetto da Majano. (V. tom. Ili, pag. 350). s i Fu scarpellino da Settignano, e nacque da Giovanni Cioli nel 1445. 6 i Crediamo che sia quel Bartolommeo, da cui discese Gio. Maria pittore detto Rocco Zoppo, stato scolare del Perugino. 7 i Amerigo di Gio. di Rigo di Niccolò orafo, nato nel 1420 e morto nel 1491, 20 settembre. 8 t Forse costui è Bernardo figliuolo di Bartolommeo Cennini. 9 t Giovanni piffero è il Cellini padre di Benvenuto. Egli ebbe due fratelli, Bartolommeo e Francesco. Quale de'due sia il nominato qui, non si può accertare. 10 t Questi è Andrea Ferrucci scultore, del quale leggeremo più innanzi la Vita. 11 i Lapo d'Antonio di Lapo nato nel 1465, visse fino al 1526 incirca. Fu sco- lare di Mino di Giovanni detto Mino da Fiesole e lo aiutò nel lavoro del taber- nacolo di Sant'Ambrogio. Nel 1491 era tra gli scultori agli stipendj dell'Opera del Duomo di Firenze. Scolpì nel 1505 in Sant'Ambrogio la sepoltura di marmo di messer Antonio da Terranuova, spedalingo di Santa Maria Nuova. Questa sepoltura non esiste più da un pezzo. Nel 1506 fu" con Michelangelo a Bologna , quando questi lavorava la statua di Giulio II che fu gettata di bronzo. Nelle sue Absens Absens Absens Absens DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 309 « Dieta die. « Coadunatis omnibus supradictis in audientia, ymmo in porticu et lodia dietse Operse; et apertis et patefactis designis sigillatis undique habitis et collectis, et productis modellis, et omnibus mature consideratis, et omnibus secundum eorum dignitatem locatis , infrascripti insurrexerunt, et superius locuti sunt effectum infrascriptum , videlicet: « Thomas Minerbectus, unus ex dictis Operariis, rogatus a collega ut causam narraret talis convocationis, surrexit, et comode ac discrete officio sibi commisso functus est. Quo facto statini. « Praefatus venerabilis vir D. Carolus Bencius, canonicus, civis et ar- chitectus, primo interrogata, surgens dixit quod, suo videri, sequendum erat circa hoc iudicium Magnifici Laurentii Medicis , tanquam architectura peritissimi, quod si fieri contingat, in errorem incidi minime posset, ecc. « D. Bartholomeus Scala eques, secundo surgens, consuluit ut in aliud tempus iudicium differretur., ut veritas circa hoc magis elucescat, resque maturius digeratur. « D. Antonius Malegonnella sequutus est consilium supradicti D. Bar- tolomei. « Petrus Nasius fere idem sensit; sed tempus initii talis operis et rei non sit longius quam sit opus. « Antonius Taddei eiusdem pene fuit sententiae, et adortatus est Ope- rarios et alios ad id deputatos, ut rem expediant, servata prius debita diligentia. « Laurentius vero Medices consurgens ait, eis omni laude dignos esse qui circa modellos et seu designa producta se exercuerunt, et cum opus de quo agitur diuturnum sit futurum, indiget gravi et maiori' examine, et quod inconveniens non esset in aliud tempus conclusionem differre, ut res maturius digeratur. Cuius opinionem est sequutus. « Perus Machiavellus et « Antonius Manectus architectus et civis. Ceteri astantes siluere ». (Archivio dell'Opera del Duomo di Firenze: Deliberazioni dall'an- no 1486 all'anno 1491, a carte 77).. Lettere, Michelangelo si duole di lui, e per cagione delle sue frodi egli fu costretto a cacciarlo via. Nel 1518 pigliò a fare in compagnia di Benedetto di Giuliano i conci di pietra serena della nave dell' Oratorio di Santa Maria delle Grazie fuori del castello di Poggibonsi nella Valdelsa. 311 AVVERTIMENTO ALLA VITA DI RAFFAELLO DA URBINO In questa Parte Terza delle Vite trattandosi di artefici di poco ante- riori o contemporanei al Vasari , non potevano a lui mancare quelle notizie e quei riscontri de' quali apparisce più o manco grande il difetto nella nella prima e nella seconda Parte. Cosicché, se era buona, anzi necessaria per noi e per i leggitori una larghezza maggiore nella illustrazione di quelle, non vale ora, che siamo incamminati in questa terza, dove l'Autore si mostra meglio informato de' fatti; e di molte cose che afferma, perchè ricavate da fonti sicure, è da prestargli interissima fede. Venuti noi dunque alla Vita di Raffaello, conoscemmo che, trattan- dosi di un artista celeberrimo, anzi del principe della pittura moderna, intorno al quale innumerevole schiera di scrittori, così d' Italia come di fuori, ha largamente ragionato,1 non sarebbe stata opera proporzionata alla fatica materiale, ne dicevole alla natura di questo lavoro, il ripetere 1 Le opere principali pubblicate per le stampe su Raffaello sono le seguenti : Vita inedita di Raffaello da Urbino, illustrata con note da Angelo Comolli (Roma, per il Salvioni, 1790; in-4). Una seconda edizione, accresciuta, fu fatta nell'anno seguente. Notizie intorno Raffaello Sanzio da Urbino, ed alcune di lui opere, ecc., dell'avvocato Don Carlo Fea (Roma, per il Poggioli, 1822; in-8). Elogio storico di Raffaello Santi da Urbino, del P. M. Luigi Pungi- leoni (Urbino, per il G-uerrini, 1829; in-8). Istoria della Vita e delle Opere di Raffaello Sanzio da Urbino, del signor Quatremère de Quincy, voltata in ita- liano, corretta, illustrata ed ampliata per cura di Francesco Longhena, adorna di xxvm tavole e di un fac-simile (Milano, per il Sonzogno, 1829; in-8). Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi (Raffaello d' Urbino e Giovanni Santi suo padre) (Lipsia, per il Brockaus, 1829; due volumi in-8, con atlante di 14 stampe). Nessun' altra Vita di artista ha avuto un illustratore più diligente e giudizioso del Passavant; nè su Raffaello nessun' altra lingua e letteratura pos- siede un'opera così compiuta in ogni sua parte come quella di questo dotto ale- 312 AVVERTIMENTO ALLA VITA tutto ciò che del Sanzio fu tante volte detto e stampato; la quale fatica, di mera compilazione, non avrebbe servito certamente a dir cose nuove od utili alla storia; quasi che supponessimo i nostri leggitori non d'altro libro forniti che del nostro Vasari. Con questo proposito ci siamo messi intorno alla Vita di Raffaello. Per il che, noi ometteremo di registrare non solo le molte opere che al Sanzio si attribuiscono, ma ancora quelle, le quali, sebbene non ricor- date dal Vasari, sono autenticate da documenti o da testimonianze au- torevoli. Per le stesse ragioni ci passeremo dal notare gl'infiniti disegni che si trovano in varie raccolte pubbliche e private d'Europa. Ma sebbene le ragioni espresse qui innanzi sieno (a senso nostro) buone a consigliarci e farci risolvere a questa sobrietà d'illustrazione anche per la Vita dell'Urbinate, tuttavia non e da tacere di una pittura ritrovata in Firenze più anni dopo la pubblicazione del più compiuto la- voro intorno al nostro artefice. Intendiamo del Cenacolo dipinto in fresco nel refettorio di Sant' Onofrio delle monache francescane dette di Fuligno, rimesso in luce nel 1845. A tutti son note le molte quistioni alle quali dette motivo questo affresco; non tanto per la eccellenza sua, quanto, e più, per il nome di Raffaello, al quale sin da principio si volle attribuire. E in siffatta qui- stione si esercitarono, sia in scritti di giornali sia in opuscoli, dotti co- noscitori nostrali e stranieri, i quali dividendosi in due parti, combatte- rono alcuni in favore, altri contro la opinione che assegna quell'opera al grande Urbinate. Ma sebbene e l'una parte e l'altra con grande calore abbia difeso la propria sentenza, pure i loro ragionamenti rimarranno sempre come tanti giudizi individuali , sino a che non sia dato di scoprire qualche documento atto, se non a mostrarci l'autore di quel dipinto, proprio almeno a servire di base a qualche storica ipotesi più ragione- vole. Ond' è , che avendo tutte le opinioni sin qui emesse un egual valore dinanzi alla storia, tutte egualmente son da noi rispettate.1 manno; il quale, sopra ogn' altro, ci ha servito di guida per il nostro lavoro. Se, come è da sperare, l'autore metterà ad effetto il suo pensiero d'imprendere da sè stesso una ristampa della sua opera in lingua francese, che è quanto dire, renderla più universale e più facilmente consultabile , egli gioverà assai a coloro che amano e studiano siffatte materie. — t E questo egli l'ha già fatto da parecchi anni. Dopo il Passavant, il Grimon in Germania ha pubblicato una nuova Vita del Sanzio, ed altri in Francia e in Inghilterra hanno scritto su questo pittore. 1 Vogliamo per altro esclusa dal conto delle opinioni rispettabili quella che ha preteso di sostenere, contro ogni ragione e d'arte e di critica, esser questo mirabile dipinto opera di Neri di Bicci, dozzinale pittore fiorentino del secolo xv. Intorno alla quale strana opinione basti ciò che da noi fu detto nel Commentario alla Vita di Lorenzo di Bicci. (Vedi tom. II, pag. 83). DI RAFFAELLO DA URBINO 313 Dopo di che , prevenendo la naturai domanda : a quale delle due opi- nioni noi incliniamo; diremo, esserci stato sempre impossibile il vincere le molte difficoltà che si paran dinanzi a voler riempire questa lacuna storica col nome dell'Urbinate. Al primo aspetto, questo dipinto (secondo che saviamente osserva il dottor Giacomo Burckhardt)1 ci si rappresenta come un'opera del Pin- turicchio, o almeno come cosa non del tutto fiorentina, ma compenetrata dai principi della scuola fiorentina e peruginesca insieme.2 Ma non per- tanto, chi la osservi senza prevenzione, non la giudicherà così facilmente opera di Raffaello; non solo perche le teste, alquanto grosse, differiscono dai tipi della Incoronazione della Vergine, dello Sposalizio, e dell'affresco di San Severo; e la esecuzione tecnica, franca e sicura, di questo Cena- colo, sta in opposizione con quella timida e peritosa, che ravvisiamo nei primi affreschi del Sanzio (come appunto in quello di San Severo); ma anche perchè la composizione stessa ci conduce piuttosto nella sentenza contraria. Difatto, è moralmente inverosimile che Raffaello, dopo le forti impressioni ricevute dalle opere grandi e potenti di Leonardo, di Fra Bartolommeo, e fors' anco di Michelangiolo, nel momento del più vivo ardore dell'anima sua, si contentasse di ritenere per questo subietto il vecchio modo di composizione, già ripetuto dal Ghirlandaio nella stessa Firenze; tanto più che al Sanzio non doveva essere ignota, o per disegni o per informazioni avutene, quella del Cenacolo di Leonardo, già a quel tempo divenuto famosissrmo. La scritta nello scollo della veste di san Tommaso, dove si è creduto di leggere: kaph^l vrbinas anno nativitatis mdv, è una prova incerta. Oltre le già dette, anche altre ragioni estrinseche rendono quasi in- credibile esser quest'opera di mano di Raffaello. Il Sanzio, venuto in Firenze nell'ottobre del 1504, non poteva im- piegare il tempo di questa sua prima dimora in altro che nell' ammirare e studiare con tutto l' ardore di cui è capace una giovane anima sensitiva e innamorata dell'arte, quella stupenda e a lui nuova serie di creazioni artistiche che Firenze offriva al suo intelletto, dagli affreschi della cap- 1 Nelle note al Manuale della Storia della Pittura, di F. Kugler, I, 567 (in tedesco). 2 i Nel Commentario alla Vita di Raffaellino del Garbo (pag. 251), trattando di Raffaello Carli pittore fiorentino, dicemmo che egli, come apparisce dalle sue opere, segue in parte le massime della scuola umbra ed in parte quelle della fiorentina ; il che è chiaramente dimostrato nella sua tavola che fu in Santo Spirito , ed oggi si conserva nella Galleria Corsini di Firenze. Ora considerando che queste medesime qualità si riscontrano nell' affresco di Fuligno , non ci parrebbe tanto strano ed impossibile il congetturare che il pittore della tavola Corsini possa esser quel medesimo che dipinse il Cenacolo di Fuligno. 314 AVVERTIMENTO ALLA VITA DI RAFFAELLO pella Brancacci alle più recenti e mirabili opere de' contemporanei. Nel seguente anno 1505, noi sappiamo con certezza che egli fu occupato in Perugia in due opere almeno: nell'affresco di San Severo, e nella tavola per la cappella Ansidei in San Fiorenzo; come pure è certo, che sulla fine dello stesso anno (29 di dicembre 1505), egli si allogò a dipingere 1' altra tavola per le monache di Monte Luce fuori di Perugia. Da ciò apparisce, che la presente quistione rimane tuttavia irreso- luta, e lascia per tal guisa libero il campo a nuove indagini ed a con- tinuare la discussione sopra un argomento così importante : e questo re- cherà lode non solo a coloro che ciò faranno, ma benefizio eziandio alla storia dell'arte medesima. Frattanto non sarà mai abbastanza lodato il passato Governo toscano, di aver fatto acquisto di quest'opera, saviamente provvedendo così al decoro del paese, e conservando a Firenze un monumento sempre prege- volissimo, qualunque esser possa il vero , suo autore. 315 RAFFAELLO DA URBINO PITTORE E ARCHITETTO (Nato nel 1483; morto nel 1520) Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nel- raccumulareinuna persona sola l'infinite ricchezze de'suoi tesori e tutte quelle grazie e più rari doni che in lungo spazio di tempo suol compartire fra molti individui, chia- ramente potè vedersi nel non meno eccellente che gra- zioso Raffael Sanzio da Urbino; il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole al- cuna volta vedersi in coloro che più degli altri hanno a una certa umanità di natura gentile aggiunto un or- namento bellissimo d'una graziata affabilità, che sempre ) suol mostrarsi dolce e piacevole con ogni sorte di per- sone ed in qualunque maniera di cose. Di costui fece I dono al mondo la natura, quando vinta dall'arte per I mano di Michelagnolo Buonarroti , volle in Raffaello es- j ser vinta dall' arte e dai costumi insieme. E nel vero , poi che la maggior parte degli artefici stati insino allora si avevano dalla natura recato un certo che di pazzia e di salvatichezza , che oltre all'avergli fatti astratti e fan- tastichi, %ra stata cagione che molte volte si era più dimostrato in loro l'ombra e lo scuro dei vizii, che la chiarezza e splendore di quelle virtù che fanno gli uomini immortali; fu ben ragione che, per contrario, in Raf- 316 RAFFAELLO DA URBINO faello facesse chiaramente risplendere tutte le più rare virtù dell'animo accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia ed ottimi costumi, quanti sarebbono bastati a ricoprire ogni vizio, quantunque brutto, ed ogni macchia ancor che grandissima. Laonde si può dire si- curamente, che coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Kaffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se così e lecito dire, Dei mortali; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi, mediante l'opere loro, onorato nome, possono anco sperare d'avere a godere in cielo condegno guidardone alle fatiche e merti loro. Nacque adunque Kaffaello in Urbino , città notissima in Italia, l'anno 1483 in venerdì santo a ore tre di notte,1 d'un Giovanni de'Santi, pittore non molto eccellente,5 ma sì bene uomo di buono ingegno ed atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che a lui, per mala for- tuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù. E perchè sapeva Giovanni quanto importi allevare i fi- gliuoli non con il latte delle balie, ma delle proprie ma- dri, nato che gli fu Raffaello; al quale così pose nome al battesimo con buono augurio; volle, non avendo al- tri figliuoli, come non ebbe anco poi, che la propria ma- dre lo allattasse, e che piuttosto ne' teneri anni appa- rasse in casa i costumi paterni, che per le case de'villani e plebei uomini men gentili o rozzi costumi, e creanze; e cresciuto che fu, cominciò a esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte molto inclinato, di bellissimo in- 1 II 26 marzo, secondo le tavole astronomiche; il 28 dello stesso mese, se- condo il periodo Giuliano. 2 Questa proposizione è vera, se si consideri l'eccellenza del figlio : ma con- frontando le opere di Giovanni, le quali ancor sussistono in Urbino, in Fano, in Milano e in Cagli, con quelle dei pittori suoi contemporanei, ei comparisce pittore piuttosto buono che mediocre. La madre di Raffaello fu Magia di Gio. Battista Ciarla, la quale morì nel 1491 ; onde Giovanni si riammogliò con Ber- nardina di Pietro Parte. Costei sopravvisse al marito, e riuscì matrigna alquanto molesta a Raffaello, a cagione delle sue pretensioni. EAFFAELLO DA UEBDJO 317 gegno : onde non passarono molti anni, che Raffaello an- cor fanciullo gli fu di grande ajuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d'Urbino. In ultimo, conoscendo questo buono ed amorevole padre, che poco poteva ap- presso di se acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino; il quale, secondo che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo. Perchè andato a Perugia, non vi trovando Pietro, si mise, per più comodamente poterlo aspettare, a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tornato Pietro da Roma, Grio vanni, che persona costumata era e gentile, fece seco amicizia; e quando tempo gli parve, col più acconcio modo che seppe gli disse il desiderio suo. E così Pietro, che era cortese molto ed amator de' belli ingegni, ac- cettò Raffaello; onde Grio vanni andatosene tutto lieto a Urbino e preso il putto, non senza molte lacrime della madre che teneramente l'amava, lo menò a Perugia; là dove Pietro veduto la maniera del disegnare di Raf- faello e le belle maniere e costumi, ne fe1 quel giudizio che poi il tempo dimostrò verissimo con gli effetti.1 E cosa notabilissima, che studiando Raffaello la maniera di Pietro, la imitò così a punto e in tutte le cose, che i suo' ritratti non si conoscevano dagli originali del mae- stro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere ; come apertamente dimostrano ancora in San Francesco di Perugia alcune figure che egli vi lavorò in una tavola a olio per madonna Maddalena degli Oddi: e ciò sono, una Nostra Donna assunta in cielo e Gesù Cristo che la corona; e di sotto, intorno al sepolcro, sono i dodici Apostoli che contemplano la gloria celeste; e a pie della tavola, in una predella di figure piccole spar- tite in tre storie, è la Nostra Donna annunziata dall' An- 1 Intorno alla vita ed alle opere di Giovanni Santi, vedi la Parte Prima del Commentario che segue a questa Vita; nella quale si viene a correggere tutto ciò che intorno a questo pittore racconta inesattamente il Vasari. 318 RAFFAELLO DA URBINO gelo, quando i Magi adorano Cristo, e quando nel tem- pio è in braccio a Simeone: la quale opera certo è fatta con estrema diligenza; e chi non avesse in pratica la maniera, crederebbe fermamente che ella russe di mano di Pietro, laddove eli' è senza dubbio di mano di Raf- faello.1 Dopo questa opera, tornando Pietro per alcuni suoi bisogni a Firenze, Raffaello partitosi di Perugia, se n'andò con alcuni amici suoi a Città di Castello; dove fece una tavola in Santo Agostino, di quella maniera;' e similmente in San Domenico una d'un Crucifìsso; la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello , ma sì bene di Pietro.3 In San Francesco ancora della medesima città fece, in una tavoletta, lo Sposalizio di Nostra Donna; nel quale espres- samente si conosce l'augumento della virtù di Raffaello 1 *Fu fatta circa Tanno 1502, secondo che dimostra il Passavant {Rafael von Urbino und sein Vater; Leipzig, 1839; voi. I, 67; II, 21). Nel 1797 recata a Parigi, per far parte del Museo Napoleone, fu trasportata in tela, non senza qualche danno. Nel 1815 ritornò in Italia, e andò ad arricchire la Galleria Vaticana. 2 *Nel 1789 fu venduta al pontefice Pio VI, il quale, fatta segare la figura del Padre Eterno , eh' era la parte più bella e meglio conservata, ne formò un quadretto separato, che poi fu rapito nelle perturbazioni politiche, ed oggi sembra irreparabilmente perduto. Giovi quindi descriver questo quadro colle parole stesse del Lanzi, che potè vederlo intero al suo posto. « Udii in Città di Castello, che in età di 17 anni (1500) dipingesse il quadro di San Niccola da Tolentino agli Eremitani. Lo stile fu peruginesco, ma la composizione non fu la usata di quel tempo: un trono di Nostra Donna con de' santi ritti all' intorno. Quivi rappresentò il Beato, a cui Nostra Signora e sant'Agostino, velati in parte da una nuvola, cingono le tempie d'una corona; due angioli a man destra, 'e due a sinistra, leg- giadri e in mosse diverse, con cartelle variamente piegate, ove leggonsi alcuni motti in lode del santo eremitano : al disopra è il Padre Eterno fra una gloria pur di angioli maestosissima. Gli attori sono come in un tempio, i cui pilastri van fregiati di minuti lavori alla mantegnesca, e nelle pieghe de' vestimenti ri- mane in parte l'antico gusto, in parte è corretto: così nel demonio, che giace sotto i piedi del santo, è tolta quella capricciosa deformità, che vi poneano gli antichi, e ha volto di vero etiope». 3 * Rappresenta Cristo in Croce con due angeli volanti che raccolgono, dentro calici, il sangue che sgorga dalle piaghe delle mani e del costato. A pie della croce, dal destro lato, sta la Divina Madre in piedi, e san Girolamo iDginoc- chione; dal sinistro, san Giovanni, parimente in piè, e la Maddalena in ginocchio. Il fondo è di paese con piccoli alberetti e casamenti. Nel cielo, il sole e la luna. In^basso della croce si legge a lettere romane messe a oro: Raphael • vrbi- nas • p. Raffaello dipinse questa tavola per la cappella Gavri o Gavari nelia RAFFAELLO DA URBINO 319 venire con finezza assottigliando, e passando la maniera di Pietro. In questa opera e tirato un tempio in prospet- tiva con tanto amore, che è cosa mirabile a vedere le difficultà che egli in tale esercizio andava cercando.1 In questo mentre avendo egli acquistato fama gran- dissima nel seguito di quella maniera, era stato allogato da Pio II pontefice2 la libreria del duomo di Siena al Pinturicchio, il quale essendo amico di Eaffaello, e co- noscendolo ottimo disegnatore, lo condusse a Siena; dove Raffaello gli fece alcuni dei disegni e cartoni di quel- l' opera: 3 e la cagione che egli non continuò fu, che es- sendo in Siena da alcuni pittori con grandissime lodi celebrato il cartone che Lionardo da Vinci aveva fatto nella sala del Papa in Fiorenza,4 d'un gruppo di cavalli bellissimo per farlo nella sala del Palazzo, e similmente chiesa de' Domenicani, circa il 1500, come dice il Passavant, o il 1504, come crede il Rumohr. Sul principio del presente secolo, essa fu comprata all'incanto da un francese per 4000 scudi. Passò poi ad ornare la ricca galleria del cardinal Fesch a Roma; morto il quale, e venduta la galleria, questo quadro fu acquistato da Lord Ward. N'è un intaglio nella tav. vili dell'Atlante che fa corredo alla citata opera del Passavant. t Fa ora parte delia Raccolta di Lord Dudley in Londra. La prima im- pressione che riceviamo osservando questo quadro, è che in esso son molte cose, che ricordano l'affresco del Perugino in Santa Maria Maddalena de' Pazzi di Firenze, fatto, come è stato detto, nel 1493. (V. tomo III, p. 574, nota 3). Vero è che Raffaello, secondo la cronologia della sua vita, non potè aver veduto quel- 1' affresco se non quando fu la prima volta in Firenze, cioè quattro anni dopo al 1500, nel quale i più de' critici si accordano a credere che egli dipingesse la ta- vola di Città di Castello. 1 * Questa tavola, che Raffaello copiò quasi interamente da quella che Pietro Perugino dipinse nel 1495 per la Cattedrale di Perugia (Vedi tom. Ili, pag. 581, nota 4), fu portata via nel 1789, ed oggi si ammira nella Pinacoteca di Brera a Milano. Sulla cornice del tempio, che è nel fondo, si legge Raphael • vrbi- nas . MDIIII. 2 *Non già Pio II, ma il cardinal Francesco Piccolomini, che fu poscia Pio III, allogò al Pinturicchio queste pitture con strumento de' 29 giugno 1502, pubblicato da noi nel tomo III, a pag 519 e segg. 3 * Sopra l'andata di Raffaello a Siena', e la parte sua negli affreschi del Pin- turicchio nella sala Piccolominea, che ha dato materia a molte controversie, vedasi quanto abbiamo detto nel Commentario che segue alla Vita del Pintu- ricchio, nel tomo III, a pag. 515 e segg. 4 t Nella stampa del 1568 dice nella sala del Palazzo, ma è un errore che abbiamo corretto con quella del 1550. RAFFAELLO DA URBINO alcuni nudi fatti, a concorrenza di Lionardo, da Miche- lagnolo Buonarroti molto migliori; venne in tanto disi- derio Raffaello, per l' amore che portò sempre ali1 eccel- lenza dell'arte, che messo da parte quell'opera ed ogni utile e comodo suo, se ne venne a Fiorenza.1 Dove ar- rivato, perchè non gli piacque meno la città che quel- 1 *Questa venuta di Raffaello a Firenze è testimoniata eziandio da una let- tera di Giovanna, moglie di Giovanni della Rovere, Prefetto di Roma, data da Urbino il 1° d'ottobre 1504, colla quale raccomanda a Piero Soderini, gonfa- loniere della repubblica fiorentina, il giovane pittore Raffaello da Urbino. La qual lettera, il cui originale esisteva in casa Gaddi a Firenze, fu pubblicata nel tomo I delle Pittoriche. Ma rispetto ad essa avvi un ragionevole dubbio circa alla sin- cerità di quelle espressioni che si riferiscono al padre di Raffaello ; imperciocché ivi si parla di lui come di uomo tuttavia vivente; mentre sappiamo per docu- menti (Vedi la Parte Prima del Commentario che segue) ch'egli era già morto da dieci anni. Il Pungileoni concilierebbe le date mettendo avanti il dubbio, che il pittore Raffaello da Urbino in essa lettera nominato sia un Raffaello di Ghi- sello pittore urbinate, del quale si ha memoria oltre la metà del secolo xvi. (Pungileoni, op. cit. , pag. 45, 46). Noi invece crediamo che Terrore dipenda dall' aver mal letto e stampato quel passo della detta lettera; e tenendosi oggi come per perduto l'originale, ne proponghiamo la seguente congetturale lezione. Nella stampa delle Pittoriche dice così : « E perchè il padre so che è molto vir- tuoso, ed è mio affezionato, e così il figliuolo discreto e gentile giovane ecc. ». Noi supponiamo che il so fosse scritto nell'originale così so, cioè con un segno di abbreviazione sopra ; il che darebbe luogo a sciogliersi in suto. Quindi togliamo il che seguente., e l'è che precede le parole mio affezionato: le quali due parole che ed è possiamo sospettare che sieno aggiunte per uno dei tanti arbitrj che l'editore Bottari si prendeva non tanto in queste Lettere Pittoriche, quanto nel Vasari stesso, come noi tutto dì riscontriamo. Ciò fatto, ecco come saneremmo questo passo : E perchè il padre suto è molto virtuoso et mio affezionato, e così il figliuolo discreto e gentile giovane ecc. Del rimanente, è da notare che a questo tempo nè il cartone di Leonardo, nè quello di Michelangelo erano terminati, nè facilmente visibili, se si consideri la importanza del concorso, e la natura dei due grandi competitori. Firenze aveva per il giovane Raffaello molte altre attrattive e ne' monumenti e negli artisti contemporanei, da farlo risolvere volentieri a visitar questa città. t La lezione congetturale che si vorrebbe dare a quel passo della lettera della Giovanna della Rovere, a noi non finisce in tutto di persuadere. Il mutare in suto il so che è nella stampa del Bottari ci pare troppo arbitrario, anche perchè suto per stato fu proprio del dialetto fiorentino e non del marchigiano. Noi invece quel so lo muteremmo in fo che nel dialetto delle Marche e del- l'Umbria fu usato per fu. Leveremmo poi il che è come una interpolazione del Bottari, come pure ed è; e così ne verrebbe fuori questa nuova lezione « e perchè il padre fo molto virtuoso e mio affezionato e così il figliuolo discreto e gen' tile »; e questa lezione ci pare più conforme alla verità, e più atta a togliere di mezzo ogni dubbio circa 1' autenticità della lettera suddetta. RAFFAELLO DA URBINO 321 l'opere, le quali gli parvero divine, deliberò di abitare in essa per alcun tempo: e così fatta amicizia con al- cuni giovani pittori, fra' quali furono Ridolfo Ghirlandaio, Aristotile San Gallo ed altri, fu nella città molto ono- rato; e particolarmente da Taddeo Taddei,1 il quale lo volle sempre in casa sua ed alla sua tavola, come que- gli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù. E Raffaello, che era la gentilezza stessa, per non esser vinto di cortesia, gli fece due quadri, che tengono della maniera prima di Pietro, e dell' altra che poi studiando apprese, molto migliore, come si dirà: i quali quadri sono ancora in casa degli eredi del detto Taddeo.2 Ebbe anco Raffaello amicizia grandissima con Lorenzo Nasi; al quale, avendo preso donna in que1 giorni, dipinse un quadro, nel quale fece fra le gambe* alla- Nostra Donna un putto, al quale un San Giovannino tutto lieto porge un uccello, con molta festa e piacere dell'uno e dell'al- tro. È nell'attitudine d'ambidue una certa simplicità puerile e tutta amorevole, oltre che sono tanto ben co- loriti e con tanta diligenza condotti, che piuttosto paiono di carne viva che lavorati di colori e di disegno;3 pa- 1 * Taddeo Taddei fu un erudito gentiluomo, ed amicissimo al cardinale Pietro Bembo, col quale carteggiava, come appare dalle lettere stesse di questo cardinale. (Vedi voi. Ili delle Lettere del Bembo, edizione del Sansovino, Ve- nezia 1560). 2 *A proposito di questi due quadri, il Baldinucci Cosisi esprime: « Uno ■nei miei tempi non si è veduto in quella casa, e- l'altro, che era di una bellis- sima Madonna con Gesù e san Giovanni, di circa a mezzo naturale, fu agli anni addietro dagli eredi di Taddeo del Senatore Giovanni Taddei, venduto a gran prezzo alla gloriosa memoria del serenissimo arciduca Ferdinando di Au- stria ». Questo quadro ora vedesi nella Galleria di Belvedere a Vienna, e si conosce sotto la denominazione della Madonna del Giardino. .Neil' orlo dello •scollo della veste è segnato Tanno mdvi. L'altro quadro si crede esser la Santa Famiglia detta della palma, tavola rotonda, trasportata in tela, appar- tenuta un giorno alla Galleria d'Orléans, ed oggi al Duca di Bridgewater di Londra. 8 * Nella edizione del 1568 qui v' è uno sconcio, dicendo: più tosto paiono di carne viva, che lavorati di colori, e disegnò parimente ecc. Abbiamo corretto ■sostituendo a quella la lezione della stampa del 1550. Vasari, Opere. — Voi. IV. 21 322 RAFFAELLO DA URBINO rimente la Nostra Donna ha un1 aria veramente piena di grazia e di divinità; ed insomma il piano, i paesi, e tutto il resto dell1 opera è bellissimo. Il quale quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandissima venerazione mentre che visse, così per memoria di Raffaello statogli amicissimo, come per la dignità ed eccellenza dell'opera. Ma capitò poi male quest'opera l'anno 1548 a dì 17 no- vembre, quando la casa di Lorenzo, insieme con quelle ornatissime e belle degli eredi 'di Marco del Nero, per uno smottamento del monte di San Giorgio, rovinarono insieme con altre case vicine:1 nondimeno ritrovati i pezzi di essa fra i calcinacci della rovina, furono da Ba- tista figliuolo d'esso Lorenzo, amorevolissimo dell'arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potette.2 Dopo queste opere fu forzato Raffaello a partirsi di Firenze ed andare a Urbino, per aver là, essendo la ma- dre e Giovanni suo padre morti, tutte le sue cose in abandono.3 Mentre che dunque^ dimorò in Urbino, fece per Guidobaldo da Montefeltro, allora capitano de' Fio- rentini,4 due quadri di Nostra Donna piccoli, ma bellis- . simi e della seconda maniera, i quali sono oggi appresso lo illustrissimo ed eccellentissimo Guidobaldo duca d'Ur- bino.3 Fece al medesimo un quadretto, d'un Cristo che 1 *Questa rovina accadde veramente nel 1547, a' 12 di novembre, come ci han lasciato ricordo due cronisti contemporanei riferiti dal Manni a pag. 30 e seg. del tom. XXI dei Sigilli ecc. 2 * Questo quadro, detto oggi la Madonna del Cardellino, si ammira da gran tempo nella tribuna della Galleria di Firenze. Tra gl'intagli più ragguardevoli è da citare quello di Pietro Nocchi, allievo della scuola Perfetti, pubblicato nel- 1' anno 1852. 3 I genitori di lui erano morti assai prima, come vedremo nella Parte Prima del Commentario. È probabile dunque ch'egli tornasse ad Urbino non pel motivo della loro morte, ma per dar sesto alle cose sue, essendo divenuto maggiorenne. 4 *Fu condottiero de' Fiorentini dal 1495 al 1498. (Nardi, Storia di Firenze, lib. II). 5 * Solamente per congettura si può indicare dove oggi si trovino i due qua- dretti dipinti per Guidobaldo da Montefeltro. L'uno probabilmente è quello della RAFFAELLO DA URBINO 323 ora nell'orto, e lontani alquanto i tre Apostoli che dor- mono; la qual pittura è tanto finita, che un minio non può essere ne migliore ne altrimenti. Questa essendo stata gran tempo appresso Francesco Maria duca d' Ur- bino , fu poi dalla illustrissima signora Leonora sua con- sorte donata a Don Paulo Iustiniano e Don Pietro Qui- rini, viniziani, e romiti del sacro eremo di Camaldoli; e da loro fu poi, come reliquia e cosa rarissima, ed in- somma di mano di Raffaello da Urbino, e per memoria di quella illustrissima signora, posta nella camera del maggiore di detto eremo, dove è tenuta in quella ve- nerazione eh1 ella merita.1 Dopo queste opere ed avere accomodate le cose sue, ritornò Raffaello a Perugia, dove fece nella chiesa de'frati de1 Servi, in una tavola alla cappella degli Ansidei, una Nostra Donna, San Giovanni Battista e San Mcola; 2 ed in San Severo della medesima città, piccol monasterio dell'ordine di Camaldoli, alla cappella della Nostra Donna fece in fresco un Cristo in gloria, un Dio Padre con al- I. Galleria di Pietroburgo, venutovi dalla raccolta Crozat, che l'ebbe dalla casa Angouìème, e rappresenta una Santa Famiglia con san Giuseppe senza barba, più che mezza figura. L'altro quadretto, più piccolo, dalla Galleria d'Orléans passò in proprietà del signor Delessert a Parigi. (Vedi Passavant, op. cit. , 1, 100). 1 *I1 Passavant (I, 77) crede che questo quadro fosse dipinto da Raffaello durante il suo soggiorno in Urbino nel 1504, il cui ducato era stato restituito l'anno innanzi al duca Guidobaldo. Egli lo pone subito dopo la tavola dello Spo- salizio, che è segnata dell'anno mdiiii. La solennità della istallazione del Duca fu celebrata nel 1504. Del rimanente vi si ravvisa tutta la maniera peruginesca. L'ebbe il principe Gabbrielli romano. Poi fu comperata dai fratelli Woodburn pel prezzo di 4000 scudi romani, ed ultimamente fu venduta a Londra per 787 lire sterline. Il Passavant ne dà un intaglio nella tav. ix dell'Atlante di corredo alla sua opera. 2 *La stupenda tavola, fatta per la cappella Ansidei nella chiesa di San Fio- renzo dei PP. Serviti di Perugia, al presente si trova in Inghilterra nella colle- zione del duca di Marlborough nel palazzo di Blenheim. Essa porta la data del mdv, scritta nell' orlo del manto della Madonna. Se ne ha un intaglio nella tav. xi del citato Atlante del Passavant. Nella predella dipinse tre storie della vita di san Giovan Battista; delle quali solo la meno guasta, che rappresenta la sua Predicazione, fu portata in Inghilterra; le altre due, assai più deperite, ri- masero in Italia. (Passavant, op. cit., II, 44). 324 RAFFAELLO DA URBINO cimi Angeli a torno e sei Santi a sedere, cioè tre per banda; San Benedetto, San Romualdo, San Lorenzo, San Girolamo, San Mauro e San Placido: ed in questa opera, la quale per cosa in fresco fu allora tenuta molto bella, scrisse il nome suo in lettere grandi e molto bene apparenti.1 Gli fu anco fatto dipignere nella medesima città, dalle donne di Santo Antonio da Padoa, in una tavola la Nostra Donna, ed in grembo a quella, sì come piacque a quelle semplici e venerande donne, Gesù Cri- sto vestito, e dai lati di essa Madonna San Piero, San Paulo, Santa Cecilia e Santa Caterina, alle quali due sante vergini fece le più belle e dolci arie di teste e le più varie acconciature da capo (il che fu cosa rara in que' tempi) che si possino vedere: e sopra questa tavola, in un mezzo tondo, dipinse un Dio Padre bellissimo, e nella predella dell1 altare tre storie di figure piccole : Cristo quando fa orazione nell' orto ; quando porta la croce, dove sono bellissime movenze di soldati che lo strascinano; e quando è morto in grembo alla madre: opera certo mirabile, devota, e tenuta da quelle donne in gran venerazione, e da tutti i pittori molto lodata,2 1 *La iscrizione dice così : Raphael de Urbino dom. octaviano stephano vo- LATERRANO PRIORE SANOTAM TRINITATEM ANGELO S ASTANTES SANCTOSQUE PINXIT a. d. mdv. A questo affresco aggiunse la parte inferiore Pietro Perugino nel 1521." (Vedi tom. Ili, pag. 587, nota 2). 2 *La Madonna siede in trono, tenendo sulle sue ginocchia il Bambino Gesù vestito, che benedice a san Giovannino, il quale in atto reverente sta in piè sul trono stesso dal lato sinistro. San Pietro e san Paolo stanno nel primo piano del quadro; più indietro santa Caterina d'Alessandria e santa Margherita, e non Cecilia, come dice il Vasari. Nella lunetta, o colmo, Dio Padre con due angioli ai lati. Nel 1663 le monache venderono le tre storiette della predella alla regina Cristina di Svezia per scudi romani 601. Quindi passarono nella Galleria del Duca d'Orléans, pervenutevi dalla compra dei quadri del Duca di Bracciano. Venduta la Galleria d'Orléans, vennero in possesso di un inglese amatore di belle arti. Quindici anni dopo, le stesse monache vollero disfarsi ancora della parte principale di quest'opera, e la venderono per 2000 scudi al conte Giovanni Antonio Bigazzini a Roma. Poi andò nella Galleria Colonna, e finalmente ne di- venne possessore il Museo Nazionale di Napoli. t Nel Giornale d'Erudizione Artistica di Perugia, più volte citato (set- tembre 1874), sono riportati varj documenti riguardanti la vendita di questa ta- RAFFAELLO DA URBINO 325 Ne tacerò che si conobbe, poi che fu stato a Firenze, che egli variò ed abbellì tanto la maniera, mediante T aver vedute molte cose e di mano di maestri eccellenti , che ella non aveva che fare alcuna cosa con quella pri- ma, se non come russino di mano di diversi e più e meno eccellenti nella pittura. Prima che partisse di Perugia, 10 pregò madonna Atlanta Baglioni che egli volesse farle per la sua cappella nella chiesa di San Francesco una tavola; ma perchè egli non potè servirla allora, le pro- mise che tornato che fusse da Firenze, dove allora per suoi bisogni era forzato d'andare, non le mancherebbe. E così, venuto a Firenze, dove attese con incredibile fa- tica agli studi dell'arte, fece il cartone per la detta cap- pella con animo d' andare , come fece , quanto prima gli venisse in acconcio, a metterlo in opera.1 Dimorando adunque in Fiorenza, Agnolo Doni, il quale quanto era assegnato nell'altre cose, tanto spendeva vo- lentieri, ma con più risparmio che poteva, nelle cose di pittura e di scultura, delle quali si dilettava molto, gli fece fare il ritratto di sè e della sua donna in quella maniera che si veggiono appresso Giovanbatista suo figliuolo nella casa che detto Agnolo edificò bella e co- rno dissima in Firenze nel Corso de' Tintori, appresso al canto degli Alberti.2 Fece anco a Domenico Canigiani, in un quadro, la Nostra Donna con il putto Gesù che vola e della sua predella. Oltre le tre storiette della predella, furono vendute due altre tavolette della stessa. mano, l' una con San Francesco, e l'altra con Sant'Antonio da Padova. Queste tavolette sono ora nella Raccolta Dulwich in Londra. Le storiette della predella si dicono possedute da sir William Miles di Leigh Court, gentiluomo inglese. Nella Pinacoteca di Perugia si conservano, per recente acquisto, le copie delle tre storiette della predella fatte per trenta scudi da un pittore francese per nome Claudio Inglesio, di commissione della regina Cristina. 1 * Intorno a questa pittura, divinissima, come a ragione la chiama più sotto 11 Vasari, vedi la nota 1 a pag. 328. 2 Furono venduti dai discendenti d'Angelo Doni al granduca di Toscana Leopoldo li, nel 182G, per 5000 scudi; ed ora fan parte della stupenda collezione del Palazzo de' Pitti. 326 RAFFAELLO DA URBINO fa festa a un San Giovannino portogli da Santa Elisa- betta, che mentre lo sostiene, con prontezza vivissima guarda un San Giuseppo; il quale standosi appoggiato con ambe le mani a un bastone, china la testa verso quella vecchia, quasi maravigliandosi e lodandole la gran- dezza di Dio, che così attempata avesse un sì picciol figliuolo; e tutti pare che stupischino del vedere con quanto senno in quella età sì tenera i due cugini, l'uno reverente all'altro, si fanno festa: senza che ogni colpo di colore nelle teste, nelle mani e ne' piedi sono anzi pennellate di carne , che tinta di maestro che faccia quel- l'arte. Questa nobilissima pittura è oggi appresso gli eredi del detto Domenico Canigiani, che la tengono in quella stima che merita un' opera di Raffaello da Urbino.1 Studiò questo eccellentissimo pittore nella citta di Fi- renze le cose vecchie di Masaccio; e quelle che vide nei lavori di Lionardo e di Michelagnolo lo feciono attendere maggiormente agli studi, e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario all' arte e alla sua maniera. Ebbe, oltre gli altri, mentre stette Raffaello in Fiorenza, stretta dimestichezza con Fra Bartolomeo di San Marco, 1 *Due sono le tavole che si conoscono con questo soggetto. L' una nella R. Galleria di Monaco, l'altra che fu già in Firenze presso gli eredi Rinuccini. La prima pervenne a Monaco dalla Galleria di Dusseldorf, dove (si dice) fu por- tata come dono di nozze da Anna Luisa figliuola di Cosimo III, divenuta moglie di Giovanni Guglielmo elettore palatino nel 1690. Ma non sappiamo, per altro, in che modo venisse da casa Canigiani in possesso de' Medici questa tavola. L'altra di casa Rinuccini, che porta il nome di Raffaello ( Raphael, vrb. inv. ), e l'anno 1516 (a. mdxvi. die xxvii.. men. mar.), fu venduta al marchese Carlo Ri- nuccini per 500 zecchini nel 1767 dal cav. Antonio Antinori, che l'ebbe da Mad- dalena Nerli sua moglie. Come e da chi l'avessero i Nerli, non è provato. Di- cesi che ve la portasse una femmina, ultima di casa Canigiani, maritata in quella famiglia. Or dunque, nè la tavola di Monaco nè quella de' Rinuccini hanno do- cumenti sicuri per provare la propria derivazione dalla casa Canigiani. Quale dunque delle due tavole è quella citata dal Vasari ? Il Rumohr {Antologia di Firenze, I, 454 e seg. ; Ricerche Italiane, III, 64-66) fu il primo a sostenere l'autenticità di quella di Monaco, desumendola da ragioni storiche, ma princi- palmente artistiche; e giudicò quella Rinuccini copia fatta molti anni dopo la morte di Raffaello, da qualcuno di que' pittori de' Paesi Bassi tratti in Italia RAFFAELLO DA URBINO 327 piacendogli molto e cercando assai d' imitare il suo co- lorire: ed, all'incontro, insegnò a quel buon Padre i modi della prospettiva, alla quale non aveva il Frate atteso insino a quel tempo. Ma in sulla maggior frequenza di questa pratica fu richiamato Raffaello a Perugia, dove primieramente in San Francesco finì l' opera della già detta madonna Ata- lanta Baglioni; della quale aveva fatto , come si è detto, il cartone in Fiorenza. E in questa divinissima pittura un Cristo morto portato a sotterrare, condotto con tanta freschezza e sì fatto amore, che a vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Raffaello nel componimento di questa opera il dolore che hanno i più stretti ed amorevoli pa- renti nel riporre il corpo d'alcuna più cara persona, nella quale veramente consista il bene, l'onore e l'utile di tutta una famiglia. Vi si vede la Nostra Donna venuta meno, e le teste di tutte le figure molto graziose nel pianto, e quella particolarmente di San Giovanni; il quale, incrocicchiate le mani, china la testa Con una ma- niera da far commuovere qua! è più duro animo a pietà. E di vero, chi considera la diligenza, l'amore, l'arte e dalla fama di Michelangiolo. Quindi è, che nella tavola Rinuccini non sa spie- gare la data 1516, se non come una impostura per ingannare gì' inesperti. Alla quale opinione del Rumohr noi non ci acquietiamo, non tanto perchè la forma e dettatura di quella scritta hanno tutti i caratteri d'originalità, quanto, e più, per la ragione che ove si fosse voluto fare un inganno, sarebbevisi posto T anno tra il 1506 e 1508, per. accordarla con la maniera del quadro e coir asserto del Vasari, il quale lo dice chiaramente fatto in Firenze prima che Raffaello di qui andasse a Roma. Del rimanente, non avendo noi veduto il quadro di Monaco, ci asterremo dal pronunziare un'assoluta sentenza; e solo ci restringeremo a dire, che se altra difficoltà non vi fosse fuorché la data del 1516, questa sarebbe di facile scioglimento per noi, mediante la storia e le parole stesse del Vasari; argo- mentando che ben potè Raffaello aver fatto quel quadro per Domenico Canigiani nella sua dimora in Firenze; ma che lasciato imperfetto (come fece d'altre opere) alla sua partenza per Roma, gli desse poi compimento nel 1516, quando fece ritorno a Firenze per conto della facciata che Leone X voleva fare in- nalzare alla chiesa di San Lorenzo. Vedasi anche il nostro opuscolo intitolato Alcuni quadri della Galleria Rinuccini descritti e illustrati (Firenze, Le Mon- nier, 1852, in-8). 328 RAFFAELLO DA URBINO la grazia di quest'opera, ha gran ragione di maravi- gliarsi; perchè ella fa stupire chiunque la mira, per l'aria delle figure, per la bellezza eie' panni, ed insomma per una estrema bontà eh1 eli1 ha in tutte le parti.1 Finito questo lavoro2 e tornato a Fiorenza, gli fu dai Dei, cittadini fiorentini, allogata una tavola che an- dava alla cappella dell'aitar loro in Santo Spirito; ed egli la cominciò, e la bozza a bonissimo termine con- dusse:3 ed intanto fece un quadro, che si mandò in Siena, il quale nella partita di Raffaello rimase a Ridolfo del Ghirlandaio, perch' egli finisse un panno azzurro che vi mancava.4 E questo avvenne, perchè Bramante da Ur- bino, essendo a' servigi di Giulio II, per un poco di pa- 1 * Questa famosa, stupenda e ben conservata tavola, fu comprata da Paolo V Borghese, ed oggi si ammira nella Galleria di questo nome a Roma. Essa porta scritto : Raphael • vrbinas • pinxit • MDVii. Il mezzo tondo, ch'era sopra, rappre- sentante Dio Padre colle mani alzate, vedesi tuttavia in San Francesco di Pe- rugia; la predella, dipinta di chiaroscuro, colle figure della Fede,' della Spe- ranza e della Carità, in mezzo ad angioletti, è nella Galleria Vaticana. ì Veramente questa tavola non fu comprata da Paolo V, ma V ebbe in dono da' frati di San Francesco, i quali in una notte del 1608 la trafugarono, e mandarono nascostamente a Roma. I Perugini inteso il fatto ne fecero grandi rimostranze appresso il cardinale Scipione Borghese, al quale il pontefice suo- zio aveva donato quella tavola con un suo Breve. È' notabile quel che dice il cardinale in una sua lettera ai Perugini, cioè, che quel dipinto era cosa privata, e che di esso era solo padrone il pontefice. Intorno a questo trafugamento sono da leggersi i documenti pubblicati nel Giornale d' Erudizione Artistica di Pe- rugia, tomo I, pag. 225 e seg. e II, pag. 334. Il cardinal Borghese per ricom- pensare del danno i Perugini mandò una copia del quadro fatta dal cav. Giu- seppe d'Arpino, e donò ai Francescani cinque lampade d' argeflto. La predella, sulla quale posava la detta tavola, è ora nella Pinacoteca Perugina sotto il n° 278. (V. Guardabassi, Indice-Guida ecc., pag. 228). 2 *Dopo tali parole, nella prima edizione, segue in questo modo: «se ne ritornò a Fiorenza, conoscendo l'utile dello studio che ci aveva fatto, e ancora trattovi dall'amicizia. E veramente per chi impara tali arti è Fiorenza luogo mirabile, per le concorrenze, per le gare, e per le invidie che sempre vi furono, e molto più in que' tempi ». 3 *È questa la Madonna così detta del Baldacchino, ora nella Galleria dei Pitti; e vedesi tuttavia nello stato di bozza, e molto ritoccata. Quivi Raffaello è grande imitatore della maniera del Frate. Vedi anche la nota 2 a pag. 329. 4 *Questo quadro ora è nel Museo del Louvre, a Parigi, venutovi dalla col- lezione di Francesco I, che si dice lo comprasse da quel gentiluomo senese, il quale era messer Filippo Sergardi, cherico di camera di Leone X, che avealo- RAFFAELLO DA URBINO 329 rentela eh' aveva con Raffaello, e per essere di un paese medesimo, gli scrisse che aveva operato col papa, il quale aveva fatto fare certe stanze, eh1 egli potrebbe in quelle mostrare il valor suo.1 Piacque il partito a Raffaello; per che, lasciate l'opere di Fiorenza e la tavola dei Dei non finita, ma in quel modo che poi la fece porre messer Baldassarre da Pescia nella pieve della sua patria dopo la morte di Raffaello,2 si trasferì a Roma;3 dove giunto Raffaello trovò che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte e tuttavia si dipignevano da più maestri; e così stavano come si vedeva, che ve n'era una che da Pietro della Francesca vi era una storia finita, e Luca da Cortona4 aveva condotta a buon ter- commesso a Raffaello. Esso è conosciuto sotto la denominazione della Bella Giardiniera. Rappresenta la Madonna seduta, che contempla il Bambino Gesù ritto in pie e appoggiato a Lei in atto di rimirarla. Il piccolo san Giovanni in ginocchio tiene una croce di giunco. In lontananza si scorge una vasta cam- pagna e una chiesa. Nell'orlo della veste della Madonna e scritto, giusta le ul- time osservazioni del Passavant, raphaello vrb., e più alto, la data mdviii, e non vii, come s'è letto sin qui. t Si dubita che questa tavola non sia veramente quella dipinta per il Ser- gardi, ma invece l'altra conosciuta sotto il nome della Madonna di Casa Co- lonna, che al presente è nel Museo di Berlino. Quanto alla sua data, contra- riamente all'osservazione del Passavant, essa è il mdvii. 1 Bramante, secondo il P. Pungileoni {Elogio di Raffaello, pag. 114), non era parente del Sanzio, ma solamente concittadino ed amico. 2 Verso la fine del secolo xvn fu acquistata dal gran principe Ferdinando de' Medici, e collocata nel Palazzo de'Pitti, ove tuttora sussiste. « In quella occasione, per farla accompagnare ad altra tavola della Galleria, le fu fatta su- periormente una notabile aggiunta, dipinta, com'è comune opinione, da Giovanni Agostino Cassana. Di qui l'errore d'alcuni scrittori e commentatori, che hanno asserito avere il Cassana ultimata la pittura lasciata imperfetta da Raffaello. Ciò- non è vero, e ognuno può sincerarsene cogli occhi propri». Così scrisse il comm. Antonio R,amirez di Montalvo conservatore delle pitture de'RR. Palazzi ecc., al signor Longhena, il quale citò l'autorità di esso nella sua opera a pag. 740. — 'Intorno alla vendita di questa tavola leggesi una terribile protesta dei Pe- sciatini, fatta nel 1697, nella serie IV delle Memorie di Belle Arti pubblicate dal Gualandi, pag. 126. 3 *Non van d'accordo gli.scrittori nello stabilire l'anno, in cui Raffaello andò a Roma; ma deve tenersi che ciò, avvenisse intorno alla metà del 1508. (Vedi nel Prospetto Cronologico che segue a questa Vita). 4 *Cioè Luca Signorelli; nella Vita del quale però il Vasari non fa cenno di queste sue pitture nelle camere Vaticane. 330 RAFFAELLO DA URBINO mine una facciata, e Don Pietro della Gatta,1 abbate di San Clemente di Arezzo, vi aveva cominciato alcune cose; similmente Bramantino da Milano vi aveva dipinto molte figure, le quali la maggior parte erano ritratti di naturale, che erano tenuti bellissimi.2 Laonde Raffaello, nella sua arrivata avendo ricevuto molte carezze da papa Giulio, cominciò nella camera della Segnatura una storia, quando i teologi accordano la filosofia e l'astrologia con la teologia; dove sono ri- tratti tutti i savi del mondo che disputano in varj modi.3 1 t Nel Commentano alla Vita di Don Bartolommeo della Gatta noi abbiamo negato l'esistenza di un artefice di questo nome, in tutto creato dalla fantasia del Vasari. Ma ora per nuove ricerche fatte possiamo affermare che nel mede- simo tempo assegnato dal Vasari al pittore camaldolense visse ed operò un monaco di quel medesimo* ordine di nome Pietro, che fu colui che dipinse per la fraternità d'Arezzo la tavola di San Rocco, oggi nel palazzo comunale di quella città, attribuita dal Vasari al suo fantastico Don Bartolommeo. Questo passo, come il seguente, sono molto confusi. Nelle stanze Vaticane avevano lavorato Pietro della Francesca e Bramantino, sotto Niccolò V; Bartolommeo della Gatta e il Signorelli, sotto Sisto IV; il Perugino e il Sodoma, sotto Giulio II. Ma noi rispetto ai due primi artefici abbiamo gran ragione di dubitare che non lavo- rassero nel Vaticano sotto Niccolò V. Anzi per ciò che riguarda il Della Fran- cesca lo neghiamo risolutamente: e quanto al Bramantino, crediamo bene che vi lavorasse, ma sotto Giulio II e in compagnia del Perugino. Ma di questo fatto molto confuso ragioneremo altrove. 2 Mntorno al Bramantino vedi la Vita di Piero della Francesca. I dipinti di lui e di Piero della Francesca erano nella sala detta dell'Eliodoro. — t Del Bramantino avremo più innanzi migliore opportunità di discorrere. 3 *I1 primo dipinto eseguito da Raffaello a Roma è quello accennato più sotto, e detto la Disputa del Sacramento ; che rappresenta la Teologia, ovvero la concordanza tra il cielo e la terra nel riconoscere la rivelazione. Rispetto alla Scuola di Atetìe, il Vasari dà molto erronee indicazioni intorno al significato di questo dipinto, il quale, per altro, anche nelle iscrizioni apposte ad alcuni vec- chi intagli, trovasi applicato a idee cristiane; come, per esempio, nella stampa di Giorgio Mantovano. La dichiarazione più compiuta, e in molte parti affatto nuova, è quella del Passavant, op. cit., I, 36 e seg.; II, 94 e seg. Si è molto questio- nato se l'idea generale dei principali soggetti dipinti in questa sala, come pure la esecuzione degli accessorj , per la quale erano necessarie moltissime ed erudite cognizioni, si debba attribuire a Raffaello stesso, o ai suoi dotti amici. Mancan- doci tutti i documenti necessarj, riesce diffìcile di chiarire i dubbi: debbesi per altro considerare (e meglio che non sì è fatto sin qui), che Raffaello ebbe dal padre una educazione, se pur non erudita, certo in alcune parti scientifica, e eh' egli mostra in tutte le sue opere copia grande di cognizioni e una destrezza singolare nel giovarsene. Dall'altra parte poi, è da osservare, come egli avesse RAFFAELLO DA URBINO 331 Sonvi in disparte alcuni astrologi che hanno fatto figure sopra certe tavolette e caratteri in varj modi di geo- manzia e d'astrologia, ed ai Vangelisti le mandano per certi Angeli bellissimi; i quali Evangelisti le dichiarano.1 Fra costoro è un Diogene con la sua tazza a ghiacere in su le scalee; figura molto considerata ed astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito così accaso è de- gna d' essere lodata. Similmente vi è Aristotile e Platone, l'uno col Timeo in mano, l'altro con l'Etica; dove in- torno gli fanno cerchio una grande scuola di filosofi. Ne si può esprimere la bellezza di quelli astrologi e geome- tri che disegnano con le seste in su le tavole moltissime figure e caratteri. Fra i medesimi, nella figura d' un gio- vane di formosa bellezza, il quale apre le braccia per maraviglia e china la testa, è il ritratto di Federigo II duca di Mantova, che si trovava allora in Eoma: evvi similmexxte una figura che chinata a terra , con un paio di seste in mano, le gira sopra le tavole; la quale dicono essere Bramante architettore, che egli non è men desso che se e'fusse vivo, tanto è ben ritratto: e allato a una figura che volta il didietro ed ha una palla del cielo in tanta modestia da cercare e seguire i consigli di quelle persone, della cui dot- trina e buon gusto egli poteva fidarsi. E nel modo eh' e' scrisse ali1 Ariosto (che forse non conosceva nemmeno di persona) per aver il suo parere intorno a' personaggi da introdurre nel dipinto della Teologia, così non avrà mancato di consigliarsi con Bernardo Dovizi da Bibbiena, dimorante in Urbino, e co'suoi dotti amici di Firenze, intorno al concetto universale dei dipinti di questa sala. Nè v'ha dubbio, che già in sul principio egli avesse soccorso di consigli da Bramante e poi da Pietro Bembo e dal conte Baldassarre Castiglione. Molto ingegnoso e vasto fu il concetto di rappresentare riunite in questa stanza la Teologia, la Filosofia, la Giurisprudenza e la Poesia, cioè il complesso delle varie ma- nifestazioni dello spirito umano. Il quale già innanzi a Raffaello fu adombrato da Boezio e da Dante; ma in ispecie dal Petrarca ne' suoi Trionfi, i quali sembrano aver servito talvolta di guida a Raffaello così nel rappresentarci le parti acces- sorie, come nell'idea generale: e di fatto, grande è l'analogia tra la Scuola d'Atene e il Trionfo della Fama, tra il Trionfo d'Amore ed il Parnaso. 1 Che guazzabuglio! Confondendo il Vasari alcune figure della Disputa del Sacramento con queste della Scuola d'Atene, ha messo gli Evangelisti e gli An- geli insieme con Diogene e con Platone! 332 RAFFAELLO DA URBINO mano, è il ritratto di Zoroastro; ed allato a esso è Raf- faello, maestro di questa opera, ritrattosi da se mede- simo nello specchio. Questo è una testa giovane e d1 a- spetto molto modesto, accompagnato da una piacevole e buona grazia, con la berretta nera in capo.1 Ne si può esprimere la bellezza e la bontà che si vede nelle teste e figure de1 Vangelisti, a1 quali ha fatto nel viso una certa attenzione ed accuratezza molto naturale, e massimamente a quelli che scrivono. E così fece dietro ad un San Matteo; mentre che egli cava di quelle ta- vole dove sono le figure, i caratteri, tenuteli da uno An- gelo,2 e che le distende in su'n un libro; un vecchio che, messosi una carta in sul ginocchio, copia tanto quanto San Matteo distende; e mentre che sta attento in quel disagio, pare che egli torca le mascella e la te- sta, secondo che egli allarga ed allunga la penna.3 E oltra le minuzie delle considerazioni, che son pure assai, vi è il componimento di tutta la storia , che certo è spar- tito tanto con ordine e misura, che egli mostrò vera- mente un sì fatto saggio di se, che fece conoscere che egli voleva fra coloro che toccavano i pennelli tenere il campo senza contrasto. Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto deli- cata e dolce maniera, che fu cagione che papa Griulio facesse • buttare a terra tutte le storie degli altri mae- stri e vecchi e moderni, e che Raffaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere f ussero state fatte sino a quell'ora. E se bene l'opera di Giovan An- 1 *Il ritratto di Raffaello si vede in un angolo del dipinto, a man destradi chi guarda, presso a quello del suo maestro Pietro Perugino. Ambidue sono posti tra i matematici, forse per rispetto alle loro cognizioni nella prospettiva. 2 *Qui seguita la solita confusione di una storia coli1 altra, come si è av- vertito nella nota 1 a pag. 331. Il Vasari a questo luogo intende parlare della figura di Pitagora, eh' è nel primo gruppo della Scuola d'Atene alla sinistra di chi guarda. 3 * Secondo il Passavant, è questi Archita di Taranto, prima tenuto per Empedocle. RAFFAELLO DA URBINO 333 tomo Soddoma da Vercelli/ la quale era sopra la storia di Kaffaello, si doveva per commessione del papa get- tare per terra, volle nondimeno Kaffaello servirsi del partimento di quella e delle grottesche ; e dove erano alcuni tondi, che son. quattro, fece per ciascuno una figura del significato delle storie di sotto, volte da quella banda dove era la storia. A quella prima, dove egli aveva dipinto la Filosofia e l'Astrologia, Geometria e Poesia che si accordano con la Teologia, Ve una fem- mina fatta per la Cognizione delle cose,2 la quale siede in una sedia che ha per reggimento da ogni banda una dea Cibele , con quelle tante poppe con che dagli antichi era figurata Diana Polimaste ; e la veste sua è di quattro colori, figurati per gli elementi: dalla testa in giù v' e il color del fuoco, e sotto la cintura quel dell'aria; dalla natura al ginocchio è il color della terra, e dal resto perfino ai piedi è il colore dell1 acqua. E così la accom- pagnano alcuni putti veramente bellissimi. In un altro tondo, volto verso la finestra che guarda in Belvedere, è fìnta Poesia, la quale è in persona di Polinnia coro- nata di lauro, e tiene un suono antico in una mano ed un libro nell'altra; e sopra poste le gambe, e con aria € bellezza di viso immortale, sta elevata con gli occhi al cielo, accompagnandola due putti che sono vivaci e pronti, e che insieme con essa fanno vari componimenti e con le altre: e da questa banda vi fe'poi, sopra la già detta finestra, il monte di Parnaso.3 Nell'altro tondo che è fatto sopra la storia, dove i Santi Dottori ordinano la messa,4 è una Teologia con libri ed altre cose attorno, 1 *I1 Vasari intende di parlare degli ornamenti dipinti dal Sodoma nella volta. 2 *Nei quattro tondi sono quattro figure allegoriche che servono di titolo o .d'argomento alle sottoposte pitture: infatti sopra la Scuola d'Atene vedesi la Filosofia; sopra la Disputa del Sacramento, la Teologia; sopra il Parnaso, la Poesia, e sopra la Giurisprudenza, la Giustizia. 3 La descrizione di questa pittura leggesi poco sotto. 4 Cioè quella storia, nella quale è simboleggiata la Teologia. . 334 RAFFAELLO DA URBINO | co1 medesimi putti, non men bella che le altre.1 E sopra I l1 altra finestra che volta nel cortile fece, neh" altro tondo, I una Giustizia con le sue bilance e la spada inalberata, I con i medesimi putti che all'altre, di somma bellezza, per aver egli nella storia di sotto della faccia fatto come si dà le leggi civili e le canoniche, come a suo luogo diremo. E così nella volta medesima, in su le cantonate de' peducci di quella , fece quattro storie disegnate e co- lorite con una gran diligenza, ma di figure di non molta grandezza: in una delle quali, verso la Teologia, fece il peccar di Adamo, lavorato con leggiadrissima maniera; il mangiar del pomo; e in quella dove è l'Astrologia, vi è ella medesima che pone le stelle fisse e l'erranti a' luoghi loro. Nell'altra poi del monte di Parnaso è Marsia fatto scorticare a uno albero da Apollo : e di verso la storia, dove si danno i decretali, è il giudizio di Sa- landone, quando egli vuol fare dividere il fanciullo. Le quali quattro istorie sono tutte piene di senso e di af- fetto, e lavorate con disegno bonissimo e di colorito vago e graziato. Ma finita oramai la volta, cioè il cielo di quella stanza, resta che noi raccontiamo quello che e'fece faccia per faccia a pie delle cose dette di sopra. Nella facciata, dunque, di verso Belvedere, dove e il monte Parnaso ed il fonte di Elicona,2 fece intorno a quel monte una selva ombrosissima di lauri, ne' quali si conosce per la loro verdezza quasi il tremolare delle fo- glie per l'aure dolcissime, e nell'aria una infinità di ancori ignudi, con bellissime arie di viso, che colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, e quelle spargano e gettano per il monte; nel quale pare che spiri vera- mente un fiato di divinità nella bellezza delle figure e dalla nobiltà di quella pittura, la quale fa maravigliare chi intentissimamente la considera, come possa ingegno 1 *La seconda edizione legge, gl'altri. Correggiamo con la prima edizione. 2 II monte Parnaso fu il terzo soggetto da lui dipinto in quella sala. RAFFAELLO DA URBINO 335 umano, con T imperfezione di semplici colori, ridurre con l'eccellenzia del disegno le cose di pittura a parere vive; siccome sono anco vivissimi que1 poeti che si veggono sparsi per il monte, chi ritti, chi a sedere e chi scri- vendo, altri ragionando ed altri cantando o favoleg- giando insieme, a quattro a sei, secondo che gli e parso di scompartirgli. Sonvi ritratti di naturale tutti i più famosi ed antichi e moderni poeti che furono e che erano fino al suo tempo, i quali furono cavati parte da statue, parte da medaglie, e molti da pitture vecchie, ed an- cora di naturale, mentre che erano vivi, da lui mede- simo. E per cominciarmi da un capo, quivi è Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio, ed Omero/ che cieco, con la testa elevata cantando versi, ha a1 piedi uno che gli scrive. Vi sono poi tutte in un gruppo le nove Muse ed Appollo, con tanta bellezza d'arie e di- vinità nelle figure, che grazia e vita spirano ne1 fiati loro. Evvi la dotta Safo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono; il Tibaldeo similmente , ed infiniti altri moderni. La quale istoria è fatta con molta grazia e finita con diligenza. 2 Fece in un1 altra parete un cielo con Cristo e la No- stra Donna, San Giovanni Batista, gli Apostoli e gli Evangelisti e Martiri su le nugole, con Dio Padre che sopra tutti manda lo Spirito Santo, e massimamente sopra un numero infinito di Santi che sotto scrivono la 1 Alcuni han preteso di riconoscere il ritratto di Raffaello nella figura d' un giovinetto che si vede tra Omero e Virgilio: ma il P. Pungileoni dimostra esser ciò un mero abbaglio. 2 * Intorno al significato delle singole figure, delle quali il Vasari nomina molte più che non si vedono nel dipinto, leggasi il Passavant, op. cit. , II, 98. Il Bellori (Descrizione delle immagini dipinte da Raffaello) dice che evvi ri- tratto anche il Sannazzaro, ed è quello laureato, in nobil sembiante, raso, che sta dietro a Orazio e a quell'altro poeta che tiene il dito sulle labbra. Nella figura di Apollo, che accompagna il suo canto, non colla cetra, ma col vio- lino, si crede che Raffaello abbia voluto fare onore a Giacomo Sansecondo, fa- moso improvvisatore di quei tempi. Del Parnaso si ha una stampa di Marcan- tonio, che differisce in alcune parti dal dipinto. 33G RAFFAELLO DA URBINO messa, e sopra l'ostia che è sullo altare disputano;1 fra i quali sono i quattro Dottori della Chiesa, che intorno hanno infiniti Santi: evvi Domenico, Francesco, Tomaso d'Aquino, Buonaventura, Scoto, Nicolò de Lira, Dante,9 Fra Girolamo Savonarola da Ferrara, e tutti i teologi cristiani, ed infiniti ritratti di naturale: e in aria sono quattro fanciulli che tengono aperti gli Evangeli; delle quali figure non potrebbe pittore alcuno formar cosa più leggiadra ne di maggior perfezione. Avvegnaché nell' aria e in cerchio son figurati que' Santi a sedere, che nel vero, oltra al parer vivi di colori, scortano di maniera e sfuggono, che non altrimenti farebbono s' e' russino di rilievo: oltra che sono vestiti diversamente, con bellis- sime pieghe di panni, e l'arie delle teste più celesti che umane; come si vede in 'quella di Cristo, la quale mo- stra quella clemenza e quella pietà che può mostrare agli uomini mortali divinità di cosa dipinta. Conciofus- sechè Raffaello ebbe questo dono dalla natura, di far l'arie sue delle teste dolcissime e graziosissime ; come ancora ne fa fede la Nostra Donna, che messesi le mani al petto, guardando e contemplando il Figliuolo, pare che non possa dinegar grazia : senza che egli riservò un decoro certo bellissimo, mostrando nell'arie de' santi Pa- triarchi l' antichità, negli Apostoli la semplicità, e ne' Mar- tiri la fede. 3 Ma molto più arte ed ingegno mostrò 1 In questa è figurata la Teologia, ma è chiamata la Disputa del Sagra- mento; e fu la prima composizione eh' ei dipingesse in quella sala, ed in Roma, come abbiamo avvertito. 2 Con molto accorgimento il sommo pittore collocò Dante e tra i poeti e tra i teologi. Forse n'ebbe il consiglio dall'Ariosto, sapendosi ch'ei fu da lui consultato per lettera intorno ai personaggi da introdursi in questa pittura. 3 *Non v'ha dubbio, che Raffaello in questa parte della Disputa siasi com- piaciuto d'imitare, nella disposizione e nei caratteri delle figure, l'affresco del Giudizio, nel cimitero di Santa Maria Nuova in Firenze, di Fra Bartolommeo; r amicizia e le opere del quale gli valsero grandemente al tramutamento della prima nella seconda maniera. Nella Disputa è da osservare altresì, che le teste sono di una verità che tien del ritratto ( costume tradizionale nella Scuola Fio- rentina), mentre in quelle degli altri dipinti palesasi ognor più la bellezza ideale. RAFFAELLO DA URBINO 337 ne' santi Dottori cristiani, i quali a sei, a tre, a due di- sputando per la storia, si vede nelle cere loro una certa curiosità ed uno affanno nel voler trovare il certo di quel che stanno in dubbio , faccendone segno col disputar con le mani e col far certi atti con la persona, con at- tenzione degli orecchi, con lo increspare delle ciglia, e con lo stupire in molte diverse maniere, certo variate e proprie; salvo che i quattro Dottori della Chiesa, che illuminati dallo Spirito Santo snodano e risolvono con le Scritture sacre tutte le cose degli Evangeli che so- stengano que' putti, che gli hanno in mano volando per l'aria. Fece nell'altra faccia, dov'è l'altra finestra, da una parte Giustiniano che dà le leggi ai dottori1 che le corregghino; e sopra, la Temperanza, la Fortezza, e la Prudenza.2 Dall'altra parte fece il papa3 che dà le de- cretali canoniche : ed detto papa ritrasse papa Giulio di naturale; Giovanni cardinale de' Medici assistente, che fu papa Leone, Antonio cardinale di Monte, e Alessan- dro Farnese cardinale, che fu poi papa Paulo III, con altri ritratti. Restò il pap'a di questa opera molto sodisfatto; e per fargli le spalliere di prezzo, come era la pittura, fece venire da Monte Oli veto di Chiusuri, luogo in quel di Siena, Fra Giovanni da Verona, allora gran maestro di commessi di prospettive di legno, il quale vi fece non solo le spalliere attorno, ma ancora usci bellissimi e sederi lavorati in prospettive, i quali appresso al papa gran- dissima grazia, premio ed onore gli acquistarono. E certo che in tal magisterio mai non fu più nessuno più valente di disegno e d'opera, che Fra Giovanni; come ne fa fede ancora in Verona sua patria una sagrestia di prospettive di legno bellissimo in Santa Maria in Organo, il coro di 1 *Che sono Triboniano, ginocchione, Teofilo e Doroteo in piedi. 2 E colla riunione di quelle tre figure intese d' esprimere la Giurisprudenza. s *Cioè Gregorio IX. Vasabi, Opere. - Voi. IV. 22 338 RAFFAELLO DA URBINO Monte Oliveto di Chiusuri, e quel eli San Benedetto di Siena, ed ancora la sagrestia di Monte Oliveto di Na- poli, e nel luogo medesimo nella cappella di Paolo da Tolosa il coro lavorato dal medesimo. Per il che meritò che dalla religion sua fosse stimato e con grandissimo onor tenuto, nella quale si morì d'età d'anni sessan- totto, Tanno 1537. E di costui, come di persona vera- mente eccellente e rara, ho voluto far menzione, paren- domi che così meritasse la sua virtù; la quale fu cagione, • come si dirà in altro luogo, di molte opere rare fatte da altri maestri dopo lui.1 Ma per tornare a Raffaello, crebbero le virtù sue di maniera, che seguitò per commissione del papa la ca- mera seconda verso la sala grande: ed egli, che nome grandissimo aveva acquistato, ritrasse in questo tempo papa Giulio in un quadro a olio, £anto vivo e verace, che faceva temere il ritratto a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo: la quale opera e oggi in Santa Maria del Popolo2 con un quadro di Nostra Donna bellissimo, fatto medesimamente in questo tempo, dentro vi la Natività di Gesù Cristo, dove è la Vergine che con un velo cuo- pre il Figliuolo; il quale è di tanta bellezza, che nel- T aria della testa e per tutte le membra dimostra essere vero figliuolo di Dio: e non manco di quello è bella la testa ed il volto di essa Madonna, conoscendosi in lei, oltra la somma bellezza, allegrezza e pietà. Evvi un Giu- seppo, che appoggiando ambe le mani ad una mazza, pensoso in contemplare il re e la regina del cielo, sta 1 *Di Fra Giovanni da Verona il Vasari torna a parlare nella Vita di Fra Giocondo e di Liberale, dove ci riserbiamo a dar maggiori notizie di lui e delle sue opere. 2 Sussiste in ottimo stato nella Tribuna della pubblica Galleria di Firenze, e proviene dall' eredità dei Duchi della Rovere. Una replica trovasi nel Palazzo de' Pitti, della quale credesi di mano di Raffaello la sola testa, e il restante di Giulio Romano. Ivi è pure una copia di qualche altro scolaro; e nel palazzo Corsini di Firenze se ne custodisce' il cartone traforato nei contorni coli' ago. RAFFAELLO DA URBINO 339 con una ammirazione da vecchio santissimo: ed amen due questi quadri si mostrano le feste solenni.1 Aveva acquistato in Roma Raffaello in questi tempi molta fama : ed ancora che egli avesse la maniera gen- tile, da ognuno tenuta bellissima, e con tutto che egli avesse veduto tante anticaglie in quella città e che egli studiasse contino vam ente ; non aveva però per questo dato ancora alle sue figure una certa grandezza e mae- stà, che e' diede loro da qui avanti. Avvenne adunque in questo tempo, che Michelagnolo fece al papa nella cappella quel romore e paura, di che parleremo nella Vita sua, onde fu sforzato fuggirsi a Fiorenza: per il che avendo Bramante la chiave della cappella, a Raf- faello, come amico, la fece vedere, acciocché i modi di Michelagnolo comprendere potesse.2 Onde tal vista fu cagione , che in Santo Agostino , sopra la Santa Anna di Andrea Sanso vino in Roma,3 Raffaello subito rifacesse di nuovo lo Esaia profeta che ci si vede, che di già lo aveva finito; nella quale opera, per le cose vedute di Michelagnolo, migliorò ed ingrandì fuor di modo la ma- niera e diedele più maestà:* perchè nel veder poi Mi- 1 * Questo quadro, insieme col ritratto di Giulio II, era tuttavia in Santa Maria del Popolo ai tempi del Sandrat, che ivi li vide ambidue nel 1625. Il quadro della Santa Famiglia qui descritto dal Vasari si crede quello stesso donato nel 1717 al Tesoro di Loreto da un certo Girolamo Lottorio romano, onde ebbe il nome di Madonna di Loreto. Per conoscere la composizione di questo quadro, si può vedere nel D'Agincourt la tav. cxxxv della Pittura, dove n'è un in- • taglio calcato sull' originai quadretto esistente ai suoi tempi nella spezieria del Collegio Romano. Oggi s'ignora dove si trovi l'originale. Nel 1847 credette d'averlo trovato a Genova il marchese Spinola, che lo vendè al re Carlo Al- berto. (Vedi La Patria, giornale fiorentino, n° 40 dell' anno 1847). Molte copie e incisioni se ne conoscono, le quali possono vedersi registrate nel Passavant, op. cit., II, 127-128. 2 * Questo fatto è stato, non senza ragione, messo in dubbio. 3 *È questo il gruppo della Madonna, Sant'Anna e il Bambino Gesù, scol- pito dal Sansovino per quello stesso Giovanni Gorizio, oCoricio, lussemburghese, che aveva allogato" a Raffaello l'Isaia qui appresso nominato. 4 "Oggi è comune sentenza, che la imitazione della maniera Michelangio- lesca in questa figura (a cui Raffaello si risolvè forse pei1 contrappesare la pos- 340 RAFFAELLO DA URBINO chelagnolo l'opera di Raffaello pensò che Bramante, com'era vero, gli avesse fatto quel male innanzi, per fare utile e nome a Raffaello. Al quale Agostino Cinsi, sanese, ricchissimo mercante e di tutti gli uomini vir- tuosi amicissimo, fece non molto dopo allogazione d'una cappella ; e ciò per avergli poco innanzi Raffaello dipinto in una loggia del suo palazzo, oggi - (palmi) 88. E a destra del foglio la seguente nota, che si ri- ferisce alla cupola: « Questa si può voltare in dua modi; cioè el primo di pocha « spesa, chel sexto dela Copulela sia principiato in sul medesimo piano della « imposta delli archoni; e si domanda detta volta a vela. Lo secondo modo si « è fare una cornice in cima alli archi redutta al perfetto tondo, e sopra a questa « fare tanto diritto, che si possa cavare li lumi di quella sorte chettu vuoi, o « finestre overo ochij tondi, e sopra li ditti lumi fare un altra cornice al tondo « dove principij a voltare la cupola. Ma prima darli tanto diritto, quanto ella- « gietto (aggetto) della cornicie una volta e mezo ». A tergo di questo foglio è delineato lo spaccato della detta cappella. E da piè si legge : Capella di Ago- stino Ghigij eh' eh (sic) nel Popollo a Roma. — f La nota che si legge in questo disegno è certamente di mano di Antonio da Sangallo. 3 *In questa cappella figurò i Pianeti; ed aggiungendovi molto ingegnosa- mente l'Eterno Fattore e angeli, ne compose una rappresentazione cristiana. RAFFAELLO DA URBINO 369 sepoltura; ed a Lorenzetto scultor fiorentino1 fece lavo- rar due figure, che sono ancora in casa sua al macello de'Corbi in Roma.2 Mala morte di Raffaello, e poi quella di Agostino,3 fu cagione che tal cosa si desse a Sebastian Viniziano.4 Era Raffaello in tanta grandezza venuto, che Leone X ordinò che egli cominciasse la sala grande di sopra, dove sono le vittorie di (Costantino ; alla quale egli diede prin- cipio.5 Similmente venne volontà al papa di far panni Raffaello ne fece solamente i disegni; la esecuzione in mosaico viene attribuita a quell'artefice che segnò il nome suo colle iniziali L. V. D. P. V. F., e l'anno 1516 attorno alla face che porta Amore, ritratto presso il segno di Venere: sotto le quali cifre Fioravante Martinelli (Roma ricercata nel suo sito, pag. 125) dice che si nasconda Aloisio o Luigi de Pace veneziano , detto Luisaccio. Questa cap- pella non era ancora terminata nel 1519, nel qual anno Agostino Chigi fece il suo testamento; sebbene Raffaello ne avesse ideato il disegno forse vivente ancora Giulio IL (Passavant, op. cit., II, 446 e seg. ) I mosaici sono stati intagliati egregiamente da Lodovico Gruner, con assai dotte illustrazioni di Antonio Grifi (Roma, 1839, in-fol.). 1 *Cioè Lorenzo Lotto, del quale leggeremo la Vita in appresso. 2 Le due statue di Lorenzetto, l'Elia e il Giona, si veggono in due nicchie della cappella Chigi a Santa Maria del Popolo. 11 Giona è fatto sotto la dire- zione di Raffaello, e vuoisi anche col suo modello. — *Che il Sanzio desse opera anche alla scultura, meglio si conosce da una lettera di Baldassar Castiglione a messer Andrea Piperario, data da Mantova agli 8 di maggio 1523. Ivi dice : « Desidero ancora sapere, s'egli (Giulio Romano) ha più quel puttino di marmo di mano di Raffaello, e per quanto si daria all' ultimo ». (Lett. Pittor. , V, 245, ediz. milanese ). Intorno alla quale scultura abbiamo la testimonianza anche dell' anonimo autore della Vita di Raffaello stampato dal Comolli : « Lavorò an- cora in scultura, havendo fatto qualche statua: et una ne ho io veduta in mano di Giulio Pipi, che rappresenta un putto ». (Ediz. del 1790, pag. 76, 77). Questo putto, che dorme sdrajato sur un delfino, fu portato in Irlanda dal defunto conte di Bristol, vescovo di Derry, e si conserva a Down-Hill. Nel Penny Magatine, del 17 luglio 1841, vedesi un intaglio in legno di questa graziosa scultura. — ± Intorno a questo putto vedasi il Commentario che segue. 3 Agostino Chigi morì alli 10 di aprile 1520, pochi giorni dopo Raffaello. 6 * Sebastiano Luciani, detto del Piombo, dipinse a olio la Nascita della Ma- donna nella parete principale di mezzo, lasciando incompiuta la storia della Visitazione, che fu poi segata dal muro, quando il Bernini eresse i mausolei marmorei di Agostino e Sigismondo Chigi. I pezzi erano nella galleria Fesch a Roma. Nel 1554, finalmente, Francesco Salviàti dipinse gli otto spazj tra le fine- stre della cupola con alcune storie del Genesi , cioè dalla creazione sino al peccato originale, e colorì i tondi che sono sopra le nicchie. 8 Raffaello fece le invenzioni di tutte le storie che dovevano ornare questa sala: fece il cartone della battaglia di Costantino contro Massenzio, il disegno Vasabi, Opere. — Voi. IV. 24 370 RAFFAELLO DA URBINO d'arazzi ricchissimi d'oro e di seta in filaticci; perchè Raffaello fece in propria forma e grandezza di tutti, di sua mano, i cartoni coloriti; i quali furono mandati in Fian- dra a tessersi, e finiti i panni, vennero a Roma.1 La quale opera fu tanto miracolosamente condotta, che reca maraviglia il vederla, ed il pensare come sia possibile avere sfilato i capegli e le barbe, e dato col filo mor- bidezza alle carni: opera certo piuttosto di miracolo che di artificio umano, perchè in essi sono acque, animali, casamenti, e talmente ben fatti, che non tessuti, ma paiono veramente fatti col pennello. Costò questa opra settanta mila scudi, e si conserva ancora nella cappella papale.2 Fece al cardinale Colonna un San Giovanni in di Costantino che arringa i suoi soldati, e i cartoni delle due figure allegoriche della Giustizia e della Mansuetudine, secondo alcuni, o della Clemenza e della Innocenza, secondo altri. Queste le dette a dipingere a olio a Giulio Romano e a Francesco Penni sopra il muro a ciò preparato ; il rimanente fu ultimato da' suoi scolari dopo la morte sua. (Vedi la Vita di Giulio Romano). 1 Gli arazzi fatti sui disegni di Raffaello furono rubati nel sacco Borbonico. Vennero poi restituiti sotto il pontificato di Giulio III. 2 * Questi arazzi, in numero di dieci, erano destinati da Leone X per le parti inferiori delle pareti della Sistina; e Raffaello innanzi di morire ebbe la conso- lazione di vederveli appesi, e di vederne maravigliata tutta Roma. In essi erano storie degli Apostoli : nella parte superiore della cappella erano dipinti soggetti della Creazione e del vecchio e nuovo Testamento. Per l' aitar maggiore era destinata la Incoronazione: di modo che questa serie di rappresentazioni esprime compiutamente la storia della divina Provvidenza che governa il genere umano. Distratti poi questi dipinti, Michelangiolo vi rappresentò il Giudizio finale. Raffaello fece con colori a tempera i cartoni per questi arazzi nel 1515 o 1516, ajutato da Francesco Penni e da Giovanni da Udine. (Vedi Fea, -Notìzie dì Raffaello ecc., pag. 7, 8). Sette di essi esistono tuttavia, e si conservano in Inghilterra nel palazzo di Hampton-Court; degli altri non resta che qualche frammento. I sog- getti di questi sette sono: la Pesca miracolosa; il Pasce oves meas; la guari- gione del paralitico; la morte di Anania; Paolo e Barnaba in Listra; il mago Elima; la predica di San Paolo in Atene. Gli altri tre rappresentavano: il martirio di Santo Stefano; la conversione di San Paolo; e San Paolo in carcere. Convien, per altro, distinguere questi dieci primi , detti arazzi della scuola vecchia, dagli arazzi della scuola nuova, che furono tessuti sopra alcuni disegni di Raffaello e di parecchi suoi scolari, per commissione di Francesco I re di Francia, che li mandò in dono al papa. Sono ora appesi insieme coi dieci primi nelle stanze vaticane dette di Pio V. — ti cartoni degli arazzi furono acquistati in Fiandra da Carlo I re d'Inghilterra verso il 1630 per suggerimento di Pietro Paolo Ru- bens, pittore. Ora sono' esposti in una sala del Museo di Kensington. RAFFAELLO DA URBINO 371 tela, il quale portandogli per la bellezza sua grandis- simo amore, e trovandosi da una infìrmità percosso, gli fu domandato in dono da messer Iacopo da Carpi me- dico, che lo guarì; e per averne egli voglia, a se mede- simo lo tolse, parendogli aver seco obligo infinito: ed ora si ritrova in Fiorenza nelle mani di Francesco Be- nintendi.1 Dipinse a Giulio cardinale de1 Medici e vice- cancelliere2 una tavola della Trasfigurazione di Cristo per mandare in Francia; la quale egli di sua mano con- tinuamente lavorando, ridusse ad ultima perfezione:3 nella quale storia figurò Cristo trasfigurato nel monte Tabor, e a piò di quello gli undici discepoli che lo aspet- tano; dove si vede condotto un giovanetto spiritato, acciocché Cristo sceso del monte lo liberi; il quale gio- vanetto, mentre che con attitudine scontorta si pro- stende gridando e stralunando gli occhi, mostra il suo patire dentro nella carne, nelle vene, e ne1 polsi conta- minati dalla malignità dello spirto , e con pallida incar- nazione fa quel gesto forzato e pauroso. Questa figura sostiene un vecchio, che abbracciatola e preso animo, fatto gli occhi tondi con la luce in mezzo, mostra, con lo alzare le ciglia ed increspar la fronte, in un tempo 1 * Adorna da lunghissimo tempo la Tribuna della Galleria di Firenze. — * Questo quadro (si vede) piacque tanto, che ne furono fatte molte copie, delle quali dà conto il Passavant, op. cit., II, 352. 2 II quale fu poi Clemente VII. 3 Per questa tavola venne pattuito il prezzo di 655 ducati di camera, dei quali 224 rimasti insoluti alla morte di Raffaello, furono riscossi da Giulio Ro- mano nella sua qualità d'erede. — *Ciò si ritrae dal seguente ricordo che si legge a c. 315 del Libro de' debitori e creditori segnato A, nell'Archivio di Santa Ma- ria Novella di Firenze, sotto l'anno 1522: « Giulio dipintore di contro, dee avere « ducati 224 d'oro di camera, facciamoli buoni, per conto della tavola da altare « dipinta da maestro Raffaello d'Urbino: che si donò alla chiesa di San Pietro « a Montorio di Roma, benché detta tavola costò ducati 655 di camera ». (Vedi Vasari, ediz. del Bottari). t L'Archivio di Santa Maria Novella oggi è fra quelli delle Corporazioni religiose soppresse riuniti all'Archivio di Stato. De' libri di creditori e debitori di papa Clemente VII, manca per l'appunto quello citato di sopra, e segnato di lettera A, del quale non resta che il repertorio o indice alfabetico. 372 RAFFAELLO DA URBINO medesimo e forza e paura; pure mirando gli Apostoli fiso, pare che, sperando in loro, faccia animo a se stesso. Evvi una femina, fra molte, la quale è principale figura di quella tavola, che inginocchiata dinanzi a quelli, voltando la testa loro e coir atto delle braccia verso lo spiritato, mostra la miseria di colui; oltra che gli Apo- stoli, chi ritto e chi a sedere ed altri ginocchioni, mo- strano avere grandissima compassione di tanta disgrazia. E nel vero, egli vi fece figure e teste, oltra la bellezza straordinaria, tanto nuove, varie e belle, che si fa giu- dizio comune degli artefici che questa opera, fra tante quant'egli ne fece, sia la più celebrata, la più bella e la più divina. Avvegnaché chi vuol conoscere e mostrare in pittura Cristo trasfigurato alla divinità, lo guardi in questa opera, nella quale egli lo fece sopra questo monte, diminuito in un'aria lucida con Mose ed Elia, che allu- minati da una chiarezza di splendore si fanno vivi nel lume suo. Sono in terra prostrati Pietro, Iacopo e Gio- vanni in varie e belle attitudini; chi ha a terra il capo, e chi con fare ombra agli occhi con le mani si difende dai raggi e dalla immensa luce dello splendore di Cristo ; il quale vestito di colore di neve pare che aprendo le braccia ed alzando la testa mostri la Essenza e la Deità di tutte tre le persone unitamente ristrette nella perfe- zione dell'arte di Raffaello; il quale pare che tanto si restrignesse insieme con la virtù sua per mostrare lo sforzo ed il valor dell'arte nel volto di Cristo, che fini- tolo, come ultima cosa che a fare avesse, non toccò più pennelli, sopraggiugnendogli la morte.1 1 *I1 cardinal Giulio de' Medici aveva destinato questo quadro alla città di Narbona, della quale era vescovo. Morto Raffaello, egli non volle privar Roma di un tanto capolavoro, e lo legò alla chiesa di San Pietro in Montorio, dove fu esposto nel 1522, dentro una cornice intagliata da Giovanni Barili. Il cardi- nale, in luogo di quello, donò alla città di Narbona la Resurrezione di Lazzaro, quadro di Sebastiano del Piombo. È noto che la Trasfigurazione nel 1797 fu portata a Parigi, dove fu ripulita, essendo divenuta appena riconoscibile. Raf- RAFFAELLO DA URBINO 373 Ora1 avendo raccontate l'opere di questo eccellentis- simo artefice, prima che io venga a dire altri particolari della vita e morte sua, non voglio che mi paia fatica discorrere alquanto, per utile de' nostri artefici, intorno alle maniere di Baffaello. Egli dunque avendo nella sua fanciullezza imitato la maniera di Pietro Perugino suo maestro, e fattala molto migliore per disegno, colorito ed invenzione, e parendogli aver fatto assai, conobbe, venuto in migliore età, esser troppo lontano dal vero: perciocché vedendo egli l1 opere di Lionardo da Vinci, il quale nell'arie delle teste, così di maschi come di fem- mine, non ebbe pari, e nel dar grazia alle figure e ne' moti superò tutti gli altri pittori, restò tutto stupefatto e maravigliato; ed insomma piacendogli la maniera di Lio- nardo più che qualunque altra avesse veduta mai, si mise a studiarla, e lasciando, sebbene con gran fatica, a poco a poco la maniera di Pietro, cercò quanto seppe e potè il più d'imitare la maniera di esso Lionardo. Ma per diligenza o studio che facesse, in alcune diffìcultà non potè mai passare Lionardo; e sebbene pare a molti che egli lo passasse nella dolcezza ed in una certa faci- lità naturale, egli nondimeno non gli fu punto superiore in un certo fondamento terribile di concetti e grandezza d'arte; nel che pochi sono stati pari a Lionardo, ma faello aveva voluto dar risalto alla gloria del Cristo trasfigurato, circondando di un chiaroscuro artificiale le figure inferiori: queste belle industrie perirono ben presto, per il molto oscurarsi cagionato dal nero fumo, di cui egli fece uso nel colorire le ombre. Tuttavia si ravvisa ancora qualche parte colorita eccellente- mente, come a dire la testa dell'apostolo Andrea, la testa e la spalla della fanciulla inginocchiata. Se Raffaello nei cartoni volle esprimere semplicemente la nobiltà dei caratteri, e i varj e profondi sentimenti dell'animo ; .in questo quadro volle ottenere, oltre a questi pregi, anche la bellezza materiale, e toccare il più alto fastigio delle attrattive dell' arte pittorica. Epperò traspare da qual- che parte, come per esempio nella fanciulla inginocchiata, qualche segno di fare artifizioso, che offende un poco la naturalezza che si suol trovar sempre nelle altre sue pitture. 1 t Questo che segue fino alla pag. 379 non si legge nella edizione delle Vite del 1550, e fu aggiunto dal Vasari in quella del 1568. 374 RAFFAELLO DA URBINO Raffaello se gli è avvicinato bene più che nessuno altro pittore, e massimamente nella grazia de' colori. Ma tor- nando a esso Raffaello, gli fa col tempo di grandissimo disaiuto e fatica quella maniera che egli prese di Pietro quando era giovanetto ; 1 la quale prese agevolmente per essere minuta, secca e di poco disegno: perciocché non potendosela dimenticare, fu cagione che con molta diffi- cultà imparò la bellezza degl1 ignudi ed il modo degli scorti diffìcili dal cartone che fece Michelagnolo Buonar- roti per la sala del Consiglio di Fiorenza: ed un altro che si fusse perso d'animo, parendogli avere insino al- lora gettato via il tempo, non arebbe mai fatto, ancor che di bellissimo ingegno, quello che fece Raffaello; il quale smorbatosi e levatosi da dosso quella maniera di Pietro per apprender quella di Michelagnolo, piena di diffìcultà in tutte le parti, diventò quasi, di maestro, nuovo discepolo, e si sforzò con incredibile studio di fare, essendo già uomo, in pochi mesi quello che arebbe avuto bisogno di quella tenera età che meglio apprende ogni cosa, e dello spazio di molti anni.2 E nel vero, chi non impara a buon'ora i buoni principj e la maniera che vuol seguitare, ed a poco a poco non va facilitando con l'espe- rienza le diffìcultà dell'arti, cercando d'intendere le parti e metterle in pratica, non diverrà quasi mai perfetto; e se pure diverrà, sarà con più tempo e molto maggior fatica. Quando Raffaello si diede a voler mutare e mi- gliorare la maniera, non aveva mai dato opera agi' ignudi con quello studio che si ricerca, ma solamente gli aveva 3 « Qui non convengo col Vasari. Siamo obbligati al Perugino della metà della riuscita dell'Urbinate, perchè veramente lo mise sulla buona strada, come risulta dall'analogia che colle opere di Pietro hanno le prime di Raffaello; il quale coli' ingrandire che faceva ad ogni quadro la sua maniera, giunse a dipin- gerò la Trasfigurazione». (Postilla ms. del cav. Tommaso Puccini). 2 *Le opere di Raffaello fatte in Firenze non danno alcuno indizio che egli fosse grandemente colpito dalla vista del cartone di Michelangiolo. Vedesi in esse piuttosto chiaro lo studio e l'azione della maniera di Fra Bartolommeo, e la imi- tazione della severa espressione de' caratteri propria di Leonardo. RAFFAELLO DA URBINO 375 ritratti di naturale nella maniera che aveva veduto fare a Pietro suo maestro, aiutandoli con quella grazia che aveva dalla natura. Datosi dunque allo studiare gì' ignudi ed a riscontrare i muscoli delle notomie e degli uomini morti e scorticati con quelli de' vivi, che per la coperta della pelle non appariscono terminati nel modo che fanno levata la pelle; e veduto poi in che modo si facciano carnosi e dolci ne1 luoghi loro, e come nel girare delle vedute si facciano con grazia certi storcimenti, e pari- mente gli effetti del gonfiare ed abbassare ed alzare o un membro o tutta la persona, ed oltre ciò l' incatena- tura dell'ossa, de' nervi e delle vene, si fece eccellente in tutte le parti che in uno ottimo dipintore sono ri- chieste. Ma conoscendo nondimeno che non poteva in questa parte arrivare alla perfezione di Michelagnolo ; 1 come uomo di grandissimo giudizio, considerò che la pit- tura non consiste solamente in fare uomini nudi , ma che ell'ha il campo largo, e che fra i perfetti dipintori si possono anco coloro annoverare che sanno esprimere bene e con facilità V invenzioni delle storie ed i loro capricci con bel giudizio, e che nel fare i componimenti delle storie chi sa non confonderle col troppo, ed anco farle non povere col poco, ma con bella invenzione ed ordine accomodarle, si può chiamare valente e giudizioso arte- fice. A questo, siccome bene andò pensando Raffaello, s'aggiugne lo arricchirle con la varietà e stravaganza delle prospettive, de' casamenti, e de' paesi; il leggiadro modo di vestire le figure; il fare che elle si perdino al- cuna volta nello scuro, ed alcuna volta venghino innanzi col chiaro; il fare vive e belle le teste delle femmine, 1 Concedendo al Vasari che Raffaello si perfezionasse nel disegnare i nudi sugli esempi dati da Michelangelo, e non sulle statue antiche, come da altri si sostiene, sarebbe pure da ammirare quale altro pregio di lui solo, l'aver saputo evitare la caricatura, in che caddero tutti gli altri che studiarono le opere di quell'ingegno terribile. 376 RAFFAELLO DA URBINO de1 putti, de1 giovani e de1 vecchi, e dar loro, secondo il bisogno, movenza e bravura. Considerò anco quanto im- porti la fuga de1 cavalli nelle battaglie, la fierezza de' sol- dati, il saper fare tutte le sorti d'animali, e sopratutto il far in modo nei ritratti somigliar gli uomini, che paino vivi e si conoschino per chi eglino sono fatti; ed altre cose infinite, come sono abigliamenti di panni, calzari, celate, armadure, acconciature di femmine, capegli, barbe, vasi, alberi, grotte, sassi, fuochi, arie torbide e serene, nuvoli, pioggie, saette, sereni, notte, lumi di luna, splen- dori di sole, ed infinite altre cose che seco portano ognora i bisogni dell'arte della pittura. Queste cose, dico, considerando Raffaello, si risolvè, non potendo aggiu- gnere Michelagnolo in quella parte, dove egli aveva messo mano, di volerlo in queste altre pareggiare e forse superarlo ; 1 e così si diede non ad imitare la maniera di colui, per non perdervi vanamente il tempo, ma a farsi un ottimo universale in queste altre parti che si sono raccontate. E se così avessero fatto molti artefici del- l'età nostra, che per aver voluto seguitare lo studio so- lamente delle cose di Michelagnolo non hanno imitato lui, ne potuto aggiugnere a tanta perfezione; eglino non arebbono faticato invano ne fatto una maniera molto dura, tutta piena di difficultà, senza vaghezza, senza colorito, e povera d'invenzione; laddove arebbono po- tuto, cercando d'essere universali e d'imitare l'altre parti, essere stati a se stessi ed al mondo di giova- mento.2 Raffaello, adunque, fatta questa risoluzione, e conosciuto che Fra Bartolomeo di San Marco aveva un 1 Quel forse è di più, nota il Puccini. Il Vasari crede che la premura di Raffaello di rendersi universale nella pittura fosse industria per coprire la sua inferiorità nel disegno, al paragone di Michelangelo; quando altro non era che la necessaria conseguenza della feracità e versatilità del suo ingegno. 2 Di questa commiserazione, dal Vasari esternata pei suoi condiscepoli, i posteri ne restituiscono a lui una buona porzione. RAFFAELLO DA URBINO 377 assai buon modo di dipignere, disegno ben fondato, ed una maniera di colorito piacevole, ancor che talvolta usasse troppo gli scuri per dar maggior rilievo, prese da lui quello che gli parve secondo il suo bisogno e capric- cio, cioè un modo mezzano di fare, così nel disegno come nel colorito; e mescolando col detto modo alcuni altri scelti delle cose migliori d'altri maestri, fece di molte maniere una sola, che fu poi sempre tenuta sua propria, la quale fu e sarà sempre stimata dagli artefici infini- tamente.1 E questa si vide perfetta poi nelle Sibille e ne1 Profeti dell'opera che fece, come si è detto, nella Pace; al fare della quale opera gli fu di grande aiuto T aver veduto nella cappella del papa l' opera di Miche- lagnolo.2 E se Raffaello si fusse in questa sua detta ma- niera fermato, ne avesse cercato di aggrandirla e va- riarla , per mostrare che egli intendeva gì' ignudi così bene come Michelagnolo, non si sarebbe tolto parte di quel buon nome che acquistato si aveva; perciocché gì' ignudi che fece nella camera di torre Borgia,. dove è l'incendio di Borgo nuovo, ancora che siano buoni; non sono in tutto eccellenti.8 Parimente non sodisfeciono affatto quelli che furono similmente fatti da lui nella volta del palazzo d'Agostin Chigi in Trastevere, perchè mancano di quella grazia e dolcezza che fu propria di Raffaello : del che fu anche in gran parte cagione l' aver- 1 *Ben poco espressiva sarebbe riuscita la maniera di Raffaello, se fosse stata veramente un'imitazione fatta a bello studio, ed un misto di varie maniere. Vero è. eh' egli faceva proprio il- buono dovunque lo trovasse, e che si giovò di tutti i progressi fatti nell'arte; ma in questo però egli era sempre guidato da un occhio pronto a perfettamente ricevere le impressioni degli oggetti, e da uno studio continuo della natura, guardata dall' altezza de' propri suoi concetti artistici. 2 *Vedi nota 2, a pag. 374. 3 Ciò parrà agli occhi d'un osservatore preoccupato da idee non totalmente giuste intorno all'eccellenza dell'arte. Nessuno nega che il Buonarroti, nel dise- gnare i nudi, non fosse arrivato al non plus ultra ; ma il Sanzio aveva in mente il Ne quid nimis, e l'altro avvertimento: Sunt certi denique fines ecc., onde non si curò d' oltrepassare certi limiti. 378 RAFFAELLO DA URBINO gli fatti colorire ad altri col suo disegno ; 1 dal quale er- rore ravvedutosi, come giudizioso, volle poi lavorare da se solo e senza aiuto d'altri la tavola di San Pietro a Molitorio, della Trasfigurazione di Cristo; nella quale sono quelle parti, che già s'è detto che ricerca e debbe avere una buona pittura. E se non avesse in questa opera, quasi per capriccio, adoperato il nero di fumo da stam- patori; il quale, come più volte si è detto, di sua natura diventa sempre col tempo più scuro, ed offende gli altri colori, coi quali e mescolato; credo che quell'opera sa- rebbe ancor fresca come quando egli la fece, dove oggi pare piuttosto tinta che altrimenti.2 Ho voluto quasi nella fine di questa Vita fare questo discorso, per mostrare con quanta fatica, studio e diligenza si governasse sempre mai questo onorato artefice, e particolarmente per utile degli altri pittori, acciò si sappiano difendere da quel- l1 impedimenti , dai quali seppe la prudenza e virtù di Eaffaello difendersi. Aggiugnerò ancor questo, che do- verebbe ciascuno contentarsi di fare volentieri quelle cose, alle quali si sente da naturale instinto inclinato, e non volere por mano, per gareggiare, a quello che non 1 Dunque non se ne dia debito a Raffaello. 2 *Non fu abbastanza osservato sin ora, come le opere di Raffaello non solo diano un saggio del suo progressivo incremento artistico, ma progrediscano pure di pari passo collo svolgersi della sua maniera di pensare e di sentire nei vavj tempi. Nelle prime sue opere vedesi tutta la peritanza di un tentativo: si rav- visa nelle seguenti l'adolescente pieno di soavi sentimenti, e dotato di una im- pressione profonda; poi il giovane, in cui il sentimento ardente è contrappesato dalla mente consideratrice, in cui e sentimento e ragione sono ancora impron- tate di dolcezza e di soavità giovanile; finalmente si ravvisa l' uomo maturo, in cui la considerazione e l'esame prevalgono al sentimento. Se si prenda ad esa- minare la serie delle sue Madonne, nelle quali egli diè saggio di tanta varietà nei caratteri, si vedrà che la diversa espressione di ognuna corrisponde perfet- tamente ai tempi, in cui furono fatte. Le prime, tutte soavi e verginali, direb- bersi quasi ancora fanciulle; quelle de' tempi successivi sono donne perfette, pure, sublimi, piene di vita, d'ingegno, di sentimento, che talvolta si palesa più esternamente, talvolta sembra tutto ripiegato in sè stesso. Or si dica delle sue creazioni drammatiche: confrontando, per esempio, la Scuola d'Atene coi car- toni degli arazzi, vedesi in quella l'acutezza del giovane, in questi il vigore e RAFFAELLO DA URBINO 379 gli vien dato dalla natura, per non faticare invano, e spesso con vergogna e danno.1 Oltre ciò, quando basta il fare, non si dee cercare di volere strafare per passare innanzi a coloro, che per grande aiuto di natura e per grazia particolare data loro da Dio hanno fatto o fanno miracoli nel!1 arte. Perciocché chi non è atto a una cosa , non potrà mai, ed affatichisi quanto vuole, arrivare dove un altro con l'aiuto della natura e caminato agevol- mente. E ci sia per esempio, fra i vecchi, Paolo Uccello, il quale affaticandosi contra quello che poteva per an- dare innanzi, tornò sempre indietro. Il medesimo ha fatto ai giorni nostri, e poco fa, Iacopo da Puntormo; e si è veduto per isperienza in molti altri, come si è detto e come si dirà. E ciò forse avviene, perchè il cielo va compartendo le grazie, acciò stia contento ciascuno a quella che gli tocca,2 la dignità dell'uomo maturo. Per tal modo l'arte di Raffaello fu sempre la ma- nifestazione della sua intima vita, la rivelazione di un'intera esistenza. Lo stesso fatto ben si ravvisa in molti poeti; ma non del pari in molti artisti. (Ernesto Forster, tra le note del Vasari tradotto in lingua tede'sca). 1 Consiglio eccellente, e meritevole di essere scritto all' ingresso di tutte le Accademie di Belle Arti, onde non si popolassero di studenti svogliati o mal disposti, e in conseguenza non venisse infestato il mondo di tanti artefici mediocri, dei quali non pochi diventano cittadini miserabili, queruli e prosuntuosi, e, ciò eh' è peggio, inetti a più utili esercizj. 2 *Fa maraviglia che il Vasari, il quale con mirabile finezza e verità d'i giudizio discorre della maniera pittorica del Sanzio, tanto che dal suo giudizio non si dipartiranno mai più tutti coloro che vogliono parlare della grandezza di Raffaello, non dica neppur una parola del merito suo come architetto. A com- piere la dimostrazione della perfetta eccellenza dell'Urbinate nell'arte, diremo alcune cose noi intorno allo studio dell'architettura che egli fece. A Raffaello nulla mancò per esser dichiarato artefice universale. A' miracoli della pittura congiunse il magistero dello scarpello, e la ottima conoscenza di quell' arte ter- ribile e monumentale, la vera arte per eccellenza, eh' è l'architettura. Con quanto ardore egli vi ponesse l'ingegno e la mano, si fa manifesto dagli studj ch'ei fece intorno a Vitruvio, l'opera del quale a sua istanza fu tradotta in volgare (e dicesi per la prima volta) da Marco Fabio Calvo, dotto ravennate, verso il 1514. E questo pregevole manoscritto, con note marginali del Sanzio medesimo, oggi si custodisce nella Biblioteca di Monaco, infine del quale si legge: «Fine « del libro Uictruio architecto tradocto di latino in lingua et sermone proprio « et volgare da M. Fabio Caluo ravenate in Roma in casa di Raphaello di giova 380 RAFFAELLO DA URBINO Ma avendo oggimai discorso sopra queste cose del- l' arte forse più che bisogno non era, per ritornare alla vita e morte di Raffaello, dico, che avendo egli stretta amicizia con Bernardo Divizio cardinale di Bibbiena, il cardinale l1 aveva molti anni infestato per dargli moglie ; e Raffaello non aveva espressamente ricusato di fare la voglia del cardinale, ma aveva ben trattenuto la cosa, con dire di voler aspettare che passassero tre o quattro anni: il quaje termine venuto, quando Raffaello non se r aspettava gli fu dal cardinale ricordata la promessa ; ed egli vedendosi obligato, come cortese, non volle mancare della parola sua ; e così accettò per donna una nipote di esso cardinale. E perchè sempre fu malissimo contento di questo laccio, andò in modo mettendo tempo in mezzo, « di Sacte da Urbino et a sua instantia». (Pontani, nel Saggiatore, giornale romano, anno II, voi. Ili, pag. 55-67). Nè solamente dello storico dell'architet- tura egli fu studioso; ma volle altresì interrogare i monumenti stessi di Roma, e quei frammenti investigando, imprender un ristauro di Roma antica. Ed ecco che da papa Leone X è chiamato a soprintendente delle antichità e di tutti gli scavi della città eterna, con breve de' 27 d'agosto 1516; ed ecco che il Sanzio, raccolte e messe insieme le sue ricerche, ne fa soggetto di una bellissima infor- mazione a quel pontefice, piena di caldissimo affetto e di sentimento, la quale creduta per molto tempo di Baldassar Castiglione, fu al Sanzio rivendicata dal- l'abate Daniele Francesconi ( Congettura che una lettera creduta di Baldassar Castiglione sia di Raffaello da, Urbino. Firenze, Brazzini, 1799, in-8). Nè di Vitruvio fece solo sua guida a ricercar Roma antica, ma volle che gli fosse maestro nell' imparare le ragioni dell'arte, de' monumenti e degli antichi edifizj a conoscere le belle proporzioni e le belle forme. Non fu abbastanza osservato come Vitruvio dettasse i suoi precetti più conforme alla pratica dei Greci, al suo tempo dismessa, che non secondo quella dei Romani, in mezzo ai quali vi- veva e scriveva. Ben l'intese Raffaello: onde in lui quell'amore di conoscerei greci monumenti, e il generoso pensiero di tenere disegnatori a Pozzuolo e iu Grecia, per ritrarne i più begli edifizj antichi. Con questi studj e' si fece ricco di molta dottrina, e cercò di formarsi una maniera di architettura, che acco- gliendo le grazie e le belle forme de' greci edifizj avesse ad un tempo la svel- tezza e la magnificenza degli antichi monumenti romani. Ed ecco come Raffaello si fa conoscere ancora grande architettore e nelle opere dipinte e nelle varie fabbriche che fa a Firenze e a Roma. (Anonimo del Comolli, pag. 71, 72). Della cui maniera di architettare ci giova discorrere con le parole stesse del Pontani, il quale così si esprime: « Dal sommo che già tiene della pittura, eccolo per impensata via tostamente all'architettura tutto rivolgersi in quella Roma, che a lui parea l' augustissimo tempio di quest' arte sovrana. L' autorità che a' suoi tempi già Vitruvio godea, potè da prima chiamare la sua attenzione, ma non RAFFAELLO DA URBINO 381 che molti mesi passarono, die '1 matrimonio non consumò» E ciò faceva egli non senza onorato proposito: perchè avendo tanti anni servito la corte , ed essendo creditore di Leone di buona somma, gli era stato dato indizio che alla fine della sala che per lui si faceva , in ricompensa delle fatiche e delle virtù sue il papa gli avrebbe dato un cappello rosso, avendo già deliberato di farne un buon numero, e fra essi qualcuno di manco merito che Raf- faello non era.1 Il quale Raffaello attendendo in tanto a1 suoi amori così di nascosto, continuò fuor di modo i piaceri amorosi; onde avvenne ch'una volta fra l'altre disordinò più del solito : perchè tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da' medici', che fosse ri- scaldato. Onde non confessando egli il disordine che trovando in lui quella luce che voleva, ai vetusti monumenti ogni suo pensiero rivolse. Colpito l' animo suo sensibilissimo da un aspetto di somma bellezza, la quale è dato trovare in alquanti di loro, le ragioni più alte ne indagò; e eh' ei le scoprisse, ne manifesta il gusto squisitissimo che conseguia a proporzionar tutte le parti de' suoi edificj in guisa che insieme ordinate concorrano a produrre un'armonia la più gradevole. Gradevole è pure la loro distribuzione, gradevole l'economia con che si tenne per riguardo agli ornamenti, che ottimamente sce- gliea più confacevoli. Apprese ad esser vario nell'uso degli ordini, che modellò con vario stile greco-romano. Gli effetti della luce e le ragioni della convenienza, più che gli altrui sterili calcoli, presenti gli furono all'animo; onde che le sue colonne sono con tanta grazia ed armonia coli' insieme delle fabbriche disposte, che di meglio sperar non si possa Ciò che poi forma il miglior pregio del- l'arte sua, e tanto più ammirevole, che degli antichi il tempo non ne ha lasciato esempj , si è la ripartizione che fece de' privati edificj con una gradazione di stile tra diversi piani, che in altrui non sapremmo trovare la più ragionevole; intanto che l'insieme con tale distintivo carattere si mostra, quale al soggetto, cui Tedi ficio veniva destinato, si confacea ». (Pontani, op. cit. , p. x e xi). 1 *I1 nome della fidanzata di Raffaello era Maria Bibbiena. Ella morì prima di lui, se debbesi credere alla iscrizione sepolcrale posta sopra quella di Raf- faello. Il Pungileoni dice invece, che « Marietta figlia di Pietro, fratello carnale del porporato, venne sposata con dote di cinque mila scudi d' oro in oro di camera a Bernardino Peruli gentiluomo urbinate » ; e cita i rogiti di Antonio di Runcada di Cordova, Roma, 4 gennajo 1515. {Elogio di Raffaello, pag. 166). Il matrimonio fu differito forse perchè essa era malaticcia. La storiella del cap- pello cardinalizio è priva di fondamento, e deve aversi per una chiacchiera se- guita dal Vasari con troppa credulità; imperciocché Raffaello fu pagato di tutti i suoi lavori dalla cassa pontificia; nè v'ha esempio che una così cospicua dignità ecclesiastica venisse mai conferita in premio di meriti artistici. (Vedi Pungi- leoni, op. cit., pag. 161). 382 RAFFAELLO DA URBINO aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono san- gue, eli maniera che inclebilito si sentiva mancare, lad- dove egli aveva bisogno di ristoro.1 Per che fece testa- mento; e prima, come cristiano, mandò l1 amata sua fuor di casa, e le lasciò modo di vivere onestamente: dopo, divise le cose sue fra' discepoli suoi, Giulio Eomano, il quale sempre amò molto, Giovan Francesco Fiorentino detto il Fattore, ed un non so chi prete da Urbino suo parente.2 Ordinò poi che delle sue facultà in Santa Maria Ritonda si restaurasse un tabernacolo di quegli antichi di pietre nuove, ed uno altare si facesse con una statua di Nostra Donna di marmo ; 3 la quale per sua sepoltura e riposo dopo la morte s'elesse: e lasciò ogni suo avere a Giulio e Giovan Francesco, facendo esecutore del te- stamento messer Baldassarre da Pescia, allora datario 1 Sono stati mossi fondati dubbj contro la causa qui assegnata alla morte di Raffaello. Si crede che il Vasari seguitasse una voce popolare (e il popolo è facile a credere tutto in sì fatte materie) priva di fondamento. Sostengono il Longhena e il Pungileoni, con argomenti dedotti dalle pratiche dell'arte salutare, e dalla narrazione di qualche contemporaneo, che il nostro divino pittore morisse d'una perniciosa. f In una lettera di Alfonso Pauluzzi scritta da Roma il 7 d'aprile 1520 al duca Alfonso e riferita nella prima delle Memorie già citate del marchese Campori, si dice che Raphael da Urtino .... è morto di una febre continua et acuta che già octo giorni l'assaltò. 2 A Giulio Pippi e a Francesco Penni lasciò soltanto le cose relative al- l'arte, come quadri finiti o abbozzati, studj, disegni ecc. Allo zio della sua sposa, cardinale Divizio da Bibbiena, lasciò la casa che fu già di Bramante. Una por- zione della sua eredità toccò alla Confraternita della Misericordia d'Urbino, e il restante ai nipoti suoi, figli di Giovan Battista Ciarla. (Pungileoni, Elogio sto- rico di Raffaello, pag. 258). Ordinò inoltre che fosse assegnato un fondo per celebrare annualmente alcune Messe nella chiesa di Santa Maria ad Martyres, ossia nel Panteon , ove egli aveva stabilito d' essere sepolto. ( Vedi la storia ci- tata nella seguente annotazione). 3 Lorenzo Lotti, chiamato Lorenzetto, restaurò il tabernacolo, e vi fece la statua; ed oggi è detta la Madonna del Sasso , come si leggerà in appresso nella Vita di questo scultore. Il cadavere di Raffaello giace appunto sotto l'altare di questa statua. Ne furono ritrovate le ossa nell'ottobre del 1833; e per meglio con- servarle in futuro, vennero rinchiuse in un antico sarcofago, tolto dal Museo Vati- cano, per ordine di Gregorio XVI. Leggasi intorno a questo ritrovamento la Storia fattane dal principe D. Pietro Odescalchi è pubblicata in Roma in detto anno dal Boulzaler. — * In tedesco ne scrisse una relazione il pittor Federigo Overbeck. RAFFAELLO DA URBINO 383 del papa.1 Poi, confesso e contrito, finì il corso della sua vita il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì Santo,2 d'anni trentasette; l'anima del quale è da cre- dere che, come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di se medesima adorno il cielo. Gli misero alla morte al capo, nella sala ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de' Me- dici, la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava: la quale tavola per la perdita di Raf- faello fu messa dal cardinale a San Pietro a Montorio allo aitar maggiore, e fu poi sempre per la rarità d'ogni suo gesto in gran pregio tenuta.3 Fu data al corpo suo quella onorata sepoltura che tanto nobile spirito aveva meritato, perchè non fu nessuno artefice che dolendosi non piagnesse, ed insieme alla sepoltura non l'accompa- gnasse. Dolse ancora sommamente la morte sua a tutta la corte del papa, prima per avere egli avuto in vita uno officio di cubiculario, ed appresso per essere stato sì caro al papa, che la sua morte amaramente lo fece piagnere. 0 felice e beata anima, da che ogn' uomo vo- lentieri ragiona di te, e celebra i gesti tuoi, ed ammira ogni tuo disegno lasciato! Ben poteva la pittura, quando questo nobile artefice morì, morire anche ella; che quando egli gli occhi chiuse, ella quasi cieca rimase. Ora a noi, che dopo lui siamo rimasi, resta imitare il buono, anzi ottimo modo da lui lasciatoci in esempio; e, come me- rita la virtù sua e l'obligo nostro, tenerne nell'animo graziosissimo ricordo, e farne con la lingua sempre ono- 1 * Stette infermo quindici giorni; e in questo tempo ebbe da tutte le parti, e dal papa stesso, dimostrazioni d'affetto vivissimo. 2 *Dell'anno 1520, 6 aprile, stando al periodo Giuliano; 5 aprile, secondo le tavole astronomiche. * La guerra la portò a Parigi , la guerra la restituì all' Italia ; ed ora è col- locata nel Museo Vaticano, come si è detto. 384 RAFFAELLO DA URBINO ratissima memoria. Che in vero noi abbiamo per lui l'arte, i colori e la invenzione unitamente ridotti a quella fine e perfezione, che appena si poteva sperare; ne di passar lui giammai si pensi spirito alcuno. Ed oltre a questo beneficio che e1 fece all'arte, come amico di quella, non restò vivendo mostrarci come si negozia con gli uomini grandi, co' mediocri, e con gì' infimi. E certo fra le sue doti singulari ne scorgo una di tal valore, che in me stesso stupisco: che il cielo gli diede forza di poter mostrare nell'arte nostra uno effetto sì contrario alle complessioni di noi pittori; questo è, che naturalmente gli artefici nostri, non dico solo i bassi, ma quelli che hanno umore d'esser grandi (come di questo umore l'arte ne produce infiniti), lavorando nell' opere in compagnia di Eaffaello, stavano uniti e di concordia tale, che tutti i mali umori nel veder lui si ammorzavano, ed ogni vile e basso pensiero cadeva loro di mente: la quale unione mai non fu più in altro tempo che nel suo. E questo avveniva, perchè restavano vinti dalla cortesia e dal- l'arte sua, ma più dal genio della sua buona natura; la quale era sì piena di gentilezza e sì colma di carità, che egli si vedeva che fino agli animali l'onoravano, non che gli uomini.1 Dicesi che ogni pittore che conosciuto l'avesse, ed anche chi non lo avesse conosciuto, se lo avessi richiesto di qualche disegno che gli bisognasse, egli lasciava l' opera sua per sovvenirlo : e sempre tenne infiniti in opera, aiutandoli ed insegnandoli con quello amore che non ad artefici, ma a figliuoli propri si con- veniva. Per la qual cagione si vedeva che non andava mai a corte, che partendo di casa non avesse seco cin- quanta pittori, tutti valenti e buoni, che gli facevono 1 Chi mai fra' più teneri scolari del massimo pittore avrebbe potuto enco- miarlo con maggiore entusiasmo e cordialità del povero Vasari, seguace non so- lamente d'altro maestro, ma di colui appunto che fu il più forte e il più am- mirato antagonista di quello? RAFFAELLO DA URBINO 385 compagnia per onorarlo. Egli, in somma, non visse da pittore, ma da principe:, per il che, o arte della pittura, tu pur ti potevi allora stimare felicissima, avendo un tuo artefice che di virtù e di costumi t'alzava sopra il cielo! Beata veramente ti potevi chiamare, da che per Torme di tanto uomo hanno pur visto gli allievi tuoi come si vive, e che importi l'avere accompagnato insieme arte e virtute; le quali in Eaffaello congiunte, potettero sforzare la grandezza di Giulio II e la generosità di Leone X, nel sommo grado e degnità che egli erono, a farselo familiarissimo ed usarli ogni sorte di liberalità; tal che potè col favore e con le facultà che gli diedero, fare a se ed all'arte grandissimo onore.1 Beato ancora si può dire chi, stando a' suoi servigi, sotto lui operò; perchè ritrovo chiunche che lo imitò; essersi a onesto porto ridotto ; e così quegli che imiteranno le sue fatiche nell'arte, saranno onorati dal mondo, e, ne' costumi santi 1 *Papa Leone X volendo dimostrare in quale altissimo concetto teneva il valore universale di Raffaello nell'arte, lo creò, dopo la morte di Bramante, architetto e soprintendente della fabbrica di San Pietro, con breve del 1° ago- sto 1515, con la provvisione di 300 scudi d' oro all' anno. Il Vasari fa appena cenno di questa onorificenza nella Vita di Bramante. Ben lo dice con sufficienti parole l'Anonimo del Comolli, pag. 74 , 75. Ma più distesamente poi lo afferma il Serlio con queste parole : « Bramante a suo tempo dette principio a la stu- penda fabbrica del tempio di San Pietro di Roma; ma ancora il modello rimase imperfetto in alcune parti. Per il che diversi ingegni s' affaticarono intorno a tal cosa; e fra gli altri, Raffaello da Urbino pittore ed anche intelligente ne l'ar- chitettura, seguitando però i vestigi di Bramante, fece questo disegno, il quale, al giudizio mio, è una bellissima composizione». Ma oltre queste testimonianze, noi abbiamo dal Fea ( Notizie intorno a Raffaello Sanzio, pag. 9) alcune partite di pagamenti che mostrano eziandio l'anno preciso, nel quale Raffaello fu creato architetto della Basilica Vaticana. Eccone una: «Maestro Raffaello da Urbino « deve avere ducati 1500 per sua prò visione d'anni cinque, cominciati a di « 1° aprile 1514 e finiti a di 1° aprile 1519, a ducati 300 l'anno, come appare « nel conto di M. Simone Ricasoli e D. 1500 ». E da questo documento s'inferi- rebbe altresì, che Raffaello fosse già sottentrato in quest' ufficio al vecchio Bra- mante undici mesi innanzi alla morte di lui, che fu a' 12 di marzo del 1514 (st. e). Dallo stesso Leone X ebbe il Sanzio a fare un disegno per la facciata della chiesa di San Lorenzo, a concorrenza di Baccio d'Agnolo, di Giuliano da San Gallo, di Andrea e Jacopo Sansovino; come il Vasari dice nella Vita di Michelangelo Buonarroti. VàSabi, Opere — Voi. IV. 25 386 RAFFAELLO DA URBINO lui somigliando, remunerati dal cielo. Ebbe Kaffaello dal Bembo questo epitaffio: d. o-M- RAPHAELI • SANCTIO • IOAN • F • VRBINAT • PICTORI • EMINENTISS • VETERVMQ • AEMVLO CVIYS • SPIRANTEIS • PROPE • IMAGINEIS SI • CONTEMPLARE NATVRAE • ATQVE • ARTIS • FOEDVS FACILE • INSPEXERIS IVLII • II • ET • LEONIS • X • PONTT • MAXX • PICTVRAE • ET • ARCHITECT ■ OPERIBVS GLORIAM • AVXIT VIXIT • AN • XXXVII • INTEGER • INTEGROS 1 QVO • DIE • NATVS • EST • EO • ESSE • DESIIT VIII • ID • APRIL • MDXX • ILLE • HIC • EST • RAPHAEL • TIMVIT • QVO • SOSPITE • VINCI RERVM • MAGNA • PARENS • ET • MORIENTE • MORI • Ed il conte Baldassarre Castiglione scrisse della sua morte in questa maniera: Quod lacerum corpus medica sanaverit arte, Hyppolytum Stygiis et revocarti aquis,' Ad Stygias ipse est raptus Epidaurìus undas; Sic precium vitae mors fuit artifìci. Tu quoque dum toto laniatam corpore Romani Componis miro, Raphael, ingenio, Atque Urbis lacerum ferro, igni , annisque cadaver Ad vitam, antiquum jam revocasque decus; Mo visti Super um invidiam, indignataque mors est, Te dudum extinctis reddere posse animam, Et quod longa dies paullatim aboleverat, hoc te Mortali spreta lege parare iterum. Sic miser heuf prima cadis intercepte juventa, Deberi et morti nostraque nosque mones. 1 *Per maggiore esattezza, dice il P. Pangileoni {Elogio cit. , pag. 24 io Dota ) , poteva qui aggiungersi dies viii. 387 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI RAFFAELLO SANZIO 1483, 28 marzo. Nasce in Urbino Raffaello di Giovanni Santi e di Magia Ciarla. 1491, 7 ottobre. Mnore Magia Ciarla, madre di Raffaello. 1494, 27 luglio. Giovanni Santi fa testamento. 1494, 29 luglio. Fa un secondo ed ultimo testamento. 1494, 1 agosto. Muore Giovanni Santi, padre di Raffaello. 1502, 29 giugno. Non prima di questo tempo potè Raffaello esser chia- mato dal Pinturicchio per ajutarlo nel lavoro della Sala Piccolo- minea, nel Duomo di Srèna. 1504. Tavola collo Sposalizio di Maria Vergine per la chiesa di San Fran- cesco di Città di Castello. 1504, 1 ottobre. Lettera di Giovanna della Rovere al gonfaloniere Sode- rini in raccomandazione di Raffaello. 1505. Affresco in San Severo di Perugia. 1505. Madonna per la cappella Ansidei in Perugia. 1505. 29 dicembre. Prima allogagione della tavola con Nostra Donna assunta in cielo, per l'aitar maggiore della chiesa delle monache di Monte Luce, fuori di Perugia, ora nel Museo Vaticano. 1506. Madonna detta del Giardino, ora nella Galleria di Belvedere a Vienna. 1507. Tavola con Cristo morto portato al sepolcro, ora nella Galleria Bor- ghesi a Roma. 1507. Santa Famiglia, conosciuta sotto il nome della Bella Giardiniera. 1508. Madonna detta di Lord Cowper, già nella casa Niccolini di Firenze. Nell'orlo della veste, sulla spalla, è scritto a lettere d' oro : mdviii. k, v. 1508, 21 aprile. È in Firenze, donde scrive una lettera a Simone Ciarla, suo zio. 388 PROSP. CRON. DELLA VITA E DELLE OPERE 1508, 5 settembre. Raffaello scrive da Roma al pittore Francesco Francia a Bologna. 1511. Pitture nella prima stanza in Vaticano ultimate, cioè: la Disputa del Sacramento, la Scuola d'Atene, il Monte Parnaso. L'anno Ioli è segnato nella iscrizione posta nell'arco della finestra, così: Julius. II. ligur. poni. max. mi. Christi MDXll. pontificai, sui Vili. 1512. Eliodoro scacciato dal tempio, e il Miracolo di Bolsena. Sotto l' ar- chitrave della finestra si legge : Iulìus. II. ligur. poni. max. ann. Christ. MDXll. pontificai, sui. Villi. 1513. 20 febbrajo. Muore papa Giulio II. 1513, 11 marzo. Giovanni de' Medici è creato pontefice col nome di Leone X. 1514. Storie dell'Attila e della Scarcerazione di San Pietro. Sulla fine- stra è scritto : Leo X. poni. max. ann. Christ. MDXIIII. pontificai, sui. lì. 1514, 1 marzo. E ascritto alla Confraternita del Corpus Domini di Urbino. 1514, 1 luglio. Scrive da Roma a Simone Ciarla suo zio a Urbino. 1514. Comincia l'affresco della Galatea nella Farnesina. 1515, 1 agosto. Da Leone X è creato capo architetto della fabbrica di San Pietro. 1515. Carta con due studj d'uomini nudi, a matita rossa, donata da Raf- faello stesso ad Alberto Durerò. 1515, sulla fine. Torna in Firenze, condottovi da Leone X per cagione della facciata che esso papa aveva intenzione di fare alla chiesa di San Lorenzo. 1515-1516. Fa i cartoni per gli arazzi. 1516, aprile. Col Bembo, Castiglione, Navagero e Beazzano, va a riveder Tivoli. 1616, 21 giugno. Seconda allegagione della tavola per le monache di Monte Luce. Essa doveva esser posta al suo luogo per la festa di Santa Maria d'agosto (il dì 15) del 1517. 1516. Musaici nella cappella Chigi in Santa Maria del Popolo a Roma. 1516, 27 agosto. Da Leone X è creato soprintendente alle antichità e agli scavi di Roma. 1517. Agostin Veneziano pubblica il primo intaglio della Madonna dello Spasimo di Sicilia, che ripetè nel' 1519. 1517. San Michele che combatte il dragone, ora nel Museo di Parigi. 1517. Finisce le storie della terza stanza, detta già Torre Borgia, cioè: l'Incendio di Borgo, il Porto d'Ostia, la Giustificazione di papa Leone III. Nell'arco della finestra è scritto: Leo. X. poni. max. anno Christi MCCCCCXVII. pontificai, sui. anno. IV: DI RAFFAELLO DA URBINO 389 1518. Ritrae in un quadro Leone X e i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi 1518. Santa Famiglia, detta di Francesco I, nel Museo del Louvre a Parigi.1 1518. Ritratto di Lorenzo duca d'Urbino. 1518, circa. La storia di Psiche nella Farnesina. 1519, Continuava ancora la fabbrica della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. 1520, 6 aprile, stando al periodo giuliano; 5 aprile, secondo le tavole astronomiche, muore Raffaello. 1520, 10 aprile. Muore Agostino Chigi. 1522. È esposto in San Pietro in Montorio il quadro della Trasfigurazione. 1525, 21 giugno. Avendo Giulio Romano e Giovanfrancesco Penni, detto il Fattore, finito di dipingere la tavola coli' Assunzione di Nostra Donna per il monastero di Monte Luce, lasciata imperfetta da Raf- faello, il giorno suddetto è da Roma trasportata a Perugia. 1 Questa Santa Famiglia è conosciuta per la bella stampa di G. Edelinck. NelF orlo del manto della Vergine è scritto : Raphael vrbinas. pingebat. f . d. x. vili. Più alto, similmente nell'orlo del manto, si legge: romae. È stato cre- duto sino a' nostri giorni che questo quadro fosse fatto da Raffaello a Francesco I in segno di gratitudine per la ricompensa datagli da quel re per l'altro quadro del San Michele. Ma alcuni passi di una corrispondenza, rimasti inediti sino al 1840, e pubblicati dal Gaye nel suo Carteggio ecc. (tomo II, 146), spargono nuova e miglior luce tanto sul quadro del San Michele, quanto su quello della Santa Famiglia, riducendo ad una graziosa e poetica finzione l'aneddoto rac- contato dal P. Dan e da altri. I passi sono tratti dalle lettere di Goro Gheri pistojese, il quale per qualche tempo ebbe molto maneggio nelle cose di Firenze, mandate al datario Baldassarre Turini da Pescia, amico di Raffaello e uno dei suoi esecutori testamentarj. Essi provano che fu Lorenzo duca d'Urbino colui che commise a Raffaello di dipingere que' due maravigliosi quadri , destinati in dono a Francesco ì, e non lasciano verun dubbio intorno alla loro esecuzione nel 1518, ed al simultaneo loro invio in Francia. 391 COMMENTARIO ALLA. Vita di Raffaello da Urbino PARTE PRIMA1 Di Giovanni Santi e delle sue opere La più antica notizia della famiglia Santi risale alla prima metà del secolo xiv. Sappiamo che circa questo tempo visse in Colbordolo, terra- delio stato d' Urbino , un tal Sante , i discendenti del quale presero il nome gentilizio di del Sante o Santi. Più tardi fu tradotto (com'era co- stume in Italia) il nome latino Sanctius, in Santi o Sanzio. Attestano i documenti che il vecchio Sante ebbe un figliuolo di nome Piero, e che nel 1408 vivevano di quest'ultimo, Luca e Peruzzolo. Luca moriva nel 1436; il secondo circa il 1418 prese in moglie Gentilina di Antonio Urbinelli, la quale gli partorì Sante, Iacopa e Francesca. Peruzzolo non era affatto sprovveduto di beni di fortuna, perciocché sappiamo di certo che possedeva alcuni terreni, e che nel 1438 comperò una casa nella piazza del castello suddetto. Ma egli ebbe a soffrire perdite e danni gravis- simi nell' invasione di Sigismondo Malatesta, il quale capitanando l'esercito del Papa devastò, nel 1446, parte del ducato di Urbino, e mise a ferro 1 II presente Commentario, compilato dalla citata opera dei Passavant, lo dobbiamo alla gentile amicizia del dott. Bartolommeo Malfatti di Trento, il quale, per la molta sua conoscenza della lingua e della letteratura germanica, ci ha prestato un continuo servizio ed ajuto col tradurci dal tedesco le annotazioni poste al Vasari che si stampa a Stuggarda e Tubinga, e col darci ragguaglio di »utto ciò che sull'arte italiana si va stampando in Germania. Delle quali cortesie prendiamo qui volentieri la occasione di dichiarargli pubblicamente la nostra gratitudine. 392 COMMENTARIO ALLA VITA e fuoco il castello di Colbordolo. Di tale sciagura è conservata memoria anche dal nostro Giovanni, che nella dedicatoria del suo poema al duca Guidobaldo d'Urbino dice che la fortuna « divorò el paternal mio nido « in fuoco ; distructa ogni nostra substantia ». Sconfortato da così tristi eventi, e desideroso di maggiore sicurezza, non meno che di poter ripa- rare ai danni della fortuna , deliberò Peruzzolo di recarsi a Urbino , sede di una corte splendidissima. Quivi, in una casa sulla piazza del Mercato, che tuttora è in essere, e fu della Confraternita di Santa Maria della Misericordia, abitò dal 1450 al 1464, insieme con Sante figliuol suo na- togli da Elisabetta di Matteo di Lomo, sua moglie, il nostro Giovanni e Bartolommeo, Margherita e Santa. Le condizioni di fortuna di Sante, che faceva l'arte del sensale, si erano di maniera migliorate, che potè comperare varj terreni, un prato, e nel 1463 due case contigue del valore di 240 ducati, situate in contrada del Monte. Ma per tornare al nostro Giovanni, non possiamo dare di lui se non che poche notizie, e più per conghiettura, che per certe memorie. Non v'ha dubbio che le condizioni di que' luoghi e di que' tempi fossero ol- tremodo favorevoli al suo genio. La natura avea arricchito quel paese delle più rare bellezze, e la munificenza veramente regia del duca Fe- derigo di Montefeltro, allievo prediletto di Vittorino da Feltre, avea rac- colto in Urbino una eletta schiera d' artisti , de' quali ricorderemo Luciano da Laurana, Baccio Pontelli, il senese Francesco di Giorgio Martini, architetti; lo scultore milanese Ambrogio d'Antonio Baroccio; e i pit- tori Giusto da Gand fiammingo, Paolo Uccello, Pier della Francesca, Fra Carnevale, Melozzo da Forlì e Luca Signorelli. Molte e stupende opere d'arte esistevano già prima nel ducato, e ai tempi giovanili del Santi si edificava e si abbelliva da alcuni di quegli artisti il magnifico palazzo ducale d' Urbino e quello di Gubbio. Non è dunque maraviglia che Giovanni, in cui sì vivo era il sentimento del gentile e del bello, giunto all'età di provvedere al viver suo preferisse, fra tutte, l'arte mirabile della pittura, e a lei si consacrasse con grande amore; sebbene (com'egli si esprime nella dedicatoria mentovata) si accresca per essa « l'orbita « della cura famigliare, che nisuna cosa a l'huomo è de più continuo tor- « mento; havendo si excellente peso di sopra, el quale sarebbe grave « agli omeri de Atalante ». — Nè è possibile di rilevare dalle poche no- tizie che abbiamo, chi fosse suo maestro nell'arte. Forse fu alcuno dei molti pittori che illustravano Urbino, e forse egli studiò più di tutto gli eccellenti dipinti antichi di Gentile da Fabriano nella Romita di Val di Sasso, del Beato Angelico in Forano, e gli affreschi dipinti nel 1416 da Lorenzo e Jacopo da San Severino nell'oratorio di San Giovanni Batista d'Urbino. Ma di questo ci tiene molto in dubbio l'osservare, che nella DI RAFFAELLO DA URBINO 393 sua maniera non ravvisiamo punta imitazione di quelli esemplari, e che nel suo poema, discorrendo dei pittori dell'età sua, non ricorda neppur uno di quelli che avrebbero potuto essere stati suoi maestri. Questo solo sap- piamo di certo \ che l'egregio pittore Pier della Francesca, chiamato a Urbino dalla Confraternita del Corpus Domini, abitò nel 1469 in casa di Giovanni. Ma anche di Pietro egli parla nel poema con brevi parole, e invece estolle i meriti De l'alto ingegno e chiar de 'Andrea Mantegna A cui el ciel de gratia aprì le porte « Nella pictura sì excellente e degna, La qual fiorisce in questa illustre etade ; E vie più che altri Andrea porta l'insegna De sua excellentia e grande auctoritade. E dice appresso di non potere trapassare in silenzio Melozzo a me sì caro, Che in prospettiva ha steso tanto il passo. Difatti, nelle più tarde opere del Santi si ravvisa una qualche imita- zione del fare Mantegnesco: al che fu indotto forse dal suo caro Melozzo, che sebbene scolaro di Piero della Francesca, formò tuttavia il proprio stile sulle opere del grande Padovano. E veramente in alcuni dipinti si mostrò negli scorti emulo dell'amico suo. Appartengono alle prime opere del Santi quelle molte Madonne che si trovavano di frequente in Urbino e nei dintorni, capitate male poi per vicende di guerra, o smarrite per ignoranza ed incuria. Ma nella Marca d'Ancona fu dove Giovanni diede i primi saggi del suo valore. E certamente opera della sua gioventù quella bella tavola della Visita- zione nella chiesa di Santa Maria a Fano, che or sono pochi anni era ancora appiccata al di sopra dell'organo, e ne fu tolta per cura di al- cuni amatori dell' arte, per fregiarne il primo altare a man sinistra. — L' altro suo quadro in Santa Croce di Fano fu certamente dipinto parecchi anni appresso. Di lui parimente si conservano nella Marca anconitana altre tavole: una Madonna del Popolo a Montefiore; una Madonna con quattro santi nella Pieve di Gradara; un San Girolamo a Pesaro. Dipinse inoltre per Sinigaglia una Nunziata che ora si conserva nella Galleria di Brera. Da alcuni millesimi segnati in questi quadri e dalla loro diversa maniera si* conosce che il Santi li dipinse in varj tempi. Non sappiamo con certezza quando il nostro Giovanni aprisse in Urbino bottega di pit- tore e di doratore. I quali due esercizj si praticavano ancora a que' tempi, 394 COMMENTARIO ALLA VITA c sovente da uno stesso artista; e ne fu origine l'antico uso di mettere a oro gli addobbi ed altre parti delle vesti dipinte, come pure il fondo de' quadri. E queste arti gli procacciavano guadagni, quando nel 1482 prese per sua donna Magia di Giambattista Ciarla, mercante d'Urbino. Dalla quale ebbe due figliuoli; il primo, nato il Venerdì Santo (28 marzo) dell'anno 1483, fu il divino Raffaello; il secondo moriva bambino nel 1485. Molte opere così in tavola come in muro condusse in questi tempi nella citta e nel territorio d'Urbino, delle quali non poche oggi sono distrutte sciaguratamente o disperse. Di quelle che esistono ricorderemo la tavola nell'oratorio di San Sebastiano; un quadro d'altare per la cappella Buffi in San Francesco, amendue in Urbino; la bella Madonna nella chiesa del convento di Mo.ntenorentino ; gli eccellenti affreschi nella chiesa dei Domenicani a Cagli; e il quadro di casa Mattarozzi, che orasi vede nel Museo di Berlino. — Nel 1489 fu tra gli artisti che lavorarono agli archi trionfali eretti per celebrare le nozze del duca Guidobaldo con Elisabetta Gonzaga; e in varj tempi eseguì non poche dorature di candelabri, di angeli e di altri arredi da chiesa. E quasi non pago di esercitare queste arti, volle pure provarsi nel campo della poesia. Difatti tra i codici Ottoboniani della Vaticana (N. 1305) si conserva un suo lungo poema in 224 fogli, il quale, com' è già espresso nella accennata dedicatoria, illustra le geste gloriose del duca Federigo d'Urbino. Si vede da questo poema, e particolarmente dai primi nove capitoli , come fosse ancor vivo lo studio e l' imitazione di Dante. Anche il nostro Santi si trova smarrito per una selva oscura, fra gente corrotta e perversa. Ma procedendo francamente senza lasciarsi punto sviare, egli giunge alla fine allo sfolgorante tempio dell' Immortalità. Quivi gli è guida l'ombra di Plutarco, che gli fa conoscere gli eroi antichi, i più illustri capitani dell'età di mezzo, e in ultimo gli antenati dei duchi feltreschi, coi quali egli ragiona a lungo. Questo lavoro, pieno di svariate digres- sioni, di notizie storiche ed artistiche, di tradizioni e favole, potrebbe dirsi una cronaca rimata, o un centone piuttosto che un poema. Di poco valore n'è il disegno; difettosa la condotta; la dizione scorretta; e rare volte vi traluce un raggio di vera poesia : con tutto ciò, esso sarà sempre pregevole, come documento dell'animo affettuoso e riconoscente del no- stro Santi , e della ricchezza della sua fantasia. Il padre Pungileoni volle pure attribuito al nostro Santi un trattato di prospettiva. Ma questo la- voro non è certamente, se non quello che apparteneva alla biblioteca dei duchi d'Urbino, e fu composto da Pier della Francesca, come sap- piamo dal suo scolaro Fra Luca Paciolo. Si aggiunga inoltre, che il Santi non si mostra valentissimo nella prospettiva, molto meno poi capace di dettarne le regole. DI RAFFAELLO DA URBINO 395 Ma per tornare alla sua vita domestica, lo vediamo afflitto da gravi dolori e da amarissnae perdite. Già nel 1484 gli era morto il padre:1 o nell' ottobre del 149 1 Vedea mancarsi ad un tratto i suoi più cari ; che in meno di venti giorni gli morivano la madre, la sua diletta Magia, e una bambina avuta pochi dì innanzi. Nel 1492 menò in moglie Bernardina di Piero di Parte, orafo. Ma di tante perdite e dolori la maggiore consola- zione eragli ormai il giovinetto Raffaello. Al quale sappiamo dal Vasari, che egli rivolgeva sino dai primi anni ogni cura amorosa. Egli è pur certo, che il padre e non altri fu prima maestro al giovinetto,2 il quale già orfano era affidato dallo zio materno alla disciplina del Perugino, per riuscire poi la gloria maggiore dell'arte moderna. Ma anche la felicità del secondo matrimonio dovea essere pel nostro Giovanni d'assai breve durata. Chè infermatosi negli ultimi giorni di lu- 1 Morì il primo d' agosto. Il suo testamento è dei 19 maggio 1484 e fu fatto nel convento di San Girolamo d' Urbino. Lasciò eredi due figliuoli maschi , in modo che a Giovanni toccarono le case e alcuni terreni ; a Bartolommeo, desti- nato alla chiesa, e che fu poi arciprete della Pieve di San Donato, una piccola possessione di 70 fiorini. La figliuola sua Margherita, moglie ad Antonio di Bartolommeo Vagnini, ebbe 100 fiorini a titolo di dote. Essa fu madre di Girolamo Vagnini, primo cappellano della cappella fondata da Raffaello nel Panteon; il quale fece poi collocare una lapide a Maria Dovizia di Bibbiena fidanzata di Raf- faello, dirimpetto al sepolcro di quest'ultimo. L'altra figliuola Santa, moglie di Bartolommeo di Marino, ebbe eguale somma; ma rimasta vedova nel 1490, ritornò nella casa paterna, senza recare per altro nessuno aggravio al fratello, avendola il marito lasciata erede di tutte le proprie sostanze. 2 Pur troppo non ci fu conservata neppur una delle primissime pitture di Raffaello ; ne si può prestare molta fede alle notizie manoscritte che sono in Ur- bino. In un codice della Biblioteca Biancalana leggiamo, per esempio, che Raffaello giovinetto dipinse nella cappella Galli in San Francesco , poi distrutta ; e che erano di sua mano i quattro santi che adornavano l'organo di quella chiesa. Ma ora sappiamo di certo, che questi ultimi furono opera di suo padre. Così furono attribuite a lui le due tavole poste all' ingresso del coro nella chiesa de' Francescani, riconosciute poi per opera di Giovanni, e che facevano parte dei dipinti, di cui egli abbellì la cappella Buffi. E nel Ragguaglio (inedito) di Michele Dolci Delle pitture che si trovano a "Urbino, scritto nel 1775, viene dato a Raffaello un San Sebastiano conservato nella sagrestia di quella Cattedrale, quadro non degno di Raffaello, e nemmeno del Santi. In questo stesso scritto, e nel libro della Visita delle chiese fatta dall' arcivescovo Morelli nel 1739 si dice essere della prima maniera di Raffaello una tavola esistente nella sagrestia di Sant'Andrea, dove pervenne come lascito di Silvio Rossi morto nel 1709. Ma a dimostrare l'errore di questa opinione basti notare che il gruppo principale di Maria col Bambino e di san Giuseppe è quasi intieramente ricopiato dalla grande Sacra Famiglia dipinta da Raffaello nel 1518 pel re Francesco I; e che il san Giovannino aggiuntovi è molto duro e senza alcuna grazia. Finalmente si vuol attribuire dallo stesso Pungileoni alla prima età di Raffaello un bel quadretto a tempera conservato nel convento di Santa Chiara a Urbino, di 396 COMMENTARIO ALLA VITA glio del 1494, lasciava il primo dì d'agosto questa vta,' che, come scrisse egli stesso, conduceva fra dolore e perigli; ma che seppe illustrare con molte virtù, e con vivo e coscienzioso culto dell'arte. È degno il Santi di essere annoverato fra que' buoni pittori dell'età sua, che seguendo nella composizione il sistema tradizionale, osservato da Giotto in poi, di una disposizione simmetrica, vi accoppiavano pei altro uno studio diligente della natura, e una severa correttezza di stile. — Se il suo disegno è piuttosto secco, particolarmente nelle estremità; se il' suo colorito riesce sovente duro e freddo, usando egli di molto toni bigiastri nei passaggi e nelle ombre delle carni; compensa bene questi difetti colla grazia e soavità di alcune teste delle Madonne, dei putti e degli angioletti, dove si ravvisa la leggiadria e la maniera di colorire proprie di Raffaello. Non diremo ch'egli possedesse il sentimento della Scuola Umbra, e la maestria nella prospettiva dei Mantegneschi; ma in cui si narra che esistesse già nel 1500 nello stesso convento, e che nè l'Alga- rotti, incaricato dal re di Prussia, nè altri poterono avere, sebbene ne offrissero ingenti somme. Ma v'hanno parecchie notizie, dalle quali si ravvisa ben presto la falsità di questa asserzione. Rappresenta la Vergine, mezza figura, con in braccio il putto in atto di benedire. Il fondo è un paese su fondo d'oro. Chi ben os- servi questo lavoro, dovrà certamente dirne autore quello stesso che esegui gli affreschi sulla porta di San Giacomo in Assisi, la Madonna nella cappella dei Conservatori del Campidoglio, e il San Michele già posseduto dal marchese Gual- terio d' Orvieto : le quali opere ora sappiamo esser di Andrea Luigi da Assisi detto l'Ingegno. 1 Egli fece il secondo testamento a' 27 di luglio 1494, rogatone ser Lodo- vico degli Alessandri. Eccone alcuni brani. « Reliquit jure restitutionis do. « Bernardine ejus uxori et fil. Peri Partis fior. 60, quos dixit habuisse prò « parte dotium ; reliquit diete ejus uxori infrascriptas res videlicet, « unam camurram panni Londre cum manicis cremesini; item unam aliam ca- « murram vulgariter dictam un buccarino cum manicis rasi pavonazzi cum sui* « fulcimentis ; item unum par linteaminum subtilium laboratorum ; item unum « par guaucialium laboratorum; item quatuor panixellos accie et sirici, duos « laboratos et alios non. Item reliquit iure legati diete ejus uxori annulos qua- « tuor aureos cum gemmis et sine, cum cingulis et quibusdam cums et « velettis .... Item jussit, voluit dictam do. Bernardinam ejus uxorem do- « minam, massariam et usufructuariam in domo ipsius testatoris donec vitam vi- « dualem honestam et castam servaverit, et in dieta ejus domo permanserit cum « infrascriptis ejus heredibus ; Item jussit dom. Sanctam ejus sororem et uxo- « rem q. Maestri Bartolomei sartoris de Urbino posse stare et habitare in domo « dicti testatoris, et in ea habere victum absque contradictione infrascriptorum « suorum heredum. Item assignavit in pecuniis existentibus in quadam ejus capsa « ducatos centum .... auri computatis in iis ducatis 36 auri in auro, mutuatis « per ipsum testatorem Arcangelo Peri In omnibus autem suis bonis « suos heeredes universales instituit dom. Bartolomeum ejus fratrem, Raphaelem « ejus filium legitimum et naturalem ex do. Magia altera quondam ejus uxore et DI RAFFAELLO DA URBINO 397 vece egli fu mirabile nel ritrarre caratteri dolci e tranquilli, e nel di- pingere gli scorti riuscì valente quant' altri della età sua. Per il che, se egli non va ascritto tra i grandi artisti degli ultimi decenirj del quattro- cento, merita pure un seggio onorevole fra i pittori che sentirono ed espressero il bello con viva verità e con istudio amoroso ; e se il suo nome giacque a lungo sconosciuto o dimenticato, se ne ha da accagionare non solo l'ingiustizia della fortuna, la quale lascia troppo sovente negletti i generosi e i valenti , per innalzare i men buoni o i mediocri ; ma ancora e principalmente la fama grandissima del fìgliuol suo. Dipinti di Giovanni Santi, tuttavia esistenti Alle primissime opere del Santi appartengono certamente due Ma- donne, ì'una delle quali, col putto, fu comperata da un mercante lom- « ventrem ipsius do. Bernardine, si unum vel plures fìlios masculos pepererifc, « equis portionibus et pieno jure; et si filiam feminam unam vel plures pepe- « rerit, ei vel eis reliquit jure institutionis, 150 florenos prò qualibet, prò earum « dotibus, et si aliquis dictorum filiorum suorum tam nat. quam nascit. decesserit « seu decesserkit sine fil .... tunc eo in casu substituit aliam vel alios .... « seu eorum fìlios masculos .... ; quibus decedentibus substituit femina .... « et ipsis non extantibus, substituit dictum ejus fratrem et do. Sanctam ejus so- « rorem ; si vero dieta do. Sancta non supervixerit, tunc reliquit jure le- « gati Ecclesie Sancte Clare de Urbino fior. 50 .... et Hieronymo ejus nepoti « et fil. Antonii Bartoli Vagnini de Urbino ex do. Margarita ejusdem testatoris « q. sorore et q. uxore dicti Antonii fior. 100 .... et in reliquo bonorum om- « nium instituit et substituit Fraternitatem S. Marie de Misericordia .... Tu- « torem autem et curatorem dict. ejus fil. tam nat. quam nascit. instituit et « esse voluit donn. Bartolomeum ejus fratrem pred , vel ipso decedente « Ludovicum Baldi de Urbino: fidei commissarium autem et hujus testamenti dis- « positorem et executorem fecit et esse voluit Petrwm Partis Simonis ejus soce- « rum; et hanc esse suam ultimam voluntatem assèruit , annullans omne « aliud testamentum , et maxime aliud testamentum manu mei , sub die 26 « mensis julii presentis anni ». Leggonsi tra i testimonj i nomi dello scul- tore Ambrogio Barocci da Milano; di Evangelista da Pian di Meleto, scolaro o fattorino del Santi, e di ser Tommaso di maestro Trojano Alberti. Più sotto, in una postilla; die 1 mensis Augusti decessit dictus testator ecc. Si noti per altro, che ancora il dì 29 erano state mutate dal Santi alcune disposizioni dei legati. Tutti sanno quanto divenisse poi strana e litigiosa Bernardina, e quante molestie ella recasse al buono e gentile Raffaello : la cui nobile e generosa na- tura non si poteva accordare neppur con quella venale e difficile dello zio don Bartolommeo. Tanto maggiore affetto egli pose nello zio materno Simone di Batista Ciarla; che ebbe ogni maggior cura della sua educazione, e che egli nelle sue lettere chiama carissimo quanto padre, carissimo in loco di padre. — La figliuola nata da Bernardina, breve tempo dopo morto Giovanni, ebbe nome Elisabetta, e morì bambina. 398 COMMENTARIO ALLA VITA bardo, delta quale dice il prof. Francesco Antonio Bondelli essere stata poco aggraziata la positura del bambino, e alquanto dure le pieghe delle vesti. L'altra, con San Sebastiano e la donataria inginocchione, passò dalla famiglia Bonajuti d' Urbino in paese straniero. Nella Marca d'Ancona Quadro della Visitazione, a Fano. — Oltre alla Vergine e a santa Elisabetta, vedonsi altre quattro figure di donna e san Giuseppe. Le figure sono grandi poco più della meta del vivo, e molto svelte. Le estre- mità, magre e secche, ma ben disegnate. Bella è l'aria delle teste, in ispecie della Vergine e delle giovani donne. Anche le pieghe de' panni sono di buono stile. 11 fondo è' composto, dall'una parte da una bella casetta; dall'altra, da un paese montuoso. Sul davanti del quadro e in terra ( dipinta di colore scuro ) è una cartelletta coli' iscrizione : iohannes • santis • di • vrbino • pinxit. — L' esecuzione di tutto questo quadro mostra un artista non ancora perfettamente maturo. È da notare, che una delle figure di donna con veste bianca ricorda la maniera di Cosimo Rosselli. Quadro in Santa Croce, a Fano. — È molto più ragguardevole del primo, ed appartiene senza dubbio ad un tempo posteriori. La Vergine vestita di un manto azzurro siede in trono, ed ha in grembo il Bambino che benedice colla destra, e tiene nella sinistra un garofano. Una fascia rossa lo cinge sotto al petto; ha un filo di coralli intorno al collo. Alla sinistra, sant' Elena con manto di porpora, e un velo giallognolo e la corona sul capo; con la croce in una mano, nell'altra uno de' santi chiodi. Dietro a lei è il patriarca Zaccaria ( altri lo dice san Macario ) vestito d' un manto verde , con un libro ed una croce. Dall' altro lato sta sul dinanzi del quadro san Rocco, e dietro a lui san Sebastiano, il cui profilo è vera- mente raffaellesco. Sono graziosissime le testine dei due angioletti che portano sulle loro ali il bastone del tappeto che serve di spalliera al trono. In questo, come in molti altri quadri del Santi, la Vergine sta osser- vando il Bambino con pensierosa ammirazione, mentre tiene alzata la mano sinistra. Le figure sono svelte, le mani e i piedi secchi; gli angoli della bocca, di assai finezza e piegati all' ingiù. I contorni disegnati molto scuri danno un po' di durezza al dipinto, e mancano le dilicate mezze tinte; difetto comune a quasi tutti i pittori di quella età. Le ombre delle carni, all'incontro, hanno un bel tono lucido scuro, e non già bigio, come in tante altre tavole del Santi. Nel san Sebastiano, per altro, vediamo la solita maniera di colorito. Le tinte chiare nelle carni del Bambino sono piuttosto biancastre, e rossicce nei passaggi, il che fu poi osservato da Raffaello stesso. Le aureole intorno alle teste delle figure (un po' minori del DI RAFFAELLO DA URBINO 399 vivo) sono a colore e non già messe a oro; il Bambino ha un triplice raggio. Il fondo è di paese con colline. Il cielo ha belle nuvolette forte- mente illuminate. Sul dinanzi del gradino del trono le'ggesi: iohannes - SANTIS • VRBI • F. Quadro in San Bartolo, a Pesaro. — Rappresenta San Girolamo, grandiosa e veneranda figura, in abito violetto con bianca sottana e cap- pello rosso. È adagiato in una sedia di marmo riccamente fregiata, con alta spalliera in forma di nicchia. Tiene puntato sul ginocchio un libro aperto, nella destra una penna. Presso di lui vedesi per meta un leone, molto scorretto nel disegno, e copiato forse da una cattiva scultura di qualche antica chiesa. Nel fondo vedesi ancora in luogo dirupato il santo che si percuote il petto con un sasso. Alla sinistra è un lago circondato da monti. Nell'alto, alle estremità, due mezze figure di angeli colle braccia incrociate. Più nel mezzo, due testine alate di angioletti, molto graziose. Sul gradino della sedia, l'iscrizione : iohannes • santis • de • vrbino • p. Questo bel quadro ha sofferto assai, e fu ritoccato da mano imperita. La figura del santo è la meglio conservata. La testa ha le solite ombre bigie e fredde ; migliore è il tono del colorito nelle testine degli angeli. I colori sono a colla, su tela fine.1 Quadro nello Spedale di Montefiore. — Nostra Donna, seduta in una nicchia con fregi, ha in braccio il Putto che benedice con una mano, e tiene nell'altra la palla del mondo. Due angeli tengono spiegato il manto della Vergine, sotto il quale stanno ginocchioni a destra quattro, alla sinistra tre uomini, una bella giovine donna che accenna la Vergine al suo bambino, eccitandolo alla preghiera. Tutte queste teste di devoti, ritratte di naturale, sono piene di vita e di espressiva individualità. Ve- donsi inoltre a sinistra san Paolo e san Giovanni; san Sebastiano e san Francesco a destra. Stanno ginocchione in aria sopra nuvole due vaghis- simi angioli. Quadro nella Pieve di Gradara. — Nostra Donna seduta sopra un trono, cui s'ascende per vari gradini, tiene vagamente colla destra una manina del Putto, che le siede in grembo; il quale, adorno d'un filo di coralli (da cui pende, giusta l'antico costume, un breve a cuore), am- mira tutto lieto il cardellino che tiene nella sua sinistra. Il tappeto, che forma la spalliera, è sostenuto da un bastone sulle ali di due piccoli angiolini. Un terzo angioletto guarda dall'alto sul gruppo. Sul dinanzi, a destra, è san Giovanni Battista che accenna al Bambino, l'Arcangelo Michele armato di spada e scudo. Dirimpetto, san Stefano, il cui abito di levita è finto stupendamente di broccato; e santa Sofia, protettrice 1 t Questo quadro è ora nel Museo di San Giovanni Laterano di Roma. 400 COMMENTARIO ALLA VITA del paese di Gradara, ch'ella tiene sulla palma della mano. Le figure, quasi grandi quanto il vivo, mostrano nel disegno le solite qualità, del Santi. Le ombre delle carni tengono un po' del bigio, senz' essere fredde. Il terreno, scuro e seminato qua e là di erbe. In mezzo ai macigni mu- scosi campeggia in distanza un paese alpestre. Questa tavola fu dipinta nel 1484, e commessa al Santi dal pievano di quella chiesa Domenico de' Domenici, come leggiamo in questa iscrizione segnata in un gradino del trono: gradarie spectanda fvit impensa et indvstkia viri d. dominiti DE DOMINICIS VICARII ANNO D. MCCCCLXXXIIII DIE X. APRILIS. ET PER DVOS PRIOR. TEMPORE D. IO. CANOCI. RECTORIS ECCLIE. S. SOPHIE. IOANNES. SAN. Vi; 15. PINXIT. Ricorderemo pure, che il padre Pungileoni narra di avere scoperto in un paese della Marca d'Ancona una tavola assai guasta, eh' egli vuole attribuita a Giovanni Santi. Rappresenta San Francesco ginocchione , che riceve le stimate. Fra Ruffino è presente, ed abbagliato dallo splendore si tiene la mano innanzi agli occhi. Nella città e nel territorio di Urbino Quadro nell'Oratorio di San Sebastiano, a Urbino. — San Sebastiano legato ad un albero è trafìtto da alcuni dardi. Egli tien fiso lo sguardo nell'angelo che gli reca dall'alto la corona del martirio. Sono inginoc- chiati alla sua destra otto Battuti della Confraternita di quel santo. Tutti sembrano ritratti di naturale. Si devono ammirare principalmente i belli e difficili scorti nelle figure degli arcieri. Non è riuscito ugualmente bene quello dell'angelo che scende dall'alto. Conosciamo da questo dipinto, che al Santi non mancava la potenza di condurre storie piene di vita e di movimento, se gli si fosse offerta più spesso occasione di lavorare. Vo- gliono alcuni, che negli otto 'confratelli si debbano ravvisare i ritratti delle famiglie Santi e Ciarla : ma è opinione priva d' ogni fondamento ; e anzi il Santi non era di questa Confraternita, ma sibbene di quella di Santa Maria della Misericordia. — Il quadro fu molto e quasi interamente ritoccato. » Quadro del Convento di Montefiorentino , presso Urbania. — Nostra Donna seduta sopra un trono col dossale a foggia di nicchia sostiene con l'una mano la testina del Putto che le siede in grembo. Le stanno alb sinistra san Crescenzio, figura giovanile armata, con una gran collan;. fornita di gemme, e 1' elmo ai piedi sormontato da una penna di pavone; indi san Francesco col Crocifìsso in mano, tutto assorto in contempla- zione. Alla destra, san Girolamo in abito cardinalizio che legge in un libro, e sant' Antonio abate, bella e veneranda figura. Dietro ai santi ve- DI RAFFAELLO DA URBINO 401 •donsi due angeli di mezzana grandezza in adorazione; e sul dinanzi, a destra, ritratto il donatore Carlo Olivo conte di Pianano, armato, figura molto degna. Ad ambo i lati del trono è continuato un parapetto di marmo, donde s' affacciano per metà otto angeli con istrumenti musicali, mentre sei altri angioletti volanti al di sopra del trono accrescono grazia mara- vigliosa al dipinto. Dentro una cartella sotto il quadro leggesi l'iscri- zione : CAROLVS OLIVVS PLANIANI COMES DIVAE VIRGINI AC RELIQVIS CELESTIBUS. IOANNE SANCTO PICTORE DEDICAVIT. MCCCCLXXXVIIII. La predella è adorna di quattro piccole figure di santi dell' ordine francescano, disposti in due tondi e due mezzi tondi. La composizione di questo quadro ricorda molto i dipinti contemporanei della Scuola Fioren- tina. Ma ben differente è il colorito, e le ombre non già scure, ma bi- giastre, e le carni dipinte al solito modo del Santi. Quantunque il tono generale sia piuttosto secco, pure le ombre nelle vesti sono condotte con bravura, e danno molta forza all' insieme. È mirabile l'imitazione della luce e dei reflessi dell'armature, e particolarmente la naturalezza della penna del pavone.1 Il nudo del Putto è un po' scorretto nelle estremità. Ma nonostante i suoi difetti, questa tavola è una delle migliori opere del Santi, e l'ottima conservazione contribuisce non poco a crescerne il merito. Quadro nella chiesa dei Francescani, a Urbino. — Nello stesso anno 1489 egli dipinse questa tavola per la cappella della famiglia Buffi, come ri- sulta dal registro A dell'Archivio della chiesa. Rappresenta la Vergine col Bambino seduta sopra un trono marmoreo in forma di nicchia. A de- stra, san Sebastiano trafìtto che guarda in cielo; dietro a lui, san Giro- lamo con libro e penna in mano ; dirimpetto , san Giovanni Batista e san Francesco. Sono particolarmente da ammirare la figura severa ed espres- siva del san Giovanni, e quella grandiosa del san Girolamo. Sul dinanzi a destra sono inginocchiati i co njugi Buffi, con un loro figliuolo, tutti e tre in preghiera a mani giunte. Al di sopra, nel colmo della tavola, tra- sformata ora in quadrilatero, vedesi Dio Padre di grandezza quasi colos- sale, che benedice e tiene nella sinistra il mondo. È circondato da un nimbo messo a oro, e da un cerchio a colori, dal quale spiccano dodici testine d'angioletti. Due altri angeli volanti, di mediocre grandezza, po- sano l'un piede sopra nuvolette, e tengono con una mano ramoscelli d'olivo, coli' altra le cordicelle della corona librata sovra il capo della Vergine. Il fondo rappresenta un paese a colline. — Lo stile del quadro è più vigoroso che non suol essere nelle altre opere di questo pittore; 1 La penna di pavone era insegna distintiva della parte Ghibellina, cui sembra appartenesse il conte Olivo. Vasabi, Opere. - Voi. IV.. 26 402 COMMENTARIO ALLA VITA lodevole n' è il disegno, con tutto che le estremità pecchino della solita- magrezza. Il partito dei panni , specialmente nel manto rosso di san Gio- vanni Batista, tiene della maniera del Mantegna; gli angeli volanti, di quella del Perugino. Vaghissime sono le teste degli angioletti, dignitose quelle dei santi; i ritratti, pieni di verità; solo la testa della Vergine è poco espressiva. E la figura del Dio Padre, per quanto ne sia giusto il concetto, apparisce grande soverchiamente. Al gradino del trono sta appesa una cartella senza iscrizione; onde fu creduto che i tre ritratti fossero quelli del pittore, di sua moglie e del giovinetto Raffaello: il che ora è dimostrato falso. Ai lati di questa tavola erano posti due quadri minori: l'uno rappresentante san Rocco, l'altro il giovine Tobia e l'An- gelo. Essi fregiano ora gì' ingressi del coro. Bellissime sono le figure del Santo e dell' angelo. Fu chi volle attribuirli allo stesso Raffaello ; ma un attento osservatore vi riconosce facilmente la stessa mano che dipinse la tavola maggiore. Dipinti a fresco nella chiesa dei Domenicani , a Cagli. — È questa l'opera più grande che eseguisse il Santi, e gli fu allogata dalla famiglia patrizia Tiranni, per ornamento di una sua cappella. L'altare è sormon- tato da un arco con forte aggetto, sostenuto da due leggiadre colonne corintie. Sulla parete posteriore, che termina pure in arco, è dipinta Nostra Donna in trono coronata, e il Putto ritto sulle sue ginocchia. Presso al trono, due angeli in adorazione. Dal medesimo lato sinistro vedonsi san Francesco e san Pietro; dirimpetto poi san Domenico e san Giovanni Batista. Espressiva oltremodo è la testa di san Francesco; il san Giovanni Batista somiglia molto a quello della tavola per la famiglia Buffi. Una parete marmorea forma il fondo. Sopra ad essa s'innalza in lontananza un monte, dov'è dipinta in piccole figure la Resurrezione. Bellissimi gli scorti- delle .guardie, in cui il Santi e degno rivale del suo amico Melozzo. Nel mezzo tondo è Dio Padre, cinto ai lati da varj an- gioletti vaghissimi, uniti a due a due, dei quali i più alti sono in ado- razione, i più bassi suonano diversi strumenti musicali. In mezzo ad ogni coppia è una testina alata , di cui l' una guarda all' insù e verso il basso l'altra, come vediamo in quasi tutti i quadri del Santi. Sul dinanzi del- l'arco è dipinta l'Annunziata in due tondi con mezze figure. In questi dipinti egli mostra non solo d'essere valentissimo coloritore a fresco (d'onde dobbiamo concludere ch'egli abbia eseguiti parecchi altri simili lavori, che furono guasti), ma apparisce ancora più eccellente nel disegno, e più vivo nel colorito che non nei quadri a tempera. Le ombre delle carni sono di tinte oscure, e nei putti vediamo perfettamente operata la sua maniera di toni bianchi e rossastri. Per accrescere vaghezza al colorito diede agli angeli vesti rosse e verdi splendidissime, e mise a oro le DI RAFFAELLO DA URBINO 403 parti lucide. L'aria delle teste è vivacissima; la Vergine, il Bambino e gli angeli sono d'una grazia raffaellesca. Il dipinto, tranne qualche parte, è ben conservato. — Presso a questa cappella, sopra il sepolcro della moglie di Pietro Tiranni, il nostro artefice dipinse pure a fresco una Pietà, con san Girolamo da un lato e san Bonaventura dall'altro. Bella è la testa del Cristo, ma il rimanente eseguito con minor diligenza.1 In altri paesi Quadro dell' Annunziata , a Milano. — La Vergine quasi maravigliata al celeste annunzio, ed alzatasi dall' inginocchiato,]' o in quel puntò , sta sotto un portico tirato di prospettiva ragionevolmente. Vedesi al di sopra il Dio Padre, che manda verso la terra il Redentore, raffigurato in un piccolo bambino con una crocetta , tutto cinto di raggi. Le figure , grandi quasi quanto il naturale, sono un po' dure e nel disegno e nel colorito. Anche le arie delle teste, salvo quella della Vergine, sono poco espres- sive. Sopra un gradino dell' edilìzio leggesi: iohannes • santi • vrb • p. — Crede il padre Pungileoni che questa tavola fosse eseguita circa il 1488, per ordine di Giovanna di Montefeltro, moglie di Giovanni della Rovere , signore di Sinigaglia e prefetto di Roma. Aggiunge il Passavant, che il Santi ebbe forse da lei questo incarico, per commemorare la nascita di Francesco Maria, suo figliuolo, che fu poi duca d' Urbino, il quale nacque il dì della Nunziata nel 1490. Il quadro passò dalla chiesa di Santa Maria Maddalena di Sinigaglia, per la quale fu dipinto, nella Galleria di Brera a Milano. Quadro da altare, a Berlino. — Per la cappella domestica della nobile famiglia dei conti Mattarozzi di Castel Durante (ora Urbania), il Santi eseguì questa tavola, nella quale si vede Nostra Donna seduta con Gesù Bambino, da una parte san Tommaso di Aquino, e un altro santo di aspetto giovanile che tiene una chiesa sulla palma della mano, e il ri- tratto del donatore ginocchioni; e dirimpetto, san Girolamo e san Tom- maso apostolo. Le teste della Vergine e del Putto sono poco belle e af- fatto diverse dalle solite arie di questo pittore; ond'è a credere che sieno piuttosto ritratti. Molto più espressive sono le teste dei santi. Un ricco 1 i Crede il Pungileoni che a queste pitture si debba assegnare Tanno 1492. Ma la verità è che furono fatte nel 1482, e per commissione di Pietro Tiranni, ohe fu cancelliere di Giovanna della Rovere figliuola di Federigo da Montefeltro , duca d'Urbino. Il Tiranni, avendo perduto Battista sua moglie nel 1481, le fece innalzare il sepolcro nella chiesa di San* Domenico e dipingere la parete sopra- stante da Giovanni Santi. Al quale contemporaneamente commise gli affreschi della sua cappella. (Vedi Crowe e Cavalcaseli^ , op. cit. , II, pag. 582). 404 COMMENTARIO ALLA VITA tappeto forma il fondo del quadro ; il quale dobbiamo porre tra i lavori della più giovine età del Santi. Esso fu già segato in tre parti, e diviso fra alcuni eredi. Ora si conserva nel ricco Museo di Berlino. Dipinti minori Sul davanzale del pulpito di San Bernardino (già San Donato) in Urbino si vede un bel quadretto che per i pregj del disegno e della composizione sembra doversi attribuire al nostro pittore. Esso rappresenta una Pietà con due angeli. Di varie piccole Madonne, una è posseduta dal chirurgo Gaetano Ciccarini da Gubbio. Nostra Donna tiene in grembo il Bambino , con un vezzo di coralli. — La composizione, il colorito e l'espressione ricordano la Madonna della cappella Buffi. Essendo questo quadretto passato col suo possessore a Roma, sarà forse andato in altre mani. Un'altra Madonna, di cui parla il P. Pungileoni, è posseduta dal marchese Raimondo Antaldi di Urbino. La Vergine si piega all' ingiù verso il Bambino che riposa in terra col capo sovra un guanciale. Gli stanno intorno scherzando due angioletti; il fondo è un bel paese molto illuminato, che aggiunge assai venustà alla graziosa composizione. Ricorderemo da ultimo la Madonna che Giovanni dipinse in fresco nel cortile della propria casa. Essendo creduta opera di Raffaello , fu se- gata dal muro e trasportata nell' interno ; ma ritoccata così grossolana- mente, che appena si possono distinguere le linee principali e il concetto primitivo della composizione. La Vergine, veduta di profilo, siede sopra una panca e stringe, teneramente al seno il Bambino che dorme, intanto che essa legge in un libro di preghiera che le sta dinanzi sur un leggìo. Tutto l'insieme è così perfetto da reputarsi degno di Raffaello. Difatto, come opera di lui il dipinto fu notato in un Diario del 1703 di papa Cle- mente XI, e dopo quel tempo fu creduto da molti. Ma dall'aria della testa della Vergine, dal velo che le copre il capo, similissimo a quello della Ma- donna in Cagli, dal disegno delle mani, e da altre minori particolarità , dobbiamo concludere che è lavoro di Giovanni. E la verità della compo- sizione, e la espressiva individualità del volto della Vergine, ci fanno conghietturare che egli prendesse forse a modello la sua cara Magia. Questi dipinti minori furono- probabilmente eseguiti dal Santi negli ultimi dieci anni della sua vita. Notizie di alcune pitture smarrite, incerte, o attribuite falsamente a Giovanni Santi Sappiamo di certo , che Giovanni dipinse una tavola per Y altare dei Santi Biagio e Vincenzo nella Cattedrale di Urbino. Le più antiche no- DI RAFFAELLO DA URBINO 405 tizie narrano che rappresentasse i due Santi Martiri. Invece nella rela- zione di monsignor Marelli del 1719 si dice esservi figurata la Natività di Nostro Signore con que'due santi: il qual dipinto, se è pur quello che sussiste tuttavia, non è certamente di Giovanni, ma di un imitatore di Raffaello. Nella chiesa dei Domenicani esisteva ancora nel 1709 un suo San Tommaso d'Aquino. Ma è perduta ogni traccia non meno di questa ta-< vola, che di parecchi altri minori quadretti con santi dell'ordine dome- nicano, che forse stavano ai lati della maggior tavola, e che poi furono trasportati nella sagrestia di quella chiesa. È pure smarrito un suo quadro dipinto in tela per la chiesa della Confraternita del Corpus Domini, atterrata nel 1708. L'altare era dedi- cato alla Regina degli Angioli, dove il Santi rappresentò Nostra Donna col Putto , circondata da una bella gloria di angeli ; erano inoltre ai lati san Giovanni Apostolo e il Battista, e sant'Antonio da Padova. Si crede da molti (tra i quali il P. Pungileoni), che il Santi insieme col figliuolo giovinetto abbia dipinto in San Francesco nella cappella Galli, ora distrutta, una Vergine col Putto, san Cristoforo, santa Cate- rina, san Girolamo, sant'Onofrio, e in alto Dio Padre. Ma non sappiamo altro, se non che il Santi eseguì varj dipinti per quella chiesa. Sicché furono pure attribuite ora a lui ora a Raffaello le figure degli sportelli che chiudevano l'organo, e che ora non esistono più. Molto più certe sono le notizie intorno ad un suo quadro da altare, eseguito per Pier Antonio Paltroni, segretario del duca, e molto amore- vole del Santi. V'era figurato San Michele Arcangelo, e al di sotto (pro- babilmente sulla predella) alcune piccole storie della Passione di Nostro Signore. Nella chiesa di Santa Maria della Nunziata extra muros presso Ur- bino è una Madonna, della quale non*si distingue bene che la testa della Vergine e quella del Putto. Sono molto ritoccate, nondimeno tengono assai della maniera del Santi. È pure incerto se si debba attribuire al nostro pittore la tavola che rappresenta lo Sposalizio di Santa Caterina, nella chiesa de' Domenicani di Pesaro. Ad ogni modo , sarebbe opera di sua gioventù , mancandovi la solita espressione nelle teste, ed essendo poco buono il disegno, special- mente ne' panni. Alcuni han creduto esser questo quadro di Giuliano Pre- sciutto da Fano. Ma chi lo confronti coli' altro di questo pittore che si conserva nella chiesa di San Tommaso di quella citta,1 dovrà confessare / 1 Questo quadro porta scritto : ivlia • psvtis • fani • orivndvs • faciebat «• MDXLVI. 406 COMMENTARIO ALLA VITA esservi tali diversità e nello stile e nell'esecuzione, da doversi tenere affatto erronea quella opinione. Furono detti del Santi due quadri; l'uno de' quali, rappresentante la Natività di Nostro Signore, è conservato presso la famiglia Liera di Urbino; l'altro, un san Francesco in contemplazione, presso i conti Ma- terozzi Brancaleoni di Cagli. Ma per mostrare l'insussistenza di questi giudizj, basti dire che sono dipinti a olio. Ne si dica altrimenti del ritratto d'un giovane, forse il duca Guido- baldo d'Urbino, posseduto dal signor Vincenzo Piccini d' Urbania. Nella Galleria di Berlino è una Madonna col Putto in grembo, san Giovannino e san Giacomo minore alla destra; un altro bambino e san Giacomo maggiore alla sinistra. Appartenne alla collezione Solly; e fu sempre creduta opera del Santi, sì perchè vi si ravvisavano alcune par- ticolarità'di colorito proprio di questo pittore; sì perchè portava l'iscri- zione : io. sanctis. urbi. f. Ma ora fu scoperto chiaramente essere falsa la scritta, e il quadro doversi attribuire a Timoteo Viti. t II più volte nominato marchese Giuseppe Campori, nelle sue No- tizie e Documenti per la Vita di Giovanni Santi e di Raffaello da Urbino (Modena, Vincenzi, 1870, in-4), ha provato che Giovanni Santi poco tempo innanzi al suo morire stette in Mantova, dove ad istanza d'Eli- sabetta Gonzaga duchessa d' Urbino era andato per ritrarre Lodovico Gon- zaga vescovo di quella città. PARTE SECONDA • Poche parole sul putto di Raffaello Non si può dubitare che Raffaello lavorasse un putto di rilievo , se di marmo o di creta vedremo innanzi, affermandolo due scrittori contempo- ranei d'incontrastabile autorità, cioè l'anonimo autore della Vita dell'Ur- binate pubblicata dal Comolli nel 1791, e il conte Baldassarre Castiglione; il primo de' quali dice di aver veduto in mano eli Giulio Pippi un putto lavorato in scultura, ed il secondo, in una sua lettera ad Andrea Piperario degli otto di maggio 1523, scrive che desidera di sapere se il Pippi ha più quel puttino di marmo di mano di Raffaello, e per quanto sì daria all'ultimo. Che cosa facesse rispondere il Pippi al conte noi non sappiamo, ma potremmo congetturare che egli compiacesse al suo desiderio, vedendo che nell'inventario1 fatto da Giulio in Roma nel 1524 di alcuni oggetti 1 Pubblicato nel Saggiatore, giornale romano di storia, letteratura, belle arti, ecc. Roma, 1844, anno I, voi. I, pag. G7. DI RAFFAELLO DA URBINO 407 d'arte ed anticaglie consegnate a Giovan Battista suo fratello, allorché #ndò a' servigi di Federigo duca di Mantova, non è nominato un putto di marmo. Vi si trova invece ricordato un puttino di creta, intorno al quale avremo occasione di parlare più innanzi. Questo è quello che si sapeva del putto di Raffaello . dalle memorie e dai documenti pubblicati fino al 1844. Ma nuova e maggior luce intorno a .siffatto argomento è venuta da una lettera scritta a Michelangelo Buo- narroti da un Lionardo sellajo suo amicissimo che dimorava in Roma nella bottega de' Borgherini : la qual lettera, sebbene già stampata due volte, noi crediamo che importi di riprodurre qui di nuovo. « A dì 22 di novembre 1516. Sabato- vi schrissi: e prima v'avevo « mandate ij letere del chardinale (Giulio de' Medici) , del marchese (Al- & berigo Cibo Malaspina di Massa) j del veschovo per le mani di vostro «. fratello. Stimo l'arete avute. « E perchè so non bisogna vi ricordi l'opera, nollo fo. Bastiano (del « Piombo) à fatto qui dua Profeti e fino a oggi, sechondo si vede, non c'è « nessuno dell'aria vostra, se non è lui: e stimone bene. « Rafaello, chome vi dissi, chiese chompagnia, e fugli dato Antonio « da San Ghallo colla medesima prò visione. A fatto un modello di terra « a Pietro d'Ancona d'un putino e lui l'à presso che finito di marmo; e « dichono sta assai bene. Sievi aviso ». E manifesto che questa lettera ha grandissima importanza per chia^ rire alcuni particolari di un fatto della vita di Raffaello, intorno al quale si è destata in quest' ultimo tempo assai calda controversia tra gli eruditi. Per essa infatti sappiamo ora che significato si debba dare alle parole de1 ci- tati contemporanei, i quali certamente dicono cosa non vera quando af- fermano che Raffaello scolpì un putto di marmo, essendo provato invece dalla detta lettera che egli semplicemente lo modellò di creta, e che die- delo poi a scolpire di marmo ad un artefice per noi oscuro, ma del cui valore dobbiamo giudicare favorevolmente, se Raffaello tra tanti artefici di nome che erano allora in Roma si servì di lui. Il marchese Ricci nelle Memorie degli artefici delle Marche non ne parla; e pare che gli fosse ignoto. Nondimeno noi congetturiamo che egli sia quel Pietro Stella {nella stampa per errore detto Stalla), di cui lo Zahn nelle sue Notizie •artistiche, tratte dall'Archivio segreto vaticano1 riferisce sotto l'anno 1519 un pagamento di 40 ducati fattogli per quattro pezzi di marmo , ne' quali dovevano essere scolpite altrettante armi che andavano a Civitavecchia. Mentre dunque per questo nuoy) documento è stabilito che Raf- faello nel 1516 modellò in Roma un putto di creta, resta altresì in tutto 1 Pubblicato ne\V Archivio Storico Italiano, serie terza, tom. VI, parte I. 408 COMMENTARIO A LI; A VITA escluso che egli lo scolpisse, come con manifesto errore avevano affer- mato l'anonimo del Comolli e il Castiglione. Ed invero riducendo il fatto a questo termine, esso non ha niente d'incredibile, in quantochè il lavo- rare di terra doveva essere per Raffaello una cosa facile, perche ordina- ria, sapendosi che allora i pittori avevano per usanza, nel condurre le loro opere, 'di servirsi di fìgurette di creta da loro modellate, non altrimenti che dell'uomo di legno, ossia del manichino, fecero poi per il medesimo effetto. Ma quanto a Raffaello doveva riuscire facile di modellare di creta la- sua figura, altrettanto gli sarebbe stato diffìcile, per non dire impossibile \ di scolpirla, essendoché egli non aveva nè la pratica ne I' esercizio che si richiedeva per trattare il marmo e maneggiare i ferri. Il detto documento ci scopre ancora un altro errore, nel quale sono caduti tutti coloro che del putto di Raffaello hanno di proposito o per occasione trattato. Il quale errore consiste nell'aver creduto che fosse- quello stesso, di cui parlano i suddetti scrittori, il putto morto trasportato sul dorso da un delfino, posseduto dal Bali di Bretevil, e dato inciso dal Cavaceppi come opera di Raffaello, scolpita da Lorenzetto, nella Raccolta delle statue antiche, stampata in Roma nel 1768. Il qual gruppo fu ulti- mamente trovato nel palazzo della Tauride di Pietroburgo, ed annunziato dai giornali come lavoro dell' Urbinate. Ma a provare la insussistenza della loro affermazione basteranno queste due sole considerazioni : la prima, che dicendosi dagli autori citati di sopra, Raffaello avere scolpito o fatto di terra un putto, non può questa espressione riferirsi che ad una sola figura^ e che perciò s'ingannano a partito coloro che vorrebbero tirarla a signi- ficare un gruppo, che tale è il putto morto sopra il delfino dato inciso dal Cavaceppi; e la seconda, che bisognerebbe proprio aver dimenticato le divine bellezze delle opere di Raffaello per sostenere che da lui fosse modellato, che scolpito non potrebbe essere, quel gruppo, nel quale lo stile soprattutto, e poi l'invenzione, l'attitudine, le forme or goffe e sgraziate , or grandemente difettose in alcune parti , scoprono la mano di un artefice mediocre, che segue altra scuola, e mostra di -esser vissuto quando l'arte era già nel suo declinare. Rimesse nel loro vero punto istorico le cose appartenenti a questo notabile fatto della vita di Raffaello, resta ora per ultimo che noi ricer- chiamo qual sorte abbiano avuto il putto modellato in creta dal Sanzio e quello scolpito da Pietro d'Ancona, i quali si può affermare che anda- rono tra l' altre cose dell' arte lasciate da Raffaello per eredità al diletto suo discepolo Giulio Pippi o Romano, come non ne lasciano dubitare il citato inventario fatto dallo stesso Giulio in Roma nel 1524 e il capitolo della lettera del Castiglione riferito indietro. DI RAFFAELLO DA URBINO 409' Quanto al putto di terra, ogni ricerca tornerebbe vana, pensando che la fragilità della materia non poteva promettergli lunga vita. Ma» non così si deve credere rispetto a quello di marmo ; del quale però nes- suno degli scrittori de' secoli passati ha tentato di dare la più piccola no- tizia, il benché minimo accenno: essi dunque non ne sanno nulla; nè me- glio, come abbiamo veduto, ne sono informati i moderni. Venuti a questo punto, noi, avvalorati non tanto dal parere espresso da rispettabilissimi artisti ed intelligenti italiani e stranieri, quanto dal- l'intima nostra persuasione e dalla qualsiasi pratica delle cose dell'arte ac- quistata con lunghi e faticosi studj, ed in tutto liberi da passione o da interesse, non temiamo di affermare cosa, che nonostante le passate e> presenti opposizioni, e la contraria sentenza di un'Accademia, ci pare su bonissime ragioni fondata. 1 II putto fatto scolpire da Raffaello a Pietra d'Ancona esiste in Firenze, ed è da otto anni posseduto dal signor Pietro Molini archeologo romano. Quali vicende abbia corse quel putto nello spazio di più di due secoli e donde e quando sia stato portato in Firenze, è impossibile il ricercare. Che in questo putto, scolpito in un pezzo di marmo pentelico avanzato da quello che servì a Lorenzetto per la statua del Giona, si riconosca a prima vista tutto lo stile, il movimenta e l'aria delle teste de' putti dipinti da Raffaello, è cosa confessata da tutti quanti lo videro. Che infine un'Accademia abbia dato un parere contrario > e con parole meno che convenienti, non fa, perche esso non ha per noi valore nessuno, non essendo stato accompagnato da ragioni od argomenti di sorta che lo giustificassero. PARTE TERZA Di Antonio Barili e di Giovanni suo nipote, da Siena, inta- gliatori di legname, il primo nato nel 1453, morto nel 15 16 y il secondo nato ; morto nel 1529 (?). Gli ultimi annotatori del Vasari hanno creduto che fosse errore di chiamare Giovanni e non Antonio l'artefice che intagliò le porte e i palchi di legname delle sale Vaticane ; sapendosi che intorno a quei tempi 1 Chi desiderasse di conoscere i particolari delle controversie nate per ca- gione di questo putto, può leggere le seguenti scritture: Rembadi avv. Domenico; Del putto di marmo di mano di Raffaello* Sanzio, Firenze, Mariani, 1872, in-4; Gennarelli avv. Achille, Sopra una scultura di Raffaello Sanzio, Firenze , Successori Le Monnier, 1873, in-18; e Sopra una statuina in marmo attri- buita a Raffaello ecc., Firenze, Mariani, 1873, in-8. 110 COMMENTARIO ALLA VITA viveva ed operava in Siena un Antonio Barili, in quest'arte eccellen- tissimo. Ma a noi sarà agevol cosa di mostrare che nel caso presente ha il Vasari tutta la ragione dal canto suo, e i suoi annotatori il torto. Imperciocché veramente si prova, che Giovanni Barili, nipote e discepolo di Antonio xDredetto, sia stato a Roma, ed abbiavi fatto quei tali lavori. Nondimeno, perchè fu Antonio Barili artefice per molti rispetti degno di più chiara memoria, ci è parso non essere fuori del proposito che ne trat- tassimo distesamente qui; non tanto perchè le opere sue non si potrebbero ben separare da quelle di Giovanni; quanto ancora perchè abbiamo per questo modo una molto opportuna occasione di sdebitarci della promessa già per noi fatta in una nota del Commentario alla Vita del Pinturicchio.1 Antonio di Neri di Antonio Barili, nato in Siena ai 12 di agosto del 1453, fu così ingegnoso in ogni sua cosa, e massimamente di tanta eccellenza nell' intagliare il legno e nel lavorare di tarsia, che trapassò tutti coloro che in questo esercizio ebbero nome innanzi a lui. Perchè, sebbene nelle opere di quei maestri si conosca molto del buono, e secondo i tempi sieno da avere in pregio; nondimeno al paragone di quelle di Antonio, fatte con sì bella grazia, e condotte con pulito disegno e dili- genza, che una simile non s'era mai veduta fino allora in Siena, appa- riscono, per la maggior parte, come sgraziate e goffe. Ebbe Antonio ancora una qualche notizia delle cose di architettura ; trovandosi che i Senesi volentieri si servirono di lui nell'occorrenza di dover riparare ponti e fortificare le terre del loro dominio. Così, avendo una furiosa piena dell' Ombrone rotta e sfondata la steccaia del ponte di Buonconvento, Antonio, andato cola nel 1484, prestamente la rifece più grossa e più gagliarda. E nel medesimo anno, minacciando di rovinare il ponte di Macereto, guasto in più parti dal continuo travaglio delle acque della Merse, egli, in compagnia di Francesco di Giorgio Martini, prese a restaurarlo. Dipoi, essendosi ribellati gli uomini di Montepulciano, che già cent'anni innanzi si erano dati ai Fiorentini, nacque nel 1495 una ferocissima guerra fra Siena e Firenze; onde Antonio fu mandato colà a dare disegni e far modelli di un bastione per battere colle arti- glierie la torre e il ponte di Valiano , preso e fortificato dai nemici. Dove accadde che per la mala- guardia che si faceva nel loro campo , furono le gpnti senesi assaltate all' impensata , e rotte e disperse con loro danno e vergogna. Per la qual cosa volendo la Repubblica riparare a tal disordine, vi spedì più volte, fra il 1498 e il 1500, il Barili, commettendogli che rifacesse più grande e più gagliardo il bastione. Finalmente, dubitando Pandolfo Petrucci, ritornato allora in Siena con maggiore autorità che 1 Vedi tom. Ili, pag. 518, nota 2. DI RAFFAELLO DA URBINO 411 non avesse avuto avanti alla cacciata sua, che dal Valentino non fosse tentata alcuna cosa di momento contro la città e le terre del dominio, aveva spedito nel 1503 con grandissima diligenza a fortificarle e porvi buona guardia Antonio con uomini suoi fidati, dandogli insieme il carico di far disegni e modelli delle nuove mura di Talamone, luogo allora molto importante sulla marina. Questo abbiamo voluto dire intorno alle cose di architettura operate da Antonio, perchè le stimiamo di molta importanza, non solo per se stesse, ma ancora perchè ci fanno conoscere particolari meno noti della vita di così egregio maestro. Ma la fama sua è principalmente raccoman- data alle opere d'intaglio e di tarsia, le quali ora piglieremo a raccon- tare con quell'ordine e diligenza che per noi si potrà migliore. Aveva Tommaso, despoto della Morea, donato nel 1464 a Pioli, ed egli ai Senesi , il braccio destro di San Giovanni Battista : ond' essi per onorarlo incominciarono, intorno al 1482, nel loro bel Duomo una molto nobile cappella col disegno di maestro Stefano di Giovanni, capomaestro, facendovi un ricetto per riporvi quella santa reliquia messa in una cassetta ricchissima di pietre preziose, di figure d'argento dorato e di altri orna- menti fatti nel 1466 da Francesco d'Antonio , orafo senese. Compita dunque di fabbricare questa cappella, dove poi dipinse nel 1504 Bernardino Pintu- ricchio alcune storie del santo, come si è detto, e mancandovi per mag- giore ornamento il coro; messere Alberto Aringhieri, che a quel tempo era Operajo del Duomo, allogollo ad Antonio ai 16 di gennajo del 1483. Per la qual cosa messosi egli prestamente all'opera, fece intorno alla cap- pella, che è ottangolare, una cassapanca alta da terra tre quarti di braccio, scompartendola nella faccia davanti in diciannove quadrilunghi, dentrovi altrettanti quadri più piccoli, girati così gli uni come gli altri da listelli piani , tutti intarsiati ad un medesimo modo : e sopra la cas- sapanca posò la spalliera alta tre braccia e divisa da altrettanti pila- strelli scanalati per i due terzi della loro altezza, e il resto a baccelli: i quali mettevano in mezzo i detti quadrilunghi intarsiati con bellis- sime e capricciose invenzioni di arredi sacri, strumenti musicali, libri, armadj e figure di santi. Finalmente mise su i capitelli, che erano di componimento corintio, l'architrave, il fregio e la cornice intagliati be- nissimo con arpie, trofei, ed altre fantasie.1 Per condurre il qual lavoro , che riuscì ricco e bello a maraviglia, penò Antonio lo spazio di dician- nove anni ; ajutato da Giovanni suo nipote : 2 del quale lavoro tanto si / 1 Ebbene lire 3990, secondo la stima di Fr. Giovanni da Verona, eccellen- tissimo maestro di tarsia. 1 2 Che Giovanni lo ajutasse in questo lavoro, pare che si possa conoscere dalle parole iohannis baptiste discipvlvs (sic), le quali si leggono in uno spec- 412 COMMENTARIO ALLA VITA compiacque, che nel secondo quadrilungo della spalliera ritrasse se stesso da' fianchi in su, di tarsia, con in mano i ferri da intagliare, ponendo in una cartelletta che è sotto queste parole: HOC • EGO • ANTONIVS • BARILIS • OPVS • CJELO • NON • PENICILLO • EXCVSSI • A • D • M • D • II • Ma del coro della cappella di San Giovanni,1 tolto da quel luogo negli ultimi anni del secolo passato, ora non se ne vede che un avanzo dietro l'aitar maggiore della Collegiata di San Quirico in Osenna; ed il ri- tratto del Barili venuto ultimamente nelle mani del signor Marcantonio Bandini Piccolomini, il quale lo ebbe, fra le altre sue anticaglie e rarità, carissimo, è stato dopo la sua morte, insieme con altre cose, venduto. 2 Vero è che Antonio nel detto spazio di diciannove anni, oltre le cose di architettura, di cui abbiamo già ragionato, fece nel 1496 al cardinale Francesco Piccolomini per il prezzo di duemila lire, tutti i banchi ed ogni altro lavoro di legname che andava nella sua libreria del Duomo; e pose ancora l' ornamento di legname alla bella tavola che Raffaello da Firenze aveva nel 1502 dipinta ai frati di Santa Maria degli Angeli, per l'altare maggiore della loro chiesa fuori della Porta Nuova, o Romana.3 Venuto poi l'anno 1503, ed essendo stato creato papa il detto cardinal Piccolo- mini, col nome di Pio III, i Senesi per festeggiare la esaltazione del loro concittadino, fecero, tra le altre cose, a pie del palazzo della Signoria un bellissimo palco di legname, con molti ornamenti lavorati dalla mano di Antonio e da altri maestri. Erano per le case de' gentiluomini senesi alcune altre sue opere, che oggi sono andate disperse; fra le quali sono ricordati, in casa i Savini, due ornamenti a due tavole di Nostra Donna dipinte da Giovanni An- tonio detto il Sodoma. In uno de' quali, che era di gentilissima compo- sizione ed assai elegante, si leggevano in due cartelle queste parole: ANNO • DOMINI • MCCCCCI • ANTONIVS • BARILIS ■ SENENSIS • OPVS (sic). 4 chio, dov'è figurato un giovane. Questo specchio, che era il 12° del coro, è ora uno di quelli che sono nella Collegiata di San Quirico. » 1 II Landi ne fece una esattissima descrizione, la quale fu stampata dal P. della Valle nelle Lettere Senesi, voi. Ili, pag. 323 e seg. 2 Questo ritratto era prima in casa dei Mocenni, poi passò al cav. Antonio Bellanti Piccolomini, in ultimo l'ebbe il pittore Domenico Monti, da cui lo ac- quistò il detto signor Bandini. 3 Intorno a questo pittore ed a questa sua tavola, vedi nel Commentario alla Vita di Raffaellino del Garbo a pag. 243 e segg. 4 Anche di questo è una minutissima descrizione nel Landi, pubblicata dal Della Valle nel voi III, pag. 330 delle sue Lettere Senesi. DI RAFFAELLO DA URBINO 413 Aveva Pandolfo Petrucci fatto togliere nel 1506 e portare più in- dietro verso l'abside, l'aitar maggiore del Duomo di Siena, che secondo l' antico costume de' Cristiani era sotto la cupola : e perche il vecchio coro di legname , intagliato già cenquarant' anni avanti da Francesco del Ton- ghio e da Giacomo suo figliuolo, non si adattava più, per esser tondo, al nuovo sito , ne aveva lasciata una sola parte , donando il rimanente alla chiesa dei frati di San Spirito. Chiamato perciò Antonio a fare l' aggiunta di esso coro, egli in compagnia di Giovanni suo nipote condussela a per- fezione, facendovi molte cose d'intaglio. — t Venuto poi l'anno 1510 fu allogato a' 18 di febbrajo ad Antonio, a Giovanni detto, «d a Giovanni chiamato Castelnuovo, tutto il lavoro di legname intagliato e messo a oro dell'organo e della cantoria 1 sopra le porte della' sagrestia del detto Duomo, che riuscì una cosa assai ricca e bella. 11 qual lavoro fu pagato 3124 lire secondo la stima fattane ai 26 di marzo 1544 da Bartolommeo di Giro- lamo della Massa e da Gio. Batt. Tori, intagliatori di legname. — Fece ancora Antonio, intorno al 1511, per una camera del palazzo del detto Pandolfo, un ornamento tutto di noce,1 nel quale dentro alcuni pilastri che hanno capitelli d'ordine corintio, sono intagliati certi candelabri di vaghissimo componimento, che è uno stupore a vedere la grazia, la va- rietà e l'eleganza che vi mise Antonio, e le difficoltà che dovette vin- cere.2 E nel medesimo anno i monaci della Certosa di Maggiano fuori della Porta Romana diedero a fare a lui ed al suo nipote, per la loro chiesa, il coro di legname, nel quale dovevano andare molte cose d'in- taglio e di tarsia. 11 qual coro da gran tempo non è più. Ma, sebbene fossero stati attorno a questo lavoro per tre anni, essi non 10 condussero a fine, perchè Antonio in questo tempo se ne morì, e Gio- vanni, qual se ne fosse la cagione, partitosi da Siena andò a Roma in- torno al 1514. Dove non corse molto tempo che la sua buona fortuna lo fece conoscere a Raffaello da Urbino, il quale per esser molto innanzi nella grazia di papa Leone aveva facilità grande di favorire appresso di quello gli artefici virtuosi. — t Onde il Papa con Breve del 1° dicembre del 1 Otto pilastri ed altre parti di questo ricco e stupendo lavoro si conservano nella galleria dell'Istituto delle Belle Arti di Siena. 2 Assegnando a questo lavoro la data del 1511 noi abbiamo seguitato il Romagnoli {Biografia degli Artisti Senesi, mss. della Biblioteca di Siena). Ma forse è da anticipare al 1509 o 1510, supponendo, per vedere nelle basi de' pilastri l'arme de' Petrucci inquartata con quella, de' Piccolomuii, che fosse fatto nell'occasione del matrimonio di Borghese Petrucci con Vittoria Piccolomini : 11 che accadde nel 1509. Nondimeno potrebbe anche stare il 1511; se vuoisi che quel lavoro, , come opinano alcuni, abbia servito ad inquadrare gli affreschi di Luca Signorelli e del Pinturicchio fatti per una camera del detto palazzo, non più tardi del 1510. COMMENTARIO ALLA VITA detto anno elesse Giovanni maestro ed operajo del modello di legname della nuova chiesa di San Pietro col salario di cinque ducati al mese, ed" essendo in quei giorni finite le sale Vaticane, state dipinte divinamente da Raffaello, e non vi restando a fare che le porte, le finestre e i palchi di •jegname, furono commessi a Giovanni. — Ne1 quali lavori fece, col disegno di Raffaello, molti ornamenti d'intaglio, e figure assai e prospettive di commesso nei corpi delle porte e negli sportelli delle finestre : le quali cose riuscirono di tanta bellezza, che dalle persone intendenti furono grande- mente lodate; ed egli conosciuto, come veramente era, per uomo raro in quest'arte, e perche era grand' opera, non potè darla finita se non nello spazio di sette anni.1 Finalmente volendo il cardinale de' Medici, che fu poi papa Clemente, mandare in Francia la tavola della Trasfigurazione di- pinta da Raffaello, vi fece fare l'ornamento a Giovanni. Il quale non stette molto, che ricondottosi a Siena visse, per quanto si crede, fino al 1529. Ma per ritornare acl Antonio, essendo pervenuto all'età di anni ses- santatrè, passò di questa vita nel febbrajo del 1516, lasciando di Mad- dalena di Domenico del Rosso sua moglie quattro figliuoli, cioè un ma- schio di nome Domenico e tre femmine, quasi tutti fanciulli. Furono suoi discepoli, Girolamo della Massa, Lorenzo Donati, i detti Giovanni suo nipote e Giovanni di Pietro chiamato Castelnuovo. — i li quale ultimo, fra le altre cose, nel 1511 intagliò un cataletto per la Compagnia di San Michelangelo di dentro; nel 1515 i nuovi cori della Compagnia di San Bernardino; nel 1519 il pergamo grande del Duomo per mostrare le reliquie , insieme colla residenza della Signoria ; acconciò le porte della chiesa di San Giovanni e il Battesimo, e finalmente fece nel 1521 l'or- namento dell1 organo della cappella nel palazzo pubblico. Ed ora, a complemento di quanto abbiamo detto fin qui, crediamo utile dare TAlberetto della famiglia Barili: Antonio Neri i i i i h i Giovanni Andrea Niccolò Pietro Antonio . Caterina ! intagliatore mariti ! ed architetto 1. Giovanni di Giorgio, fabbro Giovanni n. 1453 t 1516 2. Giovanni di Cecco, cerajuolo intagliatore moglie ±►1519 (?) Maddalena di Domenico del Rosso I 1 ì 1 Ippolita Domenico Giulia Virginia i 1555 1 Giovanni, come abbiamo dal Fea (Notizie di Raffaello ecc. ), cominciò a lavorare colla provvisione di 5 ducati al mese, il 1° novembre del 1514 e finì all'ultimo di ottobre del 1521. DI RAFFAELLO DA URBINO 415 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Antonio e di Giovanni Barili 1453, 12 agosto. Nasce Antonio da Neri di Antonio Barili. 1472. Ajuta a fare l'ornamento di legname al cero fiorito del Duomo. 1483, 16 gennajo. Gli è allogato il coro di legname della cappella di San Giovanni in Duomo. 1484. È mandato a rifare la steccaja del ponte di Buonconvento. 1484. Piglia a fabbricare, in compagnia di Francesco di Giorgio Martini, il nuovo ponte di Macereto. 1489, 3 maggio. Sposa Maddalena di Domenico' del Rosso. 1493. Fa diciassette lettiere per l'infermeria nuova dello Spedale di Santa Maria della Scala. 1494- 5. Ya a rivedere il bastione di Valiano. 1495- 96. Fa i banchi per la Libreria Piccolominea in Duomo. 1498-1500. È di nuovo a Montepulciano per conto del bastione di Variano. 1501. Intaglia l'ornamento per un quadro di Nostra Donna ad un gen- tiluomo de'Savini., 1502. Ne lavora un altro alla tavola dipinta da Raffaello da Firenze ai frati di Santa Maria degli Angioli. 1502. Finisce il coro della cappella di San Giovanni. 1503, 27 settembre. In compagnia d'altri maestri fa un palco di legname a pie del Palazzo Pubblico per fesleggiare la esaltazione di Pio III. 1503. Da il disegno e fa il modello della restaurazione delle mura di Talamone. 1505. Lavora gli usci e il palco di legname ad alcune camere nella casa di Sigismondo Chigi. 1506. Gli è data a fare l'aggiunta del coro dietr.0 l'aitar maggiore del Duomo, in compagnia di Giovanni suo nipote. 1510, 18 febbrajo. È allogato a lui, a Giovanni suo nipote e a Giovanni di Pietro detto Castelnuovo, l'ornamento dell'organo e della can- toria del Duomo. 1511. (?) Intaglia una residenza per una camera del palazzo di Pandolfo Petrucci. 1511. (?) Costruisce un mulino sul torrente Tressa, in un luogo chiamato Acqua Befania. 1511, (?) 27 aprile. I monaci della Certosa di Maggiano danno a lavo- rare a lui ed al nipote il coro della loro chiesa. 416 COMMENTARIO ALLA VITA DI RAFF. DA URBINO 1514. Lavora per il Duomo una residenza colla predella regolata di noce e con tarsie. 1514-1521. Giovanni intaglia le porte, le finestre e i palchi di legname delle Sale Vaticane. 1516, 20 febbrajo. Antonio fa testamento, e muore. 1521. (?) Giovanni fa l'ornamento alla tavola della Trasfigurazione. 1529. (?) Muore in Siena. 417 GUGLIELMO DA MAECILLA PITTORE FRANZESE E MAESTRO DI FINESTRE INVETRIATE v Nato nel 1467 ; morto nel 1529 ) In questi medesimi tempi , dotati da Dio di quella maggior felicità che possino aver l'Arti nostre, fiorì Gu- glielmo da Marcilla, franzese; il quale, per la ferma abitazione ed affezione che e' portò alla città d'Arezzo, si può dire se la eleggesse per patria, che da tutti fussi reputato e chiamato Aretino. E veramente de'benefizii che si cavano della virtù, è uno che, sia pure di che strana e lontana regione, o barbara ed incognita nazione quale uomo si voglia, pure che egli abbia lo animo or- nato di virtù, e con le mani faccia alcuno esercizio in- gegnoso, nello apparir nuovo in ogni città dove e' ca- mma, mostrando il valor suo, tanta forza ha l'opera virtuosa, che di lingua in lingua in poco spazio gli fa nome, e le qualità di lui diventano pregiatissime e ono- ratissime. E spesso avviene a infiniti, che di lontano hanno lasciato le patrie loro, liei dare d'intoppo in na- zioni che siano amiche delle virtù e de' forestieri, per buono uso di costumi, trovarsi accarezzati e riconosciuti sì fattamente, eh' e' si scordano il loro nido natio e un altro nuovo s'eleggono per ultimo riposo; come per ul- timo suo nido elesse Arezzo Guglielmo: il quale nella sua giovanezza attese in Francia all'arte del disegno, ed Vasari, Opere. — Voi. IV. 27 418 GUGLIELMO DA MARCILLA insieme con quello diede opera alle finestre di vetro; ' nelle quali faceva figure di colorito non meno unite, che se elle fossero d'una vaghissima ed unitissima pittura a olio. Costui ne1 suoi paesi, persuaso da'prieghi d'alcuni amici suoi, si ritrovò alla morte d'un loro inimico; per la qual cosa fu sforzato nella religione di San Domenico in Francia pigliare l'abito di frate, per essere libero dalla corte e dalla giustizia. E se bene egli dimorò nella religione, non però mai abbandonò gli studj dell'arte; anzi, continuando, gli condusse ad ottima perfezione.1 Fu per ordine di papa Giulio 'II data commissione a Bramante da Urbino di far fare in palazzo molte finestre di vetro. Per che nel domandare che egli fece de' più eccellenti fra gli altri che di tal mestiero lavoravano , gli fu dato notizia d'alcuni che facevano in Francia cose maravigliose; e ne vide il saggio per lo ambasciator francese che negoziava allora appresso Sua Santità, il quale aveva in un telaro per finestra dello studio una figura lavorata in un pezzo di vetro bianco, con infinito numero di colori sopra il vetro lavorati a fuoco. Onde per ordine di Bramante fu scritto in Francia che venis- sero a Roma , offerendogli buone prò visioni.2 Laonde mae- stro Claudio, franzese, capo di questa arte, avuto tal 1 * Della patria e della famiglia di questo artefice non si seppe niente di certo, fino a che il dottor Gaye .non ebbe pubblicato varj documenti tratti dall'Archivio della Cattedrale d'Arezzo. Da quelli apparisce, che il nostro Guglielmo nacque da un Piero Marcillac nel castello di San Michele della diogesi di Verdun; il qual castello è detto, secondo gli Annali benedettini, Saint Michiel sur Mose, dove fu un monastero dei Benedettini; e di più, che la prioria che il Marcillac ebbe iii( Toscana, portava il titolo di San Tebaldo. (Gaye, Carteggio inedito ecc., voi. II, pag. 449). 2 * Intorno all'arte francese della pittura sul vetro, anteriore a Guglielmo, scrissero Pietro Levieil, Art de la peinture sur verre, 1794; Langlois, Essai historique de la peinture sur verre ; Lasteyrie, Histoire de la peinture sitr verre d' après ses monuments en France, Paris, 1856, in-fol, avec 110 plan- ches coloriées à la main et accompagnées d'un teoot du méme format; Gessert, Storia della pittura sul vetro (Geschichte der Glasmalerei) , pag. 84 e 178. I traduttori francesi del Vasari poi errano facendo risalire al ses.to secolo i principi del dipingere sul vetro. (Tomo III, pag. 312). GUGLIELMO DA MARCILLA 419 nuova, sapendo l'eccellenza di Guglielmo, con buone promesse e danari fece sì, che non gli fu difficile trarlo fuor de' frati; avendo egli, per le discortesie usategli, e per le invidie che son di continuo fra loro, più voglia di partirsi, che maestro Claudio bisogno di trarlo fuora. Vennero dunque a Roma,1 e V abito di San Domenico si mutò in quello di San Piero. Aveva Bramante fatto fare allora due fenestre di trevertino nel palazzo del papa, le quali erano nella sala dinanzi alla cappella,2 oggi ab- bellita di fabbrica in volta per Antonio da San Gallo, e di stucchi mirabili per le mani di Parino del Vaga fiorentino ; le quali finestre da maestro Claudio e da Gu- glielmo furono lavorate, ancora che poi per il sacco3 spezzate, per trarne i piombi per le palle degli archi- busi; le quali erano certamente maravigliose. Oltra que- ste ne fecero per le camere papali infinite, delle quali il medesimo avvenne che dell'altre due; ed oggi ancora se ne vede una nella camera del fuoco, di Raffaello,4 sopra torre Borgia; nelle quali sono Angeli che tengono l'arme di Leon X. Fecero ancora in Santa Maria del Popolo due fenestre nella cappella di dietro alla Ma- donna, con le storie della vita di lei; le quali di quel mestiero furono lodatissime.5 E queste opere non meno 1 *La venuta del Marcillac a Roma non si può ben determinare in che anno accadesse : nondimeno , sapendo che egli lavorò colà sotto il pontificato di Giulio II e di Leone X, non pare che sarebbe un andar molto lungi dal vero, se conghiet- turassimo che fosse intorno al 1508. t Era certamente in Roma nel 1509, avendosi un Breve di papa Giulio II del 19 ottobre di quell'anno, col quale è concesso a Fra Guglielmo, ivi detto Marcillac, e non Marcillat come fino ad ora è stato scritto, professo dell'ordine de' Predicatòri nel convento diNevers in Francia, di spogliare, secondo la sua do- manda, l'abito di San Domenico e vestire quello di San Benedetto, o l'altro de' Canonici regolari di Sant'Agostino, Il Breve si conserva nell'Archivio Diplo- matico di Firenze. 2 Cioè nella sala regia. (Bottari). 3 *I1 sacco del 1527. 4 L'incendio di Borgo. 8 *Si può credere che le pitture fatte in questa cappella, come ogni altro ornamento, fossero finite intorno al 1509. Infatti l'Albertini nell'opuscolo altra 420 GUGLIELMO DA MARCILLA gli acquistarono fama e nome, che comodità alla vita. Ma maestro Claudio, disordinando molto nel mangiare e bere, come b costume di quella nazione (cosa pesti- fera all'aria di Roma), ammalò d'una febbre sì grave, che in sei giorni passò all' altra vita. Per che Guglielmo rimanendo solo e quasi perduto senza il compagno, da sè dipinse una fenestra in Santa Maria de Anima, chiesa de' Tedeschi in Roma, pur di vetro; la quale fu cagione che Silvio cardinale di Cortona1 gli fece offerte e con- venne seco, perchè in Cortona sua patria alcune fenestre ed altre opere gli facesse ; onde seco in Cortona lo con- dusse ad abitare:2 e la prima opera che facesse, fu la facciata di casa sua che è volta su la piazza; la quale dipinse 'di chiaro oscuro, e dentro vi fece Crotone e gli altri primi fondatori di quella città. Laonde il cardinale conoscendo Guglielmo non meno buona persona che ot- timo maestro di quella arte, gli fece fare nella pieve di Cortona la fenestra della cappella maggiore; nella quale fece la Natività di Cristo, ed i Magi che l'adorano.3 volta citato dice: Ecclesiae Sanctae Mariae de Populo a Syocto IIII fuit ab. ipsis fundamentis cum claustro instaurata: quam hoc anno tua Sanctitas (Julius II) non degenerans a patruo Syxtos ampliavit, pulcherrimisq-ue pi- cturis et sepulchris cum novis capellis et coemeterio Julio eocornavit. Le due finestre della cappella hanno sei storie per ciascheduna: cioè Maria Vergine che adora il divino Infante; l'Adorazione de' pastori e de' Magi; la Circoncisione; la Fuga in Egitto; e la Disputa coi dottori. Nell'altra finestra sono sei storie della Vita della Madonna, ed in ambedue è l'arme e il nome di papa Giulio. 1 Silvio Passerini. 2 t Della dimora del Priore francese in Cortona abbiamo ricordi dell' anno 1517, da uno de' quali apparisce che egli fosse andato per sue faccende a Roma. 3 * Nella prima di queste finestre è la Vergine che adora Gesù Bambino: due angeli in ginocchio con i ceri accesi pongono in mezzo il divino Infante. San Giu- seppe in disparte contempla quella scena devota insieme ed affettuosa. Appiedi è scritto: Quem genuit adoravit. Nella seconda è l'Adorazione de' Magi. La Vergine è seduta ; il bambino Gesù sta ritto sulle ginocchia di lei , e fa l' atto di benedire i Magi che lo adorano prostrati dinanzi. Di dietro è un numeroso corteggio di fanti e di cavalli. Non si sa quando queste finestre fossero trasportate nel coro della Cattedrale, donde poco tempo dopo furono levate, e vendute ai signori Co- razzi di Cortona, presso i quali presentemente si conservano. (Marchese, Memorie degli artefici Domenicani, tomo I, pag. 474, quarta ediz., 1878). GUGLIELMO DA MARCELLA 421 Aveva Guglielmo bello spirito, ingegno, e grandissima pratica nel maneggiare i vetri, e massimamente nel di- spensare in modo i colori, che i chiari venissero nelle prime figure ed i più oscuri di mano in mano in quelle che andavano più lontane : ed in questa parte fu raro e veramente eccellente. Ebbe poi nel dipignergli ottimo giudizio, onde conduceva le figure tanto unite, che elle si allontanavano a poco a poco per 'modo, che non si appiccavano ne con i casamenti nè con i paesi, e pare- vano dipinte in una tavola o piuttosto di rilievo. Ebbe invenzione e varietà nella composizione delle storie, e le fece ricche e molto accomodate, agevolando il modo di fare quelle pitture che vanno commesse di pezzi di ve- tri; il che pareva, ed è veramente a chi non ha questa pratica e destrezza, difficilissimo. Disegnò costui le sue pitture per le finestre con tanto buon modo e ordine, che le commettiture de' piombi e de' ferri, che attraver- sano in certi luoghi, raccomodarono di maniera nelle congiunture delle figure e nelle pieghe de1 panni, che non si conoscono; anzi davano tanta grazia, che più non arebbe fatto il pennello : e così seppe fare della necessità virtù. Adoprava Guglielmo solamente di due sorti colori per ombrare que1 vetri che voleva reggessino al fuoco: l'uno fu scaglia di ferro, e l1 altro scaglia di rame: quella di ferro nera gli ombrava i panni, i capelli ed i casa- menti; e T altra (cioè quella di rame, che fa tanè), le carnagioni. Si serviva anco assai d' una pietra dura che viene di Fiandra e di Francia, che oggi si chiama lapis aniotica,1 che è di colore rosso e serve molto per brunire l'oro; e pesta prima in un mortaio di bronzo, e poi con 1 * Invece di lapis amotica, che è errore di stampa, si legga lapis amatista, o amatita, o meglio ematite, così detta dal suo color sanguigno, della quale pietra parla anche il Cernimi nel capitolo xlii del suo Trattato della Pittura, ediz. Le Monnier, pag. 42. t Nel 1517 il Marcillac acconciò la finestra di vetro dell' aitar maggiore del- l' oratorio della Confraternita delle Laudi nella chiesa dì San Francesco di Cortona. 422 GUGLIELMO DA MARCILLA un macinello di ferro sopra una piastra di rame o d1 ot- tone, e temperata a gomma, in sul vetro fa divinamente. Non aveva Guglielmo, quando prima arrivò a Roma, se bene era pratico nell'altre cose, molto disegno; ma co- nosciuto il bisogno, se bene era in là con gli anni, si diede a disegnare e studiare; e così a poco a poco le migliorò, quanto si vide poi nelle finestre che fece nel palazzo del detto cardinale in Cortona,1 ed in quell'altro di fuori, ed in un occhio che è nella detta pieve, sopra la facciata dinanzi a man ritta entrando in chiesa, dove è l'arme di papa Leone X; e parimente in due finestre piccole, che sono nella compagnia del Gesù; in una delle quali è un Cristo, e nell'altra un Santo Onofrio: le quali opere sono assai differenti e molto migliori delle prime. Dimorando dunque, come si è detto, costui in Cortona, morì in Arezzo Fabiano di Stagio Sassoli aretino, stato buonissimo maestro di fare finestre grande. Onde avendo gli Operai del vescovado allogato tre finestre che sono nella cappella principale, di venti braccia l'una, a Stagio figliuolo del detto Fabiano e a Domenico Pecori pittore, quando furono finite e poste ai luoghi loro, non molto sodisfecero agli Aretini, ancora che fossero assai buone e piuttosto lodevoli che no.2 Ora avvenne che andando 1 *I1 conte Tommaso Passerini possiede due finestre, che forse sono di quelle che il Marcillac fece pel palazzo del cardinale. Sono esse divise in quattro spor- telli dell'altezza di due palmi e mezzo. In ciascuno sportello è una figura simbo- lica: cioè la Prudenza, la Fortezza, la Temperanza, e la Giustizia. Ma sono tanto guaste, che quasi non si conoscono più. (Marchese, Memorie degli artefici Domenicani, tom. I, pag. 475, ediz. del 1878). 2 *Ai 23 di agosto del 1513, gli Operaj della Cattedrale d'Arezzo allogarono a Domenico di Pietro di Vanni Pecori, ed a Stagio di Fabiano di Stagio tutte le figure di vetro , con i loro ornamenti , che andavano nella finestra di mezzo e nel fincstrato della loro chiesa. Di più approvarono per buone e sufficienti le figure di San Stefano e di San Laurentino già da essi fatte ; ma in quanto alla Nunziata e alla Madonna, vollero che fossero levate, e rifatte di miglior proporzione e foggie. Finalmente nel 25 di aprile 1515, i detti Operaj diedero a finire al Pecori le due finestre che erano a mano destra ed a mano sinistra dell' altare maggiore. (Gaye, voi II, pag. 446-449). . GUGLIELMO DA MARCILLA 423 in quel tempo messer Lodovico1 Bellichini, medico ec- cellente e de' primi che governasse la città d'Arezzo, a medicare in Cortona la madre2 del detto cardinale, egli si dimesticò assai col detto Guglielmo; col quale, quando tempo gli avanzava, ragionava molto volentieri: e Gu- glielmo parimente, che allora si chiamava il Priore per avere di que' giorni avuto il beneficio d'una prioria, 3 pose affezione al detto medico. Il quale un giorno do- mandò Guglielmo se, con buona grazia del cardinale, anderebbe a fare in Arezzo alcune finestre; ed avendogli promesso, con licenza e buona grazia del cardinale là si condusse. Stagio dunque, del quale si è ragionato di sopra, avendo divisa la compagnia con Domenico, rac- cettò in casa sua Guglielmo; il quale, per la prima opera, in una finestra di Santa Lucia, cappella degli Albergotti nel vescovado d'Arezzo, fece essa Santa ed un San Sal- vestro tanto bene, che questa opera può dirsi veramente fatta di vivissime figure e non di vetri colorati e tra- sparenti, o almeno pittura lodata e maravigliosa : per- chè, oltre al magisterio delle carni, sono squagliati i vetri, cioè levata in alcun luogo la prima pelle, e poi colorita d'altro colore; come sarebbe a dire, posto in sul vetro rosso squagliato opera gialla, e in su l'azzurro bianca e verde lavorata; la qual cosa in questo mestiero è difficile e miracolosa. Il vero, dunque, e primo colo- rato viene tutto da uno de' lati; come dire il colore rosso, azzurro, o verde; e l'altra parte, che è grossa quanto il taglio d' un coltello o poco più, bianca. Molti per paura di non spezzare i vetri, per non avere gran pratica nel maneggiargli, non adoperano punta di ferro per squa- gliarli; ma in quel cambio, per più sicurtà, vanno in- 1 t Madonna Margherita moglie di Rosato di messer Mariotto Passerini e madre del cardinale. 2 "Leggi: Guillichini. 3 *Vedi in fine della nota 1 a pag. 418. m 424 GUGLIELMO DA MARCILLA cavando i detti vetri con una ruota di rame, in cima un ferro; e così a poco a poco tanto fanno con lo sme- riglio, che lasciano la pelle sola del vetro bianco, il quale viene molto netto. Quando poi sopra detto vetro rimaso bianco si vuol fare di colore giallo, allora si dà, quando si vuole metter a fuoco a punto per cuocerlo, con un pennello d'argento calcinato, che è un colore si- mile al bolo, ma un poco grosso; e questo al fuoco si fonde sopra il vetro, e fa che scorrendo si attacca, pe- netrando a detto vetro, e fa un bellissimo giallo: i quali modi di fare niuno adoperò meglio ne con più artifìcio ed ingegno del priore Guglielmo. Ed in queste cose con- siste la difiìcultà: perchè il tignere di colori a olio, o in altro modo, è poco o niente, e che sia diafano e traspa- rente non è cosa di molto momento, ma il cuocergli a fuoco, e fare che regghino alle percosse dell'acqua e si conservino sempre, è ben fatica degna di lode. Onde questo eccellente maestro merita lode grandissima, per non essere chi in questa professione, di disegno, d'in- venzione, di colore e di bontà, abbia mai fatto tanto. Fece poi l'occhio grande di detta chiesa, dentro vi la venuta dello Spirito Santo, e così il battesimo di Cristo per San Giovanni; dove egli fece Cristo nel Giordano che aspetta San Giovanni, il quale ha preso una tazza d'acqua per battezzarlo, mentre che un vecchio nudo si scalza e certi Angeli preparano la veste per Cristo, e sopra è il Padre che manda lo Spirito Santo al Figliuolo. Questa finestra è sopra il Battesimo in detto Duomo, nel quale ancora lavorò la finestra della Resurrezione di Lazzaro quattriduano, dove è impossibile mettere in sì poco spazio tante figure ; nelle quali si conosce lo spa- vento e lo stupire di quel popolo, ed il fetore del corpo di Lazzaro, il quale fa piangere ecl insieme rallegrare le due sorelle della sua resurressione. Ed in questa opera, sono squagliamenti infiniti di colore sopra colore nel ve- GUGLIELMO DA MARCILLA 425 tro, e vivissima certo pare ogni minima cosa nel suo genere. E chi vuol vedere quanto abbia in quest' arte potuto la mano del Priore nella finestra di San Matteo sopra la cappella di esso Apostolo, guardi la mirabile invenzione di questa istoria, e vedrà vivo Cristo, chia- mare Matteo dal banco che lo seguiti; il quale, aprendo le braccia per riceverlo in se, abbandona le acquistate ricchezze e tesori: ed in questo mentre un Apostolo ad- dormentato appiè di certe scale si vede essere svegliato da un altro con prontezza grandissima, e nel medesimo modo vi si vede ancora un San Piero favellare con San Giovanni, sì belli l'uno e l'altro, che veramente paiono divini. In questa finestra medesima sono i tempj di pro- spettiva, le scale e le figure talmente composte, ed i paesi sì propri fatti, che mai non si penserà che sien vetri, ma cosa piovuta da cielo a consolazione degli uo- mini.1 Fece in detto luogo la finestra di Santo Antonio e di San Mccolò, bellissime,2 e due altre; dentro vi, nel- l'una la storia quando Cristo caccia i vendenti del tem- pio, e nell'altra l'adultera: opere veramente tutte te- nute egregie e maravigliose.3 E talmente furono di lode, di carezze e di premj le fatiche e le virtù del Priore dagli Aretini riconosciute, ed egli di tal cosa tanto con- tento e sodisfatto, che si risolvette eleggere quella città per patria, e di franzese che era, diventare aretino. Appresso, considerando seco medesimo l'arte de' vetri essere poco eterna , per le rovine che nascono ognora in 1 *I finestroni sopradescritti sussistono ottimamente conservati. 2 Ivi è ora la cappella del Battistero ; e non vi sono più le opere del Priore. 3 * Gli Operaj del vescovado di Arezzo allogarongli a fare, nel 31 di ottobre del 1519, tre finestre di vétro: cioè una sopra la cappella di San Francesco, un'altra sopra quella di San Mattio, e la terza sopra quella di San Niccolò , per il prezzo di lire quindici il braccio. Nel 31 di dicembre del 1520 gli sono pagati, per ogni finestra, ducati 180. Parimente, nel 1° giugno del 1520, gli sono com- messe altre due finestre; una sopra l'altare di San Francesco, e l'altra sopra il Battesimo. Nel 3 di marzo del 1524 ha lire 600 per le due storie dell'Adultera, e della Flagellazione alla colonna. (Gaye, voL II, pag. 449-450). 426 GUGLIELMO DA M ARGILLA tali opere, gli venne desiderio di darsi alla pittura; e così dagli Operai di quel vescovado prese a fare tre gran- dissime volte a fresco, pensando lasciar di se memoria: 1 e gli Aretini, in ricompensa, gli fecero dare un podere ch'era della fraternità di Santa Maria della Misericor- dia, vicino alla terra, con bonissime case, a godimento della vita sua; e volsero che finita tale opera, fosse sti- mato per uno egregio artefice il valor di quella, e che gli Operai di ciò gli facessino buono il tutto. Per che egli si mise in animo di farsi in ciò valere, ed alla si- militudine delle cose della cappella di Michelagnolo, fece le figure per V altezza grandissime. E potè in lui talmente la voglia di farsi eccellente in tale arte , che ancora che ei fosse di età di cinquantanni, migliorò di cosa in cosa di modo , che mostrò non meno conoscere ed intendere il bello, che in opera dilettarsi contrafare il buono. 2 Figurò i principj del Testamento nuovo, come nelle tre grandi il principio del vecchio aveva fatto: onde per questa cagione voglio credere che ogni ingegno che ab- bia volontà di pervenire alla perfezione, possa passare (volendo affaticarsi) il termine d'ogni scienza. Egli si spaurì bene nel principio di quelle, per la grandezza, e per non aver più fatto: il che fu cagione ch'egli mandò a Roma per maestro Giovanni franzese miniatore; il quale venendo in Arezzo, fece in fresco sopra Santo Antonio uno arco con un Cristo, e nella Compagnia il segno che si porta a processione , che gli furono fatti lavorare dal Priore; ed egli molto diligentemente gli condusse.3 In 1 *Nel maggio del 1524 aveva egli già dipinte due volte, le quali furono sti- mate 400 ducati da Ridolfo del Ghirlandai o. E nel 10 d'ottobre del 1526 gli vennero allogate altre sei volte, cioè: « quelle pichole che al presente non sono dipinte, « col campo d'oro fino e colori fini e altri ornamenti, per prezzo di ducati 70 a lire 7 « per ciascheduno ducato ». (Gaye, voi. II, pag. 450). 2 Anche queste pitture si sono conservate. 3 II segno della Compagnia di Sant'Antonio fu copiato da quello già dipinto sul drappo da Lazzaro Vasari. Vedi nel tom. II, pag. 555 e seg. GUGLIELMO DA MARCILLA 427 questo medesimo tempo fece alla chiesa di San Fran- cesco l'occhio della chiesa nella facciata dinanzi,1 opera grande ; nel quale finse il papa nel concistoro e la resi- denza de1 cardinali, dove San Francesco porta le rose di gennaio, e per la confermazione della regola va a Roma: nella quale opera mostrò quanto egli de1 componimenti s' intendesse ; che veramente si può dire , lui esser nato per quello esercizio. Quivi non pensi artefice alcuno di bellezza, di copia di figure ne di grazia giamai parago- narlo. Sono infinite opere di finestre per quella città, tutte bellissime: e nella Madonna delle Lagrime l'occhio grande con l'Assunzione della Madonna e Apostoli, ed una d' un' Annunziata bellissima ; 2 un occhio con lo Spon- salizio, ed un altro dentro vi un San Girolamo per gli Spadari. Similmente giù per la chiesa tre altre finestre; 3 e nella chiesa di San Girolamo, un occhio con la Nati- vità di Cristo, bellissimo; ed ancora un altro in San Rocco.4 Mandonne eziandio in diversi luoghi, come a . 1 Si conserva sempre in ottimo stato. 2 *La Madonna delle Lagrime è nella chiesa della SS. Annunziata. Le finestre qui descritte esistono tuttavia. ± L' occhio di vetro con lo Sposalizio di Maria Vergine fu allogato al Mar- cillac per il prezzo di lire sedici al braccio dagli Operaj della Confraternita della Nunziata d Arezzo a' 29 d'ottobre 1525. Il maestro si obbligò di aver compiuto e messo su il lavoro per il prossimo Natale. Agli 8 dello stesso mese gli Operaj suddetti gli stanziarono trentanove lire per le figure ed altri ornamenti fatti da lui e da' suoi garzoni intorno alla grande finestra di vetro. (Archivio di Stato di Firenze. Confraternita della Nunziata d'Arezzo, libro di Partiti dal 1517 al 1550 a c. 62 tergo). 3 Queste non vi si veggono più. 4 *Fra le opere di vetro del Marcillac il Vasari dimenticò le finestre circo- lari, o gli occhi, della chiesa della Madonna del Calcinajo, a un miglio da Cor- tona. Feceli intorno al 1517 , ed erano : nèh" occhio posto in cima alla croce della chiesa, Maria Vergine assunta in cielo, con ai lati san Giovanni Evangelista e san Girolamo ; nel 2°, sopra l' altare della Concezione , la Visitazione ; nel 3°, so- pra l'altare de' Magi, l'Epifania. Ma di questi, nuli' altro resta che la memoria conservataci dal padre Costantino Ghini. Esistono tuttavia i seguenti: nel 4° oc- chio, Nostra Donna in piedi che raccoglie sotto il suo manto pontefici, impera- tori, re, cardinali, religiosi e secolari: con in basso le armi Ridolfini. E nei finestroni: il Salvatore in quello della Concezione; Sant'Onofrio nell'altro del 428 GUGLIELMO DA MARCILLA Castiglion. del Lago, ed a Fiorenza a Lodovico Capponi una per in Santa Felicita,1 dove è la tavola di Iacopo da Puntormo pittore eccellentissimo, e la cappella lavo- rata da lui a olio in muro ed in fresco ed in tavola : la quale finestra venne nelle mani de1 frati Giesuati, che in Fiorenza lavorano di tal mestiere; ed essi la scom- messero tutta per vedere i modi di quello, e molti pezzi per saggi ne levarono, e di nuovo vi rimessero; e final- mente la mutarono di quel ch'ella era. Yolse ancora colorire a olio; e fece in San Francesco d'Arezzo, alla cappella della Concezione, una tavola, nella quale sono alcune vestimenta molto bene condotte, e molte teste vivissime e tanto belle, che egli ne restò onorato per sempre; essendo questa la prima opera che egli avesse mai fatta ad olio. Era il Priore persona molto onorevole, e si dilettava cultivare ed acconciare. Onde avendo compero un bel- lissimo casamento, fece in quello infiniti bonificamenti: e come uomo religioso, tenne di continuo costumi bo- nissimi;, ed il rimorso della conscienza per la partita che fece da' frati lo teneva molto aggravato. Per il che a San Domenico d'Arezzo, convento della sua religione, fece una finestra alla cappella dell'aitar maggiore, bellissima; nella quale fece una vite eh' esce di corpo a San Dome- nico, e fa infiniti Santi frati, i quali fanno lo albero della religione; ed a sommo è la Nostra Donna, e Cristo che sposa Santa Caterina Sanese; cosa molto lodata e di Crocifìsso; in quello sopra la porta d'occidente, San Paolo; Sant' Jacopo in quello dell'Assunta; neh' altro di faccia, San Sebastiano; in quello della Natività di Gesù Cristo, San Rocco. Gli altri finestroni, e particolarmente quelli della cupola, hanno i vetri lavorati a mandorle, o a scacchi; non avendo potuto il Marcillac, per altri lavori commessigli, ritornare a perfezionare l'opera sua. (Pinucci, Memorie {sto- riche della chiesa del Calcinajo, pag. 140-142). 1 t Questa, che era in una cappella privata del palazzo Capponi delle Rovi- nate, oggi si vede nel Museo Nazionale di Firenze. Essa è ben conservata, e rappresenta Gesù morto portato al sepolcro. GUGLIELMO DA MARCILLA 429 gran maestria, della quale non volse premio, parendoli avere molto obligo a quella religione. Mandò a Perugia in San Lorenzo una bellissima fine- stra,1 ed altre infinite in molti luoghi intorno ad Arezzo. E perchè era molto vago delle cose d'architettura, fece per quella terra a' cittadini assai disegni di fabbriche e di ornamenti per la città, le due porte di San Rocco di pietra, e l' ornamento di macigno che si mise alla tavola di maestro Luca2 in San Girolamo. Nella badia a Ci- priano d'Anghiari ne fece uno, e nella compagnia della Trinità alla cappella del Crocifisso un altro ornamento, ed un lavamani ricchissimo nella sagrestia: i quali Santi scarpellino condusse in opera perfettamente. Laonde egli che di lavorare sempre aveva diletto, continuando il verno e la state il lavoro del muro, il quale chi è sano fa di- venire infermo, prese tanta umidità, che la borsa de' gra- nelli si gli riempiè d' acqua talmente, che foratagli da' me- dici, in pochi giorni rese l'anima a chi gliene aveva donata; e come buon cristiano, prese i sacramenti della chiesa, e fece testamento. Appresso, avendo speziale di- vozione nei romiti Camaldolesi, i quali vicino ad Arezzo venti miglia sul giogo d'Apennino fanno congregazione, lasciò loro l'avere ed il corpo suo; ed a Pastorino da Siena suo garzone, ch'era stato seco molti anni, lasciò i vetri e le masserizie da lavorare ed i suoi disegni, che n'è nel nostro Libro una storia, quando Faraone som- mergie nel mar Rosso. Il Pastorino ha poi atteso a molte altre cose pur dell'arte, ed alle finestre di vetro, an- cora che abbia fatto poi poche cose di quella profes- 1 t Fece ancora maestro Guglielmo in Perugia un' altra finestra di vetro per la cappella Belli in San Domenico intitolata a San Lorenzo. E con strumento de' 14 luglio 1529 si allogò coi frati di quel convento a fare un occhio di vetro, colla storia dell'ultima Cena, e della istituzione della Eucarestia. Il qual lavoro «gli neppure incominciò per essersi morto quattordici giorni dopo. 2 *Cioè, Luca Signorelli. Vedi tom. Ili, a pag. 692. 430 GUGLIELMO DA MARCILLA sione.1 Lo seguitò anco molto un Maso Porro, cortonese, che valse più nel commetterle e nel cuocere i vetri, che nel dipignerle. Furono suoi creati Battista Borro aretino,2 il quale delle fenestre molto lo va imitando ; ed insegnò i primi principj a Benedetto Spadari ed a Giorgio Vasari aretino.3 Visse il Priore anni lxii, e morì Tanno mdxxxyii.* Merita infinite lodi il Priore, da che per lui in Toscana è condotta l' arte del lavorare i vetri con quella maestria e sottigliezza che desiderare si puote: e perciò sendoci stato di tanto beneficio , ancora saremo a lui d' onore e d'eterne lode amorevoli, esaltandolo nella vita e nel- l'opere del contino vo. 1 * Avendo raccolto notizie piuttosto abbondanti e nuove intorno al Pasto- rino, le abbiamo ordinate nel Commentario che vien dopo questa Vita. 2 ± Battista di Lorenzo Borro morì in Firenze il 14 luglio 1553 e fu sepolto in Santa Maria Nuova. Abbiamo memoria che il 2 agosto 1546 pigliò dai monaci di Badia di Firenze - a riattare due grandi finestre di vetro che erano in testa della loro chiesa. ■ 3 *Fra gli scolari del Priore nell'arte di comporre finestre di vetro colorite, è da mettere ancora Michelangelo Urbani da Cortona, del quale lo stesso Vasari, che in questa Vita aveva occasione di parlarne e noi /a, discorre in una sua let- tera,, raccomandandolo, come pittore e maestro di finestre, al vescovo di Cortona, Girolamo Gaddi. 4 t Maestro Guglielmo fece testamento ai 30 luglio 1529 essendo sanus mente licet corpore languens, rogato da ser Tommaso Romani notajo aretino. E che egli morisse nel medesimo giorno è provato dalla dichiarazione e promessa fatta il giorno dopo da Stagio di Fabiano Stagi per mano del suddetto notajo , cioè di condurre a fine il lavoro della tavola di San Francesco , per il quale il Marcillac aveva fatto un legato allo Stagi. Il testamento fu pubblicato nel Giornale degli Archivi Toscani, anno 1859, voi III, pag. 151. Se dunque non è dubbio che il Marcillac morì il 30 luglio 1529, e nella età di anni 62 secondo il Vasari, la sua nascita accadde nel 1467 e non nel 1475. 431 PROSPETTO CRONOLOGICO 1 DELLA VITA E DELLE OPERE DI GUGLIELMO MARCILLAC 1467. Nasce in Francia da Pietro de Marcillac nel castello di Saint-Michel sur Meuse della diocesi di Verdun. 1508. (?) Viene in Italia e va a Roma. 1509, 19 ottobre. Con Breve di papa Giulio II gli è concesso d'uscire dalP ordine di San Domenico , e vestire l' abito di San Benedetto o di Sant'Agostino. 1509. Lavora le finestre di vetro del palazzo Vaticano in compagnia di maestro Claudio francese. 1516-17. Dimora in Cortona ed in questo tempo lavora pel card. Passerini e per la Confraternita delle Laudi in San Francesco. 1517. Comincia le vetrate de'finestroni che sono sopra gli altari e i quattro occhi della chiesa della Madonna del Calcinajo. 1519, 31 ottobre. Gli sono allogate tre finestre di vetro nella Cattedrale d'Arezzo. 1522, 1° giugno. Gli sono date a fare due altre finestre pel detto Duomo, l'una sopra l'altare di San Francesco , e l'altra sopra il Battesimo. 1524, Ha già dipinte due volte della detta chiesa stimate da Rodolfo del Ghirlandajo. 1525, 29 ottobre. Gli Operaj della Compagnia della Nunziata d'Arezzo gli allogano l'occhio di vetro, collo Sposalizio di Maria Vergine, per la loro cappella. 1526, 10 ottobre. Piglia a dipingere sei volte piccole dello stesso Duomo. 1529, 14 luglio. I frati di San Domenico di Perugia gli danno a fare per la loro chiesa un occhio di vetro colla storia dell' ultima Cena, che non eseguì, per esser morto dopo poco tempo. 1529, 30 luglio. Fa testamento in Arezzo. 1529, 30 luglio. Muore ed è sepolto nell'eremo di Camaldoli. 433. COMMENTARIO ALLA. Vita di Guglielmo Marcillac Di Pastorino Pastorini, senese, pittore, maestro di vetro, di conj e di medaglie, -nato nel 1508 (?) morto nel 1592. Avendo un Giovan Michele d'Andrea de' Pastorini, calzolaio del Ponte di Pontremoli , abbandonato nella prima gioventù la casa sua in cerca di miglior fortuna, dopo essere andato attorno per molti luoghi, capitò finalmente ad una terra in quel di Siena, chiamata Castelnuovo della Berardenga; dove piacendogli non meno la natura del paese, che i co- stumi di quegli uomini, deliberò di fermarsi. Quivi attendendo coli' arte sua a campare la vita, non istette molto, che menò per sua donna una Ginevra figliuola di Lorenzo di Antonio de' Calvati, lavoratore di terra. Ma di lì a qualche tempo essendosi la Ginevra infermata gravemente, passò di questa vita senza avergli fatto figliuoli: onde Giovan Michele, rimasto un'altra volta solo, non avendo nessuno per se che la roba sua e lui stesso governasse, fu forzato di prendere nuovamente moglie. Per la qual cosa posti gli occhi sur una tal Francesca di Lorenzo, calzolajo, fan- ciulla buona e costumata, chiesela al padre suo; ed ottenutala, se la con- dusse allegramente a casa. La qual Francesca gli partorì due figliuoli maschi, al primo de' quali pose nome Pastorino, ed al secondo Guido. E già avea Pastorino passati i primi anni della fanciullezza, quando fu condotto dal padre in Arezzo, e presentato, per acconciarlo con lui, a maestro Guglielmo- di Marcillac che allora lavorava di finestre di vetro nella chiesa del Vescovado di quella città. E maestro Guglielmo assai vo- lentieri lo prese con se : e conosciutolo d' ingegno pronto e voglioso d'apprendere, gli pose tanto amore, che gì' insegnò, oltre il disegno, anche tutto quello che sapeva dell'arte sua di cuocere i vetri, e di com- Vasari, Opere. — Voi. IV. 28 434 COMMENTARIO ALLA VITA porne finestre. Onde ben presto Pastorino, fattosi molto sufficiente in quell'esercizio, fu d' ajuto non piccolo a maestro Guglielmo ne' diversi la- vori che ebbe a fare. Dipoi avendo il Marcillac tralasciato il fare di vetro, per darsi tutto al dipingere in fresco , volle che Pastorino anche quest' arte apprendesse. Così lavorarono insieme nel Vescovado d'Arezzo ; quando essendo maestro Guglielmo caduto in quella grave infermità per la quale poi morì, fece testamento ai 30 di luglio del 1529, nel quale, dopo aver chiamato alla sua eredità l' eremo di Camaldoli, lasciò tutte le masserizie dell'arte del vetro a Pastorino, coli' obbligo a lui ed a Stagio di Fabiano Sassoli are- tino , parimente suo discepolo , di mettere a oro tutto l' ornamento della cappella di San Francesco d'Arezzo, allogata più tempo fa al . Marcillac. Il che avendo essi fatto, nè essendovi per allora altro da lavorare, pensò Pastorino di partirsi d'Arezzo, ed andare a Siena, dove allora abitavano i suoi. Quivi non andò molto che la fortuna gli diede occasione di far co- noscere quanto si fosse fatto valente e pratico nell'arte del vetro: im- perciocché avendolo l'Operajo del Duomo, che a quei tempi era messer Francesca Tolomei, messo a fare come per pruova, nel 1531, una finestra di vetro che doveva andare nella sagrestia; Pastorino vi fece un sant' An- sano, tanto bello e ben fatto che fu di grande sodisfazione non solo al- l' Opera,] o, ma a quanti ebbero modo di veder la sua bella maniera in quest'arte, tanto diversa e migliore di quella dei vecchi maestri. Pari- mente rifece, nel 1532, pel Duomo due mezze finestre di vetro a occhi, e ne dipinse altre quattro. E nell' anno seguente mise nella cornice grande e negli spazj degli archetti che posano sulle colonne del bel pergolo di marmo, che tre secoli innanzi aveva scolpito Niccola da Pisa, un fregetto di cristallo brustato d'oro. Finalmente essendo guaste in gran parte e rotte le finestre della navata di mezzo, e le tre che sono a capo al coro, Pastorino le riattò tutte, nel 1533. Venuto poi il 1536 ed apparecchiandosi i Senesi a ricevere nella loro città con ogni maggior dimostrazione d'affetto, con archi trionfali e lu- minarie, Carlo V imperatore, commisero a Pastorino di rifare di vetro tutte le finestre del palazzo de' Petrucci destinato dalla Signoria per abi- tazione di quella Maestà : e nell' anno dipoi gli fu dato a racconciare pel Duomo due angeli di vetro ad una finestra, ed a rifarne un'altra ac- canto all'organo nuovo. Dopo questo tempo non abbiamo di Pastorino altra memoria fino al 1541, nel qual anno egli andò a Roma chiamatovi, come è fama, da Perino del Vaga, il quale facendo allora per commissione di Paolo III l'ornamento di stucchi della sala regia in Vaticano, propose Pastorino al Pontefice per le finestre di vetro di quella sala, disegnate dal detto DI GUGLIELMO MARCILLAC 435 Perino. Ond' egli messovi mano le condusse a fine nel 1545 con molta sua lode e con grande soddisfazione del Pontefice; il quale volle nell'anno seguente che racconciasse le finestre di vetro della chiesa di San Marco, e rifacesse quelle delle stanze di monsignor Sacrista in Vaticano. E mentre che Pastorino stette in Roma lavorò ancora alla Duchessa d' Urbino un qua- dretto di vetro con varie figurette per ornamento ad una sua lettiga.1 Ritornato Pastorino a Siena verso il finire del 1548, gli fu commessa pel Duomo della città un'opera grandissima di vetro, che è la sola per- venuta fino a noi delle molte fatte da lui in sua vita. Erano già trascorsi più di cento anni che messer Giovanni Borghesi, Operajo del detto Duomo, aveva allogato a un ser Gasparre di Gio- vanni, prete da Volterra, a fare l'occhio di vetro della facciata, dentro vi l'Annunziata, e quando Nostra Donna sale in cielo, ed è incoronata dal suo divino Figliuolo : ma per essere questa cosa sentita molto mal volen- tieri dai cittadini, parendo loro che quell'occhio di vetro dovesse arrecare mancamento di luce alla chiesa; messer Giovanni, persuaso anche dal contrario parere de' suoi consiglieri, ne aveva levato il pensiero; onde il Duomo era rimasto senza quel necessario compimento. Ma venuto al go- verno di quella chiesa messer Azzolino Cerretani, e parendogli che tal difetto tornasse in vergogna dell' Operajo ed ih danno di un tempio così ornato e compito in ogni altra sua parte, si risolvè di rimediarvi. Perla qualcosa avuto Pastorino, pattuì con lui, ai 7 di febbrajo del 1549, che nello spazio di certo termine dovesse aver fatto di vetro l'occhio della detta facciata. Cominciò dunque Pastorino quel lavoro grandissimo, e dei maggiori che egli mai facesse, ma o per la natura sua capricciosa o per aver egli altre cose alle mani, lo tirava innanzi con molto stento e fatica: e siccome messer Azzolino, veduta la lentezza sua, eragli tutto dì a' fianchi sollecitandolo ; così Pastorino , dopo aver menato l' Operajo per qualche tempo in lungo con parole, presa a noja quell'opera, deliberò, fuggendosi di cheto dal Duomo e dalla città , di lasciarla a quel modo non finita. Ma il Cerretani, che prudente ed avveduto uomo era, sospettando di qualche mala intenzione in lui, fecelo, quando meno pensava, pi- gliare dai birri della corte, e sostenere a sua istanza nelle pubbliche carceri. Dalle quali non potè egli uscire, se non promettendo di avere nello spazio di cinque mesi condotto a perfezione e messo su l'occhio predetto. Dove rappresentò, quando Nostro Signore ragunati gli Apostoli nell' ultima cena istituì il sacramento dell' Eucaristia ; nel quale sono bel- lissime considerazioni così nel modo di comporre e del legare fra loro 1 f Dobbiamo queste notizie alla cortesia del signor Eugenio Muntz francese, erudito illustratore della storia delle arti nella corte de' papi in Roma. 430 COMMENTARIO ALLA VITA i varj pezzi di vetro , come nel dare ad essi i colori tanto vivi e così bene degradati e sfumati, che anche oggi, dopo trecent' anni , appariscono come nuovi. E nel fondo della storia, tirato ad architettura, pose in un pilastro una targa coli' arme del Comune e della Libertà; e sotto, quella di messer Azzolino Cerretani con queste parole: azzolino • cerretano • virginia • hvivs • templi • ^ditvo • a. mdxl vini. E poi il nome suo in questa forma : OPVS FECIT • PASTORINVS. Con scrittura del 20 di dicembre 1549 avevano gli Ufficiali della Mercanzia allogato a Pastorino l' ornamento di pitture e di stucchi delle tre volte della loro Loggia, per il prezzo di cencinquanta scudi d'oro. Ma essendo passati già più di due anni, e non avendo egli compiuto altro che l' ornamento della prima di esse volte , sebbene fossegli stato fatto quasi l' intiero pagamento della detta somma ; era stato per decreto degli Uffìziali preso, e messo strettamente in carcere. Onde Pastorino fu costretto di promettere , facendogli sicurtà Guido suo fratello e pittore anch1 esso di vetro, di rilasciare il resto del lavoro non ancora fatto, e di restituire il di più del denaro che avesse ricevuto ; contentandosi che della pittura della prima vòlta gli fossero pagati, com' era di patto, solamente cinquanta scudi d'oro, o quel più che gli toccasse per stima dì due uomini comuni. Nella qual volta fece Pastorino dentro un ovato che è in mezzo di ciascuno spic- chio, una figura allegorica; delle quali, per essere le altre guaste, oggi non si conoscono che la Giustizia e la Verità, la quale è figurata per una donna ignuda che ha sul petto un cuore acceso. Riempì dipoi tutto il campo eli essi spicchi con molti ornamenti di grottesche e di- stucchi assai vaghi e capricciosi; scrivendo in due cartellette queste parole: mens. mah. m. d. lii. , per dinotare che nel maggio del 1552 aveva egli finito quel lavoro. Le altre due volte che restavano, diedero poi gli Ufficiali a dipingere, nel 1553 e nel 1563, a Lorenzo di Cristoforo detto il Rustico, pittore senese. Era Pastorino d'ingegno molto capriccioso, e facilmente gli riusciva ogni cosa che si mettesse a fare: ond'egli cominciò a lavorare di stucco e di cera colorita ritratti di tutto rilievo, o in medaglie: poi crescendogli colla pratica che andava acquistando, anche la voglia di tentare maggiori difficoltà, si pose a far medaglie e conj d'acciajo, ritraendo molte belle donne senesi e di altri luoghi; ed oggi ancora se ne veggono molti piombi e medaglie, le quali sono fatte con sì bella grazia e con tanta arte, che fanno conoscere Pastorino per maestro eccellentissimo e dei migliori che avesse allora l'Italia in questo esercizio.1 1 Vuole il Cicognara che certe medaglie di piombo da lui possedute, nelle quali sono ritratte donne di alto grado o chiare per bellezza, siano di mano di Giovan Paolo Poggini. Noi al contrario affermiamo che gran parte di esse me- DI GUGLIELMO MARCILLAC 437 t Fino dal 1552 aveva il duca Ottavio Farnese trasportato in Parma la sua zecca e datala a condurre ad Angelo Fraschini senese , chiamandovi per maestro e intagliatore delle stampe delle monete il nostro Pastorino, forse messogli innanzi dal detto Fraschini suo compatriotto. Mentre Pasto- rino attendeva a questo suo esercizio, dimorando d'ordinario in Reggio, fece tra l' altre cose di quel mestiero il conio d' una moneta o medaglia che era della grandezza di tre giuli, nella quale rappresentò la storia di Muzio Scevola. Ma in questo mezzo egli non tralasciava, se gliene ve- nisse il destro e l' occasione, il suo diletto lavoro de' ritratti di stucco : ed uno ne fece in medaglia a Paolo Vitelli, stimato da lui la migliore sua cosa in questo genere, e lo mandò a regalare al duca Ottavio insieme col ritratto di questo, parimente in medaglia di stucco colorito.1 * Stette Pastorino ai servigj del Farnese sino al 1554. Dopo il qual anno condottosi a Ferrara, ebbe il medesimo carico appresso il duca Ercole II, al quale fece tutte le stampe delle monete che furono battute nella sua zecca fino al 1559. Dimorava egli tuttavia in Ferrara anche nel 1565 e sappiamo che al duca Alfonso II lavorò il ritratto di stucco dal mezzo in su. Il qual ritratto messo dentro uno scatolino di noce or- nato d'oro, d'argento e d'ambra, mandò il duca a donare per mezzo del conte Ippolito Turco all'arciduchessa Barbara d'Austria, destinata sua sposa : e nel medesimo tempo ne fece un altro a madama Lucrezia d' Este duchessa d'Urbino. t Ne solo di queste cose si dilettava Pastorino ; perchè essendo egli cervello assai sofistico e speculativo, aveva trovato una nuova maniera di lumi stravaganti con poca spesa e senza fumo, i quali erano assai comodi ed utili, massime per stanze apparate e dipinte. E di questa sua inven- zione aveva privilegio dalla Signoria di Venezia. Oltracciò per mezzo d' un suo segreto gli era riuscito di contraffare perle ed altre gioje. t Dipoi partitosi da Ferrara, si pose Pastorino nel 1574 al servizio dei signori di Novellara come maestro delle stampe della loro zecca, presso i quali pare che stesse circa due anni. daghe, massimamente quelle coniate a donne senesi, siano del nostro Pastorino, il quale fu solito di segnare le sue con un P. 1 Alcuni di que' piombi sono oggi in mano del signor E. Piot francese. Il si- gnor A. Armand nella sua bell'opera Les Médailleurs Italiens des quinzième et seizìème siècles; Paris, Plon, 1879, in-8, ne registra fino ad ottantaquattro dal 1552 al 1578. 1 i II chiarissimo signor comm. A. Ronchini, tanto benemerito della storia delle belle arti in Italia, pubblicò uno scritto: Il Pastorino da Siena, stampato negli Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le provincie mo- denesi e parmensi (voi. V, pag. 49), della quale ci siamo giovati per ciò che ri- guardava Pastorino ai servigi de' Duchi di Parma. 438 COMMENTARIO ALLA VITA t Dopo il qual tempo dimorò Pastorino in Bologna e poi ultimamente se ne venne a Firenze, dove lo troviamo tra gli stipendiati della corto Medicea 1 come maestro di stucchi e col salario di 10 ducati al mese. Ma divenuto poi per la grave età impotente a lavorare, fu casso nel 158(J, ma, perchè godesse de1 privilegj , conservato nel ruolo degli stipendiati , scemandogli però della metà la provvisione. Mentre dimorava in Firenze fece Pastorino una finestra di vetro a colori e storiata per una delle sale della nuova aggiunta del Palazzo Vecchio, allora residenza granducale, dal lato della Piazza del Grano : due ritratti di stucco colorito in scatolino a don Giovanni di Mendozza ed altre cose del suo esercizio. i Finalmente, pervenuto a circa ottantaquattro anni d'età, passò di questa vita in Firenze, ed a' 6 dicembre 1592 ebbe sepoltura in Santa Maria Maggiore, dove l'anno innanzi era stato sotterrato Guido suo fratello. 1 t Fino dal 1565 Pastorino aveva dimostrato desiderio di levarsi dalla ser- vitù del Duca di Ferrara e di tornare in Toscana. A questo proposito è curioso di leggere quel che scrive al principe Don Francesco de' Medici Bernardo Cani- giani, residente toscano a Ferrara, il 14 di maggio 1565: « Omissis. Hoggi se li « manda dietro (al conte Ippolito Turco andato alla Corte Cesarea) il ritratto .« del signor Duca di stucco colorito di mano di Pasturino sanese assai ben « fatto. Il qual Pasturino, come vassallo et affezionato a le cose di V. E. I. in « venendomi a visitare et mostrarmi quello che va via hoggi , m' ha donato l' in- « elusa medaglia, con la quale io bacio reverentemente la mano di V. E. t fa- « cendogliene indegno et humil dono. L'artefice si sta qua, come si dice in pro- « verbio del prete che ha poca offerta, et secondo me per l'influenza del paese « che si va dishabitando e per l'affectione che gTha a' suoi SS.ri natii et mala « soddisfazione di questi, con bonissima del Principe mio Signore, che gli dovette « fare di buona mano sopra una medaglia del Duca di Ferrara, già 7 anni sono «. incirca, gagliardamente; cangerebbe volentieri il Po coli' Arno, essendo resolu- « tissimo che questo pane sia troppo duro al suo stomaco: et in vero non è forse « malo intagliatore, oltre a qualche altro segreto et virtù che gì' ha ». Sette anni dopo lo stesso Canigiani così scriveva a' 13 d' ottobre 1572 al detto Principe : « Omissis. Pasturino sanese mi è stato a trovare (che si stava trattenendo in « Bologna) ricordandomi che per una medaglia del principe di Ferrara il sere- « nissimo Granduca gli clonò 200 scudi, et che è nato suddito delle AA. VV. et « molto devoto et obligato loro: onde vorrebbe anch' egli un poco del lor pane « .... et vorrebbe annidiarsi per morire in casa et guadagnarsi con l'honorate « fatiche sue il pane per quello poco di vita che gli può avanzare ». In altra let- tera del 20 ottobre 1572 dice il Canigiani : « Neil' ultima se io mi fusse scordato « cosa alcuna Pasturino con l'inclusa nota (la nota manca) me l'ha ridotto in « mente; il quale a me che son grosso non par che vaglia molto fuor di quelli « ritratti di stucco coloriti del naturale , dove egli imita molto bene ogni cosa ; e « men'ha mostri assai et molto vaghi». Finalmente nel 14 di novembre scrive così: « a Pasturino come a suddito détti comiato ordinario con buona licenza « di andare a servire chi gli piaceva; chè il suo bene sarebbe sempre grato a « l'AA. VV. ». DI GUGLIELMO MARCILLAC 439 Questo noi abbiamo raccolto, e posto nel presente- Commentario, in- torno alla persona ed all' opere di Pastorino. Vedranno i leggitori, che molte notizie nuove si aggiungono al Vasari, dalle quali meglio si j)otrà conoscere qual fosse il valore di questo artefice senese. E per compire queste notizie diamo anche l'Alberetto de1 Pastorini. Andrea. Costanza. marito 1 (1497) Agostino di Francesco da Poiitremoli Gio. Michele del Ponte di Pontremoli nel 1497 dimorava in Castelnuovo della Berardenga nel 1514 era tornato ad abitare in Siena mogli 1. Ginevra Cai vati 2. Francesca di Lorenzo, calzolaio PASTORINO Guido t 1591 maestro di vetro, pittore maestro di vetro e pittore scultore e coniatore mogli n. 1508 ? 1. Ortensia di Michelangelo (1548) t 1592 2. Corinzia di Niccolò (1551) Prospetto cronologico della Vita e delle opere di Pastorino di Giovan Michele Pastorini 1508. (?) Nasce in Castelnuovo della Berardenga, nel Senese. 1520. (?) È condotto ad Arezzo, e messo per garzone con maestro Gu- glielmo Marcillac. 1530. (?) Ritorna a Siena dopo la morte del Marcillac. 1531, 22 febbrajo. Rifa due mezze finestre di vetro a occhi, e dipinge a occhi quattro altre mezze finestre. 1531, 24 luglio. Fa per la sagrestìa del Duomo una finestra di vetro, den- trovi Sant' Ansano. 1532, 14 agosto. Mette un fregetto di vetro brustato d' oro nella cornice del pergolo di marmo del Duomo. 1533, 20 giugno. Piglia dall' Operajo del Duomo a racconciare tutte le finestre della navata di mezzo, e le tre poste a capo al coro. 1536. Orna le finestre di vetro del Palazzo Pubblico di Siena, nella oc- casione della venuta di Carlo V imperatore. 1537. Fa una finestra accanto all'organo nuovo del Duomo, e racconcia due angeli di vetro. 1541-45. Nella sala regia del palazzo Vaticano fa le finestre di v§tro a figure, secondo i disegni di Perino del Vaga. 1546. Riatta le finestre di vetro della chiesa di San Marco di Roma e rifa quelle delle stanze del Sacrista in Vaticano. 440 COMMENTARIO ALLA VITA DEL MARCILLAC 1548. Fa un quadretto di vetro per ornamento d'i una lettiga della du- chessa d'Urbino. 1549, 9 febbrajo. Gli è allogato l'occhio grande di vetro della facciata del Duomo. 1549. Compone per la sagrestia del Duomo di Siena una finestra, ed un'altra per l'altare di San Sebastiano. 1549. Fa le vetriate delle finestre de' cantori in Duomo. 1549, 20 dicembre. Gli Ufficiali della Mercanzia gli danno a dipingere le tre volte dèlia loro loggia per 150 ducati d'oro. 1552. Gli Ufficiali lo fanno sostenere in carcere, per non aver dipinto le tre volte della loro loggia, dentro il termine stabilito. 1552, 5 maggio. Esce di carcere coli' obbligo di restituire tutto quello di più che avesse ricevuto per la pittura delle volte, e di lasciare il lavoro non finito. 1552. È fatto carcerare dal Rettore del Duomo, perchè non aveva finito , nel tempo debito > l'occhio della facciata. 1552, 10 maggio. Fa quietanza coli' Operajo dei Duomo di tutti i lavori che avesse fatti per quella chiesa. 1552, di maggio. Finisce di dipingere una delle tre volte della loggia. 1552. Va a Parma ed è fatto maestro delle stampe di quella Zecca. 1554-59. Come maestro delle stampe della Zecca è al servigio di Ercole II, duca di Ferrara. 1555. Nel tempo dell'assedio della patria domanda di uscire dalla citta, e gli è concesso. 1560. Pietro Lamo, pittore, scrive a sua richiesta la Graticola di Bologna. 1574. È condotto da' Signori dà Novellara per maestro delle stampe delle loro monete. 1576. Entra al servizio del granduca Francesco de' Medici. 1592, 6 dicembre. Muore in Firenze ed è sepolto in S. Maria Maggiore, 441 SIMONE DETTO IL CRONACA ARCHITETTO FIORENTINO ( Nato nel 1457; morto nel 1508) Molti ingegni si perdono, i quali farebbono opere rare e degne, se nel venire al mondo percotessero in persone che sapessino e volessino mettergli in opera a quelle cose, dove e'son buoni: dove egli avviene bene spesso che chi può, non sa e non vuole, e se pure chi che sia vuole fare una qualche eccellente fabbrica, non si cura altri- menti cercare d' uno architetto rarissimo e d' uno spirito molto elevato; anzi mette lo onore e la gloria sua in mano a certi ingegni ladri, che vituperano spesso il nome e la fama delle memorie. E per tirare in grandezza chi dependa tutto da lui (tanto puote la ambizione), dà spesso bando a' disegni buoni che si gli danno, e mette in opera il più cattivo; onde rimane alla fama sua la goffezza dell'opera, stimandosi per quegli che sono giu- diciosi, l'artefice e chi lo fa operare, essere d'uno animo istesso, da che nell'opere si coniungono. E per lo con- trario, quanti sono stati i principi poco intendenti, i quali per essersi incontrati in persone eccellenti e dr giudizio, hanno dopo la morte loro non minor fama avuto per le memorie delle fabriche, che in vita si avessero per il do- minio ne' popoli ! 442 SIMONE DETTO IL CRONACA Ma veramente il Cronaca fu nel suo tempo avventu- rato, perciocché egli seppe fare, trovò chi di continuo 10 mise in opera, ed in cose tutte grandi e magnifiche. Di costui si racconta, che mentre Antonio Poliamolo era in Koma a lavorare le sepolture di bronzo che sono in San Pietro, gli capitò a casa un giovanetto suo parente, chiamato per proprio nome Simone,1 fuggitosi da Fio- renza per alcune quistioni : il quale avendo molta incli- nazione ali1 arte dell' architettura per essere stato con un maestro di legname, cominciò a considerare le bellissime anticaglie di quella città, e dilettandosene le andava mi- surando con grandissima diligenzia. Laonde seguitando, non molto poi che fu stato a Eoma, dimostrò avere fatto molto profìtto sì nelle misure, e sì nel mettere in opera alcuna cosa. Per il che fatto pensiero di tornarsene a Firenze, si partì di Eoma, ed arrivato alla patria, per essere divenuto assai buon ragionatore, contava le ma- raviglie di Roma e d1 altri luoghi con tanta accuratezza, che fu nominato da indi in poi il Cronaca: parendo ve- ramente a ciascuno che egli russe una cronaca di cose nel suo ragionamento. Era dunque costui fattosi tale, eh1 e' fu ne' moderni tenuto il più eccellente architettore che fusse nella città di Fiorenza, per avere nel discer- nere i luoghi giudizio, e per mostrare che era con lo in- gegno più elevato che molti altri che attendevano a quel mestiero : conoscendosi per le opere sue quanto egli fussi 1 * Nacque il 30 di ottobre del 1457, da Tommaso d'Antonio Pollajuolo, come si ritrae dal libro de' battezzati dal 1450 al 1460, pag. 180, che si conserva nel- l'Archivio dell' Opera di Santa Maria del Fiore. Le parole di quel libro sono pre- cisamente queste: 30 ottobre (1457). Simone et Taddeo , di Maso d'Antonio Poliamolo J popolo Sancto Ambruogio. Da questo si conosce che non può essere che allorquando Simone fu a Roma, egli fosse giovanetto; perchè Antonio del Pollajuolo lavorò nelle sepolture di Sisto IV e d'Innocenzo Vili intorno al 1493, tempo in cui Simone, secondo il Vasari stesso, contava anni quaranta, e secondo 11 vero, anni 38. Rispetto poi alla parentela di Simone con Antonio del Pollajuolo, affermata dal Vasari, non si saprebbe ritrovarla in nessun modo. Il che apparirà manifesto dall'Albero della sua famiglia, rifatto ed accresciuto, che porremo in fine. SIMONE DETTO IL CRONACA 443 buono imitatore delle cose antiche, e quanto egli osser- vasse le regole di Vetruvio e le opere di Filippo di Ser Brunellesco. Era allora in Fiorenza quel Filippo Strozzi, che oggi a differenza del figliuolo 1 si chiama il vecchio ; il quale per le sue ricchezze desiderava lassare di se alla patria ed a' figliuoli, tra le altre, memoria di un bel palazzo. Per la qual cosa Benedetto da Maiano, chiamato a que- sto effetto da lui, gli fece un modello isolato intorno intorno, che poi si mise in opera, ma non interamente, come si dirà di sotto, non volendo alcuni vicini fargli commodità de le case loro. Onde cominciò il palazzo in quel modo che potè ,5 e condusse il guscio di fuori avanti la morte di esso Filippo presso che alla fine;3 il quale guscio è d'ordine rustico e graduato, come si vede: per- ciocché la parte de' bozzi dal primo finestrate in giù, insieme con le porte, è rustica grandemente; e la parte che è dal primo fincstrato al secondo, è meno rustica assai. Ora accadde che partendosi Benedetto da Fiorenza, tornò appunto il Cronaca da Roma; onde essendo messo 1 *Cioè, G-iovambatista , detto anch'esso Filippo; il quale fatto prigione a Montemurlo, e condotto nelle carceri di Firenze, vi morì o ucciso, o uccidendosi, nel 1538. 2 * L'anno e il giorno, in cui fu dato principio alla edificazione di questo pa- lazzo , si hanno dai seguenti ricordi dello stesso Filippo il Vecchio : « A dì 16 .« (1489) d'agosto (il Landucci nel suo Diario ms. dice, molto meglio, che fu il « 16 di luglio) appunto su l'uscire del sole da' monti, in nome di Dio e di buon « principio, per me e mia discendenti, e di qualunque se ne travaglerà, gettai la « prima pietra, ne' fondamenti {del palazzo). Bicordo, come sino a dì 6 di agosto « prossimo passato, in giovedì mattina, a ore 10 e ìj6, uscendo il sole del monte, « col nome di Dio e di buon principio per me, e per tutti mia discendenti co- « minciai a fondare la soprauetta mia casa . e gittai la prima pietra dei fonda- « menti nel mezzo dell' enarcata della porta grande della via larga di Santa Trinità « e Tornaquinci ». ( Vita di Filippo Strozzi il Vecchio, scritta da Lorenzo sito figlio, con documenti e illustrazioni per cura del can. G-. Bini e di P. Bigazzi. Firenze, 1851, in-8). 3 * Quando Filippo morì , che fu a' 14 di maggio del 1491 , la fabbrica del suo palazzo era tirata su insino alle campanelle. Vedi nel Diario manoscritto auto- grafo che si conserva nella Biblioteca Comunale di Siena, e ne sono copie nelle Librerie fiorentine, di Luca Landucci speziale. 444 SIMONE DETTO IL CRONACA per le mani a Filippo ? gli piacque tanto per il modello che gli fece elei cortile e elei cornicione che va di fuori intorno al palazzo, che conosciuta l'eccellenza di quel- l'ingegno, volle che poi il tutto passasse per le sue mani, servendosi sempre poi di lui. Fecevi dunque il Cronaca, oltra la bellezza di fuori con ordine toscano, in cima una cornice corintia molto magnifica, che e per fine del tetto; della quale la metà al presente si vede finita con tanta singoiar grazia, che non vi si può apporre ne si può più bella disiderare.1 Questa cornice fu ritratta dal Cronaca e tolta e misurata a punto in Roma da una antica che si truova a Spogliacristo ; la quale fra molte che ne sono in quella città è tenuta bellissima. Bene è vero eh' ella fu dal Cronaca ringrandita a proporzione del palazzo, acciò facesse proporzionato fine, ed anche col suo aggetto, tetto a quel palazzo; e così l'ingegno del Cronaca seppe servirsi delle cose d'altri e farle quasi diventar sue: il che non riesce a molti; perchè il fatto sta non in aver solamente ritratti e disegni di pose belle, ma in saperle accommodare secondo che è quello a che hanno a servire, con grazia, misura, proporzione e con- venienza. Ma quanto fu e sarà sempre lodata questa cor- nice del Cronaca, tanto fu biasimata quella che fece nella medesima città al palazzo de' Bartolini Baccio d'Agnolo, il quale pose sopra una facciata piccola e gentile di membra, per imitare il Cronaca , una gran cornice antica misurata a punto dal frontespizio di Mont ecavallo; 2 ma tornò tanto male per non avere saputo con giudizio accomodarla, che non potrebbe star peggio, e pare sopra un capo pic- cino una gran berretta.3 Non basta agli artefici, come molti dicono, fatto ch'egli hanno l'opere, scusarsi con 1 L'altra metà non è mai stata compiuta. 2 II frontespizio era negli orti del Contestabile; ora è demolito. (Bottari). 3 Nonostante tal difetto, fu dipoi ricavato il disegno di questo palazzo per costruirne uno simile a Parigi nella Rite Montmartre, pel Duca di Retz. SIMONE DETTO IL CRONACA 445 dire : Elle sono misurate a punto dall' antico e sono ca- vate da buoni maestri; attesoché il buon giudizio e roc- chio più giuoca in tutte le cose, che non fa la misura delle seste. Il Cronaca dunque condusse la detta cornice, con grande arte, insino al mezzo intorno intorno a quel palazzo col dentello e vovolo, e da due bande la finì tutta, contrapesando le pietre in modo, perchè venissino bilicate e legate, che non si può veder cosa murata me- glio ne condotta con più diligenza a perfezione. Così an- che tutte l'altre pietre di questo palazzo sono tanto finite e ben commesse, ch'elle paiono non murate, ma tutte d'un pezzo. E perchè ogni cosa corrispondesse, fece fare per ornamento del detto palazzo ferri bellissimi per tutto, e le lumiere che sono in su' canti; e tutti furono da Mccolò Grosso Caparra, fabro fiorentino, con grandis- sima diligenza lavorate. Vedesi in quelle lumiere mara- vigliose le cornici, le colonne, i capitegli e le mensole saldate di ferro con maraviglioso magistero : nè mai ha lavorato moderno alcuno di ferro machine sì grandi e sì difficili con tanta scienza e pratica. Fu Niccolò Grosso persona fantastica e di suo capo, ragionevole nelle sue cose e d'altri, nè mai voleva di quel d'altrui. Non volse mai far credenza a nessuno de' suoi lavori, ma sempre voleva l'arra; e per questo Lorenzo de' Medici lo chia- mava il Caparra , e da molti altri ancora per tal nome era conosciuto. Egli aveva appiccato alla sua bottega una insegna, nella quale erano libri ch'ardevano; per il che quando uno gli chiedeva tempo a pagare , gli diceva : Io non posso, perchè i miei libri abbruciano, e non vi si può più scrivere debitori. Gli fu dato a fare per i si- gnori capitani di parte Guelfa un paio d'alari, i quali avendo egli finiti, più volte gli furono mandati a chie- dere ; ed egli di continuo usava dire : Io sudo e duro fa- tica su questa encudine, e voglio che qui su mi siano pagati i miei danari. Perchè essi di nuovo rimandorno 446 SIMONE DETTO IL CRONACA per il lor lavoro, e a dirgli che per i. danari andasse, che subito sarebbe pagato; ed egli ostinato rispondeva, che prima gli portassero i danari. Laonde il proveditore ve- nuto in collera, perchè »i capitani gli volevano vedere, gli mandò dicendo, ch'esso aveva avuto la metà dei da- nari, e che mandasse gli alari, che del rimanente lo so- disfarebbe. Per la qual cosa il Caparra avvedutosi del vero, diede al donzello uno alar solo, dicendo: Te1,1 porta questo eh' è il loro; e se piace a essi, portai1 intero pa- gamento che te gli darò, perciocché questo è mio. Gli ufficiali veduto V opera mirabile che in quello aveva fatto, gli mandarono i danari a bottega, ed esso mandò loro r altro alare. Dicono ancora che Lorenzo de1 Medici volse far fare ferraménti per mandare a donar fuora, acciocché T eccellenza del Caparra si vedesse; perchè andò egli stesso in persona a bottega sua, e per avventura trovò che lavorava alcune cose che erano di povere persone, dalle quali aveva avuto parte del pagamento per arra. Eichiedendolo dunque Lorenzo, egli mai non gli volse promettere di servirlo, se prima non serviva coloro: di- cendogli .che erano venuti a bottega inanzi lui, e che tanto stimava i danari loro, quanto quei di Lorenzo. Al medesimo portarono alcuni cittadini giovani un disegno, perchè facesse loro un ferro da sbarrare e rompere altri ferri con una vite ; ma egli non li volle altrimenti ser- vire, anzi sgridandogli disse loro: Io non voglio per niun modo in così fatta cosa servirvi, perciocché non sono se non istrumenti da ladri, e da rubare o svergognare fan- ciulle. Non sono, vi dico, cosa per me nè per voi, i quali mi parete uomini da bene. Costoro veggendo che il Ca- parra non voleva servirgli, dimandarono chi fusse in Fiorenza che potesse servirgli; perchè venuto egli in col- lera, con dir loro una gran villania se gli levò d'intorno. 1 Te\ cioè tieni. SIMONE DETTO IL CRONACA 447 Non volle mai costui lavorare a Giudei; anzi usava dire, che i loro danari erano fr acridi, e putivano. Fu persona buona e religiosa, ma di cervello fantastico ed ostinato; ne volendo mai partirsi di Firenze per offerte che gli russerò fatte, in quella visse e morì. Ho di costui vo- luto fare questa memoria, perchè in vero nell'esercizio suo fu singolare: e non ha mai avuto ne averà pari; come si può particolarmente vedere ne1 ferri e nelle bellissime lumiere di questo palazzo degli Strozzi : 1 il quale fu con- dotto a fine dal Cronaca e adornato d'un ricchissimo cor- tile d'ordine corintio e dorico, con ornamenti di colonne, capitelli, cornici, fenestre e porte bellissime. E se a qual- cuno paresse che il di dentro di questo palazzo non cor- rispondesse al di fuori, sappia che la colpa non è del Cronaca, perciocché fu forzato accommodarsi dentro al guscio principiato da altri, e seguitare in gran parte quello che da altri era stato messo inanzi; e non fu poco che lo riducesse a tanta bellezza , quanta è quella che vi si vede. Il medesimo si risponde a coloro che di- cessino, che la salita delle scale non è dolce ne di giusta misura, ma troppo erta e repente;2 e così anco a chi dicesse, che le stanze e gli altri apartamenti di dentro non corrispondessino, come si e detto, alla grandezza e magnificenza di fuori. Ma non perciò sarà mai tenuto questo palazzo, se non veramente magnifico e pari a qual si voglia privata fabrica che sia stata in Italia a' no- stri tempi edificata; onde meritò e merita il Cronaca, per questa opera, infinita comendazione. Fece il medesimo la sagrestia di Santo Spirito in Fio- renza,3 che è un tempio a otto facce, con bella propor- 1 Le lumiere qui mentovate, alcune grandi campanelle, e i bracci coi boc- ciùoli per mettervi le torcie, sono tuttavia in essere. 2 Repente, cioè ripida: voce usata anche di presente dai nostri contadini, e così fu usata nel buon secolo. (Bottari). 3 * Intorno a questa sagrestia importa di riferire le puntuali parole del Diario suddetto : « E a dì 5 di settembre 1496 fu fornita di volgiere la chupoleta della 148 SIMONE DETTO IL CRONACA zione e condotto molto pulitamente : 1 e fra l' altre cose che in questa opera si veggiono, vi sono alcuni capitelli condotti dalla felice mano d'Andrea dal Monte Sansa* vino, che sono lavorati con somma perfezione: e simil- mente il ricetto della detta sagrestia, che è tenuto di bellissima invenzione, sebbene il partimento, come si dirà,2 non è su le colonne ben partito. Fece anco il medesimo la chiesa di San Francesco dell'Osservanza in sul poggio di San Miniato fuor di Firenze ; 3 e similmente tutto il convento de1 frati de' Servi, Fche è cosa molto lodata.4 Ne1 medesimi tempi dovendosi fare per consiglio di fra Ieronimo Savonarola, allora fa- mosissimo predicatore, la gran sala del consiglio nel pa- lazzo della signoria di Fiorenza, ne fu preso parere con Lionardo da Vinci, Michelagnolo Buonaroti ancora che giovanetto, Giuliano da San Gallo, Baccio d'Agnolo, e Simone del Poliamolo detto il Cronaca, il quale era molto amico e divoto del Savonarola. Costoro dunque dopo molte dispute dettono ordine d'accordo che la sala si facesse in quel modo eh' eli' è poi stata sempre, insino « sacrestia di Santo Spirito. E adì 10 di novembre 1496, rovinò la chupoleta della « sacrestia di Santo Spirito, quando si spuntellò ». (Codice autografo nella Bi- blioteca Comunale di Siena). 1 Da questa sagrestia col suo ricetto si vorrebbe che Ventura Vitoni allievo di Bramante traesse il modello della bellissima chiesa della Madonna dell' Umiltà , in Pistoja. t Ne1 libri delle Deliberazioni degli Operaj di Santo Spirito, dal 1477 al 1496, che si conservano nell'Archivio di Stato in Firenze, si cava che adunati nel 10 di marzo 1493 (s. c.) i detti Operaj in camera del gonfaloniere, insieme con alquanti maestri intendenti, cioè del Pollajuolo, Giuliano, da San Gallo, Giovanni di Betto, Salvi d'Andrea e Pagno d'Antonio, ebbero da loro il parere circa il modo di fare la tribuna o volta del ricetto della sagrestia di detta chiesa e che dal Pollajuolo ne fu fatto il modello, secondochè era stato proposto ed approvato in quella adunanza. 2 Nella Vita del Contucci. 3 * Inalzata negli ultimi anni del sec. xv dall'Università dell'Arte dei Merca- tanti per volontà di Castello Quaratesi, il quale nel suo testamento del 1449 avea dato quel carico ad essa Università, chiamandola sua erede universale. k Poco o nulla, fuori del primo chiostro (detto del pozzo), è rimasto in questo convento che sia architettura del Cronaca. (Bottari). SIMONE DETTO IL CRONACA 449 che ella si e ai giorni nostri quasi rinovata, come si e detto e si dirà in altro luogo. E di tutta l'opera fu dato il carico al Cronaca, come ingegnoso, ed anco come amico di fra Girolamo detto: ed egli la condusse con molta prestezza e diligenza; e particolarmente mostrò bellis- simo ingegno nel fare il tetto, per essere l' edilìzio gran- dissimo per tutti i versi.1 Fece, dunque, Pasticcinola del cavallo, che e lunga braccia trentotto da muro a muro, di più travi commesse insieme, augnate ed incatenate benissimo, per non esser possibile trovar legni a propo- sito di tanta grandezza; e dove gli altri cavalli hanno un monaco solo, tutti quelli di questa sala n'hanno tre per ciascuno, uno grande nel mezzo, ed uno da ciascun lato, minori. Gli arcali sono lunghi a proporzione, e così i puntoni di ciascun monaco; ne tacerò che i puntoni de1 monaci minori póntano dal lato verso il muro nel- l'arcale, e verso il mezzo nel puntone del monaco mag- giore. Ho voluto raccontare in che modo stanno questi cavalli, perchè furono fatti con bella considerazione; ed io ho veduto disegnargli da molti per mandare in di- versi luoghi. Tirati su questi così fatti cavalli e posti l'uno lontano dall'altro sei braccia, e posto similmente in brevissimo tempo il tetto, fu fatto dal Cronaca con- ficcare il palco; il quale allora fu fatto di legname sem- plice e compartito a quadri, de' quali ciascuno per ogni verso era braccia quattro, con ricignimento a torno di cornice e pochi membri; e tanto quanto erano grosse le travi fu fatto un piano, che rigirava intorno ai quadri ed a tutta l' opera con borchioni in su le crociere e can- 1 *Gli Operaj della Sala nuova, da farsi sopra la Dogana, ne elessero ai 15 di luglio 1495 capomaestro il Cronaca, in compagnia di un Francesco di Dome- nico legnaiuolo, chiamato Nerone; e nel 19 di marzo dell'anno seguente gli ac- crebbero lo stipendio. Nel qual carico gli successe, agli 8 di maggio del 1497, Antonio di Francesco da Sangallo, e nel 1489 Baccio d'Agnolo. (Gaye, Carteg- gio ecc., voi. I, 584, 586, 587, 588). 29 Vasabi, Opere. — Voi. IV. 450 SIMONE DETTO IL CRONACA tonate di tutto il palco.1 E perchè le due testate di questa sala, una per ciascun lato, erano fuor di squadra otto braccia, non presono, come arebbono potuto fare, riso- luzione d'ingrossare le mura per ridurla in isquadra, ma seguitarono le mura eguali insino al tetto con fare tre finestre grandi per ciascuna delle facciate delle teste. Ma finito il tutto, riuscendo loro questa sala, per la sua straordinaria grandezza, cieca di lumi, e rispetto al corpo così lungo e largo, nana e con poco sfogo d'altezza, ed in somma quasi tutta sproporzionata; cercarono, ma non giovò molto T aiutarla col fare dalla parte di levante due finestre nel mezzo della sala, e quattro dalla banda di ponente.2 Appresso, per darle ultimo fine, feciono in sul piano del mattonato con molta prestezza, essendo a ciò sollecitati dai cittadini, una ringhiera di legname intorno intorno alle mura di quella, larga ed alta tre braccia, con i suoi sederi a uso di teatro e con balaustri dinanzi; sopra la quale ringhiera avevano a stare tutti i magi- strati della città : e nel mezzo della facciata che e volta a levante era una residenza più eminente , dove col Gon- faloniere di iustizia stavano i Signori, e da ciascun lato di questo più eminente luogo erano due porte, una delle quali entrava nel Segreto e l'altra nello Specchio:3 e nella facciata che è dirimpetto a questa dal lato di po- nente, era un altare, dove si diceva messa, con una ta- vola di mano di Fra Bartolomeo, come si è detto;4 ed accanto all'altare la bigoncia da orare. Nel mezzo poi 1 * Lavorarono nel palco, e negli altri ornamenti di questa sala, più special- mente Antonio da Sangallo, che aveva fatto il modello del palco, del cavalletto e della sala, Francesco di Domenico, sopra nominato, e Baccio d'Agnolo. 2 t Veramente le finestre qui descritte sono dai lati di settentrione e di mez- zogiorno. 3 * Segreto, cioè quella stanza presso la sala del Consiglio, nella quale si faceva lo spoglio delle fave date nello squittinio per la nomina de1 magistrati. Specchio, intendi la stanza destinata agli ufficiali dello Specchio, chè così si chiamava il registro dei debitori del Comune. k Nella Vita di Fra Bartolommeo, a pag. 198. SIMONE DETTO IL CRONACA 451 della sala erano panche in fila ed a traverso per i cit- tadini; e nel mezzo della ringhiera ed in su le cantonate erano alcuni passi con sei gradi, che facevano salita e commodo ai tavolaccini per raccorre i partiti. In questa sala, che fu allora molto lodata come fatta con prestezza e con molte belle considerazioni , ha poi meglio scoperto il tempo gli errori dell'esser bassa, scura, malinconica e fuor di squadra. Ma nondimeno meritano il Cronaca e gli altri di esser scusati; sì per la prestezza con che fu fatta, come volleno i cittadini con animo d'ornarla, col tempo, di pitture e metter il palco d'oro; e sì perchè insino allora non era stato fatto in Italia la maggior sala, ancor che grandissime siano quella del palazzo di San Marco in Roma, quella del Vaticano fatta da Pio II ed Innocenzio Ottavo, quella del castello di Napoli, del palazzo di Milano, d'Urbino, di Vinezia e di Padoa. Dopo questo fece il Cronaca col consiglio dei medesimi, per salire a questa sala, una scala grande larga sei braccia, ripiegata in due salite, e ricca d'ornamenti di macigno, con pilastri e capitelli corinti e cornici doppie e con archi della medesima pietra, le volte a mezza botte, e le fine- stre con colonne di mischio, ed i capitelli di marmo in- tagliato. Ed ancora che questa opera fusse molto lodata , più sarebbe stata se questa scala non fusse riuscita ma- lagevole e troppo ritta, essendo che si poteva far più dolce; come si sono fatte al tempo del duca Cosimo nel medesimo spazio di larghezza, e non più, le scale nuove fatte da Giorgio Vasari dirimpetto a questa del Cronaca ; le quali sono tanto dolci ed agevoli, che è quasi il sa- lirle come andare per piano. E ciò è stato opera del detto signor duca Cosimo; il quale, come è in tutte le cose, è nel governo de' suoi popoli di felicissimo ingegno e di grandissimo giudizio ; non perdona nè a spesa ne a cosa veruna, perchè tutte le fortificazioni ed edili cj pu- blici e privati corrispondino alla grandezza del suo animo 452 SIMONE DETTO IL CRONACA e siano non meno belli che utili, ne meno utili che belli. Considerando dunque sua Eccellenza che il corpo di questa sala è il maggiore e più magnifico e più bello di tutta Europa, si e risoluta in quelle parti che sono difettose d'acconciarla; ed in tutte V altre, col disegno ed opera di Giorgio Vasari aretino, farla ornatissima sopra tutti gli edifizj d' Italia : e così alzata la grandezza delle mura sopra il vecchio dodici braccia, di maniera che è alta dal pavimento al palco braccia trentadua, si sono ristau- rati i cavalli fatti dal Cronaca che reggono il tetto, e rimessi in alto con nuovo ordine , e rifatto il palco vec- chio, che era ordinario e semplice e non ben degno di quella sala,' con vario spartimento ricco di cornici, pieno d'intagli e tutto messo d'oro, con trentanove tavole di pitture in quadri tondi ed ottangoli, la maggior parte de' quali sono di nove braccia l' uno ed alcuni maggiori, con istorie di pitture a olio, di figure di sette o otto braccia le maggiori. Nelle quali storie , cominciandosi dal primo principio, sono gli accrescimenti e gli onori, le vittorie e tutti i fatti egregj della città di Fiorenza e del dominio, e particolarmente là guerra di Pisa e di Siena; con una infinità d'altre cose, che troppo sarei lungo a raccontarle. E si è lasciato conveniente spazio di sessanta braccia per ciascuna delle facciate dalle bande per fare in ciascuna tre storie1 che corrispondino al palco, quanto tiene lo spazio di sette quadri da ciascun lato, che trattano delle guerre di Pisa, e di Siena: i quali spartimenti delle facciate sono tanto grandi, che non si sono anco veduti maggiori spazj per fare istorie di pit- ture ne dagli antichi ne dai moderni. E sono i detti spar- timenti ornati di pietre grandissime, le quali si congiun- gono alle teste della sala, dove da una parte, cioè verso tramontana, ha fatto finire il signor duca, secondo ch'era 1 Sono state dipinte dal Vasari colFajuto di Grio. Stradano. SIMONE DETTO IL CRONACA 453 stata cominciata e condotta a buon termine eia Baccio Bandinelli, una facciata piena di colonne e pilastri e di nicchie piene di statue di marmo; il quale appartamento ha da servire per udienza publica, come a suo luogo si dirà. Dall'altra banda dirimpetto a questa ha da esser in un'altra simile facciata, che si fa dall' Ammannato scultore ed architetto, una fonte che getti acqua nella sala, con ricco e bellissimo ornamento di colonne e di statue di marmo e di bronzo. Non tacerò che per essersi alzato il tetto di questa sala dodici braccia, ella n'ha acquistato non solamente sfogo, ma lumi assaissimi; per- ciocché, oltre gli altri che sono più in alto, in ciascuna di queste testate vanno tre grandissime finestre, che verranno col piano sopra un corridore che fa loggia den- tro la sala, e da un lato sopra l'opera del Bandinello, donde si scoprirà tutta la piazza con bellissima veduta. Ma di questa sala e degli altri acconcimi che in questo palazzo si sono fatti e fanno, si ragionerà in altro luogo più lungamente.1 Questo per ora dirò io , che se il Cro- naca e quegli altri ingegnosi artefici che dettono il di- segno di questa sala potessino ritornar vivi, per mio cre- dere non riconoscerebbero ne il palazzo, ne la sala, ne cosa che vi sia: la qual sala, cioè quella parte che e in isquadra, è lunga braccia novanta e larga braccia tren- totto, senza l'opere del Bandinello e dell' Ammannato. Ma tornando al Cronaca, negli ultimi anni della sua vita eragli entrato nel capo tanta frenesia delle cose di Fra Girolamo Savonarola, che altro che di quelle sue cose non voleva ragionare.2 E così vivendo, finalmente 1 Ne ha già parlato nella Vita di Michelozzo , e poi, più distesamente, nella propria. Da ciò arguisce il Bottari che queste Vite il Vasari le scrivesse a pezzi e a bocconi. 2 t Del Cronaca si leggono a stampa tre lettere a Lorenzo Strozzi che parlano de' successi del suo tempo. La prima dà ragguaglio degli ultimi fatti del Savonarola. (Del Badia, Tre lettere di Simone del Pollaiuolo detto il Cronaca, pubblicate per le nozze Angelini; Firenze, 1869). Sappiamo che il Cronaca nel 1504 diede 454 SIMONE DETTO IL CRONACA d'anni lv d'una infirmità assai lunga si morì; e fu ono- ratamente sepolto nella chiesa di Santo Ambruogio di Fiorenza, nel mdix;1 e non dopo lungo spazio di tempo gli fu fatto questo epitaffio da messer Giovanbattista Strozzi. CRONACA. Vivo, e mille e mille anni e mille ancora, Mercè de' vivi miei palazzi e. tempj : Bella Roma, vivrà l'alma mia Flora. Ebbe il Cronaca un fratello chiamato Matteo, che attese alla scultura e stette con Antonio Rossellino scul- tore, e ancorché fosse di bello e buono ingegno, dise- gnasse bene ed avesse buona pratica nel lavorare di marmo, non lasciò alcuna opera finita; perchè toglien- dolo al mondo la morte d'anni xix, non potè adempiere quello che di lui chiunche lo conobbe si prometteva.2 il disegno della cappella della Compagnia della Vergine Maria delle Donne nella Prepositura di Castelfranco di sotto, nel Valdarno, e ne scolpì l' ornamento di pietra, che consisteva in due colonne con architrave e fregio. Vedine l'alloga- zione tra i rogiti di ser Stefano Bambelli nell'Archivio de' Contratti di Firenze. 1 *I1 Vasari in ambedue le edizioni originali scrisse mdjx. Ma da un docu- mento pubblicato dal Gay e (Carteggio ecc., II, 481) apparisce che il Cronaca morì nel settembre del 1508. Le molte altre memorie che abbiamo raccolte in- torno a Simone del Pollajuolo, si troveranno ordinate nel Prospetto che segue a questa Vita. — t Morì il 21 del detto mese. 2 "Di Matteo fratello del Cronaca, nato nel 1452, del quale non si trova più memoria in Firenze dopo il 1469 , parla l'Albertini nell' opuscolo più volte citato : De mirabilibus novae et veteris Urbis Romae, impresso nel 1510 dal Mazocchi in Roma, dicendo, che nella basilica di San Pietro in Vaticano era un taber- nacolo di marmo sorretto da quattro colonne di porfido, nel quale Matteo Pol- lajuolo fiorentino scultore eccellentissimo avea scolpito di bassorilievo il Martirio dei santi Pietro e Paolo: il qual tabernacolo Sisto IV aveva fatto restaurare e mettere a oro. Vi fece parimente i dodici Apostoli di bronzo. Distrutto il taber- nacolo, i bassorilievi di Matteo e parte dei detti Apostoli furono allogati nelle grotte Vaticane, dove anche oggi si trovano. N'è un intaglio nell'opera del Dionisi, De Cryptis Vaticanis. 455 e o> c Utili- a ^ 411 457 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DEL CRONACA 1457/30 ottobre. Nasce Simone di Tommaso d'Antonio del Pollajuolo. 1489. Dagli Operaj di Santa Maria del Fiore gli è dato a fare braccia 555 di doccie, a ragione di 7 denari per braccio, prò aptandis tectìs cappellarum; L. 17. 18. 8. 1495, 23 giugno. È eletto capomaestro del Duomo di Firenze. 1495, 15 luglio. È eletto, in compagnia di Francesco di Domenico, le- gnaiuolo, capomaestro della sala nuova da farsi sopra la Dogana di Firenze. •1496, 22 febbraio. I Signori e Collegi deliberano che Simone possa rom- pere il muro per andare alla sala grande nuovamente fatta. 1496, 19 marzo. Gli è accresciuto da cinque a sette fiorini lo stipendio, come capomaestro della detta sala. 1496, 5 settembre. Finisce di voltare la cupoletta del ricetto della sa- grestia di Santo Spirito. 1497, 11 luglio. Gli Operaj, veduto che Simone fu chiamato a Roma per consigliare sopra il modello di un certo edifizio che il Papa voleva costruire, deliberano che siagli data licenza di assentarsi dall' Opera per tutto il tempo che gli occorrerà. 1497, 13 febbrajo (st. c. 1498). Altra licenza di potersi assentare per un mese. 1498, 26 giugno. Gli è commesso di restaurare la lanterna della cupola. 1498, 8 luglio. Si ordina che presti la sua opera per appiccare la campana, remossa dal campanile de' frati di San Marco, al campanile de' frati di San Francesco dell'Osservanza fuori della porta San Miniato. 1499, 17 luglio. Gli concedono di assentarsi per otto giorni, e di andare alla signora d' Imola ( Caterina Sforza ) per fare o riattare un certo fortilizio. 1499, 31 gennajo (stile comune, 1500). Gli Operaj di Santa Maria del Fiore deliberano che il Cronaca possa far segare i marmi esistenti 45 $ PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA nell'Opera, e che vennero dalla casa di Lorenzo de' Medici, perla costruzione de' nuovi altari e scalini e pavimenti. 1499, 4 marzo (stile comune, 1500). Gli è commesso di gettare un pi- lastro e il frontone della porta del Duomo che guarda via del Co- comero, perchè minacciava di rovinare. 1500, 27 gennajo (stile comune, 1501). Gli danno licenza di assentarsi per quindici giorni, e per maggiore o minor tempo, secondo che gli tornerà meglio, per terminar i suoi affari nella città di Siena ed altrove. 1500, 8 aprile. Gli si commette che ponga e acconci la lampada nella libreria dell'Opera di Santa Maria del Fiore. 1500, 13 maggio. Gli si commette che rappezzi e rammattoni il pavi- mento del Duomo. 1500, 3 luglio. Gli si ordina di fare le panche e i sedili di legno per la loggia degli Operaj. 1500, 1 settembre. Gli è commesso di formare la carta topografica delle selve del Casentino e della Romagna, pertinenti all' Opera di Santa Maria del Fiore, disegnandole nella forma che hanno, coi nomi loro, e quelli dei monti, e dei fiumi e degli altri luoghi distinta- mente, in modo che nell' Opera appariscano per pittura e disegno delineate le selve suddette; affinchè, qualunque datino fosse fatto, avessero modo gli Operaj di riconoscerlo. 1501, 4 gennajo (stile comune, 1502). Gli Operaj deliberano che s'ingran- disca il pergamo de' cantori del coro di Santa Maria del Fiore nel modo che a Simone piacerà. 1501, 21 novembre. Gli è commesso di andare a vedere i marmi nella bottega degli eredi di Giuliano e Benedetto da Majano, per conto dell' Opera. 1502, 14 aprile. Avendo Simone presentato una petizione, nella quale egli dice qualmente egli aveva avuto sino a quel giorno il sa- lario di 25 fiorini larghi all'anno, come capomaestro del Duomo; che non gli pare di guadagnarli, ed essergli sopra la coscienza, massime perchè in detta opera del Duomo non si mura come una volta si faceva ; e perciò gli Operaj eleggono il detto Simone nuo- vamente in capomaestro, ma col salario di 12 fiorini all'anno; dandogli licenza di potersi assentare dalla fabbrica per tre giorni, e dentro le dieci miglia dalla città, senza permesso loro, e di oltre le dieci miglia, col permesso. 1502, 8 luglio. Gli si ordina che faccia fare una delle tre cappelle delle tribune col suo pavimento di pezzi piccoli e grandi di marmo colo- rato , e segare cornici di marmo giallo di Siena. E DELLE OPERE DEL CRONACA 459 1503, 24 aprile. È presente all' atto di allegagione fatta a Michelangelo di dodici statue degli Apostoli di marmo per la chiesa di Santa Maria del Fiore. 1503, 12 giugno. Si delibera che il Cronaca possa fare i fondamenti e qualunque cosa nella casa concessa a Michelangelo Buonarroti, se- condo il modello avuto. 1503, 27 giugno. Osservando gli Operaj che le cappelle poste sopra le tri- bunette erano, nella parte superiore ed esterna, guaste dalle piog- gie, dalla neve e dal ghiaccio; ordinano a Simone che restauri e rifaccia di nuovo le volte e le cupolette, in modo che non vi pe- netri l'acqua. 1503, 25 gennajo (stile comune, 1504). È fra gli artefici chiamati a giu- dicare del luogo più conveniente al David di Michelangiolo. 1503, 6 febbrajo (stile comune, 1504). È incaricato di edificare la parte già disegnata della casa assegnata a Michelangiolo per iscolpire i dodici Apostoli. 1504, 1 aprile. Gli Operaj* del Duomo deliberano che Simone faccia il mo- dello del pavimento di marmo intorno al coro. 1504, 30 aprile. Insieme con Antonio da San Gallo, Baccio d'Agnolo e Bernardo della Cecca , è deputato a condurre il David in piazza. 1504, 15 luglio. Si delibera che possa segare e far segare il marmo oc- corrente al pavimento intorno al coro di Santa Maria del Fiore. 1504, Fa il disegno dell'altare della Compagnia delle Donne nella Pre- positura di Castelfranco di sotto nel Valdarno, e ne scolpisce l'or- namento di pietra serena consistente in due colonne con architrave e fregio. 1505, 28 giugno. Si delibera che possa coprire l'ultima tribuna verso i Servi di embrici e di altre cose necessarie, e coprire di lastroni i muri della chiesa di Santa Maria del Fiore. 1506, 9 luglio. Si delibera sulla stessa cosa di che all' anno 1504, 15 luglio. 1506, 15 ottobre. Si delibera che possa restaurare in tutto o in parte il % tetto de' Pisani nella piazza de' Signori. 1507, 8 novembre. È uno degli architetti incaricati dello spigolo o co- stolone di uno degli ottangoli della cupola di Santa Maria del Fiore. 1508, 16 settembre. Fa testamento. Vuole esser sepolto nell'avello de' suoi in Sant'Ambrogio. Lascia 230 fiorini di suggello a madonna Tita di Jacopo de' Rosselli sua moglie. Fa eredi universali Margherita e (Bartolomea) sue figliuole. Sono testimoni: Giovanni di Lorenzo, in- tagliatore di corniole, Lorenzo di Andrea di Credi pittore, fiorentini. 1508, 21 settembre. Muore. 461 DOMENICO PULIGO PITTORE FIORENTINO ( Nato nel 1492 ; morto nel 1527) È cosa maravigliosa, anzi stupenda, che molti nel- l'arte della pittura, nel continuo esercitare e maneg- giare i colori, per istinto di natura o per un uso di buona maniera presa senza disegno alcuno o fondamento, con- ducono le cose loro a sì fatto termine , che elle si abbat- tono, molte volte a essere così buone, che ancor che gli artefici loro non siano de1 rari, elle sforzano gli uomini ad averle in somma venerazione e lodarle. E si è veduto già molte volte, ed in molti nostri pittori, che coloro fanno l'opere loro più vivaci e più perfette, i quali hanno naturalmente bella maniera e si esercitano con fatica e studio continuamente; perchè ha tanta forza questo dono della natura, che benché costoro stracurino e lascino gli studj dell'arte, ed altro non seguino che l'uso solo del dipignere e del maneggiare i colori con grazia infuso dalla natura, apparisce nel primo aspetto dell'opere loro eh1 elle mostrano tutte le parti eccellenti e maravigliose, che sogliono minutamente apparire ne' lavori di que' mae- stri che noi tenghiamo migliori. E che ciò sia vero, V espe- rienza ce lo dimostra a' tempi nostri neh1 opere di Dome- nico Puligo, pittore fiorentino;1 nelle quali da chi ha 1 *Nel vecchio Libro de' Pittori di Firenze è così registrato: « Domenicho di Bartolomeo Puligo dip. 1525 ». t Avendo della famiglia del Puligo e di qualche sua opera alcuni particolari fino ad ora sconosciuti, gli abbiamo posti nel Commentario che segue. 462 DOMENICO PULIGO notizia delle cose dell'arte, si conosce quello che si h detto di sopra chiaramente. Mentre che Ridolfo di Domenico Grillandaio lavorava in Firenze assai cose di pittura, còme si dirà, seguitando Tumore del padre, tenne sempre in bottega molti gio- vani a dipignere; il che fu cagione, per concorrenza l'uno dell'altro, che assai ne riuscirono buonissimi mae- stri , alcuni in fare ritratti di naturale , altri in lavorare a fresco, ed altri a tempera, et in dipignere speditamente drappi. A costoro facendo Ridolfo lavorare quadri, ta- vole e tele, in pochi anni ne mandò con suo molto utile una infinità in Inghilterra, nell'Alemagna ed in Ispagna. E Baccio Gotti1 e Toto del Nunziata2 suoi discepoli, fu- rono condotti, uno in Francia al re Francesco, e l'altro in Inghilterra al re, che gli chiesono per aver prima veduto dell' opere loro. Due altri discepoli del medesimo restarono e si stettono molti anni con Ridolfo , perchè ancora che avessero molte richieste da' mercanti e da altri in Ispagna ed in Ungheria; non vollono mai ne per promesse ne per danari privarsi delle dolcezze della pa- tria, nella quale avevano da lavorare più che non po- tevano. Uno di .questi fu Antonio del Ceraiuolo,3 fioren- tino, il quale essendo molti anni stato con Lorenzo di Credi, aveva da lui particolarmente imparato a ritrarre tanto bene di naturale, che con facilità grandissima fa- ceva i suoi ritratti similissimi al naturale, ancorché in altro non avesse molto disegno: ed io ho veduto alcune teste di sua mano ritratte dal vivo, che ancor che ab- 1 *Leggi Getti.. Nel vecchio Libro de1 Pittori fiorentini, e nel Libro Rosso, Debitori e Creditori, dell' Accademia fiorentina di Belle Arti, si trova: Bartolo- meo di Zanóbi Getti. t Fu figliuolo di Zanobi di Benedetto, e fece testamento ai 19 di gen- naio 1536 pei rogiti di ser Bastiano Ramucci, e nello stesso mese morì. 2 *Di costui, nominato nella Vita di Masaccio e più distesamente in quella dì David e di Ridolfo del Ghirlandajo, noi parlammo nella Vita del Torrigiano. 3 t Antonio d'Arcangelo nominato nel suddetto Libro Rosso sotto Tanno 1520. DOMENICO PULIGO 463 biano verbigrazia il naso torto, un labro piccolo ed un grande, ed altre sì fatte disformità, somigliano nondi- meno il naturale, per aver egli ben preso l'aria di co- lui: laddove,' per contrario, molti eccellenti maestri hanno fatto pitture e ritratti di tutta perfezione in quanto al- l'arte, ma non somigliano ne poco ne assai colui, per cui sono stati fatti. E per dire il vero, chi fa ritratti dee ingegnarsi, senza guardare a quello che si richiede in una perfetta figura, fare che somiglino colui, per cui si fanno: ma quando somigliano e sono anco belli, allora si possono dir opere singolari, e gli artefici loro eccellen- tissimi. Questo Antonio dunque, oltre a molti ritratti, fece molte tavole per Firenze: ma farò solamente per brevità menzione di due; che sono, una in San Iacopo tra' Fossi al canto agli Alberti, nella quale fece un Cro- cifisso con Santa Maria Maddalena e San Francesco;1 nell'altra, che è nella Nunziata, è un San Michele che pesa l'anime.2 L'altro dei due sopradetti fu Domenico Puligo, il quale fu di tutti gli altri sopranominati più eccellente nel disegno, e più vago e grazioso nel colo- rito. Costui, dunque, considerando che il suo dipignere con dolcezza senza tignere l'opere o 'dar loro crudezza, ma che il fare a poco a poco sfuggire i lontani come velati da una certa nebbia, dava rilievo e grazia alle sue pitture; e che, sebbene i contorni delle figure che faceva si andavano perdendo in modo, che occultando gli errori non si potevano vedere ne' fondi, dove erano terminate le figure; che nondimeno il suo colorire e la bell'aria delle teste facevano piacere l'opere sue; tenne 1 È nella Galleria pubblica, nel vestibulo del corridore che conduce al Pa- lazzo Pitti. La figura del Crocifisso è presso che tutta restaurata. I due santi a pie della croce sono meglio conservati. 2 * Questo quadro sembra perito. Di Antonio del Cerajuolo il Vasari torna a far menzione nella Vita dei Grhirlandaj ; e brevi parole ne scrisse anche il Baldinucci. DOMENICO PULIGO sempre il medesimo modo di fare e la medesima ma- niera, che lo fece essere in pregio, mentre che visse. Ma lasciando da canto il far memoria de1 quadri e de1 ritratti che fece stando in bottega di Kidolfo, che parte furono mandati di fuori e parte servirono la città; dirò sola- mente di quelle 1 che fece quando fu piuttosto amico e concorrente di esso Ridolfo, che discepolo; e di quelle che fece essendo tanto amico d'Andrea del Sarto, che niuna cosa aveva più cara, che vedere queir uomo in bottega sua per imparare da lui, mostrargli le sue cose, e pigliarne parere per fuggire i difetti e gli errori in che incorrono molte volte coloro che non mostrano a nessuno dell'arte quello che fanno; i quali troppo fidan- dosi del proprio giudizio, vogliono anzi essere biasimati dall'universale, fatte che sono l'opere, che correggerle mediante gli avvertimenti degli amorevoli amici. Fece fra le prime cose Domenico un bellissimo qua- dro di Nostra Donna a messer Agnolo della Stufa, che l'ha alla sua badia di Capolona nel contado d'Arezzo, e 10 tiene carissimo per essere stato condotto con molta diligenza e bellissimo colorito.2 Dipinse un altro quadro di Nostra Donna, non meno bello che questo, a messer Agnolo Mccolini, oggi arcivescovo di Pisa e cardinale, 11 quale l'ha nelle sue case a Fiorenza al canto de' Pazzi; 3 e parimente un altro di simile grandezza e bontà, che e oggi appresso Filippo dell' Ant eli a in Fiorenza. In un altro, che è grande circa tre braccia, fece Domenico una Nostra Donna intera col putto fra le ginocchia, un San Giovan- nino, ed un'altra testa; il qual quadro, che è tenuto delle migliori opere che facesse, non si potendo vedere il più dolce colorito, è oggi appresso messer Filippo Spini te- 1 t Sottintendi opere o tavole. 2 * Questa tavola non è più in quel luogo , nè sappiamo che sorte abbia avuto. 3 * Il Cinelli (Bellezze di Firenze, pag. 407) cita appunto in casa Niccolini un quadro del Puligo con la Vergine, il Bambino Gesù, e santa Caterina da Siena. DOMENICO PULIGO 465 sauriere dell'illustrissimo principe di Fiorenza, magnifico gentiluomo e che molto si diletta delle cose di pittura.1' Fra molti ritratti che Domenico fece di naturale, che tutti sono belli e molto somigliano, quello è bellissimo che fece di Monsignore messer Piero Carnesecchi, allora bellissimo giovinetto; al quale fece anco alcuni altri quadri tutti belli e condotti con molta diligenza. Ritrasse . anco in un quadro la Barbara Fiorentina, in quel tempo famosa, bellissima cortigiana, e molto amata da molti, non meno che per la bellezza, per le sue buone creanze, e particolarmente per essere bonissima musica e cantare divinamente. Ma la migliore opera che mai conducesse Domenico, fu un quadro grande, dove fece quanto il vivo una Nostra Donna con alcuni Angeli e putti ed un San Bernardo che scrive; il qual quadro è oggi appresso Giovangualberto del Giocondo e messer Niccolò suo fra- tello canonico di San Lorenzo di Firenze.2 Fece il mede- simo molti altri quadri che sono per le case de1 citta- dini, e particolarmente alcuni, dove si vede la testa di Cleopatra che si fa mordere da un aspide la poppa; ed altri, dove è Lucrezia Romana che si uccide con un pu- gnale.3 Sono anco di mano del medesimo alcuni ritratti di naturale e quadri molto belli alla porta a Pinti, in casa di Giulio Scali,4 uomo non meno di bellissimo giu- 1 1 Nella sala di Saturno della Galleria de" Pitti è una tavola del Puligo sotto il n° 145, che noi crediamo esser quella stessa che fu posseduta da Filippo Spini. 2 Chi sa quante delle pitture or nominate figurano nelle Gallerie d'Europa, ■quali opere d'Andrea del Sarto! Del ritratto della Barbara cortigiana, nominata poco sopra, ci dice il Borghini nel suo Riposo, eh1 era posseduto da Gio. Batista Deti, il quale per sodisfacimento della sua donna, che il teneva in camera, fece levare alcune carte di musica che il pittore aveva finte in mano a quella femmina , e in cambio vi fece dipingere le insegne di santa Lucia. 3 *I1 Puccini, nelle sue postille mss. al Vasari, dice che la testa' di Cleo- patra è nella casa del senatore Bartolommei , e la Lucrezia in quelle degli Aldo- brandini. 1 Questa casa del celebre Bartolommeo Scala, segretario e storico fiorentino, ■è posseduta dai conti della Gherardesca. Vasari, Opere - Voi. IV. 30 DOMENICO PULIGO clizio nelle cose delle nostre arti, che in tutte T altre mi- gliori e più lodate professioni. Lavorò Domenico a Fran- cesco del Giocondo, in una tavola per la sua cappella nella tribuna maggiore della chiesa de' Servi in Fiorenza, un San Francesco che riceve le stimmate; la quale opera è molto dolce di colorito e morbidezza, e lavorata con molta diligenza.1 E nella chiesa di Cestello2 intorno al tabernacolo del Sagramento lavorò a fresco due Angeli ; * e nella tavola d' una cappella della medesima chiesa fece la Madonna col Figliuolo in braccio, San Giovanni Bat- tista e San Bernardo ed altri Santi.4 E perchè parve ai 1 *Oggi non v'è più. L'annotatore del Riposo di Raffaello Borghini, dice per altro, che essendo al tempo suo restaurata questa cappella da1 signori Anforti, la tavola del Puligo era in mano de'Buonomini di San Martino. — i Apparisce dalle Memorie mss. della chiesa de*1 Servi , del padre Eliseo Biffoli , che il Puligo la facesse nel 1526. 2 Oggi di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, com'è stato più volte avvertito. 3 i II Vasari ingannato dalla somiglianza del nome, e non considerando bene i tempi, dà a Domenico Puligo questi due angeli, che veramente furono fatti da Domenico del Ghirlandajo. Infatti sappiamo dalle Memorie mss. di Settimo e di Cestello (Archivio di Stato di» Firenze, Carte del Monastero di Settimo, filza Cy xvni na 18) , raccolte dagli antichi libri de1 due monasteri dal padre don Ignazio Signorini ne1 primi anni del secolo xvn, che nel 1480 si riedificò la chiesa di Cestello e nel 20 di marzo 1481 fu dato principio alla cappella maggiore fabbri- cata a spese di Bernardo di Niccolò Del Barbigia. Dipoi che nella facciata di essa cappella a man destra fu fatto dipingere a Domenico e David del Ghirlandajo un padiglione con due angeli, dovendo questi essere di mano di Domenico, sopra il tabernacolo di marmo per riporvi il SS. Sagramento, che aveva la porticella di bronzo dorato, opera di Donatello, donato alla chiesa nel 1484 da Antonio Dei.. La qual pittura si può credere essere stata fatta intorno al 1485, cioè sette anni innanzi alla nascita del Puligo. Parimente nelle suddette Memorie si legge che a 4 di giugno 1487 fu data a dipingere a Domenico del Ghirlandajo per 50 ducati la facciata della cappella grande di Settimo, con patto che le teste delle figure dovessero essere della propria mano di Domenico, eccetto quelle de" cherubini , e che fosse obbligato a dipingere nel chiostro nuovo de1 Melaranci una lunetta dentrovi un Crocifisso con san Bernardo. Vedendo adoperato il Ghirlandajo in questi lavori per il Monastero di Settimo, è facile il congetturare che -le storie del conte Ugo nel chiostro, ricordate dal Vasari più sotto, fossero dipinte dal Ghirlandajo e non dal Puligo. 4 * Esiste tuttavia in questa chiesa. Erra il Cinelli attribuendolo al Pontornio. NT è un intaglio nella tav. xxxv dell' Etruria Pittrice. — t Questa tavola fu tat( ;i dal Puligo intorno al 1525, commessagli dalla famiglia Da Romena, alla quale nel detto anno era stata venduta dagli eredi di Stefano Buoni che l'aveva fondata nel 1493. Essa è la terza dalla parte del giardino. DOMENICO PULIGO 467 monaci di quel luogo che si portasse in queste opere molto bene, gli feciono fare alla loro badia di Settimo fuor di Fiorenza in un chiostro le visioni del conte Ugo che fece sette badie.1 E non molto dopo dipinse il Pu- ligo in sul canto di via Mozza da Santa Caterina in un tabernacolo una Nostra Donna ritta col Figliuolo in collo che sposa Santa Caterina , e un San Piero Martire.2 Nel castello d'Anghiari fece in una Compagnia un Deposto di croce, che si può fra le sue migliori opere annove- rare.3 Ma perchè fu più sua professione attendere a1 qua- dri di Nostre Donne, ritratti ed altre teste, che a cose grandi, consumò quasi tutto il tempo in quelle : e se egli avesse seguitato le fatiche dell'arte, e non più tosto i piaceri del mondo, come fece, arebbe fatto senza alcun dubbio molto profitto nella pittura; e massimamente avendolo Andrea del Sarto, suo amicissimo, aiutato in molte cose , di disegni e di consiglio ; onde molte opere di costui si veggiono non meno ben disegnate, che co- lorite con bella e buona maniera: ma l'avere per suo uso Domenico non volere durare molta fatica, e lavo- rare più per fare opere e guadagnare che per fama, fu cagione che non passò più oltre; perchè praticando con persone allegre e di buon tempo e con musici e con femmine, seguitando certi suoi amori, si morì d'anni cinquantadua l'anno mdxxvii, per avere presa la peste in casa d'una sua innamorata.4 Furono da costui i co- 1 * Quanto al conte Ugo e alle sette Badie, vedi tra le note alle Vite d'Ar- nolfo, e di Niccola e Giovanni Pisano. 2 * Questo bel dipinto ha molto sofferto. Il tabernacolo è sulla cantonata di via San Zanobi (anticamente via Mozza) dalla parte di via delle Paiote. i Dai libri de' Partiti e Stanziamenti de' Capitani della Compagnia di Santa Maria del Bigallo del 1526 si ha che il Puligo fece la pittura di questo taber- nacolo per commissione di essi Capitani e ne ebbe fiorini dodici d'oro. 3 Sussiste tuttavia in detto luogo; ed è assai bello. 4 Nella prima edizione leggesi il seguente distico fattogli da un suo amico: Esse animum nobis coelesti e semine, et aura,, Eie pingens s passim eredita, vera docet. 468 DOMENICO PUL1GO lori con sì buona ed unita maniera adoperati, che per questo merita lode che per altro.1 Fu suo discepolo, fra gli altri, Domenico Beceri fiorentino, il quale adoperando i colori pulitamente, con buonissima maniera conduce l1 opere sue.2 1 * Meglio nella prima edizione: che più per questo merita lode che per altro. 2 t Crediamo che sia quel Domenico d1 Jacopo detto Beco, nominato sotto Tanno 1525 nel Catalogo alfabetico degli ascritti nella Compagnia di San Luca, pubblicato dal Gualandi nella serie VI delle Memorie Italiane di Belle Arti. 469 471 COMMENTARIO * ALLA. Vita di Domenico Puligo In una casetta di proprietà dello spedale di San Gallo, posta sulla piazza fuor della porta dello stesso nome , abitava negli ultimi anni del se- colo xv un uomo chiamato Bartolommeo di Domenico, il quale coli' eser- cizio dell' arte sua del fabbro-ferrajo campava se e la famiglia, composta dell'Apollonia sua moglie, e figliuola d'Antonio di Giovanni orefice, e di due figliuoli piccolini, cioè Domenico, natogli nel 1492, e Francesca mi- nore di due anni. Questo Bartolommeo discendeva dagli Ubaldini, detti da Marradi, terra della Eomagna Toscana, donde essi avevano avuto origine. Della qual famiglia alcuni uomini che facevano l'arte del fabbro s'erano partiti dal paese nativo ne' primi anni di quel secolo, ed andati ad abi- tare al Ponte a Rifredi, paesello a due chilometri da Firenze; ma dopo qualche tempo levatisi di quivi erano tornati presso le mura della città, dal lato di San Gallo. Sul principiare del 1500, Gualente, tessitore di broccati e fratello del detto Bartolommeo, aveva preso stanza dentro Fi- renze insieme colla Costanza sua donna, e co' figliuoli Lorenzo , Angelo e Zanobi che seguitavano l'arte paterna. Pietro, il maggiore di loro, si era già fatto frate col nome di Don Timoteo nel monastero degli Agostiniani di San Gallo. . . Questo ramo degli Ubaldini discendente da Gualente, che fu il primo a godere della cittadinanza fiorentina, aveva la sua sepoltura in Santa Maria in Campidoglio presso il Mercato Vecchio, dove, nel passato secolo, innanzi che fosse profanata, si vedeva una lapide coli' arme di famiglia, che era una testa di cervo con una stella tra le corna. Gli Ubaldini da Marradi si estinsero in Firenze ne' primi anni del 1600 in suora Leonora Agostina figliuola d'Ubaldino, e monaca in San Martino di via della Scala; nel qual monastero passarono i beni di quella famiglia. 472 COMMENTARIO ALLA VITA Dopo queste cose che fino ad ora non si sapevano, e sono di qualche curiosità, intorno alla famiglia, da cui discese Domenico pittore fiorentino detto il Puligo, diremo brevemente di alcuni altri particolari della sua vita che il Vasari non seppe, o riferì con poca esattezza. Già abbiamo veduto che la nascita del Puligo accadde diciassette anni dopo al tempo assegnatole dal Biografo aretino. E questa data noi la desumiamo dalla portata all'Estimo del contado di Firenze, quartiere di Santa. Maria No- vella, n° 4, fatta nel 1504 da Bartolommeo suo padre; nella quale "dice che Domenico suo figliuolo era di 12 anni d'età. Fra le opere di pittura del Puligo non ricordate dagli scrittori, noi abbiamo notizia di due tavole fatte da lui in Genova per due chiese di quella città. Nell'anno 1525 Battista del fu Oistofano Grasso ed Ago- stino di Marsiano Calvo pittori genovesi, volendo dar perfezione a due quadri d'altare, l'uno per la chiesa di Santa Caterina di Genova, e l'altro per quella del celebre monastero di San Benigno fuori della città, ven- nero in Firenze, e a' 21 dicembre del detto anno stipularono un atto ro- gato da ser Alessandro da Firenzuola, col quale Domenico degli Ubaldini (il Puligo) cittadino e pittore fiorentino pattuì di andare a Genova, di- pingere i detti quadri, e darli finiti dentro il termine di quattro mesi; obbligandosi dal canto loro i detti pittori genovesi di pagare a Domenico per mercede e salario di ciascun mese, 15 fiorini d'oro in oro larghi, e somministrargli le spese giornaliere del vitto secondo la qualità, grado e condizione sua; ben inteso però che se, passati i detti quattro mési, i quadri non fossero compiuti, dovesse il pittore darli finiti a giudizio di persona proba. Se questi due quadri fossero veramente fatti dal Puligo è oggi assai diffìcile di accertare. La chiesa e il monastero di San Benigno essendo stati rovinati nel principio di questo secolo, non sappiamo che sorte abbiano avuto le cose d'arte che vi si trovavano. Nelle Guide an- tiche di Genova non si ha ricordo di quadri del Puligo in San Benigno, e solamente nella Guida del Ratti si nomina una tavola di pittore ignoto nella chiesa di Santa Caterina, che forse potrebbe essere quella del Puligo, ma oggi non v' è più. Nelle Guide moderne non se ne parla. Ma non pas- sarono due anni che Domenico, essendo corpore languens et in pericolo pestis constttutus, fece testamento ai 12 di settembre 1527 ricevuto ne' ro- giti di ser Andrea Rulli. Nel qual testamento dispone di esser seppellito in San Lorenzo di Firenze. Lascia a titolo di dote alla Margherita ed alla Apollonia sue figliuole, nategli da madonna Felice di Francesco Sil- vani sua moglie, dugento fiorini di suggello per ciascuna. E morendo l'una delle due figliuole prima di maritarsi, vuole che all' altra ' soprav- vivente sieno dati de' dugento fiorini della dote della sorella morta 100 fio- rini. Dichiara che la dote della sua moglie, qualora i suoi figliuoli così DI DOMENICO PULIGO 473' maschi come femmine morissero senza figliuoli legittimi e naturali, tanto maschi, quanto femmine, ritorni a Francesco di ser Silvano suo suocero; il quale in tal caso istituisce suo erede universale con questo carico, che ricadendo i detti diritti dotali nel sopraddetto Francesco , esso e i suoi eredi sieno tenuti a far celebrare ogni anno in perpetuo, nella chiesa dove Domenico sarà seppellito, un uffizio da morti per l'anima sua, sioen- dendovi un fiorino d' oro largo. Erede universale chiama Bartolommeo suo figliuolo e della detta madonna Felice; al quale, morendo, sostituisce le sorelle, e morte queste, i parenti più prossimi nella quantità di fiorini 100 d'oro larghi e non più, coli' obbligo di far celebrare ogni anno in per- petuo un uffìzio da morti nella festa dello Spirito Santo per l' anima di Marco di Lorenzo suo cugino. Lascia a titolo di legato il residuo de' suoi beni, diritti e ragioni, allo Spedale degl' Innocenti della città di Firenze, con questo che lo Spedale faccia ogni anno in perpetuo celebrare nella Pasqua di Resurrezione un uffizio per -l'anima del testatore. Vuole che tutore e curatore di Bartolommeo suo figliuolo pupillo sia il detto Fran- cesco suo suocero, e che i suoi figliuoli pupilli non possano dimorare ne stare sotto la custodia e guardia d'altri, perchè conosce che esso Francesco è uomo di buoni costumi, e temente Dio. Al qual Francesco, morendo, sostituisce nella tutela e a suo tempo nella cura Giovanni d'Antonio orafo, zio materno del testatore, Giovanni di Domenico tessitore di broccati, Giovan Gualberto del Giocondo e Cristoforo da Soci cancelliere de' Dieci. I quali tutori, confidando nella bontà e lealtà loro, e nella fede e be- nevolenza ch'ebbe sempre in loro, libera ed assolve dal fare inventario, e dal render conto della loro amministrazione. Pochi giorni dopo questo testamento Domenico Ubaldini morì, lasciando, come abbiamo veduto, tre figliuoli, de' quali, essendosi morti in poco tempo Bartolommeo e la Mar- gherita, rimase la sola Apollonia, che poi fu maritata a Filippo Baldocci sarto, e morto questo, ad Amaddio Baccelli. 475 ANDREA DA FIESOLE SCULTORE E ALTRI FIESOLANI (Nato nel 1465; morto nel 1526) Perchè non meno si richiede agli scultori avere pra- tica de1 ferri, che a chi esercita la pittura quella deco- lori; di qui avviene che molti fanno di terra benissimo, che poi di marmo non conducono l'opera a veruna per- fezione; ed alcuni, per lo contrario, lavorano bene il marmo senza avere altro disegno, che un non so che, che hanno nell'idea di buona maniera; la imitazione della quale si trae da certe cose che al giudizio piacciano, e che poi tolte all' imaginazione si mettono in opera. Onde è quasi una maraviglia vedere alcuni scultori, che senza saper punto disegnare in carta conducono nondimeno coi ferri V opere loro a buono e lodato fine : come si vide in Andrea di Piero di Marco Ferrucci, scultore da Fie- sole,1 il quale nella sua prima fanciullezza imparò i prin- cipj della scultura da Francesco di Simone Ferrucci, scul- tore da Fiesole.2 E sebbene da principio imparò solamente a intagliare fogliami, acquistò nondimeno a poco a poco 1 t Andrea nacque in Fiesole nel 1465, come apparisce dalla portata all'Estimo del 1487 (Quart. San Giovanni, Canonica di Fiesole, n° 260) fatta da Piero di Marco Ferrucci suo padre, il quale dice che Andrea ha 22 anni d'età. 2 1 Di Francesco di Simone abbiamo parlato e datone quelle maggiori notizie che avevamo nella Vita di Andrea del Verrocchio, tomo III, pag. 371, nota 2. 17G ANDREA DA FIESOLE E ALTRI F1ES0LANI tanta pratica nel fare, che non passò molto che si diede a far figure: di maniera che avendo la mano resoluta e veloce, condusse le sue cose di marmo più con un certo giudizio e pratica naturale, che per disegno che egli avesse. Ma nondimeno attese un poco più all'arte, quando poi seguitò nel colmo della sua gioventù Michele Maini , scultore similmente da Fiesole; il quale Michele fece nella Minerva di Roma il San Sebastiano di marmo, che fu tanto lodato in que' tempi.1 Andrea, dunque, essendo condotto a lavorare a Imola, fece negl'Innocenti * di quella città una cappella di ma- cigno, che fu molto lodata.2 Dopo la quale opera se n'anelò a Napoli,3 essendo là chiamato da Antonio di Giorgio da Settignano, grandissimo ingegneri ed architetto del re Ferrante ; 4 appresso al quale era in tanto credito Anto- 4 i Di questo artefice fiesolano, il solo a parlare è il Vasari. Così dicendo non intendiamo di metterne in dubbio l'esistenza. Solamente vogliamo notare che per isbaglio del Biografo, o per errore di stampa, sia detto di cognome Maini, famiglia che non si trova tra le fiesolane. Ora noi crediamo che questo artefice fosse invece de' Marini. Infatti e' è ricordo d' un Michele di Luca Marini scultore da Fiesole nato nel 1459, del quale può ben essere che abbia inteso di parlare il Vasari. 2 i Non sappiamo se questa cappella sia tuttavia in essere. 3 i Nella detta portata di suo padre del 1487 si dice che Andrea era allora di stanza a Napoli. 1 t Di Antonio di Giorgio Marchissi è stato detto qualcosa nella Vita di Pietro Perugino, vedi tomo III, pag. 570, nota 3. Noi ne daremo qui altre maggiori notizie; parendoci degno, per essere stato architetto. civile e militare assai valente, che il Vasari dicesse di lui assai più. Nacque Antonio in Settignano ai 17 di maggio 1451. Nel 1474 era a Pesaro insieme con Giorgio suo padre, il quale fab- bricava allora per il signor Costanzo Sforza la fortezza di quella città. Nel 1487 architettò la chiesa e il monastero di San Giusto alle mura fuori di Firenze, pe1 frati gesuati: e nello stesso anno dava il disegno di quella di Santa Maria delle Lacrime presso Trevi. (Vedi Guardabassi, Indice- Guida ecc.). Nel 1494 lo tro- viamo a Napoli proto architetto, al servizio di que' reali, colla provvisione di 200 ducati. Era ancora colà nel 1498 e rivedeva le fortezze di Calabria , dove pare che ancora dimorasse, quando nel 1517 fu chiamato da Leone X a Civitavecchia per consigliare insieme con altri ingegneri sopra le fortificazioni di quella citta. (Vedi la Vita di Antonio da Sangallo il giovane). Nel 1518 ritornato a Firenze , i signori Otto di Pratica lo mandarono a Pisa, Livorno, Borgo San Sepolcro, Arezzo e Montepulciano per rivedere quelle fortezze, far disegni e modelli. Nello stesso anno andò a rivedere quella di Fojano in Valdichiana, della quale fece un bellissimo disegno. Morì Antonio il 1° di settembre 1522. Aveva fatto testamento ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 477 nio, che non solo maneggiava tutte le fabriche del Re- gno, ma ancora tutti i più importanti negozj dello stato. Giunto Andrea in Napoli, fu messo in opera, e lavorò molte cose nel castello di San Martino ed in altri luoghi della città, per quel re. Ma venendo a morte Antonio, poi che fu fatto seppellire da quel re, non con esequie da architettore, ma reali, e con venti coppie d'imbastiti,1 che l'accompagnarono alla sepoltura; Andrea si partì da Napoli, conoscendo che quel paese non faceva per lui, e se ne tornò a Roma, dove stette per qualche tempo attendendo agli studi dell' arte ed a lavorare. Dopo, tornato in Toscana, lavorò in Pistoia nella chiesa di San Iacopo la cappella di marmo, dove è il Battesimo, e con molta diligenza condusse il vaso di detto Battesimo con tutto il suo ornamento : e nella faccia della cappella fece due figure grandi quanto il vivo, di mezzo rilievo; cioè San Giovanni che battezza Cristo, molto ben con- dotta e con bella maniera,2 Fece nel medesimo tempo alcune altre opere piccole, delle quali non accade far menzione: dirò bene, che ancora che queste cose fossero fatte da Andrea più con pratica che con arte, si conosce nondimeno in loro una resoluzione "ed un gusto di bontà molto lodevole. E nel vero, se così fatti artefici avessero congiunto alla buona pratica ed al giudizio il fondamento nel 1493, nel quale istituiva erede universale Ottaviano suo figliuolo natogli dalla Fioretta di Giovanni Gioii sua moglie, sostituendogli in caso di morte, Zeffira, che fu maritata al nostro Andrea Ferrucci , e Ginevra, sue figliuole; ma poi in altro testamento del 10 di maggio 1520 istituì erede Giorgio suo figliuolo naturale. Da tutto questo si vede che il Marchissi non morì in Napoli, e che è una favoletta quel che dice il Vasari di lui e del re Ferrante. 1 * Intendasi per incappati, detti ancora battuti, e battenti. Furono chiamati imbastiti, perchè vestivano cappe grossamente cucite: onde rimane ancora imba- stire e imbastitura, che è l'unire con gran punti le parti delle vesti, per potérle poi acconciamente cucire. 2 * Opera stupenda veramente è questa cappella del Battesimo. Oltre le cose descritte dal Vasari, vi sono quattro storiette della vita del santo, di finissimo lavoro; cioè, la Nascita di San Giovanni Battista, la Predica nel deserto, la De- collazione, e il Convito di Erodiade. 473 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI PIESOLANI del disegno, vincerebbono d1 eccellenza coloro che dise- gnando perfettamente, quando si mettono a lavorare il marmo, lo graffiano, e con istento in mala maniera lo conducono, per non avere pratica e non sapere maneg- giare i ferri con quella pratica che si richiede. Dopo queste cose, lavorò Andrea nella chiesa del vescovado di Fiesole una tavola di marmo, posta nel mezzo fra le due scale che sagliono al coro di sopra, dove fece tre figure tonde ecl alcune storie di bassorilievo;1 e in San Girolamo di Fiesole fece la tavolina di marmo, che è murata nel mezzo della chiesa.2 Per la fama di queste opere venuto Andrea in cogni- zione, gli fu dagli Operai di Santa Maria del Fiore, al- lora che Giulio cardinale de1 Medici governava Fiorenza, dato a fare la statua d' uno Apostolo di quattro braccia ; in quel tempo, dico, che altre quattro simili ne furono allogate, in un medesimo tempo, una a Benedetto da Maiano,3 una a Iacopo Sanso vino, una a Baccio Bandi- nelli, e T altra a Michelagnolo Buonarroti; le quali statue avevano a essere insino al numero di dodici, e doveano porsi dove i detti Apostoli sono in quel magnifico tempio 1 * Nel mezzo è collocato il ciborio , e dalle parti laterali la statua di San Matteo e quella di un santo vescovo , forse san Romolo ; e in due ovati al di sopra l'An- nunziazione di Nostra Donna. Nel gradino sono scolpite egregiamente alcune storie allusive al mistero dell'Eucaristia. 2 t Non è una tavolina, ma tutto un altare di bella e ornata architettura, ricca di graziosi intagli con statue e bassorilievi. Ne parla il Bandini nelle Lettere Fiesolane, pag. 136 e 137. Tanto la tavola dell'altare, quanto il ciborio per gli olj santi, anch'esso di mano del Ferrucci, furono venduti al Museo di Kensing- ton di Londra, dalla famiglia Ricasoli, alla quale appartiene la chiesa. Il Ci- cognara, nella sua Storia della Scultura', ha dato dell'altare di San Girolamo una incisione, che è la tav. xxxn, del tomo II. 3 * Qui il Vasari, come già notammo nel tom. Ili, pag. 346, nota 1, sbaglia, ponendo fra gli artefici, a cui furon commesse le statue degli apostoli, anche Be- nedetto da Majano, già morto da più anni: forse egli intendeva di scrivere Be- nedetto da Rovezzano, come poi dimostra nella Vita di questo artefice, al quale veramente fu allogata una delle dette statue. Il Bandinelli aveva finita la sua nel 1517, e Andrea da Fiesole in compagnia d'altri ne diede la stima ai 4 di giugno del detto anno. ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 479 dipinti di mano di Lorenzo di Bicci.1 Andrea, dunque, condusse la sua con più bella pratica e giudizio che con disegno; e n'acquistò, se non lode quanto gli altri, nome di assai buono e pratico maestro : 2 onde lavorò poi quasi di continuo per V Opera di detta chiesa ; 3 e fece la testa di Marsilio Ficino , che in quella si vede dentro alla porta che va alla Canonica.* Fece anco una fonte di marmo, che fu mandata al re d'Ungheria, la quale gli acquistò grande onore.5 Fu di sua mano ancora una se- poltura di marmo, che fu mandata similmente in Stri- gonia, città d'Ungheria; nella quale era una Nostra Donna molto ben condotta, con altre figure: nella quale sepoltura fu poi riposto il corpo del cardinale di Stri- goni a.6 A Volterra mandò Andrea due Angeli tondi di 1 *Non da Lorenzo di Bicci, come già disse nella Vita di quest'artefice il Vasari, ma sibbene da Bicci suo figliuolo furono dipinti nel 1439. Vedi il nostro Commentario alla Vita di Lorenzo di Bicci, tomo II, pag. 65. 2 * Questa statua gli fu allogata ai 13 d'ottobre del 1512, e rappresenta l'apo- stolo Sant'Andrea. Due anni dopo , cioè ai 25 di maggio 1514 , ebbe a farne un' altra di un San Pietro, la quale non si sa se fosse da lui eseguita, trovandosi che il Bandinelli nel 1517 aveva fatto una statua, allogatagli ai 25 di gennajo del 1515, che rappresenta quell'apostolo. (Archivio dell'Opera, Deliberazioni dal 1507-1515). 3 * Andrea era al s3rvizio dell'Opera prima del 1508, perchè in quest'anno si trova che egli aveva, di già incominciato a lavorare al ballatojo della cupola. Fu poi nell'anno 1512 ai 16 di dicembre eletto capomaestro di quella fabbrica; nel quale ufficio durò fino alla morte. (Archivio dell'Opera, Deliberazioni dal 1507 al 1515, e dal 1515 al 1519). 1 Sussiste «incora in detto luogo. — *La testa di marmo del Ficino fu allogata ad Andrea nel 1521, ed un anno dopo era finita. 5 * Cominciò a lavorare questa fonte nel 1517, come apparisce da una deli- berazione degli Operaj di' Santa Maria del Fiore de' 26 di maggio di quell'anno; nella quale si dice, che avendo maestro Andrea dei Ferrucci preso a fare per il re d' Ungheria un certo lavoro di marmo , alla perfezione del . quale parevagli dovere occorrere due anni , gli Operaj gli danno licenza di fare quel lavoro , nella sua solita stanza dell'Opera, purché fosse di figura e non di quadro (Archivio detto, Deliberazioni dal 1515 al 1519). 6 * Questi fu Tommaso Bakocz, creato cardinale già da Alessandro VI nel 1500, succeduto nell'arcivescovado di Strigonia al cardinale Ippolito d'Este, e -morto agli 11 di giugno 1521. t II cardinale fece costruire nella Cattedrale di Strigonia una cappella de- dicata alla Vergine e a Sant'Adalberto , la quale fu cominciata nel 1506, e termi- nata l'anno seguente, secondo la iscrizione che si legge al di sopra delle colonne: 480 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI marmo ; 1 ed a Marco del Nero fiorentino fece un Croci- fisso di legno, grande quanto il vivo, che è oggi in Fio- renza nella chiesa di Santa Felicita : 2 un altro minore ne fece per la Compagnia dell'Assunta di Fiesole.3 Dilettossi anco Andrea dell1 architettura , e fu maestro del Mangone scarpellino ed architetto , che poi in Eoma condusse molti palazzi ed altre fabriche assai acconcia- mente.4 Andrea finalmente , essendo fatto vecchio , attese solamente alle cose di quadro , come quello che essendo persona modesta e dabbene, più amava di vivere quie- tamente, che alcun' altra cosa. Gli fu allogata da ma- Thomas Bakocz de Erdevd cardìnalis Strigonien. alme Dei genitrici Marie Virgini eoctruxit anno mcccccvii. L'interno della cappella , lunga trentaquattro piedi e larga ventinove, è rivestito di marmo rosso: Andrea da Fiesole, scolpi di marmo di Carrara l'altare, e non la sepoltura del cardinale , come dice il Va- sari. La cappella cogli ornamenti e suppellettili sue fu più volte manomessa, e saccheggiata. Delle antiche sculture , di cui 1' aveva ornata lo scarpello del Fer- rucci, ne resta una parte: Quali esse si fossero lo possiamo conoscere da un si- gillo del cardinale Tommaso del 1512 conservato presso i conti Erdòdy. Sopra tre gradini ed imbasamento ornato di festoni alzasi la fabbrica marmorea divisa per mezzo di quattro colonne in tre edicole o nicchie, dentro le quali sono le statue ] in quella di mezzo di sant'Adalberto, e nelle laterali di san Giovanni Evangelista e di san Stefano re, col cardinale genuflesso innanzi al santo arcivescovo di Praga. In alto ed in mezzo è di rilievo Maria Vergine col Bambino Gesù. Le statue del- l'edicole nella presa di Strigonia fatta dai Turchi nel 1543 furono distrutte: ma il resto di questa cappella fu salvato. (Vedi Reumont A., Un' ambasciata Ve- neziana in Ungheria, nell'Archivio Storico Italiano, serie IV, tomo III, di- spensa II, del 1879). 1 *Sono ai lati dell'urna che racchiude il corpo di sant'Ottaviano, nella Cat- tedrale di quella città. 2 Si vede ancora in questa chiesa. 3 * Ossia di Santa Maria Primerana. Questo Crocifisso esiste tuttavia. 4 *Di questo artefice nessun' altra notizia ci dà il Vasari nè gli altri scrittori di belle arti. Giovanni Mangone fu da Caravaggio e mori in Roma nel 1543 , come si ritrae da una lettera di Claudio Tolomei ad Antonfrancesco Rinieri, data da Roma a' 27 di giugno di queir anno. « È morto a questi giorni ( egli dice ) mae- stro Giovanni Mangone, celebre e lodato architettore: la qua! morte è dolta comu- nemente a tutta Roma, perch'egli era huomo bene intendente e molto pratico ; e giovava grandemente a questa città con l'arte sua». (Lettere di C. Tolomei, Ve- nezia, Giolito, 1457, a pag. 105). In essa si parla anche di Aristotile da San Gallo, che desiderava aver dalla Camera Apostolica, per la quale aveva in altri tempi ser- vito , uno di que' luoghi che teneva il detto Giovanni Mangone. Nella Galleria di Firenze è nel voi. 216 dei Disegni di Palazzi un foglio , dov' è schizzata a penna una loggia dorica nel primo piano e jonica nel secondo. In basso vi si legge ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 481 donna Antonia Yespucci la sepoltura di messer Antonio Strozzi suo marito; ma non potendo egli molto lavorare da per se, gli fece i due Angeli Maso* Boscoli da Fie- sole, suo creato, che ha poi molte opere lavorato in Roma 1 ed altrove; e la Madonna fece Silvio Cosini da Fiesole,2 ma non fu messa su subito che fu fatta, il che fu Tanno mdxxii,3 perchè Andrea si morì, e fu sotterrato dalla Compagnia dello Scalzo ne1 Servi.4 E Silvio poi posta su la detta Madonna, e finita di tutto punto la detta sepoltura dello Strozzi/ seguitò l' arte della scultura con di vecchio carattere: La inveitone edi giova mangone. — t II Mangone nel 1527 era in Roma col carico di soprastante della fonte di San Pietro, ed in questo ufficio durava ancora nel 1532. Nel 1534 lavorò neh1' apparato per la coronazione di Paolo III; nel 1535 architettò il palazzo del card. Armellini. Nel 1539 era ar- chitetto della Camera Apostolica, e fu uno de' maestri che intervenne alle con- sulte tenute in Roma per la fortificazione di Borgo. 1 'In San Pietro in Vinculi, scolpì la cassa sepolcrale, sopravi la statua di papa Giulio II. (Vedi nella Vita di Michelangiolo Buonarroti). 2 Gli angeli del Boscoli e la Madonna 'del Cosini si veggono ancora sulla sepoltura d'Antonio Strozzi in Santa Maria Novella, lungo la parete della- navata , a man sinistra entrando in chiesa. (Vedi Cicognara, voi. II, tav. xxxn). t II Boscoli fu figliuolo di Piero di Maso d'Antonio da Settignano. Nacque nel 1503; e morì il 16 settembre 1574. Il Cosini non fu di Fiesole; egli fu figliuolo di un maestro Giovanni di Neri di Cosino legnajuolo, nativo del villaggio di Cep- perello, nella potesteria di Barberino, onde i suoi discendenti furono detti da Cepperello o Cepperelli ; e nacque circa il 1495 senza dubbio in Pisa , dove il padre suo e l'avolo da molti anni abitavano. Ebbe Silvio un fratello per nome Vincenzo, che fu parimente scultore. Jacopo Sansovino nel suo testamento dice che a Silvio ed al fratello suo, che egli chiama da Poggibonsi, aveva dato a fare la sua sepol- tura in Venezia ; parimente da Poggibonsi son detti in alcuni strumenti stipulati in Pietrasanta. Nel 1532 si trovano ambidue di stanza in Pietrasanta ed avere per mogli le figliuole di maestro Stefano de' Procacci di quella terra, Vincenzo la Maria e Silvio la Ginevra. Silvio morendo in Milano, nel 1540 incirca, lasciò due figliuoli , cioè Valerio e Laura. Valerio fu pittore e stette in Lucca ad impa- rare l'arte sotto un maestro Giovanni pittore lucchese detto il Francioso ; Laura sposò nel 1556 Domenico di Gio. Serragli da Firenze terrazzano di Pietrasanta, Vincenzo non ebbe figliuoli. 3 *Se Antonio di Vanni Strozzi morì il 10 di gennajo del 1523 (stile co- mune 1524), come appare dall'iscrizione del suo monumento, l'opera del Fer- rucci non poteva esser fatta nel tempo che dice il Vasari. Forse il 1522 è errore di stampa, che si ha da correggere in 1524. 4 t Andrea fece testamento il 25 d'ottobre 1526, e morì pochi giorni dopo, s E intagliata ne1 Monumenti Sepolcrali della Toscana ,. e nella Storia della famiglia Strozzi del conte Litta. Vasìbi, Onere - Voi. IV. 31 182 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI fierezza straordinaria; onde ha poi molte cose lavorato leggiadramente e con bella maniera, ed ha passato in- finiti, e massimamente in bizzarria di cose alla grotte- sca; come si può vedere nella sagrestia1 di Michelagnolo Buonarroti, in alcuni capitelli di marmo intagliati sopra i pilastri delle sepolture, con alcune mascherine tanto bene straforate, che non è possibile veder meglio. Nel medesimo luogo fece alcune fregiature di maschere che gridano, molto belle. Perchè veduto il Buonarroto l'in- gegno e la pratica di Silvio, gli fece cominciare alcuni trofei per fine di quelle sepolture; ma rimasono imper- fetti, insieme con altre cose, per l'assedio di Firenze. Lavorò Silvio una sepoltura per i Minerbetti, nella loro cappella nel tramezzo della chiesa di Santa Maria No- vella, tanto bene quanto sia possibile; perchè, oltre la cassa, che è di bel garbo, vi sono intagliate alcune tar- ghe, cimieri, ed altre bizzarrie con tanto disegno, quanto | si possa in simile cosa desiderare.2 Essendo Silvio a Pisa l'anno mdxxviii, vi fece un Angelo che mancava, sopra una colonna, all'altare maggiore del duomo,3 per riscon- tro di quello del Tribolo; tanto simile al detto, che non potrebbe essere più, quando fussero d'una medesima mano. Nella chiesa di Montenero, vicino a Livorno, fece una tavoletta di marmo con due figure , ai frati Ingesuati: ed in Volterra- fece la sepoltura di messer Raffaello Vo- laterrano, uomo dottissimo; nella quale lo ritrasse di naturale sopra una cassa di marmo, con alcuni orna- 1 Cioè nella cappella di San Lorenzo, detta la sagrestia nuova, nella quale sono i sepolcri dei duchi d'Urbino e di Nemours (Lorenzo-e Giuliano de' Medici)^ scolpiti dal Buonarroti. 2 Questa sepoltura è adesso incastrata nella muraglia della chiesa, a man destra. 3 Vi sono nel Duomo di Pisa due angioletti di marmo col nome scolpito di Silvio. Il Vasari stesso nella prima edizione disse: «Fece in Pisa all'aitar maggiore due angeli di marmo ». ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 483 menti e figure.1 Essendo poi, mentre era l'assedio intorno a Firenze, Niccolò Capponi, onoratissimo cittadino, morto in Castelnuovo della Garfagnana,9, nel ritornare da Ge- noa, dove era stato ambasciatore della sua republica al- l'imperatore; fu mandato con mólta fretta Silvio a for- marne la testa, perchè poi ne facesse una di marmo, siccome n'aveva condotto una di cera, bellissima. E per- chè abitò Silvio qualche tempo con tutta la famiglia in Pisa, essendo della Compagnia della Misericordia, che- in quella città accompagna i .condannati alla morte insino al luogo della iustizia, gli venne una volta capriccio, essendo sagrestano, della più strana cosa del mondo. Trasse una notte il corpo d'uno che era stato impiccato il giorno innanzi, della sepoltura; e dopo averne fatto notomia per conto dell'arte, come capriccioso e forse ma- liastro, e persona che prestava fede agl'incanti e simili sciocchezze, lo scorticò tutto, ed acconciata la pelle, se- condo che gli era stato insegnato, se ne fece, pensando che avesse qualche gran virtù, un coietto, e quello portò per alcun tempo sopra la camicia, senza che nessuno lo sapesse giamai. Ma essendone una volta sgridato da un buon padre, a cui confessò la cosa, si trasse costui di dosso il coietto, e secondo che dal frate gli fu imposto, lo ripose in una sepoltura. Molte altre simili cose si po- trebbono raccontare di costui; ma non facendo al pro- posito della nostra storia, si passono con silenzio. Essen- dogli morta la prima moglie in Pisa, se n'andò a Carrara: e quivi standosi a lavorare alcune cose, prese un'altra donna;3 colla quale non molto dopo se n'andò a Genoa, 1 * Raffaello Maffei, detto il Volterrano dalla patria sua, autore del libro Com- mentarla Urbana e d'altri scritti, morì eremita nel 1522. Il suo monumento è nella chiesa di San Lino, ed è intagliato nell'opera de' Monumenti funebri della Toscana. » • 2 * A' 18 d'ottobre del 1529. 3 ì Non in Carrara, ma in Pietrasanta prese moglie, come è stato detto a pag. 481, nota 2. 184 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI dove stando a1 servigj del principe Doria, fece di marmo sopra la porta del sno palazzo un1 arme bellissima, e per tutto il palazzo molti ornamenti di stucchi, secondo che da Perino del Vaga pittore gli erano ordinati.1 Fecevi anco un bellissimo ritratto, di marmo, di Carlo V im- peratore.2 Ma perchè Silvio per suo naturai costume non dimorava mai lungo tempo in un luogo, ne aveva fer- mezza, increscendogli lo stare troppo bene in Genoa, si mise in camino per andare in Francia. Ma partitosi, prima che fusse al Monsanese3 tornò in dietro; e fer- matosi in Milano, lavorò nel duomo alcune storie e figure e molti ornamenti, con sua molta lode; e finalmente vi si morì, d'età d'anni quarantacinque. Fu costui di bello ingegno, capriccioso, e molto destro in ogni cosa, e persona che seppe condurre con molta diligenza qualunche cosa si metteva fra mano. Si dilettò di comporre sonetti e di cantare ali1 impro viso ; e nella sua prima giovanezza attese ali1 armi. Ma se egli avesse fermo il pensiero alla scultura ed al disegno, non arebbe avuto pari; e come passò Andrea Ferruzzi suo maestro, così arebbe ancora, vivendo, passato molti altri ch'hanno avuto nome d'eccellenti maestri. Fiorì ne' medesimi tempi d'Andrea e di Silvio un altro scultore fìesolano detto il Cicilia, il quale fu persona molto pratica. Vedesi di sua mano nella chiesa di San Iacopo in Campo •Corbolini -di Fiorenza la sepoltura di messer Luigi Tornabuoni cavaliere,4 la quale è molto lodata, e 1 *Ciò è ripetuto dal Vasari stesso nella Vita di Perino del Vaga; come di altre cose sue fa cenno in fine della Vita del G-arofolo. 2 t L'andata del Cosini a Genova cade intorno al 1532. Dei lavori fatti da lui e di marmo e di stucco nel palazzo del principe Doria a Fassolo parla il prof. Santo Varni assai distesamente nel suo librétto intitolato: Delle opere ese- guite in Genova da Silvio Cosini', Genova, 1868. 3 *Cioè, Monte Cenisio. 4 Luigi Tornabuoni fu gran Priore di Pisa dell' ordine Gerosolimitano. Il suo sepolcro è sempre in essere in detta chiesa di San Jacopo. ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 485 massimamente per avere egli fatto lo scudo dell'arme di quel cavaliere nella testa d'un cavallo, quasi per mo- strare, secondo gli antichi, che dalla testa del cavallo fu primieramente tolta la forma degli scudi.1 Ne' medesimi tempi ancora Antonio da Carrara, scul- tore rarissimo, fece in Palermo al duca di Monte Lione, di casa Pignatella, napoletano, e viceré di Cicilia., tre statue, cioè tre Nostre Donne in diversi atti e maniere, le quali furono poste sopra tre altari nel duomo di Monte Lione in* Calabria. Fece al medesimo alcune storie di marmo, che sono in Palermo. Di costui rimase un figliuolo, che è oggi scultore anch' egli, e non meno eccellente che si fusse il padre.2 * 1 * Questa scultura è molto lodata non già per la cagione che dice il Vasari , ma per la gran finezza, e il risoluto magistero con che è trattata in ogni sua parte. Il Tornabuoni si fece fare questo monumento da vivo nel 1515. (Vedi Richa, Chiese Fiorentine, III, 305, 306). Il Litta ne dà l'intaglio nella storia genealo- gica della famiglia Tornabuoni inserita tra le sue Famiglie celebri Italiane. t Chi fosse questo scultore , non dicendosi il suo nome , non c1 è riuscito di sapere. 2 t Nel Duomo di Monteleone sono presentemente sei statue di marmo, tre delle quali vi furono trasportate insieme coir altare, dove erano collocate, dalla chiesa di Santa Maria di Gesù , soppressa nel 1810. La prima rappresenta Nostra Donna in piedi che posa sopra una base, in cui è scolpito di bassorilievo il Presepio ; la seconda è un san Giovanni Evangelista, e nella base ha la storia parimente in' bassorilievo del supplizio al quale fu condannato il santo ; la terza , che è la più pre- gevole , figura santa Maria Maddalena in estasi con quattro angioletti , e nel sot- tostante bassorilievo della base il Noli me tangere. Due altre statue più piccole e di minor pregio, cioè la Vergine col Figliuolo, e san Luca, vennero dalla chiesa de' Minori Osservanti. E queste sono di diverso scalpello, e di mediocre lavoro. La sesta infine rappresenta la Madonna della Neve esistente ab antico nel Duomo , ed è lodata sopra tutte ; mentre le altre due della Vergine vi furono tra- sportate da altre chiese ne' tempi moderni. (Vedi De Marzo G-. , Degli Scultori della Penisola che lavorarono in Sicilia, pubblicato nel! 'Archivio storico, serie III, tomo XVI, pag. 337). Circa alla provenienza loro, che il Vasari dice state fatte in Palermo per commissione del Pignattelli, il De Lellis nella parte seconda de1 suoi Discorsi delle famiglie nobili del regno di Napoli racconta che il gran maestro di Malta fece dono ad Ettore Pignattelli di dodici statue degli apostoli in alabastro, di due statue della Vergine, di una di san Luca, e d'un1 altra Santa Maria Maddalena, di esquisita maestria e di singoiar vaghezza, in segno di gratitudine degli ufficj fatti per ottenere da Carlo V la cessione dell'Isola di Malta ai cavalieri di Rodi. E parlando di Ettore III duca di Monteleone racconta che fece fabbricare la cappella dell'aitar maggiore nella chiesa di Santa Maria 18G ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI di Gesù, ponendovi tre bellissime statue di alabastro, cioè quelle della Vergine, di san Giovanni Evangelista e della Maddalena donata ad Ettore I dal gran mae- stro di Rodi, donde erano state levate, quando quell'isola fu presa dai Turchi. Da tutte queste notizie assai confuse e in- parte contradittorie si può solamente concludere che le tre statue di Nostra Donna ora esistenti nel Duomo di Monte- leone non possono appartenere ad un medesimo scultore, come dice il Vasari. Quanto ad Antonio da Carrara, che secondo il Biografo lavorò in Palermo nel principio del secolo xvi, non è inverosimile che sia esistito, sebbene in Sicilia non se ne abbia oggi nessun ricordo; ed è opinione del marchese Campori che forse il detto Antonio sia uno de1 tre scultori carraresi di questo nome, che operarono nelle provincie napoletane e nella Sicilia, e furono Antonio di Guido, Antonio Colombi o Cavallini ed Antonio Berrettari. (Vedi Campori, Memorie Biografiche, pag. 8 e seg.).. 489 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO E . * TIMOTEO DA URBINO ' PITTORI (Nato nel 1492; ultima memoria nel 1529 — Nato nel 1469; morto nel 1523) Dovendo io scrivere, dopo Andrea da Fiesole, scul- tore, la vita di due eccellenti pittori, cioè di Vincenzio da San Gimignano di Toscana e di Timoteo da Urbino,1 ragionerò prima di Vincenzo, essendo quello che e di sopra il suo ritratto,2 e poi immediate di Timoteo, es- sendo stati quasi in un medesimo tempo ed amhidue discepoli ed amici di Eaffaello.3 ' 1 Nella prima edizione manca la Vita di Timoteo da Urbino ; e quella di Vin- cenzo da San Gimignano comincia così: «• Quanto obbligo debbono avere gli scultori et pittori alla aria di Roma, et a quelle poche antiquità, che la veracità del tempo et la ingordigia del fuoco , malgrado loro , vi hanno lasciato ! Conciosia che ella uno altro spirito in corpo forma, et in uno altro gusto lo appetito con- verte; attesoché infiniti si sgannano da una vana pazzia un tempo seguitata: i quali nel vedere le mirabili fatiche di tanti antichi et moderni artefici che v'hanno operato, i passati errori abbandonano; et seguitando le vestigie di coloro che tro- varono la' buona via, conducono le cose loro a perfezione di una bella maniera; et imitando quel buono che e' veggono, sono* cagione che quegli che vi stanno, fanno il medesimo ». 2 Nell'edizione de' Giunti i ritratti degli artefici sono impressi in fronte alle respettive Vite ; ma quando il Vasari non aveva potuto avere l' effigie d' alcuni di essi, allora egli ne annestava la Vita a quella d'un altro, come ha fatto adesso. Ecco il perchè non di rado si trovano congiunte insieme le Vite, di più soggetti , le quali meglio starebbero separate. Il cav. Tommaso Puccini avverte intanto, che qui sono riunite le Vite di due artefici, amendue scolari di Raffaello e da lui ambidue stimati, ma uno toscano e uno forestiero: « eppure il Vasari, parco di lodi col primo, ne è larghissimo col secondo ». 3 *Nè Vincenzo, e molto meno Timoteo, possono dirsi propriamente disce- poli di Raffaello; imperciocché il primo nel 1510 già dipingeva, come vedremo. 490 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO Vincenzio dunque, il quale per il grazioso Raffaello, da Urbino lavorò in compagnia di molti altri nelle Log- gie papali, si portò di maniera, che fu da Raffaello e da tutti gli altri molto lodato.1 Onde essendo perciò messo a lavorare in Borgo, dirimpetto al palazzo di messer Giovan Battista dall'Aquila, fece con molta sua lode in una faccia di terretta un fregio, nel quale figurò le nove Muse con Apollo in mezzo, e sopra alcuni leoni, impresa del papa, i quali sono tenuti bellissimi. Aveva Vincenzio la sua maniera diligentissima, morbida nel colorito, e le figure sue erano molto grate nell'aspetto; ed insomma, egli si sforzò sempre d'imitare la maniera di Raffaello da Urbino; il che si vede anco nel medesimo Borgo, di- rimpetto al palazzo del cardinale d'Ancona, in una fac- ciata della casa che fabricò messer Giovan Antonio Bat- tiferro da Urbino;2 il quale, per la stretta amicizia che ebbe con Raffaello, ebbe da lui il disegno di quella fac- ciata, ed in Corte per mezzo di lui molti benefìcj e grosse entrate. Fece dunque Raffaello in questo disegno, che fu poi messo in opera da Vincenzio, alludendo al casato de' Battiferri , i Ciclopi che battono i fulmini a Giove, ed in un'altra parte Vulcano che fabrica le saette a Cupido, con alcuni ignudi bellissimi, ed altre storie e statue bellissime. Fece il medesimo Vincenzio, in su la piazza di San Luigi de'Franzesi in Roma, in una fac- ciata moltissime storie; la morte di Cesare, ed un trionfo della Giustizia; ed in un fregio una battaglia di cavalli, fieramente e con molta diligenza condotti : ed in questa opera, vicino al tetto, fra le finestre, fece alcune Virtù e l'altro nacque circa tredici anni innanzi a Raffaello, e nel 1490 era già col Francia all'orafo. 1 *Prima che fosse a Roma ci sono prove, che Vincenzo nel 1510 dipingeva in Montalcino. — t Vedi il Commentario che segue, nel quale ci riserbiamo a dire altre cose riguardanti la persona e le opere sue. 2 t II Battiferri fu padre di Laura poetessa celebre a' suoi tempi, che fu mo- glie di Bartolommeo Ammannati scultore ed architetto fiorentino. E TIMOTEO DA URBINO . 491 molto ben lavorate. Similmente nella facciata degli Epi- fanj, dietro alla Curia di Pompeo e vicino a Campo di Fiore, fece i Magi che seguono la stella, ed infiniti altri lavori per quella città:1 la cui aria e sito par che sia in gran parte cagione che gli animi operino cose mara- vigliose; e l1 esperienza fa conoscere, che molte volte uno stesso uomo non ha la medesima maniera, ne fa le cose della medesima bontà in tutti i luoghi, ma migliori e peggiori secondo la qualità del luogo. Essendo Vincen- zio in bonissimo credito in Roma, seguì, Tanno mdxxvii, la rovina ed il sacco di quella misera città, stata signora delle genti: perchè egli, oltremodo dolente, se ne tornò alla sua patria San Gimignano.2 Là dove, fra i disagi patiti e T amore venutogli meno delle cose dell'arti, es- sendo fuor dell'aria che, i begli ingegni alimentando, fa loro operare cose rarissime, fece alcune cose, le quali io mi tacerò per non coprire con queste la lode ed il gran 1 Le pitture di Vincenzo finora ricordate dal Vasari sono perite. 2 t Fra le opere fatte da Vincenzo facilmente innanzi che ritornasse alla patria, noi ne registreremo due. La prima si vede tuttavia nella chiesa arcipretale di Santa Maria d'Arrone nelF Umbria, ove dipinse in fresco nell'abside in compa- gnia di Giovanni detto lo Spagna: 1° l'Incontro di Maria con sant'Anna; 2° lo Sposalizio di Maria; 3° il Monogramma di san Bernardino; 4° la Fuga in Egitto; 5° la Disputa di Cristo coi dottori ; e nel semivolto l' Incoronazione di Maria Ver- gine e il Transito di lei a sinistra ; a destra la Visita de' Pastori. Vi si legge : vin- CENTIVS DE SANCTO GEMINIANO ET IOHANNES DE SPOLETO FACIEBANT. ( GlJARDABASSI , Indice- Guida ecc., pag. 10). L'altra opera era nel Monte di Pietà di Roma sotto il n° 207 ed era una tavola da altare imbarcata, disgiunta, collo Sposalizio della Ver- gine. Il barone Ettore de Garriod, da cui ne avemmo la notizia, cosi la descrive: « Composizione simmetrica, figure lunghe, visi aifìlati, leziosi, di poca espressione nella loro affettazione, esecuzione secca e languida, forme scorrette, contorni degli occhi pesanti, estremità piccole, panneggiamenti di tinta neutrale e di poco ri- lievo, in una parola nulla di gran carattere. Ciò non ostante un sapore del tempo ed interessante per lo studio dell'arte nelle sue diverse fasi. La proporzione poco al disotto del vero. Nulla di raffaellesco nello stile e nell'acconciatura, ovvero nulla di significante ». Nel mezzo sta il gran sacerdote, alla sua destra è la Ver- gine Maria accompagnata da due donne ; alla sinistra san Giuseppe accompagnato da tre uomini. Dietro il sacerdote sono due accoliti. Nel pavimento in basso è scritto in grandi lettere romane : vincentivs tamagnvs de sancto geminiano pin- xit mdxxvi. Il quadro ha sofferto per un restauro che lo ha assai slavato, ma non vi si vedono ritocchi. •102 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO nome che s1 aveva in Roma onorevolmente acquistato.1 Basta che si vede espressamente che le violenze deviano forte i pellegrini ingegni da quel primo obietto, e li fanno torcere la strada in contrario: il che si vede anco in un compagno di costui, chiamato Schizzone, il quale fece in Borgo alcune cose molto lodate, e còsi in Campo Santo di Roma e in Santo Stefano degl'Indiani; e poi anch' egli dalla poca discrezione de' soldati fu fatto deviare dal- l'arte, ed indi a poco perdere la vita. Morì Vincenzio in San Gimignano sua patria, essendo vivuto sempre poco lieto dopo la sua partita di Roma.2 Timoteo pittore da Urbino nacque di Bartolomeo della Vite, cittadino d'onesta condizione, e di Calliope figliuola di maestro Antonio Alberto da Ferrara, assai buon pit- tore del tempo suo , secondo che le sue òpere in Urbino ed altrove ne dimostrano.3 Ma essendo ancor fanciullo Timoteo, mortogli il padre, rimase al governo della ma- dre Calliope, con buono e felice augurio per essere Cal- liope una delle nove Muse, e per la conformità che hanno in fra di loro la pittura e la poesia. Poi, dunque, che fu il fanciullo allevato dalla prudente madre costumatamente, e da lei incaminato nei studj delle prime arti e del di- segno parimente, venne a punto il giovane in cognizio- ne del mondo, quando fioriva il divino Raffaello Sanzio, ed attendendo nella sua prima età all'orefice, fu chia- mato da messer Pierantonio suo maggiore fratello, che allora studiava in Bologna, in quella nobilissima patria,' 1 * Delle cose operate in patria e altrove, vedi il detto Commentario. 2 Nella prima edizione chiude così: «Ma per tornare a Vincenzio, essendo « egli già venuto in età degli anni della vecchiaja, in San Gimignano di mal di « febbre finì la vita Tanno mdxxxiii». Il qual passo poi il Vasari soppresse nella seconda edizione; e fece bene, per le ragioni espresse nel Commentario. 3 *Di Antonio Alberti da Ferrara, scolare di Agnolo Gaddi, fa cenno il Va- sari nella Vita di questo pittore. Ne ha scritto le notizie Girolamo Baruffaldi , Vite de' Pittori e Scultori ferraresi; Ferrara, Taddei, 1844, in-8. 4 *Fu medico di professione, e poeta. Scrisse un capitolo in quarta rima, dovè colla figura del giuoco delle carte rappresenta l'amore, la speranza , la ge- E TIMOTEO DA URBINO 493 * acciò sotto la disciplina di qualche buon maestro segui- tasse quell'arte,- a che pareva fusse inclinato da na- tura. Abitando dunque in Bologna, nella quale città dimorò assai tempo e fu molto onorato e trattenuto in casa con ogni sorte di cortesia dal magnifico e nobile messer Francesco G ombrati , praticava continuamente Timoteo con uomini virtuosi e di bello ingegno; perchè essendo in pochi mesi per giovane giudizioso conosciuto, ed inchinato molto più alle cose di pittura che ali1 ore- fice, per averne dato saggio in alcuni molto ben con- dotti ritratti d'amici suoi e d'altri, parve al detto suo fratello, per seguitare il genio del giovane, essendo anco a ciò persuaso dagli amici, levarlo dalle lime e dagli scarpelli, e che si desse tutto allo studio del disegnare. Di che essendo egli contentissimo, si diede subito al di- segno ed alle fatiche dell'arte, ritraendo e disegnando tutte le migliori opere di quella città; e tenendo stretta dimestichezza con pittori, si incarnino' di maniera nella nuova strada , che era una maraviglia il profìtto che fa- ceva di giorno in giorno; e tanto più, quanto senza al- cuna particolare disciplina di appartato maestro appren- deva facilmente ogni difficile cosa.1 Laonde innamorato del suo esercizio,, ed apparati molti segreti della pittura, vedendo solamente alcuna fiata a cotali pittori idioti fare le mestiche e adoperare i pennelli, da se stesso guidato 2 e dalla mano della natura, si pose arditamente a colo- rire, pigliando una assai vaga maniera e molto simile a quella del nuovo Apelle suo compatriota, ancorché di losia e il timore. Negli anni 1492 e 1498 tenne il gonfalonierato della sua patria. Ebbe in moglie G-irolama di Andrea Spaccioli. Morì a1 26 di novembre 1500. (Pun- gileoni, Elogio storico di Timoteo Viti da Urbino ; Urbino 1835, in-8,pag. 3 in nota e pag. 4). 1 Dai Ricordi di Francesco Francia, trovati e riferiti dal Malvasia, appa- risce luminosamente che Timoteo stette con quel gran pittore ad imparar Parte dall' 8 luglio 1490 al 4 aprile 1495, e che fu dal medesimo cordialmente amato. 2 Ciò è smentito da quanto si è detto nella nota precedente. . 194 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO mano di lui non avesse veduto se non alcune poche cose in Bologna.1 E così avendo assai felicemente, secondo che il suo buono ingegno e giudizio lo guidava, lavorato al- cune cose in tavole ed in muro ; e parendogli che tutto a comparazione degli altri pittori gli fosse molto bene riuscito , seguitò animosamente gli studj della pittura per sì fatto modo, che in processo di tempo si trovò aver fermato il piede nell'arte, e con buona openione del- l'universale in grandissima aspettazione. Tornato dunque alla patria già uomo di ventisei anni,2 vi si fermò per alquanti mesi, dando bonissimo saggio del saper suo; perciocché fece la prima. tavola della Madonna nel duomo, dentro vi, oltre la Vergine, San Crescenzio e San Vitale, all'altare di Santa Croce, dove e un Angeletto sedente in terra, che suona la viola con grazia veramente ange- lica e con semplicità fanciullesca; condotta con arte e giudizio.3 Appresso dipinse un'altra tavola per l'altare maggiore della chiesa della Trinità con una Santa Apol- lonia a man sinistra del detto altare.4 Per queste opere ed alcune altre, delle quali non accade far menzione, spargendosi la fama ed il nome di Timoteo, egli fu da Eaffaello con molta instanza chia- 1 *Di questo tempo, cioè dal 1490 al 1495, non poteva Timoteo aver nulla veduto del suo compatriota Raffaello, assai più giovane di lui. . 2 Tornò ad Urbino nel 1495, trovandosi nei citati Ricordi del Francia questa memoria : « A dì 4 aprile ( anno suddetto ) partito il mio caro Timoteo , che Dia li dia bene e fortuna ». 3 *Fu commesso a Timoteo da Marino Spaccioli, zio di sua moglie. (A tergo vi si legge: Questa la fe fare Marmo Spaccioli de so denari). È dipinto in tela a tempera. Da prima fu trasportato nell'oratorio della Confraternita di Santa Croce, ed ora si conserva nella Pinacoteca di Brera a Milano , secondo che dice il Pas- savant, il quale aggiunge che le teste rammentano la maniera del Francia e del Perugino. 4 La Sant'Appollonia è una graziosa figura coperta d'un mantello paonazzetto. e avente gli strumenti del suo martirio. Essa è atteggiata presso a poco come la Maddalena ricordata più sotto. (Vedi nota 5 a pag. 8). Questa SanfAppol- lonia non dev'esser confusa colla tavola della Santissima Trinità ch'era agli Osservanti d'Urbino, e eh' è citata dal Bottari in una sua nota a questo passo del Vasari. E TIMOTEO DA URBINO 495 mato a Roma; dove andato di bonissima voglia, fu ri- cevuto con quella amorevolezza ed umanità, che fu non meno propria di Raffaello , che si fusse V eccellenza del- l'arte. Lavorando dunque con Raffaello, in poco più d'un anno fece grande acquisto, non solamente nell'arte, ma ancora nella robba; perciocché in detto tempo rimise a casa buone somme di danari. Lavorò col maestro nella chiesa della Pace le Sibille di sua mano ed invenzione , che sono nelle lunette a man destra, tanto stimate da tutti i pittori: il che affermano alcuni, che ancora si ri- cordano averle veduto lavprare, e ne fanno fede i car- toni che ancor si ritmo vano appresso i suoi successóri.1 Parimente da sua posta fece poi il cataletto , e dentrovi il corpo morto, con l'altre cose che gli sorTo intorno, tanto lodate, nella scuola di Santa Caterina da Siena; ed ancora che alcuni Sanesi, troppo amatori della lor patria, attribuischino queste opere ad altri,2 facilmente si conosce eh1 elleno sono fattura di Timoteo , così per la grazia e dolcezza del colorito, come per altre memorie lasciate da lui in quel nobilissimo studio d'eccellentis- simi pittori. Ora, benché Timoteo stesse bene ed onora- tamente in Roma, non potendo, come molti fanno, sop- portare la lontananza della patria, essendovi anco chiamato ogni ora e tiratovi dagli avisi degli amici e dai preghi della madre già vecchia, se ne 'tornò a Urbino, con di- 1 * Qui il Vasari è in contradizione , avendo detto nella Vita di Raffaello che egli fece da sè i cartoni e le pitture della chiesa della Pace; e di più soggiunto « essere la più rara ed eccellente opera che Raffaello facesse in vita sua ». Il Passavant, riscontrando nei Profeti Daniele, Giona ed Osea una esecuzione in- feriore a quella delle Sibille , crede che appunto questi fossero dipinti da Timoteo. 2 Cioè al Pacchiarotto , secondo una nota del P. Della Valle ; ma secondo Giulio Mancini , citato dallo stesso Della Valle a pag. 181 del tomo III delle Lettere Se- nesi, a Baldassar Peruzzi. Vedremo poi nella Vita di quest* ultimo , che il Vasari pure le attribuisce a Baldassarre. Ma se Timoteo non dipinse il cataletto , ei fece in detta chiesa dei Senesi alcune pitture a fresco , le quali furono distrutte nel 1775, allorché fu abbellita la chiesa col disegno di Paolo Posi, architetto senese. (Pun- gileoni, Elogio cit., pag. 60-62, e nota). 190 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO spiacere di Raffaello, che molto per le sue buone qua- lità Tarnava. Ne molto dopo avendo Timoteo, a persua- sione de1 suoi, preso moglie in Urbino,1 ed innamoratosi della patria, nella quale si vedeva essere molto onorato; e, che è più, avendo cominciato ad avere figliuoli, fermò T animo ed il proposito di non volere più andare attorno ; non ostante, come si vede ancora per alcune lettere, che egli fusse da Raffaello richiamato a Roma.2 Ma non per ciò restò di lavorare e fare di molte opere in Urbino e nelle città air intorno. In Forlì dipinse una cappella in- sieme con Girolamo Genga suo amico e compatriota; 3 e dopo fece una tavola tutta di sua mano, che fu man- data a Città di Castello;4 ed un'altra similmente ai Ca- gliesi.8 Lavorò anco in fresco a Castel Durante alcune cose, che sono veramente da esser lodate, sì come tutte T altre opere di costui; le quali fanno fede, che fu leg- giadro pittore nelle figure, ne1 paesi, ed in tutte l'altre parti della pittura. In "Urbino fece in duomo la cappella di San Martino ad istanza del vescovo Arrivabene, man- tovano, in compagnia del detto Genga; ma la tavola dell' altare ed il mezzo della cappella sono interamente di mano di Timoteo.6 Dipinse ancora in detta chiesa una 1 * Nel 1501 prese in moglie Girolama di Guido Spaccioli d'Urbino, la quale gli sopravvisse in istato vedovile trentadue anni. (Pungileoni, Elogio cit. , pag. 9), 2 *Di queste lettere non s'ha nessuna contezza. E quando il Crozat nel 1714 comprò dall'eredità di Timoteo i disegni di lui, non potè trovarle. 3 La chiesa di San Francesco, ov' erano le pitture del Viti e del Genga, fu distrutta. 4 Di questa tavola non si ha più memoria. 5 *Fu posta nella chiesuola detta Sant'Angelo. Rappresenta Cristo che in sembianza d' ortolano appare alla Maddalena. Porta scritto : timothei de vite ur- binat. opus. È minutamente descritta dal Pungileoni, Elogio cit , pag. 50-52. 6 * Giampietro Arrivabene , vescovo di Urbino , venuto a morte ai 18 di marzo del 1504, legò a favore della cappella da lui eretta in onore dei santi Tommaso Cantauriense e Martino, 400 scudi d'oro in oro. Nel 15 d'aprile dell'anno mede- simo, la duchessa Gonzaga Feltria, ed il potestà Alessandro Ruggeri, quali ese- cutori testamentarj del defunto vescovo, allogarono a Timoteo la pittura della tavola, ed al Genga quella delle pareti e della volta, per il prezzo di 65 ducati, fino a 100 fiorini, secondo che il lavoro meritasse. Orli affreschi, oggi perduti, do- E TIMOTEO DA URBINO 497 Maddalena in piedi e vestita con picciol manto, e co- perta sotto di capelli insino a terra, i quali sono così belli e veri, che pare che il vento gli muova; oltre la divinità del viso, che neir atto mostra veramente l'amore ch'ella portava al suo Maestro.1 In Sant'Agata è un' al- tra tavola di mano del medesimo, con assai buone figure;2 ed in San Bernardino, fuor della città, fece quella tanto lodata opera, che è a man diritta all'altare de' Bonaven- tura gentiluomini Urbinati; nella quale è con bellissima grazia per l'Annunziata figurata la Vergine in piedi, con la faccia3 e con le mani giunte e gli occhi levati al cielo; o di sopra, in aria, in mezzo a un gran cerchio di splen- dore, è un fanciullino diritto, che tiene il piede sopra 10 Spirito Santo in forma di colomba, e nella man sini- stra una palla figurata per l'imperio del mondo, e con l'altra elevata dà la benedizione; e dalla destra del fan-» ciullo è un Angelo che mostra alla Madonna co'l dito 11 detto fanciullo: abbasso, cioè al pari della Madonna, sono, dal lato destro, il Battista vestito d'una pelle di camelo, squarciata a studio, per mostrare il nudo della figura; e dal sinistro, un San Sebastiano tutto nudo, le- gato con bella attitudine a un arbore, e fatto con tanta vevano rappresentare in più spartimenti le storie della Vita di San Martino. La tavola esiste anche oggi in sagrestia, e rappresenta i detti due santi vestiti pon- tificalmente e seduti quasi di faccia. Nella parte inferiore del quadro si vedono in ginocchione il vescovo Arrivabene e Guidobaldo II duca d' Urbino. Nel fondo, per il vano di un grand' arco, si scorge un paese; e in lontananza Mantova in mezzo- ai laghi formati dal Mincio. (Vedi Pungileoni, Elogio cit, pag. 11-13). 1 * Ora si conserva nella Pinacoteca di Bologna. Fu ordinata al Viti da Lo- dovico Amaduzzi, come dice la cartella votiva legata ad un ramoscello, dove si legge : Deo optimo maocimo et Mariae Magdalenae Lvdovicvs Amatvtivs archi- presbiter Sancti Cipriani dicavit. (Vedi Giordani, Catalogo dei quadri della Pinacoteca di Bologna). La cappella di San Cipriano, o v'era essa tavola, fu fondata dall' Amaduzzi nel 1508. (Pungileoni, Elogio cit., pag. 43). La intagliò il Rosaspina, e poi Luigi Martelli nel fase. 8 dell'Album sacro stampato in Bologna. 2 *Non se ne ha più contezza. 3 *Qui l'autore dimenticò di porre un aggiunto, come dire levata, se pure mentalmente non volle far servire di epiteto alla faccia anche gli occhi levati, che seguono. Vasabi, Opere. — Voi. IV. 32 408 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO diligenza, che non potrebbe aver più rilievo ne essere in tutte le parti più bello.1 Nella corte degl' Illustrissimi d'Urbino sono di sua mano Apollo e due Muse mezze nude, in uno studiolo secreto, belle a maraviglia.2 La- vorò per i medesimi molti quadri, e fece alcuni orna- menti di camere, che sono bellissimi. E dopo, in com- pagnia del Genga, dipinse alcune barde da cavalli, che" furono mandate al re di Francia, con figure di diversi animali sì belli, che pareva ai riguardanti che avessino movimento e vita. Fece ancora alcuni archi trionfali si- mili agli antichi, quando andò a marito l'illustrissima duchessa Leonora,3 moglie del signor duca Francesco Ma- ria, al quale piacquero infinitamente, siccome ancora a tutta la corte; onde fu molti anni della famiglia di detto signore, con onorevole prò visione.4 Fu Timoteo gagliardo disegnatore, ma molto più dolce e vago coloritore, in tanto che non potrebbono essere le sue opere più pulitamente ne con più diligenza lavo- rate.5 Fu allegro uomo e di natura gioconda e festevole, destro della persona, e nei motti e ragionamenti arguto e facetissimo. Si dilettò sonare d'ogni sorte strumento, 1 * Dalla chiesa de' Padri Osservanti passò questa tavola nella Pinacoteca di Brera a Milano. Una stampa a contorno si vede nella Pinacoteca suddetta pub- blicata dal Bisi, e un altro intaglio nella tav. xc della Storia della Pittura ita- liana del prof. Rosini. 2 Molte pitture della Corte d'Urbino vennero per eredità in potere della fa- miglia Medici: ma di quest'Apollo colle Muse non sappiamo nulla. Forse erano dipinti a fresco. 3 * Eleonora Gonzaga. Le feste per il suo ingresso, dalla fine del 1509 furono protratte sino al carnevale del 1510. (Ptjngileoni, Elogio cit., pag. 22). * i Di una sua tavola già attribuita a Giovanni Santi, ora nel Museo di Ber- lino, è stato detto nel Commentario alla Vita di Raffaello da Urbino a pag. 400. Si vuole ancora di Timoteo un San Girolamo inginocchiato innanzi alla croce, che è nel medesimo Museo. * Nelle Memorie di Timoteo Viti d'Urbino, ivi pubblicate nel 1800 in-fol. da Andrea Lazzari, trovansi nominate varie opere di questo pittore tralasciate dal Vasari. È per altro da avvertire che la tavola dell'Esaltazione della Santa Croce, ch'era nella chiesa di San Francesco in Pesaro, perì in mare nell'essere traspor- tata in paese straniero. E TIMOTEO DA URBINO 499 ma particolarmente di lira, in su la quale cantava al- l' improviso con grazia straordinaria. Morì V anno di no- stra salute mdxxiiii, e della sua vita cinquantaquattre- simo,1 lasciando la patria ricca del suo nome e delle sue virtù, quanto dolente della sua perdita.2 Lasciò in Urbino alcune opere imperfette, le quali essendo poi state finite da altri, mostrano col paragone, quanto fusse il valore e la virtù di Timoteo; di mano del quale sono alcuni disegni nel nostro Libro, i quali ho avuto dal molto vir- tuoso e gentile messer Giovan Maria suo figliuolo,3 molto belli e certamente lodevoli; cioè uno schizzo del ritratto del Magnifico Giuliano de' Medici in penna, il quale fece Timoteo mentre che esso Giuliano si riparava nella corte d'Urbino, in quella famosissima accademia, ed un Noli me tangere, ed un Giovanni Evangelista che dorme , men- tre che Cristo ora nell'orto;4 tutti bellissimi. 1 *Morì il 10 d'ottobre 1523, come si ritrae dal Libro dell' origine della Compagnia de' fratelli di San Giuseppe dal 1501 ecc. In esso si legge: « El « primo venere de giugno 1523 , visitatori. M° Timoteo de la Vite. Morì il 1523 a « dì 10 ottobre ». (Pungileoni, Elogio cit, pag. 66 in nota). Se dunque è vero che egli morisse di 54 anni, come dice il Vasari, sarebbe nato nel 1469. 2 * Un bell'atto di virtù abbiamo in questo: che essendo stato preso a Cesena per cose di Stato, e tradotto e sostenuto in carcere nella fortezza di Pesaro, Federigo Spaccioli suo parente, Timoteo fu sollecito a far di tutto per liberarlo : al qual effetto eccitò Mario Spaccioli, fratello del carcerato , a chiedere ingrazia la liberazione a Roberto Boschetti, governatore generale dello Stato d'Urbino, col dargli facoltà di spendere del proprio cinquanta scudi d'oro. Ciò fu a' 2 di gen- najo 1520. (Pungileoni, Elogio cit, pag. 52-58, e nota). 3 * Timoteo lasciò due figliuoli: Giovammaria, che si rese uomo di Chiesa, e Pietro, il quale fu pittore di qualche valore, come mostrano alcune sue cose in Urbino dal PungHeoni rammentate. (Vedi Elogio cit., pag. 67-70). 4 *Tra i disegni della Galleria di Firenze àvvene quattro di Timoteo: uno di essi rappresenta appunto l'Orazione nell'Orto con san Giovanni addormen- tato ecc. 501 503 COMMENTARIO ALLA Vita di Vincenzo da San Gimignano e di Timoteo da Urbino Altre notizie sulla persona e sulle opere di Vincenzo da San Gimignano Vincenzo da San Gimignano nacque a' 10 d'aprile 1492, 1 e fu figliuolo di Bernardo di Chele di Marco di Michele d'Angelo detto Tamagno, donde il suo cognome de' Tamagni, famiglia di piccoli possidenti di campagna la quale abitava alla Collina di Val d'Elsa, nel popolo di San Benedetto, presso a San Gimignano. Michele suo avolo e Domenico fratello di Mi- chele nel 1466 e 1467 dettero ad affìtto ai monaci della Badia di Firenze alcuni loro beni posti nel popolo di San Lorenzo e di San Benedetto , ne' luoghi detti Pian pregiato e Pian da Isola, Bucignano e Fontanella; e nel 1471 si trova che erano affìttuarj de' propri beni venduti ai detti monaci. 2 : Furono le prime opere di Vincenzo in Montalcino; dove, nella chiesa di San Francesco, essendo giovane di 18 anni, dipinse in fresco ad una ■cappella di ser Niccolò Posi notajo di Montalcino, da un lato, la Natività di Maria Vergine , e sotto, San Niccolò vescovo di Bari e Santa Caterina Vergine e Martire , ponendovi questa scritta : vincentivs ivvenis sangemi • wianensìs me piNxix a. d. m. d. x. ; e dal lato sinistro, lo Sposalizio di Nostra 1 t Questa notizia intorno all' anno di nascita del Tamagni ci è stata comu- nicata dalla cortesia del signor dott. Ugo Nomi proposto della Collegiata di San Gi- mignano, bibliotecario della Comunale di quella nobile terra e raccoglitore istan- cabile di tutto ciò che può servire alla storia ed al lustro della sua patria. Egli la trasse dai Libri dell'Età conservati nell'archivio di quel Comune. 2 Archivio delle Corporazioni religiose soppresse di Firenze. Monastero di Badia, Ricordanze dal 1443 al 1480, pag. 143 e 148 tergo; e Libro di .Debitori e Creditori, ì dal 1471 al 1482, a c. 121. 504 COMMENTARIO ALLA VITA Donna, storie della vita di questo santo; cioè, quando Simon Mago si sco- pre, e la sua caduta; la 'Vocazione di San Pietro all'apostolato; il gettare delle reti e la pesca abbondante; e l'incontro suo con Cristo in Rama: nella volta, i quattro Evangelisti, tramezzati con putti e con grottesche, ponendo le sante Elisabetta regina, Lucia, Orsola e Maddalena, nel sot- tarco.1 Degli affreschi della cappella di San Pietro, oggi, per essere stata in gran parte rovinata, non restano che le storie di Simon Mago e del- l' incontro di san Pietro col Redentore. Gli affreschi di quella dei Posi sono molto mal conci; e la iscrizione che vi pose il pittore è perduta. Dipinse ancora nel Pellegrinajo dello Spedale di Santa Maria della Croce di quella citta, una Madonna col Bambino, e due angeli che la incoro- nano, con varj santi attorno: la quale opera, fatta da Vincenzo fra il 1510 e il 1512, come appare dai libri di quello Spedale,2 oggi a fatica si vede, per essere quel luogo ridotto a magazzino, e toltogli il lume. E non sono molti anni, che facendosi alcuni lavori nella chiesa del convento di Santa Caterina, si scoperse dentro la lunetta d'una porta una pittura del Ta- magni, figurante 1' Orazione nell' Orto : ma per la poca diligenza di chi vi soprintendeva, non fu prima scoperta quella pittura, che si guastò, ed oggi è perduta per sempre.3 t Mentre il Tamagni si trovava in Montalcino gli avvenne che es- sendo debitore di venticinque ducati d'oro larghi di Gio. Antonio Bazzi detto il Sodoma pittore, per conto di alcune cose avute da lui, fu fatto sostenere nelle carceri del Potestà di Montalcino, dalle quali fu liberato, fa- cendo promessa con strumento del 4 giugno 1511 di pagare quella somma.* * Ai 13 di marzo 1523 i canonici della Cattedrale di Volterra insieme coi conservatori della sagrestia della detta chiesa allogarono a Vincenzo a dorare, dipingere ed ornare la cornice di legno che avevano fatta met- tere alla tavola d'argento che soleva stare sull' aitar maggiore nella so- lennità di Pasqua e nelle altre feste celebrate nella detta chiesa. (Ar- chivio de' Contratti di Firenze. Rogiti di ser Jacopo Compagni di Volterra : protocollo dal 1515 al 1529, a c. 118). 1 Campione di notizie spettanti al convento di San Francesco di Montalcino, a c. 111. 2 Giornale di spese di frate Andronico rettore, ad annum. 8 Ringraziamo di tutte queste notizie la cortesia del signor dott. Clemente Santi di Montalcino. 4 1 Archivio de' Contratti di Siena. Rogito di ser Niccolò Posi ; filza dal 1505 al 1512. Lo strumento dice così: Magister Vincentius Bernardi Chelis de Sanctó GemignanoJ ad presens pictor in civitate Senarum et nunc excarceratì's dé rarceribus curie potestatis {de Monteilicino) si fa vero debitore Johanni An- tonio pictori de Verzelli comitatus Mediolani, de' 25 ducati suddetti. DI V, DA SAN GIMIGNANO E DI T. DA URBINO 505 Sono in San Gimignano varie opere di lui così in muro come in ta- vola; fra le quali in Sant'Agostino, alla cappella di Sant'Anna, una ta- vola colla Natività di Nostra Donna, dove scrisse : vincentivs tamanivs de s. geminiamo • faciebat. Parimente in San Girolamo, monastero di donne dell'ordine di Vallombrosa, si vede una tavola nell' aitar maggiore, con Nostra Donna e il Putto in grembo; e ai lati, san Giovan Gualberto e san Benedetto in pie, san Giovanni Battista e san Girolamo genuflessi; dove segnò il nome e l'anno in questo modo: vincentivs • tamagnivs • gemsis • faciebat • m • d • xxii. A questa tavola fu fatta ( credesi dal Maru- celli) un'aggiunta nella parte superiore, con una gloria di angeli che circonda Dio Padre. E nel gradino del tròno della Madonna fece di pic- cole figure graffite a oro la Visitazione, e due altre storie molto graziose. Andato poi alle Pomarance, luogo in quel di Volterra, dipinse per la chiesa di San Giovan Battista, alla cappella del Sagramento, in una ta- vola, col fondo messo a oro, Nostra Donna seduta in trono col Bambino Gesù sulle ginocchia, san Giovan Battista e san Bastiano a destra, e santa Lucia e san Martino vescovo a sinistra ; e vi scrisse : vincentivs • tama- gnivs • GEMINIANENSIS • PINXIT • M • D • XXIIIII.1 Venuto l'anno 1527, e tornato a Montai cino, dipinse una tavola per l'oratorio della Compagnia di San Rocco, la quale vi stette sino a che le artiglierie degl'Imperiali, nell'assedio del 1553, non l'ebbero distrutto; e la tavola oggi si vede nella Madonna del Soccorso : nella quale figurò Maria Vergine circondata da vari angeli; chi suona strumenti musicali, e chi sta in atto di adorazione. Alla destra è inginocchiato san Sebastiano che tiene una freccia; e alla sinistra, san Rocco parimente inginocchiato, che si appoggia al bordone: nella figura del quale vuoisi che Vincenzo ritraesse se stesso. In mezzo a questi santi e l'apostolo. Tommaso. Il fondo del quadro è un paese sparso di colline e di casamenti, con un fiume che corre sotto un turrito paese. Ed in questa tavola si legge: vincentivs sacti giminiani hoc opvs faciebat MDxxvn.2 Fece ancora per la chiesa di San Stefano d'Ischia presso Grosseto, un quadro nel quale figurò san 1 Questa tavola fu descritta dal canonico Anton Niccola Tabarrini in una lefr- tera stampata nell'Antologia di Firenze, nel quaderno di luglio del 1831. Si noti però che la iscrizione non è esatta, perchè invece di Geminianensis dice a San Geminiano ; e sbaglia di un anno nel millesimo , leggendo 1524. L' abbiamo corretta secondo la lezione del canonico Moreni, da noi riscontrata esattissima. (Vedi a pag. 69 in nota della sua Illustrazione di una medaglia rappresentante Bindo Altoviti ecc.). È da dolere, che la testa della Vergine, bellissima, sia stata così guasta da un ignorante restauratore, da non esser più riconoscibile. 2 Lettera del dottor Clemente Santi, nell'Antologia di Firenze, quaderno d'aprile 1831. 506 COMMENTARIO ALLA VITA ecc. Giovacchino che annunzia a sant'Anna ch'ella partorirà una femmina; e vi pose questa scritta: vincentivs tamagnvs de sto geminiano pinsii m. d. xxvm.1 Altre opere sono da ricordare in San Gimignano, le quali sebbene non portino scritto il suo nome, possono nondimeno essere a buon diritto date al Tamagni. Una di queste è un fresco in una stanza della casa Pra- tellesi, che fu già refettorio delle monache di Santa Caterina, dove e rappresentata Maria Vergine in trono, con Gesù Bambino in grembo, il quale sposa santa Caterina d'Alessandria. Stanno presso di lei inginoc- chiati san Benedetto da un lato, e dall'altro san Gimignano e san Giro- lamo. In alto due angioletti tengono una ghirlanda di fiori, e due putti sorreggono un padiglione. Nello zoccolo sono queste parole: annvlo svo SVBARRAVIT DNS MS YHS XPS ET TANQVAM SPONSAM DECORAVIT ME CORONA. ANNO domini mdxxviii. m. mah. L'altra opera, parimente a fresco, è in Sant'Ago- stino nella cappella di san Niccola da Tolentino, dove sopra la statua di rilievo di questo santo, è in mezza figura la Madonna col Divin Fi- gliuolo in braccio, circondata da dodici serafini, e da due graziosissimi angioli che adorano; e dai lati, in basso, sono i santi Antonio, Paolo eremita, Niccola e Rocco. Vi si legge l'anno m • d • xxix.2 Da tutto questo per noi aggiunto alle scarse notizie che del Tamagni ci ha lasciato il Vasari, ci riesce diffìcile a credere, che Vincenzo, morto Raffaello, dimorasse in Roma continuamente fino al tempo del sacco di questa città; trovandosi che dal 1522 fino al 1524 egli andò lavorando per l'Umbria e per la Toscana: il che però non impedisce che nei due anni posteriori egli avesse fatto ritorno in Roma, donde non fu cacciato se non alla venuta degl'Imperiali, come dice il Vasari. 1 1 Queste notizie intorno alle opere del Tamagni in San Gimignano le avemmo già dal proposto Luigi Pecori da San Gimignano , troppo presto rapito alle buone lettere, in cui egli aveva dato bellissimi saggi, fra i quali basti il ricordare la sua Storia di San Gimignano. 2 t Dal già ricordato signor proposto Nomi sappiamo che fu ritrovato, non sono molti anni , dentro la buca d' una casa di San Gimignano , un mattone nel quale a lettere incavate è scritto: vincentivs Bernardi tamagni pitore (sic) d. s. g. comperai f. (fiorini) ce. mdxxii. 507 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI TIMOTEO DA URBINO 1 1469. Nasce Timoteo da Bartolommeo di Pietro Viti e da Calliope di An- tonio di Guido ferrarese. 1476, 4 ottobre. Muore Bartolommeo suo padre. 1491. Timoteo va a Bologna, e torna col Francia all'orafo. 1495, 14 aprile. Se ne parte dalla bottega del Francia, e torna a Urbino. 1500, 26 novembre. Muore Pierantonio suo fratello, medico e poeta. 1501. Sposa Girolama di Guido Spaccioli. 1504, 31 gennajo. Si obbliga di dipingere sulle porte di Urbino le armi di Cesare Borgia. 1504, 15 aprile. Gli è allogata la tavola per la cappella Arrivabene. 1505. Dipinge per la Cattedrale di Urbino, in compagnia del Genga, il tabernacolo del Corpo di Cristo. 1508. È de' Priori nel Magistrato di Urbino. 1509-1510. Fa gli archi trionfali per l'ingresso di Eleonora Gonzaga, sposa di Francesco Maria duca d' Urbino. 1513. Primo Priore nel Magistrato della sua patria. 1517. (?) Quadro per la chiesa di San Francesco di Forlì, con Nostra Donna corteggiata dagli angeli; oggi perduto. 1518. Dipinge in compagnia di maestro Evangelista due angioli grandi, nove armi ducali e d'altra sorte, unitamente a un fregio grande per la porta di fuora della Confraternita del Corpo di Cristo d' Urbino. 1519. (?) Ajuta Raffaello negli affreschi della Pace in Roma. 1 Abbiamo desunto le date per comporre questo Prospetto dai documenti ri- feriti dal P. Pungileoni ne\Y Elogio storico ecc. più volte citato! 508 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1510-1520. Per la Compagnia di Sant'Antonio d' Urbino fa alcune pitture insieme con maestro Evangelista. 1520. Sborsa cinquanta scudi d'oro per liberare dalla prigione Federigo Spaccioli suo parente. 1521. (?) Pitture incominciate nella Confraternita di Santa Caterina da Siena in Roma. 1522. (?) Fa per il palazzo ducale d'Urbino Pallade, Apollo e il coro delle Muse. 152B, 10 ottobre. Muore eli anni cinquantatrè in Urbino. 509 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO SCULTORE ED ARCHITETTO ( Nato nel 1460 ; morto nel 1529 ) 1 Ancor che Andrea di Domenico Contucci dal Monte Sanso vino 2 fusse nato di poverissimo padre, lavoratore di terra e levato da guardare gli armenti; fu nondimeno di concetti tanto alti, d'ingegno sì raro, e d'animo sì pronto neir opere e nei ragionamenti delle difficultà del- l'architettura e della prospettiva, che non fu nel suo tempo ne il migliore ne il più sottile e raro intelletto del suo, ne chi rendesse i maggiori dubbj più chiari ed aperti di quello che fece egli; onde meritò essere tenuto ne' suoi tempi da tutti gì' intendenti singolarissimo nelle 1 * Nella prima edizione è questo preambolo : « I buoni ingegni , et i doni che '1 cielo comparte alle persone che teniamo rare , sono sempre con stravagante et raro modo da noi scoperte: et da loro con bizzarrie straórdinarii andari con- tinuamente poi messi in opera : ma sì cariche di sapere si dimostrano le cose loro si per il fatto e si per lo studio, ch'elle fanno ammirare ogni intelletto saputo: atteso che in ogni loro azzione traboccano di quel soverchio sapere, il quale, senza benigno influsso de' cieli, per se medesimo non si acquista. Conciosia cosa che il loro affaticarsi accresce grazia et bontà nella virtù di essi , che , aguzzando et dirugginando, puliscono l'ingegno sì fattamente, che e' ne sono tenuti perfetti e maravigliosi fra tutti gli altri ». 2 t Andrea fu figliuolo di Niccolò di Domenico (detto Menco) di Mucclo; onde. Ja sua famiglia fu detta prima de' Mucci e poi de' Contucci ( Vedi l'Alberetto posto in fine). Che il padre suo non fosse poverissimo, come dice il Vasari, si può co- noscere da uno strumento del 4 agosto 1508, col quale il detto Niccolò, dividendo i propri beni tra maestro Andrea e Piero suoi figliuoli, assegnò a ciascuno di loro una casa dentro il castello del Monte Sansavino, e varj pezzi di terra. 510 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO dette professioni. Nacque Andrea, secondo che si dice, l'anno mcccclx;1 e nella sua fanciullezza guardando gli armenti, sì come anco si dice di Giotto, disegnava tutto giorno nel sabbione, e ritraeva di terra qualcuna delle bestie che guardava. Onde avvenne che passando un giorno, dove costui si stava guardando le sue bestiuole, un cittadino fiorentino, il quale dicono essere stato Si- mone Vespucci, podestà allora del Monte, che egli vide questo putto starsi tutto intento a disegnare o formare di terra; perchè chiamatolo a se, poi che ebbe veduta V inclinazione del putto, ed inteso di cui fusse figliuolo , lo chiese a Domenico Contucci, e da lui l'ottenne gra- ziosamente, promettendo di volerlo far attendere agli studj del disegno, per vedere quanto potesse quella in- clinazione naturale aiutata dal continuo studio. Tornato dunque Simone a Firenze, lo pose all'arte con Antonio del Poliamolo; appresso al quale imparò tanto Andrea, che in pochi anni divenne bonissimo maestro.2 Ed in casa del detto Simone, al ponte Vecchio, si vede ancora un cartone da lui lavorato in quel tempo, dove Cristo e battuto alla colonna, condotto con molta diligenza: ed oltre ciò, due teste di terra cotta, mirabili, ritratte da medaglie antiche; l'una è di Nerone, l'altra di Galba imperatori: le quali teste servivano per ornamento d'un camino; ma il Galba è oggi in Arezzo nelle case di Giorgio Vasari.3 Fece dopo, standosi pure in Firenze, una tavola di terra cotta per la chiesa di Sant'Agata del Monte Sanso vino, con un San Lorenzo ed alcuni altri Santi, e picciole storiette benissimo lavorate: ed indi a npn molto ne fece un' altra simile, dentro vi l'As- sunzione di Nostra Donna, molto bella, Sant'Agata, Santa Lucia, e San Romualdo; la quale tavola fu poi 1 "Nella prima edizione mette mcccclxxi. 2 i Nel 1491, 13 febbrajo, si matricola all'Arte de' maestri di pietra di Firenze. :! Non v'è più nulla. ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 511 invetriata da quegli della Robbia.1 Seguitando poi l'arte della scultura, fece nella sua giovanezza per Simone Poliamolo, altrimenti il Cronaca, due capitelli di pilastri per la sagrestia di Santo Spirito, che gli acquistarono grandissima fama, e furono cagione che gli fu dato a fare il ricetto che è fra la detta sagrestia e la chiesa; e perchè il luogo era stretto, bisognò che Andrea an- dasse molto ghiribizzando. 2 Vi fece dunque di macigno un componimento d'ordine Corinto, con dodici colonne tonde, cioè sei da ogni banda; e sopra le colonne posto l'architrave, fregio e cornice, fece una volta a botte, tutta della medesima pietra, con uno spartimento pieno evintagli; che fu cosa nuova, varia, ricca, e molto lo- data. Ben' è vero, che se il eletto spartimento della volta fusse ne1 diritti delle colonne venuto a cascare con le cornici, che vanno facendo divisione intorno ai quadri e tondi che ornano quello spartimento, con più giusta misura e proporzione, questa opera sarebbe in tutte le parti perfettissima, e sarebbe stato cosa agevole il ciò fare. Ma secondo che io già intesi da certi vecchi amici d'Andrea, egli si difendeva con dire, d'avere osservato nella volta il modo del partimento della Ritonda di Roma, dove le costole che si partono dal tondo del mezzo di sopra, cioè dove ha il lume quel tempio, fanno dall'una all' altra i quadri degli sfondati dei rosoni che a poco a poco diminuiscono; ed il medesimo fa là costola, perchè non casca in su la dirittura delle colonne. Aggiugneva Andrea, se chi fece quel tempio della Ritonda; che è il meglio inteso e misurato che sia, e fatto con più pro- porzione; non tenne di ciò conto in una volta di mag- 1 Dopo la soppressione delle monache di Sant'Agata, le due tavole di terra cotta qui ricordate furono poste nella Compagnia di Santa Chiara. 2 t Andrea lavorava i capitelli del ricetto nel 1490. In questo tempo egli aveva i suoi trent' anni. Quanto al modello del detto ricetto apparisce dalle Delibera- zioni degli Operaj di Santo Spirito che fu fatto da Simone del'Pollajuolo nel 1480. 512 ANDREA DAL MONTE SANSO VINO gior grandezza e di tanta importanza, molto meno dovea tenerne egli in imo spartimento di sfondati minori. Non- dimeno molti artefici, e particolarmente Micheiagnolo Buonarroti, sono stati d'openione, che la Eitonda fusse fatta da tre architetti, e che il primo la conducesse al fine della cornice che è sopra le colonne; l1 altro dalla cornice in su, doverono quelle finestre d'opera più gen- tile; perchè in vero questa seconda parte è di maniera , varia e diversa dalla parte di sotto, essendo state segui- tate le volte senza ubbidire ai diritti con lo spartimento: il terzo si crede che facesse quel portico, che fu cosa rarissima. Per le quali cagioni i maestri che oggi fanno quest'arte, non cascherebbono in così fatto errore, per iscusarsi poi, come faceva Andrea. Al quale essendo, dopo questa opera, allogata la cappella del Sagramento nella medesima chiesa, della famiglia de' Corbinelli, egli la lavorò con molta diligenza, imitando ne' bassi rilievi Donato e gli altri artefici eccellenti, e non perdonando a niuna fatica per farsi onore, come veramente fece. In due nicchie, che mettono in mezzo un bellissimo taber- nacolo, fece due Santi poco maggiori d'un braccio l'uno, cioè San Iacopo e San Matteo, lavorati con tanta viva- cità e bontà, che si conosce in loro tutto il buono e niuno errore: così fatti anco sono due Angeli tutti tondi, che sono in questa opera per finimento; con i più bei panni, essendo essi in atto di volare, che si possino ve- dere; e in mezzo è un Cristo piccolino ignudo, molto grazioso. Vi sono anco alcune storie di figure piccole nella predella e sopra il tabernacolo tanto ben fatte, che la punta d'un pennello a pena farebbe quello che fece Andrea con lo scarpello. Ma chi vuole stupire della di- ligenza di questo uomo singolare, guardi tutta l'opera di quella architettura, tanto bene condotta e commessa, per cosa piccola, che pare tutta scarpellata in un sasso solo. È molto lodata ancora una Pietà grande di marmo, ANDREA DAL MONTÉ SANSO VINO 513 che fece di mezzo rilievo nel dossale dell'altare, conia Madonna e San Giovanni che piangono.1 We si può im- maginare il più bel getto di quello che sono le grate di bronzo col finimento di marmo, che chiuggono quella cappella, e con alcuni cervi; impresa ovvero arme de'Cor- binelli, che fanno ornamento ai candelieri di bronzo." Insomma questa opera fu fatta senza risparmio di fa- tica, e con tutti quelli avvertimenti che migliori si pos- sono imaginare. Per queste e per l'altre opere d'Andrea divolgatosi il nome suo , fu chiesto al magnifico Lorenzo vecchio de' Medici (nel cui giardino avea, come si e detto,3 atteso agli studj del disegno) dal re di Portogallo. Perchè man- datogli da Lorenzo, lavorò per quel re molte opere di scultura e d'architettura; *e particolarmente un bellis- simo palazzo con quattro torri ed altri molti edifizj; ed una parte del palazzo fu dipinta, secondo il disegno e cartoni di mano d'Andrea, che disegnò benissimo, come si può vedere nel nostro Libro in alcune carte di sua propria mano, finite con la punta d'un carbone; con al- cune altre carte d'architettura benissimo intesa. Fece anco un altare a quel re, di legno intagliato, dentro vi alcuni Profeti; e similmente di terra, per farla poi di marmo, una battaglia bellissima, rappresentando le guerre che ebbe quel re con i Mori, che furono da lui vinti; della quale opera non si vide mai di mano d'An- drea la più fiera ne la più terribile cosa, per le mo- venze e varie attitudini de' cavalli, per la strage de' morti, e per la spedita furia de' soldati in menarle mani. Fe- cevi ancora una figura d'un San Marco di marmo, che 1 Tutte queste sculture adornano anche presentemente la cappella Corbinelli r e sono meritevoli degli elogi che ne fa lo 'scrittore. 2 I bronzi non vi son più. 3 "Cioè, nella Vita del Torrigiano. Vasai- i, Opere — Voi, IV. 33 51 1 ANDREA DAL MONTE SANSO VINO fu cosa rarissima.1 Attese anco Andrea, mentre stette con quel re, ad alcune cose stravaganti e difficili d'ar- chitettura, secondo l'uso di quel paese, per compiacere al re, delle quali cose io vidi già un libro al Monte San- so vino, appresso gli eredi suoi; il quale dicono che è oggi nelle mani di maestro Girolamo Lombardo che fu suo discepolo," ed a cui rimase a finire, come si dirà, alcune opere cominciate da Andrea. Il quale essendo stato nove anni in Portogallo,3 increscendogli quella servitù e desi- derando di rivedere in Toscana i parenti e gli amici, deli- berò, avendo messo insieme buona somma di danari, con buona grazia del re tornarsene a casa. E così avuta, ma con difficultà, licenza, se ne tornò a Fiorenza, lasciando chi là desse fine all' opere che rimanevano imperfette. Arrivato in Fiorenza, cominciò nel md un San Gio- vanni di marmo che battezza Cristo, il quale aveva a essere messo sopra la porta del tempio di San Giovanni, che è verso la Misericordia; ma non lo finì, perchè fu quasi forzato andare a Genova ; dove fece due figure di marmo, un Cristo ed una Nostra Donna, ovvero San Giovanni, le quali sono veramente lodatissime.4 E quelle 1 Tanto la battaglia, quanto là statua, esistono nella chiesa del convento di San Marco presso Coimbra, sebbene danneggiate, allorché il Massena invase la provincia di Beira. (Raczynski, Les Arts eri Portugal. Paris, 1846, in-8, pag. 345 in nota ). i Nel tomo CXVIII, pag. 357, del Giornale Arcadico di Roma , è la descri- zione fatta dal prof. Antonio Nibby di un bassorilievo" di Andrea Contucci del Monte Sansavino, rappresentante l'Assalto di Ar-Zila, piazza dell'Affrica, presa da Alfonso V re di Portogallo. Il bassorilievo è intagliato in legno di sei palmi e mezzo da ogni lato. Il Vasari dice a proposito di questo lavoro che Andrea ne fece il modello di terra cotta (ma in realtà, dice il prof. Nibby, era di legno). La presa di Ar-Zila fu nel 1471 , e il re Alfonso soprannominato TAffricano , morì nel 1495. Il suddetto bassorilievo , che era proprietà de1 duchi d'Altemps , fu poi venduto al Castellani giojelliere di Roma. 2 *Di Girolamo Lombardo ferrarese parlano più diffusamente il Baldinucci e Girolamo Baruffaldi, Vite degli Artefici ferraresi, I, 229 e segg. 3 *A tempo del re Giovanni II (1481-1495), ed Emanuelle (1495-1521). u *Le due statue della cappella di San Giovan Battista , nella» Cattedrale di Genova, rappresentano il detto santo e la Madonna col divin Figliuolo in brac- ANDREA DAL MONTE SANSO VINO 515 di Firenze così imperfette si rimasono, ed ancor oggi si ritmo vano neh" Opera di San Giovanni detto.1 Fu poi condotto a Roma da Papa Giulio II, e fat- togli allogazione di due sepolture di marmo poste in Santa Maria del Popolo, cioè una per il cardinale Asca- nio Sforza, e l1 altra per il cardinale di Ricanati, stret- tissimo parente del papa; le quali opere così perfetta- mente da Andrea furono finite, che più non si potrebbe desiderare, perchè così sono elleno di nettezza, di bel- lezza e di grazia ben finite e ben condotte, che in esse si scorge l'osservanza e5 le misure dell' arte. Vi . si vede anco una Temperanza che ha in mano un oriuolo da polvere, che è tenuta cosa divina; enei vero, non pare cosa moderna, ma antica e perfettissima: ed ancora che altre ve ne siano simili a questa, ella nondimeno, per l'attitudine e grazia, è molto migliore; senza che non può esser più vago e bello un velo eh' eli' ha intorno , lavorato con tanta leggiadria, che il vederlo è un mi- racolo.2 Fece di marmo in Santo Agostino di Roma, cioè ciò. A piè di esse si legge : sansovinus florentinus faciebat. Andrea non iscolpì queste statue in Genova, ma in Firenze, come dimostra il permesso che egli ottenne nel 13 di gennajo del 1503 dal magistrato di Balìa per cavarle di Fi- renze. ( GrAYE , II, 62). 1 Dipoi furono terminate da Vincenzo Danti, perugino, e poste sopra la porta del tempio di San Giovanni, ih faccia alla Cattedrale. Nel passato secolo, fu ad esse aggiunta la figura d' un angelo scolpita da Innocenzio Spinazzi. Le due statue d'Andrea si veggono incise a contorni- nella tav. lxii del tomo II della Storia della Scultura del Cicognara. t Fino dal 28 d'aprile 1502 era stato deliberato nel Consiglio dell'Arte de' Mercanti di dare a fare ad Andrea le due statue di marmo di San Giovanni che battezza Cristo, e per questo effetto il giorno dipoi gliene fu fatta l'alloga- zione. Vi lavorava tuttavia nel 1505, perchè appunto ai 31 di gennajo di quell'anno sono stanziati ad Andrea 50 fiorini d' oro , con promessa che egli l' avesse com- piute nello spazio di dieci mesi. (Vedi nel voi. IV del Giornale Storico degli Archivi Toscani, anno 1860, pag. 63, un articolo di G. Milanesi intitolato: Delle statue fatte da Andrea Sansovino e da Giovanni Francesco Rustici sopra le porte di San Giovanni di Firenze). 2 * Questi due monumenti di Ascanio Maria Sforza, vice cancelliere di Santa Chiesa, morto nel 1501, e di Girolamo Basso della Rovere, morto nel 1507, deb- bono essere stati fatti dal Contucci prima del 1509, perchè si trovano ricordati 510 ANDREA DAL MONTE SANSO VINO in un pilastro a mezzo la chiesa, una Sant'Anna che tiene in collo una Nostra Donna con Cristo, di gran- dezza poco meno che il vivo;* la quale opera si può fra le moderne tenere per ottima; perchè sì come si vede nella vecchia una viva allegrezza e proprio naturale, e nella Madonna una bellezza divina; così la figura del fanciullo Cristo e tanto ben fatta, che mun' altra fu mai condotta simile a quella di perfezione e di leggiadria; onde meritò che per tanti anni si frequentasse d1 appic- carvi sonetti, ed altri varj e dotti componimenti, che i frati di quel luogo ne hanno un libro pieno, il quale ho veduto io con non piccola maraviglia.2 E di vero ebbe ragione il mondo di così fare, perciocché non si può tanto lodare questa opera, che basti. Cresciuta perciò la fama d'Andrea, Leone decimo, risoluto di far fare a Santa Maria di Loreto l'ornamento della camera di Nostra Donna di marmi lavorati, secondo che da Bramante era stato cominciato, ordinò che Andrea seguitasse quel- l'opera insino alla fine.3 L'ornamento di quella camera, dairAlbertini nel suo raro libretto De Mirabìlibus Urbis Romae ecc., da lui finito di scrivere nel 1509, e impresso dal Mazzocchi in Roma nell'anno seguente. Essi, sono nel coro, e si stimano tra le più belle cose che abbia Roma nel genere di ornamenti e d'i grottesche. ■ 1 Sussiste sempre in detta chiesa , e il Cicognara dice che « di questo bellis- simo gruppo ne fu sempre fatto maraviglia, e servì quanto ogni altra delle più chiare opere di Andrea a costituire la sua fama. Ei ne dà inciso uno schizzo nella stessa tav. lxii della citata Storia ecc. 2 In Laude di Andrea Contucci per il gruppo delle tre statue da lui scol- pito in Roma e collocato in quella chiesa di Santf Agostino per Giano Coricio , pre- lato tedesco , è un libro assai raro intitolato Coriciana , impresso a Roma « apud Ludovicum Vicentinum et Lautitium Perusinum » , 1524 , in-4 , e dedicato da Blosie Palladio al detto Giano Coricio circa dieci anni dopo che cominciossi ad erigere la «appella. Siccome però in detto libro i poeti chiamano il Contucci non con questo cognome, ma con quello del luogo ove nacque, cioè Sansovinus, Sansovius, e Jacopo Tatti detto il Sansovino stava in quegli "anni a Roma ed era giunto a tanto da poter uguagliare il maestro, così si potrebbe forse credere che ne fosse autore lo scolare e non il maestro. Ma la testimonianza del Vasari toglie ogni dubbio. 3 * L' andata di Andrea a Loreto fu nel 1513 , secondo il capitano Silvio Serragli, nella sua operetta intitolata: La Santa Casa abbellita. ANDREA DAL MONTE SANSO VINO 517 che aveva cominciato Bramante, faceva in sulle canto- nate quattro risalti doppj, i quali ornati da pilastri con base e capitelli intagliati posavano sopra un basamento ricco d'intagli, alto due braccia e mezzo; sopra il qual basamento fra i due pilastri detti aveva fatto una nic- chia grande per mettervi figure a sedere, e sopra cia- scuna di quelle un' altra nicchia minore, che giugnendo al collarino de' capitegli di que' pilastri faceva tanto fre- giatura, quanto erano alti; e sopra questi veniva poi posato l'architrave, il fregio e la cornice riccamente in- tagliata, e rigirando intorno intorno a tutte quattro le facciate e risaltando sopra le quattro cantonate, faceva nel mezzo di ciascuna facciata maggiore (perchè è quella camera più lunga che larga) due vani; onde era il me- desimo risalto nel mezzo che in sui cantoni, e la nicchia maggiore di sotto e la minore di sopra venivano a es- sere messe in mezzo da uno spazio di cinque braccia da ciascun lato; nel quale spazio erano due porte, cioè una per lato, per le quali si aveva l'entrata alla detta cap- pella; e sopra le porte era un vano fra nicchia e nic- chia, di braccia cinque, per farvi storie di marmo. La facciata dinanzi era simile, ma senza nicchie nel mezzo, e l'altezza dell' imbasamento faceva col risalto uno al- tare, il quale accompagnavano le cantonate de' pilastri e le nicchie de' canti. Nella medesima facciata era nel mezzo una larghezza della medesima misura che gli spazj dalle bande per alcune storie della parte di sopra e di sotto, in tanta altezza quanta era quella delle parte. Ma cominciando sopra l'altare, era una grata di bronzo dirimpetto all'altare di dentro, per la quale si udiva la messa e vedeva il di dentro della camera e il detto al- tare della Madonna. In tutto, dunque, erano gli spazj e vani per le storie sette: uno dinanzi sopra la grata, due per ciascun lato maggiore, e due di sopra, cioè dietro all'altare della Madonna; ed oltre ciò, otto nic- 518 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO chitì grandi ed otto piccole, con altri vani minori per T arine ed imprese del papa e della chiesa. Andrea, dunque, avendo trovato la Casa in questo ' termine, scompartì con ricco e bello ordine nei sotto- spazj istorie della vita della Madonna. In una delle due facciate dai lati cominciò per una parte la Natività della Madonna, e la condusse a mezzo, onde fu poi finita del tutto da Baccio Bandinelli:1 nell'altra parte cominciò 10 Sposalizio; ma essendo anco questa rimasa imperfetta, fu dopo la morte d'Andrea finita, in quel modo che si vede, da Kaffaello da Monte Lupo.9 Nella facciata di- nanzi ordinò in due piccoli quadri che mettono in mezzo la grata di bronzo, che si facesse in uno la Visitazione, e neir altro quadro la Vergine e Giuseppo vanno a farsi descrivere : e queste storie furono poi fatte da Francesco da San Gallo allora giovane.3 In quella parte, poi dove è lo spazio maggiore, fece Andrea l'Angelo Gabbriello che annunzia la Vergine (il che fu in quella stessa ca- mera che questi marmi rinchiuggono), con tanta bella grazia, che non si può veder meglio; avendo fatto la Vergine, intentissima a quel saluto, e l'Angelo ginoc- chioni, che non di marmo, ma pare veramente celeste, e che di bocca gli esca Ave Maria. Sono in compagnia di Gabbriello due altri Angeli, tutti tondi e spiccati; nno de' quali camina appresso di lui; e l'altro pare che voli. Due altri Angeli stanno dopo un casamento, in modo traforati dallo scarpello, che paiono vivi, in aria; e so- 1 *I1 Serragli, già citato, dice che il Bandinelli finì questa storia nel 1531, -e ne ebbe scudi 525. Su questo proposito è da leggere ciò che racconta il Vasari nella Vita di Baccio. , 2 *Lo stesso ripete, il Vasari nella Vita di Raffaello da Montelupo; ma il Serragli invece dice che lo Sposalizio fu finito dal Tribolo nel 1533, e ne ebbe 750 ducati. 3 * Il rammentato Serragli dice però , che la Visitazione è' lavoro di Raffaello da Montelupo, fatta nel 1530, e pagatagli dugento ducati; nel quale anno e per 11 prezzo medesimo il Sangallo finì l'altra storia. ANDREA DAL MONTE SANSO VINO 519 ' pra una nuvola trasforata, anzi quasi tutta spiccata dal marmo, sono molti putti che sostengono un Dio Padre che manda lo Spirito Santo per un raggio di marmo, che partendosi da lui tutto spiccato , pare naturalissimo; tèi come è anco la colomba, che sopra esso rappresenta esso Spirito Santo : nò si può dire quanto sia bello e la- vorato con sottilissimo intaglio un vaso pieno di fiori, che in questa opera fece la graziosa mano d'Andrea; il quale nelle piume degli Angeli, nella capigliatura, nella grazia de' volti e de1 panni, ed insomma in ogni altra cosa sparse tanto del buono, che non si può tanto lo- dare questa divina opra che basti.1 E nel vero, quel san- tissimo, luogo, che fu propria casa ed abitazione della Madre del Figliuol di Dio, non poteva, quanto al mondo, ricevere maggiore ne più ricco e bello ornamento di quello che egli ebbe dall'architettura di Bramante e dalla scultura d'Andrea Sanso vino; come che, se tutto fusse delle più preziose gemme orientali, non sarebbe se non poco più che nulla a tanti meriti. Consumò An- drea tanto tempo in questa opera , che quasi non si cre- derebbe; onde non ebbe tempo a finire l'altre che aveva cominciato; perchè, oltre alle dette di sopra, cominciò in una facciata da uno dei lati la Natività di Gesù Cri- sto, i pastori e quattro Angeli che cantano, e questi tutti finì tanto bene, che paiono vivissimi.2 Ma la storia che sopra questa cominciò, de' Magi, fu poi finita da Gi- rolamo Lombardo suo discepolo 3 e da altri. Nella testa di dietro ordinò che si facessero due storie grandi, cioè una sopra l'altra: in una, la Morte di essa Nostra Donna e gli Apostoli che la portano a sepellire, quattro Angeli ■, 1 * Questa storia fu fatta da Andrea nel 1523 , per oinquecentoventicinque du- cati. (Serragli, op. cit. , par. II, cap. ix). 2 * Finita nel 1528, per il medesimo prezzo di cinque cento venticinque ducati. 3 * Il Serragli vuole che fosse finita nel 1532 da Raffaello da Montelupo , per 750 ducati. 520 ANDREA DAL MONTE SANSOVTNO in aria, e molti Giudei che cercano di rubar quel corpo santissimo: e questa fu finita, dopo la vita d'Andrea, dal Bologna scultore.1 Sotto questa poi ordinò che si facesse la storia del miracolo di Loreto, ed in che modo quella cappella; che fu la camera di Nostra Donna, e dove ella nacque, fu allevata e salutata dall'Angelo, e dove ella nutrì il Figliuolo insino a dodici anni, e dimorò poi sempre dopo la morte di lui; fusse finalmente dagli An- geli portata prima in Ischiavonia, dopo nel territorio di Ricanati, in una selva, e per ultimo dove ella e oggi, tenuta con tanta venerazione, e con solenne frequenza di tutti i popoli cristiani continuamente visitata. Questa storia, dico, secondo che da Andrea era stato ordinato, fu in quella facciata fatta di marmo dal Tribolo scultore fiorentino, come al suo luogo si dirà.2 Abbozzò simil- mente Andrea i Profeti delle nicchie ; ma non avendo interamente finitone se non uno, gli altri sono poi stati finiti dal detto Girolamo Lombardo e da altri scultori, come si vedrà nelle Vite che seguono.8 Ma quanto in questa parte appartiene ad Andrea, questi suoi lavori sono i più belli e meglio condotti di scultura, che mai fussero stati fatti insino a quel tempo. Il palazzo simil- mente della canonica di quella chiesa fu similmente se- guitato da Andrea, secondo che Bramante di commes- sione di papa Leone aveva ordinato. Ma essendo anco rimaso dopo Andrea imperfetto, fu seguitata la fabbrica, sotto Clemente VII, da Antonio da San Gallo, e poi da 1 *Cioè Domenico Aimo, detto il Varignana, e dalla patria sua il Bologna. 11 Serragli dice, che questa, finita nel 1526, fosse lavorata dal Bologna in com- pagnia di Francesco da San Gallo, del Tribolo e di Raffaello da Montelupo, per 795 ducati. 2 * La Traslazione della Santa Casa fu scolpita dal Tribolo ,. in compagnia di Francesco da San Gallo, nel 1533; il qual Tribolo finì parimente nello stesso anno la storia dello Sposalizio di Maria Vergine. (Serragli, op. cit:). 3 * Delle statue de' Profeti, quattro furono finite da Girolamo Lombardo, e due da Frate Aurelio suo fratello. (Serragli, op. cit). ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 521 Giovanni Boccalino, architetto,1 sotto il reverendissimo cardinale di Carpi, insino all'anno 1563. Mentre che An- drea lavorò alla detta cappella della Vergine, si fece la fortificazione di Loreto ed altre cose, che molto furono lodate dall' invittissimo signor Giovanni de1 Medici, col quale ebbe Andrea stretta dimestichezza, essendo stato da lui conosciuto primieramente in Roma. Avendo Andrea di vacanza quattro mesi dell1 anno per suo riposo, mentre lavorò a Loreto, consumava il detto tempo al Monte, sua patria, in agricoltura, go- dendosi in tanto un tranquillissimo riposo con i parenti e con gli amici. Standosi dunque la state al Monte, vi fabbricò per se una comoda casa, e comperò molti beni: ed ai frati di Santo Agostino di quel luogo fece fare un chiostro che, per piccolo che sia, e molto bene inteso; sebbene non è quadro, per averlo voluto que1 padri fa- bricare in su le mura vecchie: nondimeno Andrea lo ridusse nel mezzo, quadro, ingrossando i pilastri ne1 can- toni per farlo tornare, essendo sproporzionato, a buona e giusta misura. Disegnò anco a una Compagnia che e in detto chiostro, intitolata Santo Antonio, una bellis- sima porta di componimento dorico; e similmente il tramezzo ed il pergamo della chiesa di esso Santo Ago- stino.2 Fece anco fare, nello scendere per andare alla fonte, fuor d'una porta verso la pieve vecchia a mezza costa, una cappelletta per i frati, ancor che non ne avessero voglia. In Arezzo fece il disegno della casa di 1 *Fu da Carpi, e di cognome Ribaldi; ma, tìn dal padre suo detto Boccalinor trasmise questo nuovo cognome ai discendenti, tra' quali fu il celebre Trajano, suo figliuòlo. (Vedi Tiraboschi, Notizie degli artefici modenesi ecc.). Tra i di- segni architettonici della Galleria di Firenze viene attribuito al Boccalino quello di un tempietto rotondo con il suo alzato e la pianta , ed una finestra , ad acquerello in carta verdastra, lumeggiato di biacca. 2 t II chiostro di Sant'Agostino fu allogato a costruire a' 17 d'aprile 15.33 a Domenico di Nanni piffero e ad Antonio suo figliuolo. Questo Domenico facil- mente è quel medesimo che più sotto il Vasari chiama discepolo d'Andrea. * 522 •ANDREA DAL MONTE SANSO VINO messer Pietro, astrologo peritissimo;1 e di terra una figura grande per Montepulciano, cioè un re Porsena, che era cosa singolare; ma non l'ho mai rivista dalla prima volta in poi, onde dubito non sia male capitata: ed a un prete tedesco, amico suo, fece un San Eocco di terra cotta, grande quanto il naturale e molto bello; il quale prete lo fece porre nella chiesa di Battifolle, con- tado d'Arezzo; e questa fu 1' ultima scultura che facesse.2 Diede anco il disegno delle scale della salita al vesco- vado d'Arezzo;3 e per la Madonna delle Lagrime della medesima città fece il disegno d'uno ornamento che si aveva a fare di marmo, bellissimo, con quattro figure di braccia quattro l'una;4 ma non andò questa opera innanzi per la morte di esso Andrea : il quale pervenuto all'età di lxviii anni, come quello che mai non stava ozioso, mettendosi in villa a tramutare certi pali da luogo a luogo, prese una calda, ed in pochi giorni aggra- vato da continua febre si morì l'anno 1529. 3 Dolse la 1 *Fu poi abitata dal famoso Andrea Cesalpino. 2 *Fra lè opere di Andrea Contucci il Vasari tace che egli nel 1502 scolpì nel Battistero di Volterra il fonte col Battesimo di Cristo , con ai lati la Fede , la Giustizia, la Carità e la Speranza, nel quale si legge: a nativitate hiesu • filii • dei • anno mdii. '( Guida di Volterra, 1832, p. 19); che nel 30 dicembre 1504 gli Operaj di Santa Maria del Fiore gli allogarono un tabernacolo per il Corpo di Cristo , in marmo carrarese , secondo un modellò da lui fatto , coli1 obbligo di finirlo in due anni, per otto fiorini larghi al mese; e che ai 28 giugno 1512 gli dessero a fare le statue del san Taddeo e del san Mattia. 3 * Fu nel 1524; e sopra di esse nel 1594 fu rizzata la statua di Ferdinando I, opera di Gian Bologna e di Pietro Francavilla. 4 t Ciò fu nel settembre del 1528. Nel 1519 diede i disegni delle colonne del portico internò delle loggie del palazzo comunale di Jesi. (Vedi Gianandrea An- tonio, II Palazzo Comunale di Jesi. Jesi," Ruzzini, 1877, in-8). 5 Nella prima edizione l'autore aggiunse quanto segue: «Et ancora che per lui si facessero molti epitaffi in diverse lingue, basteranno questi due soli: Sansovii aeternum nomen Irta nomina pandunt : Anna,; Parens Christi, Christus et ore sacro. Si possent sculpi rnentes ut corpora coelo> Humanum possem vel reparare genus. Humanas enim sculpo quascumque figurasi Esse homines dicasy pars data si illa foret ». I quali epitaffi si leggono nel detto libro Coriciana. ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 523 morte d'Andrea per l'onore alla patria e per l'amore ed utile a tre suoi figliuoli maschi ed alle femmine pa- rimente. E non è molto tempo che Muzio Camillo/ un de' tre predetti figliuoli, il quale negli studj delle buone lettere riusciva ingegno bellissimo, gli andò dietro, con molto danno della sua casa e dispiacere degli amici. Fu Andrea, oltre alla professione dell'arte, persona in vero assai segnalata; perciocché fu nei discorsi prudente, e d'ogni cosa ragionava benissimo. Fu provido e costu- mato in ogni sua azione, amicissimo degli uomini dotti, e filosofo naturalissimo. Attese assai alle cose di cosmo- grafìa, e lasciò ai suoi alcuni disegni e scritti di lonta- nanze e di misure.2 Fu di statura alquanto piccolo, ma benissimo formato e complessionato: i capegli suoi erano distesi e molli, gli occhi bianchi, il naso aquilino, la carne bianca e rubiconda; ma ebbe la lingua alquanto impedita. Furono suoi discepoli Girolamo Lombardo detto, Simone Cioli fiorentino;3 Domenico dal Monte Sansa vino, che morì poco dopo lui; Lionardo del Tasso fiorentino, che fece in Santo Ambruogio di Firenze sopra la sua sepoltura un San Bastiano di legno,* e la tavola di marmo delle monache di Santa Chiara. Fu similmente suo di- scepolo Iacopo Sansovino fiorentino, così nominato dal silo maestro; del quale si ragionerà a suo luogo diste- 1 t Non Muzio, ma Marcantonio, come si vede nell'Alberetto de' Contucci. • 2 * Nella raccolta dei disegni della Galleria di Firenze , se ne. veggono alcuni attribuitigli , ed altri certamente suoi. Noteremo i principali : n° 20 primo , Batti- stero per la chiesa di Loreto. Nel 2° è scritto di vecchio carattere: Modo del Sansovino per fortificare la copula (sic) delloreto, o vero li pilastri della cupola. N° 21. Due progetti di tempj, per invenzione ed esecuzione di mano mirabili. 3 t Questo Simone fu padre di Valerio Cioli scultore, di cui ragiona poi il Vasari. 4 II San Sebastiano si conserva ancora in detta chiesa. Il P. Richa sbagliò ascrivendolo ad Andrea Comodi nelle Notizie storiche delle chiese fiorentine, tomo II. — t Di Lionardo del Tasso è stato parlato nel Commentario alla Vita di Benedetto da Majano (tomo III, pag. 348). 524 ANDREA DAL MONTE SANSO VINO samente. Sono, dunque, l' architettura e la scultura molto obligate ad Andrea, per aver egli nell'una aggiunto molti termini di misure ed ordini di tirar pesi, ed un modo di diligenza che non si era per innanzi usato ; e nell1 al- tra, avendo condotto a perfezione il marmo con giudizio, diligenza e pratica maravigliosa. 525 527 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI ANDREA DAL M. SANSA VINO 1460. Nasce Andrea di Niccolò Contucci del Monte San Savino. 1490. Scolpisce i capitelli e il fregio del ricetto della sagrestia di Santo Spirito in Firenze. 1491, 5 gennajo (stile comune ). È chiamato in compagnia d'altri artefici a giudicare de' disegni presentati al concorso della facciata del Duomo di Firenze. 1491, 13 febbrajo. Si matricola all'Arte de' maestri di piètra. 1502. Scolpisce il fonte battesimale del Battistero di Volterra. 1502, 29 luglio. Gli è allogato a scolpire per una delle porte di San Gio- vanni il gruppo di San Giovanni che battezza Cristo, 1504. È a Genova a mettere su le statue fatte per la cappella di San Gio- vanni nel Duomo di quella città. 1504, 30 dicembre. Gli è allogato il tabernacolo del Corpo di Cristo, in marmo carrarese, per il Duomo di Firenze. 1506, circa. Fa due sepolture in Santa Maria del Popolo di Roma. 1512, 28 giugno. Gli sono allogate due statue d'Apostoli, cioè San Taddeo e San Mattia, per il Duomo di Firenze. 1513. E chiamato a lavorare alla Santa Casa di Loreto. 1516. Sposa Manetta Veltroni. 1519. Disegna le colonne del portico interno e delle loggie del palazzo comunale d'Jesi. • 1523. Dà il disegno del chiostro di Sant'Agostino del Monte San Savino. 1522. Scolpisce la storia dell' Annunziazione nella Santa Casa suddetta. 1524. Dà il disegno delle scale della salita al vescovado d'Arezzo. 1528. Finisce il Presepio nella detta Santa Casa di Loreto. 1528, 29 settembre. Gli è richiesto un disegno per ornare la cappella della Madonna delle Lacrime nella chiesa della Compagnia della Nun- ziata d'Arezzo. 1529. Muore. 529 BENEDETTO DA ROVEZZANO SCULTORE (Nato ilei 1474; morto poco dopo il 1^52) Gran dispiacere mi penso io che sia quello di coloro, che avendo fatto alcuna cosa ingegnosa, quando sperano goderla nella vecchiezza e vedere le prove e le bellezze degl1 ingegni altrui in opere somiglianti alle loro, e po- tere conoscere quanto di perfezione abbia quella parte che essi hanno esercitato, si trovano, dalla fortuna con- traria o dal tempo o cattiva complessione o altra causa privi del lume degli occhi; onde non possono, come prima facevano, conoscere ne il difetto ne la perfezione di co- loro che sentono esser vivi ed esercitarsi nel loro me- stiere E molto più credo gli attristi il sentire le lode de' nuovi, non per invidia, ma per non potere essi an- cora esser giudici se quella fama viene a ragione o no : la qual cosa avvenne a Benedetto da Rovezzano,1 scul- tore fiorentino, del quale al presente scriviamo la vita, acciò sappia il mondo quanto egli fusse valente e pra- -1 t Benedetto veramente fu da Pistoja, come si dice nel suo testamento e in altre scritture, e nacque verso il 1474 da un maestro Bartolommeo di Ricco di Grazino de'Grazini famiglia originaria di Canapaie, villaggio del Pistojese. Tor- nato in Toscana circa il 1505, dopo essere stato parecchi anni fuori a lavorare dell'arte sua, andò ad abitare a Rovezzano, e coi denari che aveva guadagnati vi comprò alcune terre, ed una casa dove mori, e per questo fu ed è anche oggi detto da Rovezzano. Vasari, Opere. — Voi. IV. 34 530 BENEDETTO DA ROVEZZANO tico scultore, e con quanta diligenza campasse 1 il marmo spiccato, facendo cose maravigliose. Fra le prime di molte opre che costui lavorò in Firenze ,2 si può annoverare un camino di macigno, eh1 è in casa di Pier Francesco Bor- 1 * Nella prima edizione, con qualche diversità, dice: nelle quali (opere) di diligenza e di campare il marmo spiccato,, ha fatto cose maravigliose. Il Bot- tari ha inteso che il verbo campare stesse per campire , cioè fare il campo , ossia il fondo dei bassorilievi. Ma a noi pare invece, che a quella parola non possa darsi altro significato che V ordinario di salvare , conservare , liberare da danno. Di fatto, a chi esamini le opere di Benedetto, apparirà lo studio e la difficoltà vinta nello straforare intorno intorno le sue figure, e salvarle dal rompersi. 2 t Nella prima sua gioventù si partì Benedetto dalla Toscana e ne stette fuori per molti anni, lavorando dell'arte sua in diversi luoghi. Noi sappiamo che nel 1499 scolpì in compagnia di Donato Benti scultore fiorentino, la bella can- toria marmorea dell'organo di San Stefano di Genova, per commissione e a spese di messer Lorenzo del Fiesco abate commendatario di quel monastero , come diceva una iscrizione del seguente tenore: Laurentii Flisci iussu et ere Donatus Benti et Benedictus Fiorentini divo Stephano prothomartiri Christi sculpsere anno a nativitate Domini mcccclxxxxix. Donato Benti fu scultore fiorentino nato nel 1470. Di lui si veggono in Pietrasanta, dove dimorò parecchi anni, alcune belle opere di scultura in San Martino e in Sant'Agostino, chiese principali di quella terra. Fu Donato amicissimo di Michelangelo, ed ebbe da lui il carico di sopravvedere alla cava e spedizione de' marmi di Carrara e di Seravezza per conto della sepoltura di Giulio II, e della facciata di San Lorenzo di Firenze. Quanto allo scultore Benedetto che la iscrizione surriferita dice compagno del Benti, fu disputato se costui potesse essere Benedetto daMajano, oppure Benedetto Buglioni ; ma il primo nel 1499 era già morto da due anni, e del secondo non sappiamo che lavorasse in Genova. Che fosse Benedetto da Rovezzano è confermato dai documenti riportati dal cav. Alizèri nel voi. IV delle sue Notizie de Professori di disegno in Liguria (Genova, Sambalino, 1877), ne' quali maestro Benedetto scultore fiorentino, che lavorò in quella cantoria, è detto figliuolo di Bartolommeo. Un altro lavoro ebbero a fare insieme il Benti e il Da Rovezzano nel 1502 per commissione del re di Francia. Il detto cav. Alizèri riferisce per intero un istrumento- del 29 agosto di quell'anno, fatto in Genova e rogato da Urbano Granello, nel quale il magnifico messer Giovanni Hernoet segretario della maestà del re di Prancia, e tesoriere del regno da una parte; e gli scultori genovesi maestro Mi- chele de Aria di Pello inferiore del fu" maestro Bartolommeo in nome proprio, ed in vece e nome di maestro Girolamo da Viscardo del fu maestro Paolo , com- pagni, per una metà, e i maestri Donato del fu Battista Benti, Benedetto di Bar- tolommeo fiorentino per l'altra metà, dall' altra parte , fanno patto e convenzione col detto messer Giovanni, promettendo di fabbricare e far fabbricare una sepol- tura marmorea secondo la forma e il modello d' una disegnata in carta. Questa se- poltura doveva essere di dieci palmi di lunghezza ed otto e mezzo di larghezza , computata l'altezza delle due figure giacenti che sopra di essa dovevano esser collocate. Nella qual sepoltura dovevano andare molte altre figure di santi così dai lati, come dalle testate. Finalmente si obbligano due de' detti quattro maestri di caricare sopra una nave le statue abbozzate, e andare con esse in Francia, e BENEDETTO DA ROVEZZANO 531 gherini,1 dove sono di sua mano intagliati capitegli , fregj, ed altri molti ornamenti straforati con diligenza. Pari- mente in casa di messer Bindo Altoviti è di mano del medesimo un camino ed uno acquaio di macigno, con alcune altre cose molto sottilmente lavorate, ma, quanto appartiene ali1 architettura, col disegno di Iacopo San- so vino allora giovane. L'anno poi 1512 essendo fatta al- logazione a Benedetto d'una sepoltura di marmo con ricco ornamento nella cappella maggiore del Carmine di Firenze per Piero Soderini stato gonfaloniere in Fio- renza, fu quella opera con incredibile diligenza da lui lavorata: perchè, oltre ai fogliami ed intagli di morte e figure, vi fece di basso rilievo un padiglione a uso di panno nero, di paragone, con tanta grazia e con tanto bel pulimento e lustro, che quella pietra pare più tosto un bellissimo raso nero, che pietra di paragone: e per dirlo brevemente, tutto quello che è di mano di Bene- detto in tutta questa opera non si può tanto lodare, che non sia poco.2 E perchè attese anco all'architettura, si rassettò col disegno di Benedetto a Santo Apostolo di Firenze la casa di messer Oddo Altoviti patrono e priore di quella chiesa; e Benedetto vi fece di marmo la porta principale , e sopra la porta della casa l' arme degli Al- toviti di pietra di macigno, ed in essa il lupo scorticato secco e tanto spiccato atorno, che par quasi disgiunto dal corpo dell'arme; con alcuni svolazzi trasforati e così dar loro la ultima perfezione. E il detto messer Giovanni promette loro per tutto- il tempo che dimorassero in Francia, per condurre a fine quell'opera, scudi 12 al mese. Pare che de' quattro maestri soprannominati il Benti e il Da Rovezzano fossero quelli che andarono in Francia. Gli scrittori francesi dicono che questa sepoltura fu fatta da Guido Paganino o Mazzoni, modenese; della qual cosa po- trebbe ragionevolmente dubitarsi , veduto il tenore del presente istrumento. 1 La detta casa, situata in Borgo Sant'Apostolo, appartiene oggi alla fami- glia Rosselli già Del Turco. Il camino sussiste ottimamente conservato. Il Cico- gnara ne da il disegno nella tav. xxx del tomo II della Storia della Scultura. 2 Sta nel coro di detta chiesa. Vedesi incisa nella tav. xxix dei Monumenti- sepolcrali della Toscana, illustrati dal dott. Giuseppe Gonnelli. 532 BENEDETTO DA ROVEZZANO sottili, che non di pietra, ma paiono di sottilissima carta. Nella medesima chiesa fece Benedetto sopra le due cap- pelle di messer Bindo Alto viti, dove Giorgio Vasari Are- tino dipinse a olio la tavola della Concezione, la sepol- tura di marmo del eletto messer Oddo,1 con uno ornamento intorno, pieno di lodatissimi fogliami, e la cassa pari- mente bellissima.2 Lavorò ancora Benedetto a concor- renza di Iacopo Sansovino e di Baccio Bandinelli, come si è detto, uno degli Apostoli di quattro braccia e mezzo per Santa Maria del Fiore, cioè un San Giovanni Evan- gelista, che è figura assai ragionevole e lavorata con buon disegno e pratica; la qual figura è nell'Opera in compagnia dell'altre.3 L'anno poi 1515 4 volendo i capi e maggiori dell'or- dine di Yallombrosa traslatar il corpo di San Giovanni Gualberto dalla badia di Passignano nella chiesa di Santa Trinità di Fiorenza, badia del medesimo ordine, feciono fare a Benedetto il disegno, e metter mano a una cap- pella e sepoltura insieme, con grandissimo numero di figure tonde e grandi quanto il vivo, che accomodata- mente venivano nel partimento di quell' opera in alcune nicchie tramezzate di pilastri pieni di fregiature e di grottesche intagliate sottilmente : e sotto a tutta questa 1 *Oddo Altoviti morì ai 12 di novembre del 1507. 2 II sepolcro di Oddo Altoviti fu nel 1833 trasportato nella parete opposta, poiché nel luogo ov' era prima situato , bisognò aprire una porta per dare un più comodo accesso alla sagrestia. Di esso pure vèdesi la stampa nell'opera sopra citata del dott. donneili, tav. xxx. 3 *Gli fu allogata il 28 di settembre del 1512; e nel 30 di ottobre dell'anno seguente fu stimata cento fiorini. (Deliberazioni degli Operaj di Santa Maria del Fiore, dal 1507 al 1515). Il Cicognara la dà incisa nella tav. lxi del tomo II della sua Storia. 4 * Forse deve leggersi 1505. E sappiamo dall' Albertini , nel suo Memoriale, stampato nel 1510, che in quel tempo Benedetto lavorava nel sepolcro di San Gio- vangualberto. Onde il 1515 è da intendersi per l'anno, in cui fu finito; al quale millesimo si giunge esattamente, se al 1505 da noi supposto s'aggiungano i dieci anni che il Vasari dice spesi in questo lavoro. — t Ma circa i particolari riguar- danti quest' opera vedi quel che si dice nella nota seguente. BENEDETTO DA ROVEZZANO 533 opera aveva ad essere un basamento alto un braccio e mezzo, dove andavano storie della vita di detto San Griovangualberto ; ecl altri infiniti ornamenti avevano a essere intorno alla cassa e per finimento dell'opera. In questa sepoltura dunque lavorò Benedetto, aiutato da molti intagliatori, dieci anni continui con grandissima spesa di quella Congregazione, e condusse a fine quel lavoro nelle case del Gruarlondo, luogo vicino a San Salvi fuor della porta alla Croce, dove abitava quasi di con- tinuo il generale di quell'Ordine che faceva far l'opera.1 Benedetto, dunque, condusse di maniera questa cappella e, sepoltura, che fece stupire Fiorenza. Ma come volle la 1 t A proposito di questo lavoro non sarà fuor di luogo riferire quel che ne scrisse il venerabile padre don Biagio de' Milanesi , generale di Vallombrosa, nelle sue Storie Vallombrosane mss. dal mcdxx fino alMbxv, parte seconda, a c. 41. (Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse). « Stando la santa « reliquia del corpo di St0 Giovan Gualberto nel monastero di Pasignano in chiesa « in uno altare, non molto honorevole, secondo il iudicio di nostra devotione, « con parere et Consilio di più prelati dell'ordine fu concluso, che volendo noi « almeno in parte satisfare a nostro officio, che si ordinassi di farli una archa « recipiente di marmo, da locarla poi colla prefata reliquia, dove chi sarà a quel « tempo , per ispiratione divina cognoscerà condecente. Il perchè fatte più orationi « e pel convento di Vallombrosa, e per altri sancti lochi, che dalla piata di Dio « et meriti di St0 Giovan Gualberto, noi fussimo spirati o permessi di mettere « mano ad cosa che ritorni ad suo honore. Li carratori da Pisa, a dì 20 di « sept. 1506 cominciarono a portare marmi ad questo effecto alla stanzia nostra « di Guarlone, (e non Guarlondo, come dice il Vasari nella seconda edizione) « dove si terminò che quella si dovessi fare per più boni rispecti. E a dì 16 di « Gennaio 1506 fu cominciata a lavorare con più garzoni da M° Benedecto da « Rovezano, soprastante don Ambrogio abbate di Soffena per gratia di St0 Giovan « Gualberto. La quale arca per la prefata gratia di Stf) Giovan Gualberto a dì 15 « di novembre 1513, quando dalla Sanctità di Nostro Signore fui advocato ad « Roma, era tanto innanzi, et sì bene conducta, che qualunque la vede (che « molti vi vengono a vederla) pieno ore la commendano, et di ogni parte, af- « fermando loro, che non credono di- marmo essere in Italia un altra simile a « quella. Harei ricevuto per grazia singulare, che per noi si fussi finita, et con- « locata in quel loco dove ultimamente s'era disignata, cioè nel Monastero di « Pasignano, dove si trova venire l'altare nella chiesa, in quel circuitu di mo- « nastero da fabricarsi, Deo dante, col tempo. Nondimeno, non essendone io « stato degno, resto contento ad quanto è piaciuto al mio Padre St0 Giovan « Gualberto , pregandolo humilmente , che almeno si degni ricevere quella offerta, « secondo nostro optimo animo verso sua Sanctità, non permettendo che tanta « spesa di suo monasterio sia gittata via et in tutto perduta ». 531 BENEDETTO DA ROVEZZANO sorte (essendo anco i marmi e l'opere egregie degli uo- mini eccellenti sottoposte alla fortuna), essendosi fra que1 monaci dopo molte discordie mutato governo , si rimase nel medesimo luogo queir opera imperfetta insino al 1530; nel qual tempo essendo la guerra intorno a Fiorenza, furono da -e soldati guaste tante fatiche, e quelle teste, lavorate con tanta diligenza, spiccate em- piamente da quelle figurine, ed in modo rovinato e spez- zato ogni cosa, che que' monaci hanno poi venduto il rimanente per piccolissimo prezzo : e chi ne vuole veder una parte, vada nell'Opera di Santa Maria del Fiore, dove ne sono alcuni pezzi stati comperi per marmi rotti, non sono molti anni, dai ministri di quel luogo.1 E nel vero, sì come si conduce ogni cosa a buon fine in que' mo- nasteri e luoghi, dove è la concordia e la pace, così per 10 contrario dove non è se non ambizione e discordia, niuna cosa si conduce mai a perfezione ne a lodato fine ; perchè quanto acconcia un buono e savio in cento anni, tanto rovina un ignorante villano e pazzo in un giorno. E pare che la sorte voglia, che bene spesso coloro che manco sanno e di niuna cosa virtuosa si dilettano, siano sempre quelli che comandino e governino , anzi rovinino ogni cosa; sì come anco disse de1 principi secolari, non meno dottamente che con verità, l'Ariosto nel principio 2 *Fino dal 1° marzo 1805 furono trasportati nella Galleria degli Uffizj i se- guenti bassorilievi: 1° San Pietro Igneo, dopo essere stato benedetto da San Gio- vangualberto , passa illeso in mezzo al fuoco, ed è acclamato dal popolo ; . 2° San Giovangualberto che dissipa la visione del Demonio , da cui era spaventato il mo- naco Florenzio; 3° la traslazione del corpo di San Giovangualberto; 4° la morte e T esequie di detto santo. Questo bassorilievo pare che non sia condotto alla sua perfezione, nè è della bontà e bellezza degli altri. Nel 1823 vi fu trasportato dal- l'Opera di Santa Maria del Fiore il 5° bassorilievo, che rappresenta F assalto degli eretici ai monaci di San Salvi, raccolti nel loro coro; e similmente sedici pezzi di fregj, stipiti ed altri ornamenti bellissimi, appartenuti alla stessa opera. 11 Litta, nella storia della famiglia Buondelmonti di Firenze, ha dato incisi i cinque bassorilievi sopra descritti, e alcuni pezzi dell'ornamento. t Ora questi bassorilievi sono nel Museo Nazionale. BENEDETTO DA ROVEZZANO 535 del xvn canto.1 Ma tornando a Benedetto, fu peccato grandissimo che tante sue fatiche e spese di quella re- ligione siano così sgraziatamente capitate male. Fu ordine ed architettura del medesimo la porta e vestibulo della Badia di Firenze , e parimente alcune cap- pelle, e in fra l'altre quella di Santo Stefano fatta dalla famiglia de1 Pandolfìni.2 Fu ultimamente Benedetto con- dotto in Inghilterra a1 servigj del re , al quale fece molti lavori di marmo e di bronzo, e particolarmente la sua sepoltura: delle quali opere, per la liberalità di quel re, cavò da poter vivere il rimanente della vita acconcia- mente:3 perchè tornato a Firenze, dopo aver finito al- cune piccole cose, le vertigini che insino in Inghilterra gli avevano cominciato a dar noia agli occhi, ed altri 1 I versi dell'Ariosto sono i seguenti: Il giusto Dio , quando i peccati nostri Han di remission passato il segno, Acciò che la giustizia sua dimostri Eguale alla pietà, spesso dà regno A tiranni atrocissimi ed a mostri. E dà lor forza e di mal fare ingegno : Per questo Mario e Siila pose al mondo , E duo Neroni e Caio furibondo. 2 Alla cappella di San Stefano si ha accesso dal corridore che serve di ve- stibulo alla chiesa. t L'ornamento architettonico di pietra serena della porta di Badia sulla via del Proconsolo , essendo assai guasto , fu rifatto a' nostri giorni , procurando come meglio si seppe di riprodurre e copiare l' antico. Un' altra opera fece Bene- detto nel 1509 in Firenze, non ricordata, cioè la base del David di bronzo di Michelangelo fatto per il maresciallo De Gie , che poi fu donato dalla Repubblica di Firenze al segretario Robertet. 3 *<< Benedetto da Rovezzano è l'autore del monumento che il card. Wolsey si fece erigere a Windsor. Lo cominciò appena arrivato in Inghilterra, ossia nel 1524, e vi lavorò per cinque anni. Caduto il cardinale in disgrazia, parve ad Enrico Vili così magnifico quel monumento, che lo fece continuare da Benedetto per sè. Ma non fu mai compiuto ; e venne poi disfatto e fuso in forza di un ordine del Parlamento dell' anno 1646. Il sarcofago di marmo serve adesso di monumento all'ammiraglio Nelson nella chiesa di San Paolo di Londra ». (Passavant, Viag- gio artistico in Inghilterra e nel Belgio, pag. 322, in tedesco). Nella raccolta d'anticaglie del conte di Pembroke a Wiltonhouse, il Waagen vide un bassori- lievo del cinquecento, rappresentante la famiglia di Niobe con Apollo e Diana, il quale ricorda la maniera di Benedetto. {Opere d'arte e d'artisti in Inghil- terra, II, 278, in tedesco). 536 BENEDETTO DA ROVEZZANO impedimenti causati, come si disse, dallo star troppo intorno al fuoco a fondere i metalli, o pure da altre ca- gioni, gli levarono in poco tempo del tutto il lume degli occhi; onde restò di lavorare intorno all'anno 1550, e di vivere pochi anni dopo.1 Portò Benedetto con buona e cristiana pacienza quella cecità negli ultimi anni della sua vita, ringraziando Dio che prima gli aveva provve- duto, mediante le sue fatiche, da poter vivere onesta- mente. Fu Benedetto cortese e galantuomo, e si dilettò sempre di praticare con uomini virtuosi.2 Il suo ritratto si è cavato da uno che fu fatto, quando egli era gio- vane, da Agnolo di Donino;3 il quale proprio è in sul nostro Libro de1 disegni , dove sono anco alcune carte di mano di Benedetto, molto ben disegnate: il quale per queste opere merita di essere fra questi eccellenti arte- fici annoverato. 1 Nel 1550, quando il Vasari stampò la prima volta queste Vite coi torchi del Torrentino, Benedetto da Rovezzano era vivo; ma in quella edizione si dice che « vecchio e cieco per lui l'opere finirono Tanno mdxl. Per il che di lui si legge questo epigramma: Judicio miro staluas Me sculpsil ; et arte Tecum et -collatus iure, Lysippe , fuit. t Aspera sed fumi nubes , quam fusa dederunt JEra, diem miseris orbibus eripuit». Indi si soggiunge : « E gli è venuto a proposito lo avere conservato il frutto delle sue fatiche nella arte, perchè ciò lo mantiene al presente in tanta quiete, che e1 sopporta pazientissimamente tutto lo insulto della fortuna ». t Benedetto essendo vecchio e già cieco si commesse nel monastero di Vallombrosa con istrumento del 26 giugno e del 27 luglio 1552, .dando ad esso cento ducati d' oro in oro col patto che dovesse somministrargli il vitto durante la sua vita naturale. Egli aveva già fatto testamento a' 22 di maggio 1543, rogato da ser Raffaello Rovai, ed in questo tempo non era divenuto cieco. Non si può bene stabilire l'anno della sua morte, ma è molto probabile che accadesse verso il 1554. 2 Nella prima edizione lo storico dice inoltre , che Benedetto « si è medesi- mamente dilettato delle cose di poesia, et è stato non meno vago di poeteggiare cantando, che di fare statue co mazzuoli et con gli scarpelli; onde gli diamo lode egualmente in tutte due le virtù ». 3 Agnolo di Donnino: così andava scritto, e così lo chiama il Vasari altrove, t Di lui abbiamo dato alcune notizie nelle note alla Vita di Cosimo Rosselli. (Vedi tom. Ili, pag. 190, nota 4). 537 o o a c 2 z e 539 BACCIO DA MONTELUPO SCULTORE E RAFFAELLO SUO FIGLIUOLO (N. nel. 1469; m. nel 1535? — N: intorno al 1505; m. nel 1566) Quanto manco pensano i popoli che gli straccurati delle stesse arti che e' voglion fare, possino quelle giam- mai condurre ad alcuna perfezione ; tanto più , contra il giudizio di molti, imparò Baccio da Montelupo1 l'arte della scultura. E questo gli avvenne, perchè nella sua giovanezza, sviato da1 piaceri, quasi mai non istudiava, ed ancora che da molti fusse sgridato e sollecitato, nulla o poco stimava l'arte. Ma venuti gli anni della discre- zione, i quali arrecano il senno seco, gli fecero subita- mente conoscere quanto egli era lontano dalla buona via; per il che vergognatosi degli altri che in tale arte gli passavono innanzi, con bonissimo animo si propose seguitare, ed osservare con ogni studio quello che con la infingardaggine sino allora aveva fuggito. Questo pen- siero fu cagione ch'egli fece nella scultura que' frutti, che la credenza di molti da lui più non aspettava. Da- tosi dunque all'arte con tutte le forze, ed esercitandosi 1 * Il vero cognome di Baccio da Montelupo è Sinibaldi ; come Raffaello suo figliuolo ci dice nel prezioso frammento autobiografico , già pubblicato dal Gay e ( III, 581 e seg.), e che noi riproduciamo in fine di questa. Vita, nuovamente riscontrato sufi1 autografo , eh' è tra' manoscritti della Magliabechiana. t Baccio fu figliuolo di Giovanni d'Astore, e nacque nel 1469, come appa- risce dalle sue portate all'Estimo di Montelupo. 510 BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO molto in quella, divenne eccellente e raro:1 e ne mostrò saggio in una opera di pietra forte, lavorata di scar- pello in Fiorenza sul cantone del giardino appiccato col palazzo de1 Pucci, che fu Tarme di papa Leone X; dove son due fanciulli che la reggono, con bella maniera e pratica condotti.2 Fece uno Ercole per Pier Francesco de1 Medici; e fugli allogato dall'Arte di Porta Santa Maria una statua di San Giovanni Evangelista per farla di bronzo; la quale prima che avesse, ebbe assai contrarj, perchè molti maestri fecero modelli a concorrenza: la quale figura fu posta poi sul canto di San Michele in Orto, dirimpetto all' Ufficio.3 Fu questa opera finita da lui con somma diligenzia. Dicesi che quando egli ebbe fatto la figura di terra, chi vide l'ordine delle armadure e le forme fattele addosso, l'ebbe per cosa bellissima, considerando il bello ingegno di Baccio in tal cosa. 1 *La più antica memoria che conosciamo di Baccio, è quella che ci for- nisce un passo della Vita del Savonarola, scritta dal P. Burlamacchi. Narra egli adunque che allorquando cominciarono le persecuzioni di Fra Girolamo (1498), molti dei suoi seguaci furon costretti a lasciar Firenze ; fra' quali Baccio da Moni telupo, che postosi in cammino per a Venezia, quando fu a Bologna, un cano- nico del Duomo ritennelo in casa sua; e gli fece fare gli dodici Apostoli di ri- lievo, tanto mirabili, che tutta la città corse a vederli. E poi soggiunge lo stesso Burlamacchi: Questo Bartolo (Baccio da Montelupo) ancor vive; ed egli stesso mi ha con la sua bocca narrato tutto questo. (Marchese, Mem. degli artefici domenicani, II, 58 in nota). Di questi dodici Apostoli del Montelupo non abbiamo contezza. Sappiamo però, che nella chiesa di San Giuseppe, poi Santa Maria Mad- dalena, erano dodici Apostoli di terra cotta e colorata per mano di Alfonso Lom- bardi, oggi perduti, dopo l'abolizione della chiesa nel 1796; e che altri ne sono in busti parimente di terra cotta , in San Giovanni in Monte , fatti da Zacchia da Volterra. Che poi Baccio da Bologna andasse veramente a Venezia , si prova dal sapere che nella chiesa de' Frari scolpi la figura di Marte nel monumento di Be- nedetto Pesaro , ammiraglio della repubblica veneziana , morto a Corfù nel 1503. 2 * Esiste tuttavia; ma guasta dalle intemperie. 3 È sempre al suo posto primitivo. Vedesi incisa nella tav. lx del voi. II della Storia della Scultura, del Cicognara. — *Fecela nel 1515 e costò trecen- to quaranta fiorini d'oro. i Gio. Cambi nella sua Storia (Delizie degli Eruditi Toscani, tomo XXII, pag. 81), dice: « 1515, addì 20 ottobre detto l'Arte di Porta S. Maria fece porre « a horto S. Michele al suo pilastro l' avocato del arte loro mess. S. Joanni Van- « gelista di bronzo e ìevoronne uno che v'era di marmo, che non era tenuta « troppo buona figura ». BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 541 E quegli che con tanta facilità la videro gettare, die- dero a Baccio il titolo di avere con grandissima mae- stria saldissimamente fatto un bel getto. Le quali fatiche durate in quel mestiero, nome di buono, anzi di ottimo maestro gli diedero; e oggi più che mai da tutti gli ar- tefici è tenuta bellissima questa figura. Mettendosi anco a lavorare il legno, intagliò Crocifìssi grandi quanto il vivo; onde infinito numero per Italia ne fece, e fra gli altri uno a1 frati di San Marco in Fiorenza sopra la porta del coro. Questi tutti sono ripieni di bonissima grazia: ma pure ve ne sono alcuni molto più perfetti degli al- tri, come quello delle Murate di Fiorenza, ed uno che n1 è in San Pietro Maggiore, non manco lodato di quello; ed a' monaci di Santa Fiora e Lucilla ne fece un simile, che lo locarono sopra l'aitar maggiore nella loro badia in Arezzo, che è tenuto molto più bello degli altri.1 Nella venuta di papa Leone X in Fiorenza fece Baccio, fra il palagio del podestà e Badia, un arco trionfale bellissimo di legname e di terra; e molte cose piccole che si sono smarrite, e sono per le case de1 cittadini. Ma venutogli a noia lo stare a Fiorenza, se n'andò a Lucca, dove la- vorò alcune opere di scultura;2 ma molte più d'archi- tettura, in servigio di quella città: e particolarmente il bello e ben composto tempio di San Paulino avvocato de' Lucchesi,, con buona e dotta intelligenza di dentro e 1 Quello de' frati di San Marco è presentemente nel loro refettorio grande. Degli altri Crocifissi qui mentovati non possiamo dar esatta contezza, poiché dopo la soppressione dei conventi, accaduta sotto il G-overno francese, alcuni furono trafugati, altri venduti. t Nella Compagnia di Gesù Pellegrino che si adunava sotto le volte di Santa Maria Novella, era di Baccio un Crocifisso grande di un braccio e tre quarti, da portare a processione, donato da Amaddio del Giocondo nel 1501. (Da uno spoglio del Libro de1 Ricordi di detta Compagnia). 2 *Fra le òpere di scultura, sappiamo, per testimonianza di Raffaello suo figliuolo (vedi nel Commentario a questa Vita, pag.' 557), che egli fece in San Mi- chele in Fóro il sepolcro di Silvestro de1 Gigli, vescovo vigorniense, morto in Roma nel 1521. Questo monumento fu tolto di là, e venduto ad uno scarpellino, quando furon fatti alcuni lavori in quella chiesa. 542 BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO di fuori, e con molti ornamenti.1 Dimorando; dunque, in quella città insino ali1 88 anno della sua età,2 vi finì il corso della vita ; ed in San Paulino predetto ebbe ono- rata sepoltura da coloro che egli aveva in vita onorato. Fu coetaneo di costui Agostino Milanese,3 scultore ed intagliatore molto stimato ; * il quale in Santa Marta 5 di Milano cominciò la sepoltura di monsignor di Fois, oggi rimasa imperfetta; nella quale si veggiono ancora molte figure grandi e finite, ed alcune mezze fatte ed abbozzate, con assai storie di mezzo rilievo in pezzi e non murate, e con moltissimi fogliami e trofei.6 Fece 1 * Fu edificato nel 1522 , a spese del pubblico. ( Mazzarosa , Guida di Lucca, 1829). 2 Nella prima edizione si dice: « Fino agli anni della sua età Lxxviiì ». 3 *Cioè Agostino Busti (t detto lo Zarabaja o Zarabaglia, e non il Bambaja, come fino ad oggi è stato chiamato), del quale è fatta menzione nella Vita di Vit- tore Carpaccio, e più distesamente in quella di Benvenuto Garofalo e altri, che segue in questa terza Parte. 4 Anzi degno d'essere grandemente ammirato; poiché giunse a lavorare il marmo con tal perfezione , da non avere rivali in Italia , almeno per ciò che ris- guarda la maestria dell' adoperare lo scalpello , eia diligenza nel condurre le più minute cose. Leggasi quanto di lui scrisse il conte Cicognara in principio del cap. v, del lib. V della Storia della Scultura. 5 *La seconda edizione, per mero errore di stampa, dice Santa Maria. 6 *Delle preziose sculture preparate pel monumento di Gastone di Foix, parte si custodiscono nella Galleria annessa alla Biblioteca Ambrosiana, parte nel- T Accademia di Brera , e parte finalmente si trovano in potere di privati , tanto in Milano, quanto altrove. (Vedi Cicognara, 1. e). — * Sembra che questa sepoltura fosse incominciata poco innanzi il 1517, e nel 1520 vi si lavorava tuttavia. Alcuni avanzi del Museo Anguissola vennero in possesso del pittore Bossi , e tra essi la tavoletta marmorea, che reca il nome dello scultore così: avg. bvsti opvs. Vedi la Descrizione del monumento di Gastone di Foix, fatta da Giuseppe Bossi e pub- blicata da Francesco Longhena nel 1852, per le nozze Durini e Litta. Milano, Fusi, 1852, in-8. t Nel Museo di Brera si conservano, oltre la statua del Foix, cinque sta- tuette sedute di profeti , una ritta della Virtù , e due piccoli bassorilievi ornamen- tali, uno de' quali porta inciso il nome dell'autore. Di questo monumento mutilato, rotto e disperso, nella Biblioteca Ambrosiana sono diciassette pezzi, diciottò nel palazzo de' marchesi Busca a Castellazzo d'Arconate, a Belgiojoso nel castello de'Belgiojoso tre, nella Cattedrale di Novi due, a Savona presso un privato tre, a Torino nel Museo delle Antichità dieci, a Londra nel Museo di Kensington cinque, il quale possiede un disegno che è uno de' pensieri pel monumento acquistato dalla raccolta Woodburn, che avevalo comprato in Milano nel 1820. (Mongeri, L'Arte in Milano, a c. 364). — - 1 Di Agostino Busti detto lo Zarabaja, e non il Bambaja,, BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 543 anco un'altra sepoltura, che è finita e murata in San Francesco, fatta a'Biraghi, con sei figure grandi ed il basamento storiato, con altri bellissimi ornamenti, che fanno fede della pratica e maestria di quel valoroso artefice.1 Lasciò Baccio alla morte sua,2 fra gli altri figliuoli, Raffaello, che attese alla scultura, e non pure paragonò suo padre, ma lo passò di gran lunga. Questo Raffaello cominciando nella sua giovanezza a lavorare di terra, di pera e di bronzo, s'acquistò nome d'eccellente scul- tore; e perciò essendo condotto da Antonio da San Gallo a Loreto, insieme con molti altri, per dar fine all'orna- mento di quella camera, secondo l'ordine lasciato da Andrea Sanso vino, finì del tutto Raffaello lo Sposalizio di Nostra Donna, stato cominciato dal detto Sanso vino; 3 conducendo molte cose a perfezione con bella maniera, parte sopra le bozze d'Andrea, parte di sua fantasia: onde fu meritamente stimato de' migliori artefici che vi lavorassino al tempo suo.4 Finita quell'opera, Michela- gnolo mise mano, per ordine di papa Clemente VII, a dar fine, secondo l'ordine cominciato, alla sagrestia nuova ed alla libreria di San Lorenzo di Firenze. Onde Miche- lagnolo, conosciuta la virtù di Raffaello, si servì di lui corri' è nel Vasari , è nel Museo di Brera a Milano il monumento di Lancino Curzio tolto per cura del Bianconi dal chiostro di San Marco nel 1779, quando fu soppresso l' ordine agostiniano. Evvi pure la statua di Gastone di Foix tolta dal monastero di Santa Marta nel 1806. Nel Duomo di Milano, nell'altare dedicato alla Presenta- zione della Vergine si vogliono del Busti i due bassorilievi della pala marmorea e la statuetta di santa Caterina vergine e martire. ( Op. cit. , ivi ). 1 * Fatta fabbricare da Daniele di Francesco Birago morto, nel 1509. Ora la chiesa di San Francesco è ridotta ad alloggiamento militare. 2 i Nel 1516 Baldo Magini da Prato gli allogò a fare di bronzo la graticola per l' altare della chiesa delle Carceri di Prato. Il contratto fu rogato da ser Quirica Baldinucci pratese. 3 * Il Serragli dice, invece, che fu finito dal Tribolo nel 1533. Vedi sopra nelle note alla Vita del Sansovino. 4 * Delle opere fatte nella prima sua gioventù parla Raffaello stesso ne' già citati suoi Ricordi. 544 BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO in quell'opera: e fra l'altre cose gli fece fare, secondo il modello che n'aveva egli fatto, il San Damiano di marmo, che è oggi in detta sagrestia; statua bellissima e sommamente lodata da ognuno.1 Dopo la morte di Cle- mente trattenendosi Raffaello appresso al duca Alessan- dro de1 Medici, che allora faceva edificare la fortezza del Prato, gli fece di pietra bigia in una punta del baluardo principale di detta fortezza, cioè dalla parte di fuori, l'arme di Carlo V imperatore, tenuta da due Vittorie ignude e grandi quanto il vivo, che furono e sono molto lodate: e nella punta d'un altro, cioè verso la città dalla parte di mezzo giorno , fece l' arme del detto duca Ales- sandro della medesima pietra, con due figure.2 E non molto dopo lavorò un Crucifisso grande di legno per le monache di Santa Apollonia; e per Alessandro Ante- nori, allora nobilissimo e ricchissimo mercante fioren- tino, nelle nozze d'una sua figliuola, un apparato ric- chissimo con statue, storie, e molti altri ornamenti bellissimi. Andato poi a Roma, dal Buonarroto gli furono fatte fare due figure di marmo grandi braccia cinque, per la sepoltura di Giulio II a San Pietro in Vincula,3 murata e finita allora da Michelagnolo. Ma amalandosi Raffaello, 1 -La. figura di san Damiano è alla sinistra del gruppo della Madonna. t II 27 di febbrajo 1542 Michelangelo essendo in Roma diede a finire tre figure maggiori del naturale, abbozzate di sua mano per la sepoltura di Giulio II, a Raffaello da Montelupo per il prezzo di 400 scudi, e dentro il termine di 18 mesi. Con altro contratto del 21 agosto del medesimo anno , Girolamo Tiranno agente del duca d' Urbino allogò a Raffaello a scolpire cinque figure per la detta sepol- tura. Questi strumenti sono pubblicati a pag. 709 e 717 nel volume delle Lettere di Michelangelo Buonarroti, stampato in Firenze nel 1875 per cura di G. Milanesi. 2 *Fecele nel 1537 in compagnia del Tribolo, e ne ebber ciascheduno scudi 130. Vedi la lettera di Nanni Unghero ad Antonio da Sangallo , del 29 di dicembre 1537. (Lettere Pittoriche, tomo III, num. clxi). Di queste due armi, poste air estremo delle mura della fortezza del Prato , oggi detta da Basso , la prima è andata male affatto, l'altra in gran parte. 3 *Sono due figure sedute; l'una di un Profeta, l'altra di una Sibilla, per il piano superiore. Raffaello le lavorò dai modelli di Michelangelo. BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 545 mentre faceva questa opera, non potè mettervi quello studio e diligenza che era solito; onde ne perde di grado, e sodisfece poco a Michelagnolo. Nella venuta di Carlo V imperatore a Roma, facendo fare papa Paulo III un ap- parato degno di queir invittissimo principe, fece Raffaello in sul ponte Santo Agnolo, di terra e stucchi, quattor- dici statue tanto belle, ch'elle furono giudicate le mi- gliori che fossero state fatte in quell'apparato; e, che è più, le fece con tanta prestezza, che fu a tempo a venir a Firenze, dove si aspettava similmente l1 impera- tore, a fare, nello spazio di cinque giorni e non più, in sulla coscia del ponte a Santa Trinità due fiumi di terra, di nove braccia l'uno; cioè il Reno per la Germania, e il Danubio per l'Ungheria. Dopo, essendo condotto a Orvieto, fece di marmo in una cappella, dove aveva prima fatto il Mosca, scultore eccellente, molti orna- menti bellissimi di mezzo rilievo, la storia de' Magi, che riuscì opera molto bella per la varietà di molte figure che egli vi fece con assai buona maniera. Tornato poi a Roma, da Tiberio Crispo, castellano allora di Castel Sant'Agnolo, fu fatto architetto di quella gran mole, onde egli vi acconciò ed ornò molte stanze con intagli di molte pietre e mischi di diverse sorti ne' camini, fine- stre e porte. Fecegli, oltre ciò, una statua di marmo alta cinque braccia, cioè l'Angelo di Castello, che è in cima del torrion quadro di mezzo, dove sta lo stendardo, a similitudine di quello che apparve a San Gregorio, quando avendo pregato per il popolo oppresso da cru- delissima pestilenza, lo vide rimettere la spada nella guaina.1 Appresso essendo il detto Crispo fatto cardinale, mandò più volte Raffaello a Bolsena, dove fabbricava 1 Sappiamo dal Bottari, ch'essendo malconcia dal tempo e da' fulmini la statua dell'angelo scolpita da Raffaello, fu rifatta di bronzo, nel passato secolo, dal (xiardoni, gettatore in bronzo molto pratico. — *Ne fece il modello lo scultore •olandese Verschalfelt, detto il Fiammingo. Vasari, Opere. — Voi IV. 35 546 BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO un palazzo. Ne passò molto che il reverendissimo car- dinale Salviati e messer Baldassarri Turrini da Pescia diedero a fare a Raffaello, già toltosi da quella servitù del Castello e del cardinale Crispo, la statua di papa Leone che e oggi sopra la sua sepoltura nella Minerva di Roma; e quella finita, fece Raffaello al detto messer Baldassarri per la chiesa di Pescia, dove aveva murato una cappella di marmo, una sepoltura:1 edalla Conso- lazione di Roma fece tre figure di marmo, di mezzo ri- lievo, in una cappella. Ma datosi poi a una certa vita più da filosofo che da scultore, si ridusse, amando di vivere quietamente, a Orvieto; dove presa la cura della fabrica di Santa Maria, vi fece molti acconcimi, tratte- nendovisi molti anni ed invecchiando innanzi tempo. 2 Credo che se Raffaello avesse preso a fare opere grandi, come arebbe potuto, arebbe fatto molto più cose e mi- gliori che non fece, neir arte. • Ma V essere egli troppo buono e rispettoso, fuggendo le noie e contentandosi di quel tanto che gli aveva la sorte proveduto, lasciò molte occasioni di fare opere segnalate.3 Disegnò Raffaello molto praticamente, ed intese molto meglio le cose dell'arte, che non aveva fatto Baccio suo padre;4 e di mano così dell' uno come dell' altro sono alcuni disegni nel nostro Libro ; ma molto migliori sono e più graziosi e fatti con migliore arte quelli di Raffaello:3 il quale negli orna- menti d' architettura seguitò assai la maniera di Miche- 1 Si pretende che essa sia la migliore opera di questo scultore. 2 Nota il P. Della Valle che Raffaello da Montelupo ebbe in Orvieto l'im- portante ufficio di architetto ed ispettore generale dell'Opera; ufficio sostenuto sempre dai primarj artefici. 3 *Una lettera di Raffaello al Varchi, scritta da Roma nel 26 d'ottobre 1550 (Lettere Pittoriche, voi. I, num. l), ci svela la natura di questo artefice, molto conforme al ritratto che ne fa qui il Vasari. 4 Raffaello si era accostato alla maniera del Buonarroti; e questo era un pregio agli occhi del Vasari. K * Nella raccolta della Galleria di Firenze, nel voi. 217 (Disegni di altari e depositi), fol. 48, si trova uno schizzo a penna di una graziosa urna o cofanetto, BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 547 lagnolo, come ne fanno fede i camini, le porte e le fine- stre che egli fece in detto Castello Sant'Agnolo; ed alcune cappelle fatte di suo ordine a Orvieto di bella e rara maniera.1 Ma tornando a Baccio, dolse assai la sua morte ai Lucchesi, avendolo essi conosciuto giusto e buono uomo, e verso ognuno cortese e amorevole molto.2 Furono nel quale si legge: Di Raffaello Monte Lupo. Nel voi. 216 (Disegni di palazzi) a car. 55 e 56, sono schizzi di piante e alzati architettonici, nel primo de' quali si legge: Le invenzione di Raphaello da Montelupo darchitettura. 1 Dice il Borghini nel suo Riposo, che Raffaello, parendogli che il far di marmo le cappelle nella chiesa di Santa Maria fosse troppa spesa e troppo per- dimento di tempo, ordinò che si adornassero di stucchi, e ne fece il disegno. Ivi pure « sculpì in marmo un San Pietro, con animo che si seguitassero di fare tutti e dodici gli Apostoli. Ma ritrovandosi molto afflitto dal mal di pietra, avve- gnaché fosse in età di 66 anni, si risolvette a cavarsela; ma egli in tale medi- camento lasciò la vita; e con grande onore in Santa Maria, sopra la sepoltura del Mosca, fu seppellito ». i Raffaello nacque forse nel 1505, non trovandosi nominato nella portata di suo padre all'Estimo del 1504; e morì in Orvieto nel dicembre del 1566, o nel gennajo dell'anno seguente. Un comune sepolcro nel Duomo d'Orvieto rac- chiude le ossa del Mosca e del Montelupo con una iscrizione postavi nel 1588. 2 *Di altre opere di Baccio parla il Vasari nella Vita di Desiderio da Setti- gnano, e in quella di Jacopo Sansovino; e l'Albertini nel suo raro Memoriale impresso nel 1510, e allo stesso Baccio dedicato, dice: « La tavola marmorea « del Sacramento ( in San Lorenzo ) con li suoi ornamenti è di Desiderio ( da Set- « tignano) excepto Cristo sopra il calice, che è di tua mano, quando facesti il « Crucifixo et li angeli allo altare maggiore , al tempo fui sacrista in decta chiesa ». Il Crocifìsso, che esiste tuttavia, è stato da alcuni attribuito, ma erroneamente, come si vede, al Buonarroti. Alle scarse notizie delle opere di Baccio date dal Vasari possiamo aggiungerne altre, colla scorta dei documenti. Nel 1505 scolpì per la chiesa dei Servi un Crocifisso di legno ; e nel 1506 si trova che egli fece per l' ornamento della chiesa della badia di San Godenzo , benefìzio di quei frati medesimi, un San Sebastiano, grande al naturale, di legname di tiglio, per il prezzo di ventun • ducato d' oro : tre teste grandi , di legno , di san Gaudenzio , Lucino (?) e Marziano, colorite a olio, per il prezzo di otto ducati: due putti di rilievo: tre teste al naturale, di Cristo, della Madonna e di san Giovanni, per sette ducati: un San Giovambatista e un San Girolamo, per undici ducati: sei quadri, dov'erano scolpite di rilievo storie di san Gaudenzio, per dodici ducati: un Cristo morto, grande al naturale, per sei ducati d'oro: e finalmente, per venticinque du- cati d'oro, l'arca che doveva contenere le sante reliquie. (Archivio delle corpo- razioni religiose soppresse, in Firenze. Convento della SS. Annunziata di' Firenze. Libro di Ricordanze, dal 1504 al 1510, a c. 7). Si ha ancora notizia, che nel 1513 facesse pei Servi la immagine di cera del magnifico Giuliano de' Medici , per do- dici fiorini d'oro. (Archivio detto, idem. Libro del Camarlingo, ad annum, a c. 103, 104, 105, 108). 548 BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO T opere di Baccio circa gli anni del Signore 1533.1 Fu suo grandissimo amico, e da lui imparò molte cose, Zac- caria da Volterra,2 che in Bologna ha molte cose lavo- rato di terra cotta, delle quali alcune ne sono nella chiesa di San Giuseppo.3 1 t II Vasari, come abbiamo veduto," dice nella prima edizione che Baccio mori di 77 anni, e nella seconda di 88. Sbaglia in ambedue i computi. Per noi due cose sono certissime, l'una che egli nacque nel 1469, e l'altra che nel 1536 era morto , come si rileva da un atto di quest' anno , in cui Lucrezia sua moglie si dice vedova di lui. Onde noi congetturiamo che Baccio morisse circa il 1535 e neh' età di anni 66. 2 t Intorno a questo artefice si leggeranno volentieri le seguenti notizie scritte da un suo contemporaneo: « Die 6 maii 1473 in civitate Aretii natus est « Zacharias nomine , die venerisi hora 17 ; luna quinta in sagittario , et « sole in libra , fuit hic Zacharias pictor et sculptor famosissimi^ , architector « et aquarum subterranearum inventor mirabilis et inaitditus., come nel « palazzo nostro de1 Signori (di Volterra) si può vedere, che essendo Fanno 1506 « da uno delli Strozi che quivi resideva Capitano levato l'immagine di N. Donna « della Sala del Consiglio per portarla a Firenze messa in un forziere; venuto la « nocte il mal tempo, tuoni, saette, entrando il fuoco celeste in detto forzieri, « fondè li argenti e bruciò tutte le robbe che dentro vi erano , l' immagine di detta « figura restò intacta et senza macula. Il Capitano , inteso questo , la fece appiccare « ad uno arpione; cadde in terra; se ne fece 32 pezzi. — Lasciatola quivi, Za- « cheria detto chiamato dal popolo la rimesse insieme et fecela mettere al luogo « suo, dove hoggi è, che non apparisce in parte nessuna guasta. Fu non sola- « mente da tutto il popolo tenuto cosa miracolosa, ma da chi udì et vidde tal « cosa. — Appaiano di detto Zacheria in Volterra figure nella Croce, S. Barnaba, « S.Augustino, Libbiano Massa, Piombino : le fontane fattovi di copiose acque pome « per le patente di quel signore (ossia il d'Appiano) Monterotondo. E l'anno 1516 « andandosene a Bologna , la Signoria gli fece di provisione scudi 6 il mese per « lavorare in S. Petronio le figure dentro e fuora alle porte. In San Martino vi « fece una bellissima cappella: ritrassevi al naturale M. Marcantonio Manzuoli, et « nel suo palazzo vi fece condurre gran copia d'acqua: et per tutto Bologna ap- « pariscono di lui statue, acque et belle cose. — L'anno 1534 fu chiamato in Trento « dal cardinale , dove gli fece 4 statue bellissime nel suo giardino , con condurvi g ran « copia d' acque. Ne portò scudi 696. — L' anno 1538 fu chiamato da Pavolo iii pont. « max., et nel suo giardino per condocti di piombo vi condusse l'acqua, con alcune « statue bellissime di stucchi. E nel cercare altre acque , dove spese copia di ducati , « non riuscendo , l' anno 1544 si morse in Roma et da papa Pavolo 3 fattogli gran- « dissimo honore ». (Estratto da una scrittura contemporanea intitolata: Genea- logia familiae Zacchiorum, incipiendo a nobili viro Zaccha , a quo Zacchia domus cognomentum retinet ; esistente nell'Archivio centrale di Stato in Firenze : Carte Strozziane, filza cix, intitolata Memorie diverse di Volterra, al n° 5). 3 * Vedi tomo III, nota 1, pag. 540. 549 O — i _a c.= .-i.i&&c_ ? ^ fc£> SP- c p — • o.°» 5tc z os o S ; vO O :S3. O H c£ « oq 25 k rr a c « a - H 1—1 - - te g-S3 ->-.2- 2 5 o gif <: osi «2^ 3 ;gS ènj Z in Z O a ci SS " Pr, IO 551 COMMENTARIO ALLA. VITA di Baccio e Raffaello da Montelupo Autobiografia di Raffaello da Montelupo {Frammento).1 Mi sono messo ne 1' animo di schrivere con la gratia de l' onipotente Dio, fatore e datore del tuto, tuto quello che mi è achaduto nella mia vita, dalli anni che io mi ricordo aver conosciuto il bene dal male, i quali sichondo me cominciano alli ÌO anni, per insino alli sesanta quatro, che al presente mi trovo. Voglio racontare tuto quello che in questo tempo mi è achaduto, imperò le cose che mi sono parute di qualche considera- tione; ne anco penso di tute ricordarmi, ma almanco farò noto quelle che più mi sono restate nella memoria, come più care2 da essere intese, anco che forse questo mio pensiero overo effetto darà forse a qualchuno materia di mormorare, parendo forse io abia fatto questo per un non so che di gloria mondana ; il che non voglio negare qualche poco ; ma dire bene, che maggior voglia che questa mi à mosso; e questa è, che sen- tendo i casi prosperi e aversi e pericoli della morte esermi avenuti in •questo itenpo (sic), coloro che legeranno, se mai1 ne sarà alcuno, potrà darli non poco aiuto, quando o in simili o altri si ritroverà. Cominciando, come di sopra ò ditto, da l'etàdelli dieci anni insino alli 64 che al presente mi trovo: Bartolomeo di Giovanni d' Astorre da Monte Lupo schultore, della casata de' Sinibaldi da Monte Lupo, fu mio padre. Astorre mio zio, fra- tello di mio padre, abitava in Enpoli, castello vicino a Fiorenza 14 mi- 1 Ci siamo consigliati di ripubblicare questo ingenuo e prezioso frammento del- l'autobiografia di Raffaello da Montelupo, non tanto perchè dà notizie aneddote intorno a1 suoi primi anni, quanto perchè ci fornisce molti particolari non noti sopra la vita di Lorenzetto già raccontata più indietro dal Vasari. 3 Aveva scritto degne, ma poi Tha cancellato. 552 COMMENTARIO ALLA VITA glia, e per non avere figluoli masti, venendo a Fiorenza in casa nostra,, pregò mio padre che volessi lasarmi andare a stare qualche tenpo a En- poli con esso lui : oltre che li farebe servi tio, ancora non perderei tenpo, inparando a legere e schrivere bene sanza costo niuno, perchè dal Co- mune del detto castello era pagato il maestro che insegniava legere e schrivere e parte d'abaco; dove mie padre ne fu contento. Così arrivato , mi misse alla schuola, e mi faceva lui e la moglie, che mona Gostanza si chiamava, tante carezze, come se fussi stato lor proprio figluolo; el simile dua sua figluole, l' una ditta Lisabetta, e l1 altra Smiralda. Così con- tinovando la schuola, inparai a legere d'ogni sorta letere, e schrivere solo della letera cancelerescha, che sapeva il maesto (sic) che era prete: non mi ricordo del nome : e credo che io vi stessi dua anni, dove in quel tenpo Astorre mio zio mi faceva schrivere in sur uno suo libro i sua conti. Non voglio lasare di dire come io per natura sono stato mancino, e avendo la ditta mano più pronta^che la destra, schrivevo con quella, e no ci badando il maestro, spio bastandoli vedere che io schrivevo assai bene, li bastava; dove sempre scrissi, e parte un poco disegnava delle battaglie del Morgante (che nella schuola vi era chi lo legeva) con la mano mancina. Ora questa mia maniera di schrivere con la mano mancha, perchè io tengo il foglio per lo lungo, molti che mi anno veduto si ma- ravigliano, parendo loro più presto a l'ebraica che altrimenti, nè chre- dano mentre ch'io schrivo la non si possi legere, e me n'è achaduto assai volte questo caso : e infra l' altre avendo nella merchantia di Fio- renza fare una risceuta di certi danai a uno notaio, metendomi inanzi il foglio e vedendo tenerlo per i' lungo, no poteva conportarlo ; pure lasan- domi fare un verso e poi legendo, li pareva imposibile se potessi legere così; quando n' ebi fatto un verso, lo prese, e veduto si legeva benis- simo, chiamò forse dieci notai a vedermi. Facto ch'io ebbi la risceuta, scurissi ancora con la mano diritta, perchè alora schriveva assai bene, dove T ò poi lasata. Qui si può metere ancora come io disegno con la mano manca, e una volta sendo a Roma a designare a l'arco di Trasi da Coloseo, passò Miche- lagnolo e fra Bastiano del Piombo, si fermorono a vedere, e perchè l'uno e l' altro era mancino naturale , inperò non facevano niente con la mancina, salvo le cose di forza;1 e stetono un pezzo a vedermi, maravigliandosi forte; cosa che forse non à mai fatto nisnno di queste dua arte, che si sapia. Essendo, come vi ò ditto, stato 2 anni a Enpoli con questo mio zio, volse mie padre che io me ne tornassi a Fiorenza, parendoli ornai fussi 1 Queste parole spiegano, dunque, come riguardo a Michelagnolo si debba intendere questa particolarità. (Gayb). DI BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 553 d1 età di metermi a un' arte : così tornai con gran dispiacere del mio zio e della moglie e delle figliole (sic), avendomi posto tanto amore che non più si poseva. Li tratenevo la sera legende libri di bataglie, e questo mio zio, per esere stato sempre soldato, li piaceva, e la donna anco se ne diletava. Pure mi lasorno andare ; inperò vinne con esso meco la mo- glie e un suo fratello , che era capitano , che si chiamava il capitano Ceo da Enpoli. . • Tornato che io fui a Fiorenza, mio padre mi domandava qual'arte volessi fare. Io senpre li diceva, lo schultore; e lui che aveva provato la fatica, la dificulta del arte, non arebbe voluto , e sepure voleva fare arte di disegnio, facessi la pitura, o veramente l'orefice. Come non andava per l'animo nè l'una ne l'altra, pure per contentarlo li dissi farei l'ore- fice. Così mi misse a stare con Michelagnolo , padre del cavalieri Bandi- nella che in quel tenpo era uno de' meglio maestri d'orefice che fussi in Fiorenza, e'1 più stimatole per avere Baccio suo fìgluolo schultore di buona fama, masimo nel disegnare, dove li pareva che l'una e l'altra potessi fare insieme , e. quella dove io riusciva meglio , seguitare. Vi stetti dalli 12 anni insino alli 14, che furono du'anni, e la magior parte del tenpo menava i mantaci per le tante facende che facea il mastro, e qual- che volta disegnavo : achadde un giorno che '1 maestro mi faceva rìchuo- cere, eoe far di fuoco certe borchie d'oro, che si facèno pel duca Lo- renzo de' Medici, duca d'Urbino, e così lui le bateva in su l'ancudine, e mentre bateva l'una, io cocce vo l'altra; e stando lui a parlare cor un suo amico, non s'avedendo quando missi quella calda e tolsi la freda, pigliandola s' abruciò le dua dita con che la strinse; dove gridando e saltando per la bottega mi voleva dare, e io fuggendo di qua e di là feci che non mi posette dare allora, ma quando fu l't>ra d'andare a ma- gniare, pasando dallo sportello dove stava acanto il maestro, mi prese pe' capelli, e mi dette parecchi buoni mustacioni. Così me n'andai mal contento sì per l'erore c'avevo fatto, sì per le botte che avevo aute: e perchè non stavo molto volentieri a quella arte, masimo per quel conti- novo menare de'matici, mi riso'lsi di non ci volere tornare più, e mi stavo a chasa sanza dire niente a nisuno: quando vinne un garzone di botega da parte del mastro a mio padre, che mi facessi tornare: e così voleva mio padre, ma io non volsi mai nè per minaci di mio padre o vilanie che mi dicessi. Ci vennono anco deli altri orefici per volermi, perche aveva nome di buon fatorino : non ci volsi mai andare, e così mi missi a stare in bottega di mio padre, che alora faceva la sepoltura del ve- scovo de' Pandolfini, 1 di marmo, di valore di dua mila scudi, e tenea 1 Cioè Niccolò, vescovo di Pistoja. 554 COMMENTARIO ALLA VITA molti lavoranti e di quadro e d'intaglio e di figure, e lui insieme con loro; sì che cominciando a scharpellare e fare delle cosette di marmo e di chreta, e parte andavo a disegnare nelle chiesie, come al Carmine, a Santa Maria Novella e la Nuntiata, dove pareva che s'avessi qualche aspetatione di me per quelli che mi vedevano. Così stetti nella mia bo- tega ìnsino alli 16 anni, che fumo dua anni, dove presi tanta pratica de'ferri e chosì aconciamente, che io intagliava de' fogliami insieme con quelli altri maestri che v'erano, che c'era per uno il Moscha,1 un altro Salvestro Cofacci da Fiesole , 2 un altro Stoldo da Setignano e un suo fratello giovanino;3 e di più ci venne da Napoli uno che si chiamava el Cicilia,4 molto famoso in quel tempo, per intagliare la sepoltura si trova nella Badia di Fiorenza : no' s' è mai messa in opera , perchè mancò quel vescovo 5 e poi no si seguì. Ora sendo stato a questo modo insino alli 16 anni, achadè che tornò di Spagnia un Go vanni da Fiesole squadratore,6 e veniva da Carara, dove era morto uno schultore spagnmolo che si chiamava Ordonio,7 valentis- 1 Simone Mosca, del quale si ha la Vita nel Vasari. 2 t Salvestro di Giovanni di Piero nato nel 1495. 3 t Stoldo di Francesco di Stoldo di Piero Fancelli nacque nel 1500. Il suo fratello nato nel 1502 si chiamava Giovanni. 4 E sicuramente lo stesso artefice nominato nella Vita di Andrea da Fiesole. 5 II vescovo Pandolfini, nato nel 1440, morì ai 17 settembre 1518, e fu sepolto nell'avello della sua famiglia alla Badia di Firenze. 6 Vedi nella Vita di Andrea da Fiesole. 7 i È questi Bartolommeo Ordognez insigne scultore di Burgos in Spagna, del quale non si hanno che scarse ed inesatte notizie ne' biografi del suo paese. Egli fin dal 1517 ebbe relazioni con Carrara; le quali si strinsero vie maggior- mente, allorché dovette venire ad abitarvi per scolpire il monumento marmoreo del cardinale Ximenes arcivescovo di Toledo, innalzatogli nella chiesa del gran Collegio di Sant1 Idelfonso. Questo monumento era stato allogato fin dal 15 luglio del 1518 a Domenico Fancelli scultore fiorentino dagli esecutori testamentarj del Cardinale , per il prezzo di 2100 ducati d' oro , obbligandosi F artefice di dar finita e messa su nel termine di diciotto mesi la detta opera che doveva essere di marmo carrarese. Ma il Fancelli morì prima di aver posto mano al lavoro che fu dato a fare secondo il disegno del Fancelli al suddetto Ordognez. Il quale per questo ef- fetto partitosi di Spagna in compagnia di due artefici italiani, che colà dimora- vano , cioè di Giovanni di Sandro Rossi da Fiesole nominato già da Raffaello da Montelupo, e di Simone detto il Mantovano, si condusse a Genova e di quivi a Carrara. E siccome l' Ordognez oltre al monumento del cardinale Ximenes aveva pigliato il carico anche di un grande deposito per Ferdinando e Isabella reali di Spagna, e di un altro pel vescovo di Burgos, così dovette chiamare in Carrara varj altri artefici ad ajutarlo. Furono essi, oltre i detti Giovanni e Simone, Pietro da Carrara, Domenico di Desiderio Gare detto il Franzosino, Vittorio detto Co- gone fiorentino, Tomeo di Menco Bersaglia, Francesco di Filippo del Mastro, Gio- vannino Nelli e Francesco Ghetti, gli ultimi quattro squadratoli e scarpellini. Era DI BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 555 simo, dove faceva la sepoltura d'un re di Spagnia e un'altra d'un ve- scovo, che andavano in Balzalona. Sendo morto, no' v'era chi finissi certe figure e tonde e di mezo rilievo, e questo Giovanni era venuto a Fio- renza per menare qualche giovane che le facessi, e perchè con mio padre lavorano (sic) delli altri garzoni da Fiesole, costui venne a vedere in bo'tega nostra quelli del suo paese, e così vidde certe figurine di marmo e di chreta che avevo fatte io, e se ne maravigliava di quella ettà; giu- dicando che io sarei stato buono a finire quelle cose che s'erano bozate a Carara : e così domandò a mio padre se voleva che lui mi menassi, che mi farebbe dare buona provisione. Io n' ero desideroso per levarmi dinanzi a mio padre, che continovamente mi rimproverava le spese che mi dava, B;' « . ■ .^'V.A, soprastante di tutti questi lavori uno spagnuolo chiamato Gio. Bernardo de Chivos , che è quel medesimo, a cui fu presentato il Montelupo nella sua andata a Carrara. Ma TOrdognez, infermatosi gravemente nella canonica di Sant'Andrea, fece il suo testamento a' 5 dicembre del 1520, e morì pochi giorni dopo. ( Vedi Quilliet, Les Arts Italiens en Espagne: Andrei, Sopra Domenico Fancelli fiorentino e Bar- tolommeo Ordognez spagnuolo ecc., Massa, Frediani, 1871; e Campori Giuseppe, Memorie Biografiche ecc., pag. 343). Di Domenico Fancelli, che il Quilliet chiama Domenico Alessandri, facendo del suo patronimico il cognome, si legge negli autori sopraccitati, che andò la prima volta a Carrara nel 1508 e vi provvide da cinquantacinque carrate di marmi destinati in gran parte a Genova e più pro- babilmente alla Spagna. Vi ritornò nel 1512, e agli 11 di dicembre del medesimo anno, essendo sulle mosse per. andare in Spagna, fece mandato di procura a Gio- vanni suo fratello , e nello stesso giorno dettò il suo testamento. Essendo in Spagna, gli fu dato a fare un grande monumento sepolcrale di marmo pel principe Gio- vanni figliuolo unico del re Ferdinando. Onde per comprar marmi e spedirli in Spagna, convenne al Fancelli tornare nuovamente in Carrara nel 1516, donde dopo un anno si partì, con alcuni maestri di marmo, riconfermando prima il testamento fatto quattro anni innanzi. Il monumento del principe Giovanni è nella chiesa di San Tommaso de' Domenicani in Avila e si compone della figura del principe giacente sull'urna, e circondato da piccole statue di santi e di virtù. A queste notizie intorno al Fancelli noi aggiungeremo le seguenti. Nacque Do- menico nel 1469 e fu il secondo de' tre figliuoli maschi che Alessandro di Bartolo Fancelli da Settignano ebbe dalla Checca Galli sua donna. Era Domenico ap- pena pervenuto al quinto anno di sua età, quando nel 1474 perdè il padre: „ ond'egli e i fratelli rimasero al governo di madonna Checca ed alla cura degli zii paterni; i quali gli messero allo scarpellino, e quando ebbero acquistato suffi- ciente pratica nel maneggiare i ferri, li mandarono a perfezionarsi in Firenze nella bottega d'un maestro, che non sappiamo chi fosse, ma certamente de' mi- gliori della città. Quali lavori facesse Domenico nella sua prima gioventù è ignoto Di quelli fatti in Spagna è stato già detto. Aveva egli finita e messa su la sepo5 tura del principe Giovanni dopo due anni di lavoro , quando trovandosi in Sara- gozza s'infermò d'un male così fiero che in pochi giorni lo spense sul finire di aprile del 1519: avendo prima fatto nuovo testamento a' 19 di quel mese, ro- gato da ser Michele da Villanuova notajo spagnuolo, nel quale chiamava erede universale Giovanni suo fratello. 556 COMMENTARIO ALLA VITA e ne lo pregai mi lasassi andare. Benché non molto volentieri , pure ci partimo; e arrivati a Carara, questo mi menò a fare riverentia a uno Spagnolo, che stava solecitando l'opera e pagare i danari: si chiamava 11 signor Chivos. Come li fui inanzi, mi porse la mano baciandola per . tocarmi la mia. Io che non ero stato più fuori, nè sapevo queste cose, li porsi la mano san.z' altro baciare, e li porsi la mano manca, come mia na- turale: alora lui ritirò la sua con mostrarsi tuto turbato, e che ero mal- chreato, e che non pose va eser da niente; ma quello che m'aveva menato schusando che per più non sapere e anco esere naturale mancino , li disse , e tanto fece che lo mitigò ; e mi porse un' altra volta la mano e i' li porsi la man diritta, chiedendoli perdonanza del non sapere. Così fra dua giorni fui messo a lavorare dov'erano fra intagliatori, squadratori e schultori da 12 omini, e mi fu messo inanzi uh quadro di marmo di 5 palmi alto, e 4 largo, e grosso uno, che io vi facessi un'arme di quel vescovo, tenuta da dua putini di mezzo rilievo. Così la feci, e sodisfece tanto, che vole- vano che io facessi le figure tonde , eh' erano i quatro dotori della Chiesia di 4 palmi alti, a sedere; ma arivorno apunto dua maestri napolitani, uno chiamato mastro Griaiacomo e l' altro Irenimo Santa Croce ; 1 e per esere omini fatti, si dette più fede a loro, come veramente sapevano più di me asai; pure si contentorono ch'io finissi le figure e loro Imbozza- vano, come più pratichi, masimo quel Giaiacomo: dove le renetai, come teste, capelli, barbe, mani e piedi asai diligentemente: così vi stetti un anno, e mi davano 6 scudi il mese e le spese. Achadè in questo tempo la morte di papa Leone, dove stetono un anno in chonchlavi inanzi si facessi papa. Feciono alfine papa Adriano, ch'era in Spagnia, che stette un anno a venire, e visse tre a Roma. Così le cose di queste sepolture erano alentate, perchè non venivano danari, e molti lavoranti s'erano partiti, perchè era pasato più di 6 mesi che non avevamo auto paga ni- suna: mi resolsi a partirmi ancora io. Intanto si mandò uno in Spagnia per danari, e stette gran tenpo a tornare: tornò poi con danari, ma non 1 1 Costui pare che fosse un Gio. Giacomo de Brixia, se di cognome o di patria non si può accertare, del quale parla un atto stipulato in Carrara il 2 ot- tobre 1522 -e rogato dal notajo Gio. Maria di Simone. In esso è detto che maestro Orio. Giacomo scultore de Brixia napoletano, Girolamo Santa Croce scultore napoletano e Jacopo Vannelli da Torano scarpellino, fanno procura in Pandolfo Ghirlanda per esigere le somme di denaro, di cui sono creditori verso gli eredi di messer Bartolommeo Ordognez, e per essi verso il Monsenserra mercante spa- gnuolo, come tutore e curatore di quelli per l'opera da essi prestata in società e. 1 separatamente ne' lavori marmorei cominciati a fare per il detto messer Barto- lommeo Ordognez in Carrara. (Vedi Campori, Memorie Biografiche degli scul- tori e architetti, pittori ecc., nativi di Carrara e di altri luoghi della pro- vincia di Massa ecc., Modena, Vincenzi^ 1873, pag. 323). DI BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 557. molti : si stribuirno prò rata a tuti ; mi fu portato la mia parte insino a Lucca, dove m'ero fermo a finire una sepoltura del vescovo de1 Gigli in Santo Michele, che la faceva mie padre, il quale mi lasò a finire la figura del morto e una Nostra Donna 'nun tondo di mezzo rilievo , e lui se n'andò a, Fiorenza.1 Così vi stetti un ano o poco più. Feci queste cose, e ci avevo preso tanto chredito, che si no mi fussi malato, area, fatto di molte opere d' inportanza : mi prese una terzana, me n'andai a Fiorenza, dove stetti, sanza levarmi mai di letto, un anno intero. In questo ch'i stetti a Lucca, .si levorono le parti, che furono quelli Pogeschi, dove fu uciso il gonfalonieri in palazzo da un mess. Vincenti, di Poggio , e così andò tuta Luca a romore e a l' arme. 2 Poco doppo questo caso, mi parti' malato, e, come ò ditto, andai a Fiorenza con gran dispiacere di mio padre e madre. Mi racolsono, e fatomi medicare, non posei mai insino a l' altr' anno guarire : dove fu forzato mie padre tornar- sene a Lucca a inetere in opera la ditta 1 capella e sepoltura , come si vede al presente, com'è ditto, nella chiesa di Santo Michele sulla piazza magiore di Lucca. In questo mezzo, sendo guarito, morse papa Adriano e fu fatto papa Clemente, della casa de' Medici: e a Roma si intendeva si facevano di molte opere di schultura e pitura; e quasi in quel tenpo venne a Fio- renza da Roma mastro Lorenzo del Canpanaio, schultore asai nominato. 3 Io ero guarito, e li parlai parechi volte d'andare a Roma: lui mi dette buone parole, con dirmi che ogni volta che io fussi andato, non mi man- cherebe; inperò non mi voleva menar seco, per non fare dispiacere a mio padre. In su questa speranza stetti forse un anno o dua, e feci di molte cosette di chreta e de' Christi di legno. Adunato eh' i' ebi parechi schudi , mi inviai a Roma con dua mia conpagnì : potevo avere 18 anni o il più 19, quando andai la prima volta a Roma, e chredo che propio quel anno fusse stato chreato papa Clemente. Come vi ò ditto, "fumo tre, Iacopo d'Antonio Giallo pitore, e Giovanni del Tronbetto, osaio.4 Arivati a Roma, andai a trovare il sopraditto mastro Lorenzo, che stava al macello de' Corvi. Così, parlatoli, mi parse mi vedessi volentieri, 1 Intorno alla sepoltura del vescovo Grigli, e alla fortuna sua, vedi la nota 2, a pag. 541. 2 Ciò accadde nel 1522. Il gonfaloniere ucciso da Vincenzo di Poggio è Lo- renzo Totti fu Girolamo Vellutelli. (Vedi Archivio Storico Italiano, X, 385). 3 E questi Lorenzetto, ossia Lorenzo Lotti, del quale è discorso dal Vasari più indietro. 4 Jacopo Giallo fu figliuolo di un Antonio di Jacopo Giallo pittore , registrato nel Libro Rosso de Debitori e Creditori coiranno 1520, e scritto nel Vecchio Libro dell'Arte colf anno 1525. Di Jacopo Giallo, che fu miniatore, si hanno me- 558 COMMENTARIO ALLA VITA . c mi disse che mi piglierebbe ; ma per non avere in casa comodità di stanza, che per insino che n1 asettava ima, mi contentassi andare per pa- rechi giorni con un altro suo garzone lombardo, chiamato Bartolomeo, omo di tenpo: dove andai volentiere; e questo chredo lo facessi, per ve- dere la natura mia inanzi mi si metessi in casa; sebene non v' era molta comodità. Mi fece cominciare a lavorare sur una Nostra Donna, la quale è nella Ritonda, alla sepoltura di Rafaello da Urbino, e misse a lavorare dirieto, dove poco si poseva far male, per vedere la pratica che avevo de' ferri. Così feci certe pieghe di panni, e vi lavorai da 3 giorni. Ve- gendo che lui si poseva fidare a farmi lavorare cosa di più importanza, mi misse a lavorare dinanzo (sic), dove lavorava Bartolomeo; e mi portai di sorta, che quasi tuta la rinetai io, e poi mi fece finire un'altra figura che pure era bozata asai presso al fine, eoe uno Elia che sta a sedere, ed è alla capella de' Chigi al Popolo. Finita questa, fece una sepoltura a Santo Stefano ritondo , dove mi fece fare dua figure di 4 palmi alte , un Santo Bernardino e un Santo Stefano , e un putino nel mezzo, e la figura del morto;1 e anco anconciai di molte anticaglie; feci de' petti, e tuto quello che lui mi comandava ; netai certe storie di bronzo pure della ca- pella de' Chigi. Fu sì che io stetti con esso lui 3 anni', e mangiai sempre alla sua tavola, dov'era la donna, la madre, la sorella, e '1 fratello, che mi tenevàrio come del sangue loro. In capo alli 3 anni, pareva che a Roma volessi inovare la peste, la quale era stata a tenpo di Leone, e se ne cominciava a spargere assai: morie, secondo lo Zani, dal 1530 al 1565. E Niccolò Franco, nel Dialogo vm, dice: « Se ti farai pittore , e non arrivi ad un Tiziano , non ne sarai il prence — ; e se miniatore, e non t'agguagli al Giallo, non sarai nè unico nè singolare». t Di Jacopo Giallo valentissimo miniator fiorentino noi abbiamo veduto nella Casanattense di Roma un messale appartenuto al cardinale Francesco Cornaro, e da lui fatto scrivere e miniare tra il 1538 e il 1539. Alla carta 133 nel fregetto della lettera C di cibavit è un cammeo nero con le lettere d' oro ia°, ga°, ossia Jacopo Giallo. In San Giorgio Maggiore di Venezia è un libro corale segnato B con varie miniature. Nella prima carta, stata rubata, era scritto il nome di Jacopo Giallo fiorentino, e l'anno 1538. Nel Museo Correr è una commissione ducale a Giovanni da Legge procuratore di San Marco del 1537. La miniatura della prima carta è certamente del Giallo. Del quale crediamo parimente le miniature delle commissioni conservate nel medesimo Museo a Giovanni Cappello, mandato ca- pitano a Brescia nel 1540, e a Gio. Antonio di ca' Tagliapietra potestà della detta città nel 1539. — Giovanni del Trombetta è forse Giovanni di Lionardo ossajo, che si trova scritto senz'anno nel Vecchio Libro de' Pittori. 1 1 Questa sepoltura fu fatta fare nel 1524 per messer Bernardino Capella canonico di San Pietro, da' suoi esecutori testamentarj Maffei da Volterra e Jacopo Sadoleto. Ma il puttino del Montelupo è scomparso. (Pekjkins,' ZWan sculptors, voi. II, pag. 81 in nota). DI BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 559 e avendo questo mio maestro una sua vignia a piedi della chiesia de' Santi Quatro, dove stavano tuti quelli che s'erono apestati a fare la guardia: e vi era apunto uno muretto in mezo, di modo che venivano questi ape- stati ogni loro posta nella vignia, che molte volte ve li trovamo; di modo che fusino questo o pure la pigliassi altreve., mi vinne la peste, e fu un carbone, e mi yenne nel corpo, e il giorno che me lo senti', lo dissi a Lorenzo mio maestro, perchè insieme mi vine la febre: lui lo volse vedere, e perchè inanzi 3 o 4 anni era stata la peste grande a Roma, e l'aveva auta in casa, lo conosceva benisimo; e così guardan- domi, mi disse non dubitassi, per darmi animo e parte per iscansarmi dassè, mi disse che io andassi un poco a spasso, dando una volta da V an- ticaglie insino alla sera,, e se vedrebbe poi quello che la facessi: e così feci. Trovai u'mio compagno, ditto Piero Lapini, merciaro, e lo con- feri'seco lui: non mi schifò, anzzi vinne tutto il giorno con esso meco. La sera la cosa era pegiorata e la febre chresciutta, di modo eh' ero fuora del cervello pel gran dolore. Così la volse rivedere il mio maestro, e insoma mi chiarì eh' el era dessa, e quello che io volevo fare de' dua partiti, o andare a stare alla sua vignia, che v'era una casetta, chè m' aria mandato ogni giorno a provedere per un altro garzone eh' avea , ditto il Bresciano; o pure stare in chasa nella parte da alto, che le. sua donne mi farieno le cose a me di bisognio: e lui volse star fuora per pose' aiutare e sovenire alla sua famiglia. Conobi certo, che lui mi voleva bene: li dissi che farei quanto voleva lui; e considerando anche lui il mandarmi alla vignia li pare' crudeltà, perchè certo sarei morto di disa- gio, sendo lontana dal Macello de' Corvi più d'un miglio, non arei mai auto cosa a tempo. Così mi misse in casa di sopra, e insieme un altro ragazzetto di 13 anni, chiamato Vico d'Agobio, che dormavamo insieme, e ci vinne volentieri, chè ci volevamo bene. Così fui governato acurata- mente sì di casa e sì dalle spetierie e medico; se bene non veniva in casa, dalla finestra mi voleva vedere, e ordinava poi le cose, anco che lui aveva ditto che non poseva schanpare, e ne andò la nuova a Fio- renza come già ero morto. Io in tuti i miei pericoli mi sono sempre ra- comandato a Iddio e la Nostra Donna, e per sua gratia ò schanpato di tanti e tanti pericoli di morte in questo tenpo, che io stesso resto ma- ravigliato che io sia visuto insino a questo tenpo, come che questi che io raconto, no' sono la terza parte, per non esere lungo e fastidioso. Come io fui guarito, che stetti fra la guardia e '1 macco da 50 giorni, e nisuno altro ebbe male, cominciai a lavorare, e si finirono certe cose antiche alla marchesana di Mantova, non avendo altro da fare il mio maestro. No' si faceva quasi niente, per le guerre che andavano atorno. Quasi alora tornavano le Bande nere dello stato de' Colonesi, dove avieno 060 COMMENTÀRIO ALLA VITA fatto tanto mal è, che poi vinjie il cardinale Colonna, e sacheggiò San Pietro, e'1 Borgo, e fu per pigliare papa Chlemente, che schampò in Chastello. Seguito questo caso, io mi tornai a stare in Borgo ischontro a l'osteria de Liofante 'n una casetta che pure era del mio maestro, e mi dette an- cora i' letto. Presi a fare un Ercole puto, quando strangola le serpe da mess. Domenico Boninsegni, fiorentino, che alora era tesaurieri di papa Chlemente; per esere amico di mie padre, voleva farmi bene in questo modo. Come avevo finito il ditto puto, lo voleva mostrare al papa, e me- termeli inanzi, che mi facessi fare qualcosa; ma lamia, o buona o mala fortuna che la fussi, fece che non l'avendo anco finito, ma a buon ter- mini , vinono i Lanzi ; 1 e presono e sachegiorno il Borgo e tuta Roma ; e il giorno inanzi che loro entrasino, vinne quel Piero Lapini a chasa mia chon persuadermi che volesimo fugire questo pericolo, e andarcene verso Tigoli, che di già si vedeva tuta Roma sotto sopra, e beato a chi poseva sgonberare robe dove più li parieno sichure, benché non sene sal- vassi altre che quelle che si misono in Castello. A me mi pareva bene il suo consiglio, ma ancora forse più pericoloso , perchè alle strade si asa- sinava crudelmente. Così lasai la mia casetta, senza aver tenpo a salvare niente, che de' disegni n'aveva tanti, per avere ritrate tute l'anticaglie di Roma, eh' erono asai. Tuti lasai, e quel puto quasi finito, e letto e ogni altra cosa; solo dua camice e mie panni lani, la cappa e la spada e pugnale, e così ce n'andiamo inverso Castello, dove era gran fracasso nel passare le conpagnie del capitano Lucantonio da Terni, che torna- vano di Prati a scharamuciare co' l' avanguardia de'' Lanzi che venivano, -e navie presi tre o quattro prigioni, e ne dicevano male, con dire che l'era una gran canaglia. Così pasando il portone, viddi il mio maestro dentro alla porta del Castello, che tenea ilogo di bonbardiere d'un suo fratello, ditto maestro Guglielmo; e per esere andato a Fiorenza per certe sue facende, il mio maestro serviva in suo scambio; e vedutomi mi chiamò e mi disse si volea pigliare danari per bombardiere, che mi fa- rebbe dare 6 schudi il mese : mi consigliava lo facessi, dubitando per altra via non capitassi male. Io stavo sospeso: da una parte mi pareva il meglio, da l'altra serandosi, non mi pareva bene; e anco mi sapeva male lasare il mio conpagno, che per nisun modo ci voleva entrare, per- chè arebbe fatto dar danari a"ncora a lui. In utimo , pregai Idio mi facessi fare il meglio ; e mi parse ne l' animo giudicare fussi bene ubidire al mio 1 Verso questo passo nel codice è una postilla marginale poco intelligibile. Sembra che dica : « La venuta del vecerè di Napoli al Papa per far restare il compagno che non venisse inanzi, e non posette o non volse». DI BACCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO 561 maestro : così entrai , e subito mi fé' contare 60 giuli d' argento ; el mio conpagnio volse restar fuora, e intenderassi come li seguì a lui, e a me mi fu consegnato dua pezzi d'artiglieria, una mezza colobrina e un fal- cone dalla banda che guarda verso Belvedere. Il giorno di poi, che fu alli 7 di maggio, cleto (dettero) la bataglia alla muraglia la su a porta Torione e porta delle Fornace e porta Santo Spirito, dove alla guardia stava il capitano Lucantonio da Terni, el ca- pitano Tofano da Pistoia, el capitano Cuio, fiorentino, che tuti, dal capi- tano Lucantonio, furono morti; e sforzato la muraglia, entrorono sache- giando San Pietro, el palazzo e Borgo insino a 21 ora. El papa a fatica ebbe tenpo entrare in Chastello con alquanti camerieri, anco che drieto avessi gran numero di gente, su pel muro doppio. Levato che fu il ponte, quelli che erano inanzi spinti da quelli dirieto, cascavano nel foso, e pochi ne canpava la tìaorte per la grande alteza: c'erano certi travi ritti, qual- chuno abraciandoli si lasava sdruciolare, e così la canpava, benché dava a ogni modo nelle mano de' unnici, perchè a Chastello si chalò la cadi- toia, e così non si pose va pasare: è vero che la non arivò a terra a dua palmi, pure con dificultà e per la furia pochi ne pasava. Sta va vaino a vedere questa cosa come stare a vedere una festa, perchè non posevamo tirare che non amazasimo de' nostri asai magior numero che de'nimici. S' era ridotto fra la chiesa della Traspontina e T portone di Castello più di 4, p 5 mila persone, tute sotto sopra, e no' li caciava cinquanta Lanzi, per quello, che si vedeva; e dua alfieri de' Lanzi pasorno il' portone alla mescolata co' le bande rialzate, che furono poi morti a piè del ponte. La sera alle 21 ora andoro a dare l' asalto alle mura di Trasteveri a porta San Brancatio e porta Setignana, che medesimamente de Castello si vedeva; ma per esere lontana, poco li posevamo nocere: ancor che ci tirasimo più volte, non faceva profitto. Alfine e' superorno i nostri e en- trorono, dove schorsono e sachegiorono tuta Roma, e durò il sacho più di 15 e forse 20 giorni. Noi che stavamo in Castello, stavamo bene, salvo che mancandoci le cose necessarie al vitto, per questa via pensavamo non XDOsere schanpare dalle lor mani, masimamente che loro, il primo giorno che loro ebono preso Roma, cominciorono a fare le trinciere intorno al Castello, cominciando* dalla parte del fiume di sopra una fossa e segui- tandola insino alla parte di sotto, cioè alla chiavica della Traspontina; e così in forse dieci giorni ebono circhundato tuto il Castello, che per- sona niuna non poseva entrare nè uscire, che non venisse loro in mano, salvo che per la banda del fiume, dove bisogniava esere buono notatore. Così stemo tutto il mese di giugnio, e aspetando la Lega che dovessi so- correre il papa. Quando si vidde la speranza era vana, si cercò fare acordo: e in questo potrei dire di molte cose, come più volte vinne per Vasari Opere — Voi. IV. 562 COMMENTARIO ALLA VITA ecc. tratare acordo in Castello un signor domandato il Catinaro; dove una volta venendo per tratare l' acordo, da uno del Castello li fu tirata una archibusata e ferito 'n un braccio. Così stette la cosa molti giorni inanzi si ratachassi la pratica: pure alla fine fu conclusa, salvo l'avere e le persone , el papa pagassi una certa somma di danari fra Sua Santità e li mercanti e signori che erono nel Castello.1 Quando fumo queste cose, poteva avere 23 anni, poco più o manco 2 1 II Celimi nella propria Vita racconta questo fatto con circostanze in parte diverse. 2 Qui termina la pagina, e, per isventura, manca il rimanente del codice. 563 LORENZO DI CREDI PITTORE FIORENTINO (Nato nel 1459; morto nel 1537) Mentre che maestro Credi,1 orefice ne' suoi tempi ec- cellente, lavorava in Fiorenza con molto buon credito e nome, Andrea Sciarpelloni acconciò con esso lui, acciò imparasse quel mestiero, Lorenzo suo figliuolo, giova- netto di bellissimo ingegno e d' ottimi costumi. E perchè quanto il maestro era valente ed insegnava volentieri, tanto il discepolo apprendeva con studio e prestezza qua- lunche cosa se gli mostrava, non passò molto tempo che Lorenzo divenne non solamente diligente e buon dise- gnatore, ma orefice tanto pulito e valente, che niuno giovane gli fu pari in quel tempo ; e ciò con tanta lode di Credi, che Lorenzo da indi in poi fu sempre chiamato, non Lorenzo Sciarpelloni, ma di Credi da ognuno.2 Cre- 1 « Sforzasi la natura donare ad alcuni il medesimo amore nelle loro azzioni , ch'ella suole usar nelle piante et nelle . altre sue creature, che con infinita dili- genzia diligentemente conduce al desiderato fine. Et chi mira le stravaganzie del- l'erbe, l'artificio, et la diligenzia con che la natura di continovo le mantiene; et con che arte et amorevolezza le conduce al fiorire e al far frutto, non stupirà nel vedere le opere di Lorenzo di Credi pittore, finite da lui. con infinitissima pazienza. Era costui persona certo diligentissima , et pulitissima neh" opre eh' e' fece , quanto nessuno altro che in Fiorenza sia stato per lo adietro ». Così principia la Vita di questo Lorenzo nella prima edizione. 2 *Per le memorie che si conoscono, oggi si può dire interamente falso questo racconto intorno alla famiglia di Lorenzo. Imperciocché nel testamento di Andrea del Verrocchio, fatto nel 1488 (Gaye, I, 367), egli è detto Laurentius quondam Andree de Oderich, ed in quello dello stesso Lorenzo, fatto nel 1531 (Gaye, 1,372), 56 i LORENZO DI CREDI scinto dunque l'animo a Lorenzo, si pose con Andrea del Verrocchio, che allora per un suo così fatto umore si era dato al dipignere; e sotto lui, avendo per com- pagni e per amici, sebbene erano concorrenti, Pietro Perugino e Lionardo da Vinci, attese con ogni diligenza alla pittura. E perchè a Lorenzo piaceva fuor di modo la maniera di Lionardo, la seppe così bene imitare, che niuno fu che nella pulitezza e nel finir l'opere con di- ligenza T imitasse più di lui; come si può vedere in molti disegni, fatti e di stile e di penna o d'acquerello, che sono nel nostro Libro : fra i quali sono alcuni ritratti da modegli di terra,1 acconci sopra con panno lino incerato e con terra liquida; con tanta diligenza imitati e con tanta pacienza finiti, che non si può a pena credere, non che fare.2 Per queste cagioni, adunque, fu tanto Lo- renzo dal suo maestro amato, che quando Andrea andò a Yinezia a gettare di bronzo il cavallo e la statua di Bartolomeo da Bergamo, egli lasciò a Lorenzo tutto il maneggio ed amministrazione delle sue entrate e de1 ne- gozj, e parimente tutti i disegni, rilievi, statue, e mas- serizie dell'arte: ed all'incontro, amò tanto Lorenzo esso ai chiama Laurentixis olim Andree Credi. Anche nel vecchio Libro de1 Pittori fiorentini è nominato Lorenzo di Andrea* di Credi. Finalmente, fra1 libri dello Spedale di Santa Maria Nuova, del quale egli fu commesso (oblato), chiamasi Lorenzo di Andrea di Oderigo di Credi dipintore, e Lorenzo di Andrea di Credi dipintore. Nel voi. IV dell'Archivio Storico Ltaliano sono pubblicati alcuni Ricordi d'interessi familiari di un Oderigo di Andrea di Credi, orafo del sec. xv. Da questo Oderigo nacque un Andrea, il quale fu padre del nostro Lorenzo. t Pare che Lorenzo fosse di cognome Barducci. Nel libro di Possessioni e Commessi dello Spedale di Santa Maria Nuova dal 1485 al 1488, si legge sotto Tanno 1486 a c. 525 tergo: «Lorenzo dAndrea d' Oderigo Barducci dipintore in bottega d'Andrea del Verrocchio tolse da noi a pigione per anni tre chominciando a dì 15 daghosto 1486 ». 1 *In tutte le edizioni leggesi medaglie; parola che qui non ha senso: facile era il correggere questo errore, come abbiamo fatto noi, in modegli. 2 *La Galleria di Firenze, erede di una gran parte dei disegni raccolti dal Vasari, ne possiede molti della mano di Lorenzo, nei quali si riscontrano pun- tualmente non tanto i diversi modi, quanto le qualità ed i pregi qui indicati; e di lui son pure altri disegni bellissimi che vanno col nome di altri. LORENZO DI CREDI 565 Andrea suo maestro, che, oltre all'adoperarsi in Firenze con incredibile amore in tutte le cose di lui, andò anco più d'una volta a Yinezia a vederlo, e rendergli conto della sua buona amministrazione: e ciò con tanta sodi- sfazione d'Andrea, che se Lorenzo l'avesse acconsentito, egli se l'arebbe instituito erede. Ne di questo buono animo fu punto ingrato Lorenzo, poiché egli, morto An- drea, andò a Yinezia e condusse il corpo di lui a Fi- renze, ed agli eredi poi consegnò ciò che si trovava in mano d'Andrea, eccetto i disegni, pitture, sculture, ed altre cose dell'arte.1 Le prime pitture di Lorenzo furono un tondo d' una Nostra Donna, che fu mandato al re di Spagna, il di- segno della qual pittura ritrasse da una d'Andrea suo 1 *Nel citato testamento di Andrea del Verrocchio , Lorenzo è fatto suo ese- cutore testamentario ed erede di parte de' suoi beni. Gli è pur anche affidato di condurre a termine l'opera del cavallo di bronzo, dicendosi quia est suffitiens ad id jperficiendum. t Della statua equestre del Colleoni commessa al Verrocchio dalla Signoria di Venezia, e di quel che accadde di quell'opera dopo la morte del detto artefice, sono stati dati alcuni particolari, annotandone la Vita. Era essa già stampata, quando accadde di trovare uno strumento importantissimo fatto in Firenze il 7 d'ottobre 1488, nel quale Lorenzo di Credi narra che Andrea del Verrocchio aveva avuto a fare dalla Signoria di Venezia il cavallo e la figura di bronzo di Bartolommeo da Bergamo per il prezzo di 1800 ducati veneziani; e che essendosi morto il detto Andrea, quando aveva fatto solamente di terra la figura e il ca- vallo suddetto e quando della predetta somma gli erano stati pagati trecento ottanta ducati; esso Lorenzo aveva preso a condurre a perfezione l'opera pre- detta per il prezzo de' 1420 ducati che restavano. Perciò il detto Lorenzo nel giorno mese ed anno sopra nominati alloga a fare e condurre a fine la detta figura e cavallo di bronzo a Giovanni d'Andrea di Domenico scultore fiorentino per la detta somma , promettendo di fare in modo che la Signoria di Venezia se ne contenterebbe. L'opera, com'è noto, fu data poi a fare ad Alessandro Leo- pardo, il quale nella cinghia sotto la pancia del cavallo pose la scritta A leooander Leopardus venetus f. La quale ultima lettera fu per alcuni spiegata fecit, per altri fudit. Dal tenore del riferito strumento parrebbe che questa seconda spie- gazione fosse la più vera, se è ora provato che il Verrocchio , morendo , lasciò la figura e il cavallo fatti di terra: onde al Leopardo non restò da fare che gettarli di bronzo. Il nominato Giovanni scultore ,era fino ad ora ignoto, ma se a lui bastava l'animo di condurre a fine l'opera cominciata dal Verrocchio, bisogna credere che fosse riputato un valentuomo. Di costui non sappiamo altro se non che nacque nel 1455, ed ebbe due fratelli minori, Bartolommeo e Domenico, che fecero la medesima arte. 566 LORENZO Di CREDI maestro; ed un quadro molto meglio che l'altro, che fu similmente da Lorenzo ritratto da uno di Lionardo da Vinci, e mandato anch' esso in Ispagna, ma tanto simile a quello di Lionardo, che non si conosceva l'uno dal- l' altro. È di mano di Lorenzo una Nostra Donna in una tavola, molto ben condotta, la quale è a canto alla chiesa grande di San Iacopo di Pistoia;1 e parimente una che n'è nello spedale del Ceppo,2 che è delle mi- gliori pitture che siano in quella citta. Fece Lorenzo molti ritratti; e quando era giovane fece quello di se stesso, che è oggi appresso Gianiacopo ' suo discepolo, pittore in Fiorenza3 con molte altre cose lasciategli da Lorenzo ; fra le quali sono il ritratto di Pietro Perugino, e quello d'Andrea del Verrocchio suo maestro.4 Ritrasse anco Girolamo Benivieni, uomo dottissimo e suo molto 1 L'oratorio o cappella, ove anc'oggi trovasi questa tavola, era anticamente separata dalla chiesa di San Jacopo , ma essendosi poi atterrata la parete che formava la divisione, è adesso incorporata nella detta Cattedrale. (Tolomei, Guida di Pistoja). < — * Rappresenta Maria Vergine seduta in trono col Bambino; ed ai lati ha san Giovanni Battista ed un altro santo vescovo. t Questa tavola fu commessa a Lorenzo dallo Spedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Lavoravala nel 1510. Nel Libro verde del detto Spedale segnato C dal 1508 al 1513 a c. 357 sotto V anno 1510 è scritto : « Lorenzo di Credi dipintore « die dare a dì x di dicembre 1510 fiorini dieci, portò Giovannantonio (Sogliani) « suo garzone, contanti, insino a dì xm di novembre per conto della tavola del- « l'altare ci fa per lo Spedale del Ceppo di Pistoja». 2 Presentemente sta nella chiesa di Santa Maria delle Grazie o del Letto. {Tolomei, op. cit. ). 3 "Nel vecchio Libro de' Pittori fiorentini è nominato, sotto Tanno 1525, in questo modo: « G-iaiachopo da chastrocharo , dipintore». — t Fu di cognome Mattoncini, e morì nel 1581. 4 *È nella Galleria di Firenze, fra i quadri della scuola tedesca e fiamminga, un ritratto in asse, bellissimo, d'uomo su i cinquantanni, di faccia piena, e di aria fra il lieto e il burbero. Ha i capelli lunghi e neri, e nero il berrettino. È vestito di cappa scura, posando l'un braccio sopra ad una tavola che ha di- nanzi, e sovrapponendo la sinistra mano alla destra, colla quale stringe un fo- glio accartocciato. Negl'inventari della Galleria dal 1704 in poi fino al 1769, è detto essere il ritratto di Martino Lutero dipinto da Giovanni Holbein. Ma nel 1784 , conservato il nome del pittore , fu tolto come arbitrario quello del celebre eresiarca ; e anche oggi è segnato nei cataloghi e nelle Guide, come d'incognito. Ora esa- minando attentamente il nostro ritratto, ci apparve in prima lavoro affatto ita- liano; poi per via di ricordi e di confronti giungemmo anche a persuadercelo LORENZO DI CREDI .567 amico.1 Lavorò nella Compagnia di San Bastiano, dietro alla chiesa de1 Servi in Fiorenza, in una tavola la Nostra Donna, San Bastiano, ed altri Santi;2 e fece all'altare di San Giuseppo in Santa Maria del Fiore esso Santo. 3 Mandò a Montepulciano una tavola che e nella chiesa di Santo Agostino , dentro vi un Crucifisso , la Nostra Donna, e San Giovanni, fatti con molta diligenza." Ma la migliore opera che Lorenzo facesse mai, e quella in cui pose maggiore studio e diligenza per vincere se stesso, fu quella che e in Cestello a una cappella; dove in una tavola e la Nostra Donna, San Giuliano, e San Niccolò: e chi vuol conoscere che il lavorare pulito a olio è necessario a volere. che l'opere si conservino, veg- gia questa tavola lavorata con tanta pulitezza, che non si può più.5 Dipinse Lorenzo, essendo ancor giovane, in un pilastro d' Orsanmichele un San Bartolomeo:6 ed alle , ■ , • per opera di Lorenzo- di Credi, più che di qualunque altro maestro: finalmente nel Vasari medesimo trovammo il riscontro che finì di convincerci: perchè il ri- tratto del Verrocchio posto nel libro delle Vite Vasariane non è che la copia, ;sia quanto vuoisi infedele, del ritratto in questione. 1 *Un ritratto di Girolamo Benivieni, già vecchio (morì di 89 anni), vedemmo, •con altre cose d'arte, in casa del signor Giuseppe Volpini di Firenze; stimato, ■con molta ragione, di mano di Lorenzo. ! i Sono in Firenze due ritratti di Pier Soderini, l'uno più noto nella gal- leria Panciatichi, l'altro scoperto recentemente in casa Bartolommei, che si eli- cono di Lionardo da Vinci. A noi pare invece di vedervi . la mano di Lorenzo dì Credi, e che quello de' Bartolommei , sebbene assai guasto da un cattivo restauro, abbia maggiori caratteri di originalità. 2 t Questa tavola si crede che oggi sia posseduta dal signor Barkes di Londra. (Crowe e Cavalcaseli^ , op. cit. , voi. Ili, pag. 414). 3 * Esiste tuttavia. 4 Queste opere sono perdute. s Questa bellissima tavola fu spedita nel 1812 a Parigi, ed è oggi nel Museo del Louvre. — t Ne' cataloghi francesi è detto erroneamente che provenga dalla chiesa degli Angeli di Firenze. La cappella di Cestello che è la quarta dal lato del Boschetto, fu fatta fare da Filippo di Francesco Mascalzoni nel 1489, e dedi- cata a San Giuliano. Il detto Filippo la donò poi con strumento rogato da ser Gio. della Parte il 12 aprile 1503 a Giovanni di Bernardo Jacopi, il quale ne diede a dipingere la tavola a Lorenzo di Credi. 6 * La figura di questo santo è dipinta in tavola incassata in uno dei pilastri, presso F altare a destra di chi entra. 568 • LORENZO DI CREDI monache eli Santa Chiara in Fiorenza una tavola della Natività di Cristo, con alcuni pastori ed angeli; ed in questa, oltre l'altre cose , mise gran diligenza in contra- fare alcune erbe tanto bene, che paiono naturali.1 Nel medesimo luogo fece in un quadro una Santa Madalena in penitenza;2 ed in un altro, appresso la casa di mes- sere Ottaviano de1 Medici, fece un tondo d'una Nostra Donna.3 In San Friano fece una tavola; ed in San Matteo dello spedale di Lelmo lavorò alcune figure:4 in Santa Reparata dipinse l'Angelo Michele in un quadro ; 5 e nella Compagnia dello Scalzo, una tavola fatta con molta di- ligenza.6 Ed oltre a queste opere, fece molti quadri di 1 *Se ne vede un intaglio, molto fedele, nell'opera: Galleria dell'Accade- mia delle Belle Arti di Firenze, dove presentemente si conserva, insieme con un'altra sua tavola, proveniente dalla chiesa della SS. Annunziata, alquanto più piccola, colla Madonna, san Giuseppe e due angioli, i quali adorano il Bambino Gesù nel Presepio. Di questa pure si ha un intaglio nell' opera citata. 0 2 *Sino dal 1814 uscì d'Italia, ed ora è nella Galleria di Berlino, dove notasi pur dello stesso autore un'Adorazione de' Magi. 3 Due tondi, colla Madonna inginocchiata in atto di adorare il Divin Figlio giacente sul terreno, si veggono nel corridore a levante della Galleria pubblica. 4 * Quella di San Frediano rappresentava Maria Vergine con Gesù Bambino e alcuni santi. Fu fatta per la cappella Martelli, fondata nel 1525 da Ugolino ve- scovo Lupiense. In San Matteo poi era un' altra tavola collo Sposalizio di santa Ca- terina martire. (Richa, tomo IX; pag. 178, e tomo VII, pag. 89). Queste due opere sono smarrite. 5 *Dipinselo intorno al 1523; e si trova che ai 23 di maggio dello stesso anno Giovanni di Benedetto Cianfanini, scolare di Lorenzo, ebbe 56 lire per il forni- mento di questo quadro, il quale non è smarrito, com'è stato creduto, ma si trova ben conservato nella sagrestia de' canonici del Duomo. Tra le altre cose che Lo- renzo fece per questa chiesa, si ha memoria che nel 1508 colorì il Crocifisso di legno, scolpito da Benedetto da Majano; e nel 1524 rassettò i cavalli dell'Acuto e di Niccolò da Tolentino, due sepolcri (di Fra Luigi Marsili e del cardinale Pietro Corsini) e sei apostoli. (Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore. Stanzia- menti degli Operaj, ad annos). 6 Rappresenta il Battesimo di Gesù Cristo. Nel 1786 fu questa tavola portata nella chiesa di San Domenico' di Fiesole, e posta sull'altare della cappella Gua- dagni, in luogo dell'altra tavola di Pietro Perugino, che nell'anno medesimo fu collocata nella Tribuna della Galleria di Firenze. — * Nella composizione ricorda assai il Battesimo di* Cristo di Andrea del Verrocchio , salvo che in quello di Lorenzo gli angeli sono tre. Lo studio delle due figure principali, fatte diligen- temente all'acquerello verde sopra pergamena, è fra i disegni della Galleria de- gli Ùffizj. LORENZO DI CREDI 569 Madonne,- ed altre pitture, che sono per Fiorenza nelle case de' cittadini.1 Avendo, dunque, Lorenzo mediante queste fatiche messo insieme alcune somme di danari, come quello che più tosto che arrichire disiderava quiete, si commise in Santa Maria Nuova di Fiorenza, là dove visse ed ebbe commoda abitazione insino alla morte.2 Fu Lorenzo molto parziale della setta di fra Girolamo da Ferrara, e visse sempre come uomo onesto e di buona vita, usando amo- revolmente cortesia dovunque se gliene porgeva occa- sione. Finalmente pervenuto al 78 anno della sua vita, si morì di vecchiezza, e fu sepellito in San Piero Mag- giore, l'anno 1530.3 Fu costui tanto finito e pulito ne1 suoi lavori, che ogni altra pittura, a comparazione delle sue, parrà sempre abbozzata e mal netta.4 - 1 * Sebbene molte tavole del Credi siano passate in Gallerie straniere, tuttavia ne restano parecchie in Firenze, così in privato come in pubblico. La Galleria degli Uffizj, oltre i due tondi già notati, possiede ancora cinque tavolette, due delle quali rappresentano l'Annunziazione , e le altre tre la Samaritana, il Noli me tangere, e la Madonna e san Giovanni. Una tavoletta con Nostra Donna e il Putto era nella raccolta più volte citata de' Lombardi e Baldi, ed un'altra della medesima grandezza nella casa de'Tolomei in Via de'Ginori, oggi stata venduta. » In Sièna era presso gli eredi del prof. Nenci una Madonna che allatta il suo di~ vin Figliuolo, della quale il prof. Emilio Santarelli aveva una ripetizione dipinta in tela. . ' 2 * Lorenzo vi si commise nel 1° di aprile del. 1531 , col patto di avere 36 fio- rini d'oro l'anno, fin che vivesse; e dopo la morte sua, e vivendo madonna Ca- terina di Antonio da Mugello sua serva, dovessero esser pagati a lei durante la vita sua. (Archivio di Santa Maria Nuova, Libro de' Debitori e Creditori, se- gnato D, dal 1525 al 1541; a c. 209). E nel 3 del mese ed anno predetti fece testamento ,alla presenza del Cianfanini, da noi sopra nominato, di Stefano di Tommaso miniatore , e del figliuolo di lui Tommaso pittore e architetto , ricordato più sotto dal Vasari: (Gaye, I, 372). 3 *Nel citato libro di Santa Maria Nuova, a c. 386 si legge: « Morì el sopra- « detto Lorenzo addì xii di giennaio 1536 (stile comune 1537), come disse Vet- « torio de Rosso tintore. Iddio gli abbi perdonato a l'anima sua». 4 « Laonde meritamente gli fu fatto questo epigramma: Aspicis ut niteant inducto pietà colore Et completa vnanu protinus artificis. Quicquid inest operi insigni candoris et artis , Laurentii excellens contulit ingeniwm ». Così la prima edizione. 570 LORENZO DI CREDI Lasciò molti discepoli, e fra gli altri Giovanni An- tonio Sogliani e Tommaso di Stefano.1 Ma perchè del fogliano si parlerà in altro luogo, dirò quanto a Tom- maso ch' egli imitò molto nella pulitezza il suo maestro, e fece in Fiorenza e fuori molte opere; nella villa d'Ar- cetri a Marco del Nero una tavola d'una Natività di Cristo , condotta molto pulitamente.2 Ma la principal pro- fessione di Tommaso fu col tempo di dipignere drappe- rie, onde lavorò i drappelloni meglio che alcun altro. E perchè Stefano padre di Tommaso era stato minia- tore, ed anco aveva fatto qualche cosa d'architettura, Tommaso per imitarlo condusse, dopo la morte di esso suo padre., il ponte a Sieve, lontano a Fiorenza x mi- glia, che allora era per una piena rovinato; e similmente quello di San Piero a Ponte in sul fiume di Bisenzio, che è una bell'opera. E dopo molte fabriche fatte per monasteri ed altri luoghi, ultimamente essendo archi- tettore dell'Arte' della Lana, fece il modello delle case nuove che fece fare quell'Arte dietro alla Nunziata; e finalmente si morì, essendo già vecchio di lxx anni o più, l'anno 1564, e fu sepolto in San Marco, dove fu onorevolmente accompagnato dall'Accademia del disegno. Ma tornando a Lorenzo, ei lasciò molte opere imper- fette alla sua morte, e particolarmente un quadro d'una Passione di Cristo, molto bello, che venne nelle mani d'Antonio da Bicasoli; ed una tavola di messer Fran- cesco da Castiglioni canonico di Santa Maria del Fiore, che la mandò a Castiglioni, molto bella.3 Non si curò 1 *Di Tommaso di Stefano il Vasari rammenta un'altra opera nella Vita di Andrea di Cosimo Feltrini, che si legge più sotto. — ì Fu di cognome Lunetti. 2 Questa villa appartiene oggi alla nobil famiglia Capponi dalle Rovinate; e la tavola di Tommaso di Stefano vi si conserva sempre all'altare della cappella, in ottimo stato. 3 t Nella Collegiata di Castiglion Fiorentino è nella cappella a destra del coro una Natività con Maria Vergine inginocchiata, a destra presso una capanna, il bambino Gesù giacente in terra e san Giuseppe parimente inginocchiato a sinistra. LORENZO DI CREDI » 571 Lorenzo di fare molte opere grandi, perchè penava assai a condurle, e vi durava fatica incredibile, e massima- mente perchè i colori ch'egli adoperava erano troppo sottilmente macinati; oltreché purgava gli olj di noce e stillavagli, e faceva in su le tavolelle le mestiche deco- lori in gran numero, tanto che dalla prima tinta chiara ali1 ultima oscura si conduceva a poco a poco con troppo e veramente soverchio ordine ; onde n1 aveva alcuna volta in su la tavoletta 25 e trenta, e per ciascuna teneva il suo pennèllo appartatole dove egli lavorava, non vo- leva che si facesse alcun movimento che potesse far pol- vere; la quale troppo estrema diligenza non è forse più lodevole punto, che si sia una strema negligenza, per- chè in tutte le cose si vuole avere un certo mezzo e stai- lontano dagli estremi, che sono comunemente viziosi. 573 O O CQ fe < ' d Q P Ph Q C N C i-3 o N o>t- 17 lO« r- V3 ti So < ss!3 3IVI -5 CO ri • © 60 gas I2 3S N Q 00 z2 575 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI LORENZO DI CREDI 1459. Nasce Lorenzo da Andrea di Oderigo d'Andrea di Credi, orafo. 1488, 25 giugno. Da Andrea del Verrocchio è eletto suo commissario ed esecutore testamentario: e a dar compimento, come sufficiente a ciò, al cavallo di bronzo della statua equestre del Colleone. 1488, 7 ottobre. Alloga a maestro Giovanni d'Andrea scultore fiorentino il compimento della statua equestre suddetta. 1491. È uno degli artefici chiamati a giudicare dei disegni e dei modelli presentati al concorso della facciata di Santa, Maria del Fiore. 1498. Consiglia, in compagnia d'altri maestri, sopra il riattamento della lanterna del Duomo di Firenze , guasta . dalla saetta. 1501. Riquadrata la tavola dell'Angelico in San Domenico di Fiesole, Lo- renzo vi aggiunse di sopra alcune pitture, e vi fece l'ornamento. 1504. Giudica del luogo da destinarsi al David di Michelangelo. 1505. In compagnia di Pietro Perugino e di Giovanni delle Corniole, stima la testa di musaico di San Zanobi fatta a concorrenza da David del Ghirlandajo e da Monte di Giovanni del Fora, miniatore e musaicista. 1508. Dipinge il Crocifisso di legno fatto da Benedetto da Majano per l'altare maggiore del Duomo. 1510. Dipinge una tavola per lo Spedale del Ceppo di Pistoja. 1514, di settembre. Stima in compagnia di Giovanni Cianfanini le pitture della cappella de' Signori in Palazzo Vecchio fatte da Ridolfo del Ghirlandajo. 1517, 4 giugno. È chiamato a stimare la figura d'un Apostolo scolpita per il Duomo da Baccio Bandirelli. 57G PROSPETTO CRONOLOGICO lcc. 1523. Dipinge per Santa Maria del Fiore il quadro dell'Angelo Michele. 1 v_M. Rassetta i cavalli dell'Acuto e di Niccolò da Tolentino, due sepolcri dipinti, e sei de' dodici Apostoli. 1531, 1 aprile. Si commette nello Spedale di Santa Maria Nuova. 1531, 3 aprile. Fa testamento. 1537, 12 gennajo (stile comune). Muore. 577 LORENZETTO e BOCCACCINO SCULTORE ED ARCHITETTO FIORENTINO - PITTORE CREMONESE (Nato nel 1490; morto nel 1541) (Nato nel 1460; morto nel 1518?) Quando la fortuna ha tenuto un pezzo a basso con la povertà la virtù di qualche beli' ingegno , alcuna volta suole ravvedersi, ed in un punto non aspettato procac- ciare a colui che dianzi gli era nimico in vari modi be- neficj, per ristorare in un anno i dispetti e l'incomodità di molti: il che si vide in Lorenzo di Lodovico campa- naio fiorentino,1 il quale si adoperò così nelle cose d'ar- chitettura come di scultura; e fu tanto amato da Raffaello da Urbino, che non solo fu da lui aiutato e adoperato in molte cose, ma ebbe dal medesimo per moglie una sorella di Giulio Romano, discepolo di esso Raffaello.' 1 *I1 padre di Lorenzetto fu Lodovico di Guglielmo Lotti, campanajo e mae- stro di getti, il quale si trova che nel 1504 fu a consigliare sopra la collocazione del David di Michelagnolo ; che nel 1516 ebbe a gettare dagli Operaj di Santa Maria del Fiore una campana di 5000 libbre, ed un'altra dello stesso peso nel 1518; e finalmente che nel 1519 doveva gettare i candelieri di bronzo per la medesima chiesa. Lorenzetto nacque nel 1490, come si ritrae dai registri de' bat- tezzati esistenti nell'Opera di Santa Maria del Fiore, dove all'anno 1490 e nel mese di giugno si legge: «Lorenzo e Giovanni di Lodovico di Guglielmo orafo, pop. di San Simone, nato adì 23, hore 7». 2 * Veramente non fu Raffaello che fece il partito fra Lorenzetto e la sorella di Giulio Romano; ma sibbene egli desiderava di trovarle recapito. Solamente due anni dopo la morte di Raffaello, e cosi, intorno al 1522, appare che Loren- Vasaiw, Opere. — Voi. IV. 37 578 LORENZETTO E BOCCACCINO Finì Lorenzetto (che così fu sempre chiamato) nella sua giovanezza la sepoltura del cardinale Forteguerri, posta in San Iacopo di Pistoia, e stata già cominciata da An- drea del Verrocchio; e fra l'altre cose, vi è di mano di Lorenzetto una Carità, che non è se non ragionevole:1 e%poco dopo fece a Giovanni Bartolini per il suo orto una figura, la quale finita, andò a Roma; dove lavorò ne1 primi anni molte cose, delle quali non accade fare altra memoria. Dopo essendogli allogata da Agostino G-higi, per ordine di Raffaello da Urbino, la sua sepol- tura in Santa Maria del Popolo, dove aveva fabricato una cappella, Lorenzo si mise a questa opera con tutto quello studio, diligenza e fatica che mai gli fu possibile, per uscirne con lode, per piacere a Raffaello, dal quale poteva molti favori ed aiuti sperare, e per esserne lar- gamente rimunerato dalla liberalità d'Agostino, uomo ricchissimo. Nè cotali fatiche furono se non benissimo spese, perchè aiutato dal giudizio di Raffaello condusse a perfezione quelle figure; cioè un Iona ignudo, uscito del ventre del pesce, per la ressurrezìone de1 morti, ed uno Elia che col vaso d'acqua e col pane subcinerizio vive di grazia sotto il ginepro.2 Queste statue, dunque, furono da Lorenzo a tutto suo potere con arte e dili- genza a somma bellezza finite; ma egli non ne conseguì già quel premio che il bisogno della sua famiglia e tante fatiche meritavano, perciocché avendo la morte chiusi gli occhi ad Agostino e quasi in un medesimo tempo a zetto fosse messo innanzi a Giulio, per, marito della sua sorella. Di' ciò abbiamo testimonianza da una lettera di Baldassarre Castiglione al cardinal Giulio dei Me- dici, in data del 7 di maggio del 1522. (Vedi Lettere Pittoriche). 1 *Vedi quanto da noi è stato detto in questo proposito nella Vita del Ver- rocchio, tom. Ili, pag. 369, nota 1. — 1 L'allogazione a Lorenzetto di questo lavoro è del 17 giugno 1514. 2 *In quanto alla statua del Giona, vedi quanto è detto nella nota 2 a pag. 360. Rispetto a quella dell'Elia, sebbene sia inferiore, vi si riconosce nondimeno T azione di Raffaello. L0RENZETT0 E BOCCACCINO 579 Raffaello, le dette figure per la poca pietà degli eredi d'Agostino se gli rimasono in bottega, elove stettono molti anni. Pure oggi sono state messe in opera nella detta chiesa di Santa Maria del Popolo, alla detta se- poltura. Lorenzo, dunque, caduto d'ogni speranza per le dette cagioni, si trovò per allora avere gettato il tempo e la fatica. Dovendosi poi essequire il testamento di Raffaello , gli fu fatta fare una statua di marmo di quattro braccia d'una Nostra Donna per lo sepolcro di esso Raffaello nel tempio di Santa Maria Ritonda, dove per ordine suo fu restaurato quel tabernacolo.1 Fece il medesimo Lorenzo per un mercante de' Perini, alla Tri- nità di Roma, una sepoltura con due fanciulli di mezzo rilievo: e d'architettura fece il disegno di molte case, e particolarmente quello del palazzo di messer Bernardino Caffarelli, e nella Valle la facciata di dentro; e così il disegno delle stalle ed il giardino di sopra, per Andrea cardinale della Valle; dove accomodò nel partimento di quell'opera colonne, base e capitegli antichi; e spartì attorno, per basamento di tutta quell'opera, pili antichi pieni di storie; e più alto fece sotto certe nicchione un altro fregio di rottami di cose antiche, e di sopra nelle dette nicchie pose alcune statue pur antiche e di marmo, le quali sebbene non èrano intere per essere quale senza testa, quale senza braccia, ed alcuna senza gambe, ed insomma ciascuna con qualche cosa meno, l'accomodò nondimeno benissimo, avendo fatto rifare a buoni scul- tori tutto quello che mancava : la quale cosa fu cagione che altri signori hanno poi fatto il medesimo, e restau- rato molte cose antiche; come il cardinale Cesis, Fer- rara, Farnese, e, per dirlo in una parola, tutta Roma. E nel vero, hanno molto più grazia queste anticaglie in 1 La detta statua è chiamata dal popolo la Madonna del Sasso, perchè ap- punto sopra un sasso tiene appoggiato il piede sinistro. 580 LORENZETTO E BOCCACCINO questa maniera restaurate, che non hanno que' tronchi imperfetti, e le membra senza capo, o in altro modo di- fettose e manche. Ma tornando al giardino detto, fu posto sopra le nicchie la fregiatura che vi si vede di storie antiche di mezzo rilievo bellissime e rarissime; la quale invenzione di Lorenzo gli giovò infinitamente, perchè passati gl'infortuni di papa Clemente, egli fu adoperato con suo molto onore ed utile. Perciocché avendo il papa veduto, quando si combattè Castello Santo Agnolo, che due cappellette di marmo che erano ali1 entrare del ponte avevano fatto danno; perchè standovi dentro al- cuni soldati archibugieri, amazzavano chimiche s'affac- ciava alle mura, e con troppo danno, stando essi al si- curo, levavano le difese, si risolvè Sua Santità levare le dette cappelle, e ne' luoghi loro mettere sopra due basamenti due statue di marmo : e così fatto metter su il San Paulo di Paulo Romano, del quale si è in altro luogo ragionato,1 fu data a fare l'altra, cioè un San Piero, a Lorenzetto, il quale si portò assai bene, ma non passò già quella di Paulo Romano : le quali due statue furono poste, e si veggiono oggi all'entrata del ponte. Venuto poi a morte papa Clemente, furono allogate a Baccio Bandinelli le sepolture di esso Clemente e quella di Leone decimo, ed a Lorenzo data la cura del lavoro di quadro che vi si aveva a fare di marmo; onde egli si andò in questa opera qualche tempo trattenendo. Fi- nalmente quando fu creato pontefice papa Paulo, essendo Lorenzo molto male condotto ed assai consumato, e non avendo altro che una casa, la quale egli stesso si aveva al Macello de'Corbi fabricato, ed aggravato di cinque figliuoli ed altre spese, si voltò la fortuna a in- grandirlo e ristorarlo per altra via. Perciocché volendo papa Paulo che si seguitasse la fabrica di San Piero, 1 Nella Vita di Paolo Romano, tomo II, pag\ 049. L0RENZETT0 E BOCCACCINO 581 e non essendo più vivo ne Baldassarri Sanese ne altri di coloro che vi avevano atteso; Antonio da San Gallo mise Lorenzo in quell'opera per architetto, dove si fa- cevano le mura in cottimo a tanto la canna. Laonde in pochi anni fu più conosciuto e ristorato Lorenzo senza affaticarsi, che non era stato in molti con mille fatiche, avendo in quel punto avuto propizio Dio, gli uomini e la fortuna; e se egli fusse più lungamente vivuto, ave- rebbe anco molto meglio ristorato que' danni che la vio- lenza della sorte, quando bene operava, indegnamente gli avea fatto. Ma condottosi all'età d'anni quaranta- sette, si morì di febre l'anno 1541. Dolse infinitamente la morte di costui a molti amici suoi, che lo conobbero sempre amorevole e discreto. E perchè egli visse sempre da uomo da bene e costumatamente, i deputati di San Piero gli diedero in un deposito onorato sepolcro, e po- sero in quello lo infrascritto epitaffio: SCVLPTORI LAVRENTIO FIORENTINO. ROMA MIHI TRIBVIT TVMVLVM } FLORENTIA VITAM ; NEMO ALIO VELLET NASCI ET OBIRE LOCO. M. DXLI. VIX. ANN. XLVII. 1 MEN. II. D. XV. Avendosi Beccaccino Cremonese,2 il quale fu quasi ne' medesimi tempi, nella sua patria e per tutta Lom- bardia acquistato fama di raro e d'eccellente pittore, erano sommamente lodate l'opere sue, quando egli an- dato a Roma per vedere l'opere di Michelagnolo tanto celebrate, non. l'ebbe sì tosto vedute, che quanto potè il più cercò d'avilirle ed abbassarle, parendogli quasi tanto inalzare se stesso, quanto biasimava un uomo ve- ramente nelle cose del disegno, anzi in tutte general- 1 Questo computo è errato. Vedi la nota 1, pag. 577. 2 La Vita del Boccaccino nella prima edizione è separata dall'altra di Loren- zetto. Le riunì il Vasari nella seconda, per lo stesso motivo da noi spiegato a pag. 489, nota 2. 582 LORENZETTO E BOCCACCINO mente, eccellentissimo. A costui dunque essendo allogata la cappella eli Santa Maria Traspontina, poi che l'ebbe finita di dipignere e scoperta, chiarì tutti coloro, i quali, pensando che dovesse passare il cielo, non lo videro pur aggiugnere al palco degli ultimi solari delle case: per- ciocché veggendo i pittori di Roma la Incoronazione di Nostra Donna, che egli aveva fatto in quell'opera, con alcuni fanciulli volanti , cambiarono la maraviglia in riso.1 E da questo si può conoscere che,2 quando i popoli co- minciano ad inalzare col grido alcuni più eccellenti nel nome che nei fatti, è difficile cosa potere, ancora che a ragione, abbattergli con le parole, insino a che l'opere stesse contrarie in tutto a quella credenza non disco- prono quello che coloro tanto celebrati sono veramente : ed è questo certissimo , che il maggiore danno che agli altri uomini facciano gli uomini, sono le lodi che si danno troppo presto agli ingegni che si affaticano nell' operare ; perchè facendo cotali lodi coloro gonfiare acerbi, non gli lasciano andare più avanti, e coloro tanto lodati, quando non riescono l'opere di quella bontà che si aspettavano, 1 Si vorrebbe da alcuni negare il fatto, provando che Boccaccino non fu a Roma ecc.; ma il giudizioso Lanzi avverte, che « Tutta la confutazione si ap- poggia all'epoche segnate dal Vasari; dalle quali risulta, siccome dicono, una negativa coartata su la gita del Boccaccino in Roma in tempo da poter biasimare le pitture di Michelangiolo. È uso degli storici meno esatti raccontare la sostanza d'un fatto, rivestendola di circostanze o di tempo, o di luogo, o di modo, che non sussistono. La storia antica è piena di questi esempj ; e la critica anche più severa non discrede il fatto, ad onta di qualche circostanza alterata, quando altre assai forti lo persuadano. Nel caso nostro lo storico, grande amico di Mi- chelangelo , fa una narrazione che interessa V amico , e di cosa avvenuta in Roma non molto prima ch'egli scrivesse. È difficile a crederla una novelletta senza fior di vero. Veri non si possono creder certi accessori; e soprattutto disapprovo nel Vasari que' tratti di penna, con cui avvilisce uno dei migliori pittori che allora fossero in Lombardia». E (aggiungiamo noi) se Boccaccino fu un presuntuoso e un maldicente, doveva lo storico distinguere l'uomo dal pittore, e biasimar il procedere e lodare i lavori. Ci è caro il Vasari; ma più di esso la verità. t La pittura della Incoronazione nella Traspontina fu cancellata nel 1558. 2 II seguente periodo che comincia: « Quando i popoli ecc. » fino alle parole: « e questo scoprendo il vero insegna», forma l'esordio della Vita di Boccaccino, nella prima edizione. LORENZE'TTO E BOCCACCINO 583 accorandosi di quel biasimo, si disperano al tutto di po- tere mai più bene operare. Laonde coloro che savi sono, deono assai più temere le lodi che il biasimo , perchè quelle, adulando, ingannano; e questo, scoprendo il vero, insegna. Partendosi adunque Boccaccino di Roma per sentirsi da tutte le parti trafitto e lacero, se ne tornò a Cre- mona, e quivi, il meglio che seppe e potè, continuò d'essercitar la pittura;1 e dipinse nel duomo, sopra gli archi di mezzo, tutte le storie della Madonna: la quale opera è molto stimata in quella città.2 Fece anco altre opere e per la città e fuori, delle quali non accade far menzione.3 Insegnò costui l'arte ad un suo figliuolo chiamato Camillo, il quale, attendendo con più studio all'arte, s'in- gegnò di rimediare dove aveva mancato la vanagloria 1 « Boccaccio Boccaccino è fra1 Cremonesi ciò che sono il Grillandajo, iL Mantegna, il Vannucci, il Francia nelle scuole loro; il migliore moderno fra gli antichi, e il miglior antico fra' moderni ». (Lanzi). 2 * Dipinsero le altre storie che si vedono nella Cattedrale di Cremona, Al- iobello Melone, Bonifazio Bembo, Cristoforo Moretti, Girolamo Romanino e il Pordenone. Le pitture del Boccaccino furon fatte nello spazio eh' è dal 1514 al 1518. Nell'opera del Vidoni, La Pittura Cremonese, si ha l'intaglio dello Spo- salizio di Maria Vergine, ricopiato dal Rosini nella tav. lxxv della sua Storia. 3 *Le Guide di Cremona, fra le altre cose, citano in San* Francesco una ta- voletta colla Madonna e il Bambino Gesù che ha un uccelletto in mano. Questa tavoletta faceva parte di un maggior quadro, nel quale era scritto il nome del pittore e l'anno 1511; e nella chiesa dei Santi Quirico e Giulitta, un'altra tavola colla Vergine Maria seduta in trono e il Divino Infante in piedi, ed ai lati san Vin- cenzo martire e sant'Antonio da Padova, fatta nel 1518, come vi è scritto: boca- OINVS BOCACIVS F. A. M. DXVIII. t Nella Galleria dell'Accademia di Venezia è una sua tavola collo Sposa- lizio di santa Caterina, dove è scritto: Bochazinus. Nella stessa città è in San Giuliano al primo altare a sinistra una Maria Vergine in trono col Divin Fi- gliuolo. Sono ai lati i santi Pietro, Michele, Gio. Battista e Giovanni Evangelista: figure minori , del naturale. Nel gradino del trono sono in un cartellino le let- tere B. B. (Bocacinus Bocacius). Questa tavola era attribuita al Cordelliaghi. ( Crowe e Cavalcaseli^ , op. cit, II, pag. 445, nota 1). Il Grasselli (Abecedario biografico de' pittori, scultori e architetti Cremonesi, Milano, 1827) descrive nella Raccolta Beltrame di Cremona una tavola con Maria Vergine e il Putto in mezzo a san Girolamo e san Giovanni Evangelista, nella quale è scritto in un cartello: boccaccinus de boccacciis p. mdxv. 58 1 LORENZETTO E BOCCACCINO di Boccaccino.1 Di mano di questo Camillo sono alcune opere in San Gismondo, lontano da Cremona un miglio: le quali dai Cremonesi sono stimate la miglior pittura che abbiano.2 Fece ancora in piazza nella facciata d'una casa, ed in Santa Agata tutti' i partimenti delle volte/ ed alcune tavole, e la facciata di Santo Antonio, con altre cose che lo fecero conoscere per molto pratico: e se la morte non l'avesse anzi tempo levato del mondo/ averebbe fatto onoratissima riuscita, perchè caminava per buona via; ma quelle opere nondimeno che ci ha lasciate, meritano che di lui si faccia memoria. Ma tornando a Boccaccino, senza aver mai fatto alcun miglioramento nell'arte, passò di questa vita d'anni 58.* Ne' tempi di costui fu in Milano un miniatore assai va- lente, chiamato Girolamo, di mano del quale §i veggiono assai opere, e quivi ed in tutta Lombardia.6 1 « Cammillo Boccaccino, dice il Lanzi, è il più gran genio della scuola cre- monese. Egli arrivò a formarsi uno stile temperato di leggiadro e di forte in guisa, che non si sa quale delle due parti prevalga ». 2 Nella citata opera, La pittura Cremonese, vedesi la stampa dell'Apparizione di Cristo agli Evangelisti, dipinta nella cupola di San Sigismondo; a proposito della quale dice il Lanzi: «Pare appena credibile, che un giovane, senza- fre- quentar la scuola del Correggio, emulasse così bene il suo gusto, e lo portasse più avanti di lui in sì poco tempo ». — *La storia dell'Adultera fu finita da lui nel luglio del 1537^, come vi è scritto. 3 *I partimenti delle volte di Sant'Agata, che sono assai singolari , non pos- sono essere opera di Cammillo Boccaccino, avendo la data del 1510 ; e nemmeno di Boccaccino suo padre, perchè vi si legge Bernardìnus faciebat, cioè Bernar- dino Ricca, detto Rjccò. (Vedi Panni e Corsi, nelle loro Guide di Cremona). 4 Morì nel 1546, e visse, secondo il Lamo, trentacinque anni; ma il conte Vi- doni adduce buoni argomenti per crederlo nato intorno al principio del sec. xvi, 5 II precitato conte Vidoni e gli altri opinano che Boccaccino nascesse nel 146i\ e morisse nel 1518, fondandosi nell'asserzione del Vasti/ri che lo fa morto di 58- anni e nel non aversi altra memoria di lui dopo il 1518. 6 t È certo che dalle parole del Vasari non si può rilevare la patria di questo miniatore, e mal s'apporrebbe chi lo dicesse milanese. Noi vedendolo nominato nella fine delle notizie di Boccaccino cremonese congetturiamo invece che fosse suo concittadino. Di un Girolamo da Cremona miniatore noi abbiamo notizie che dal 1467 al 1475 fece ben sessantuna miniature in undici antifonari del Duomo di Siena, e che nel 1472 miniò l'Incoronazione di Nostra Donna in uno degli antifonari di Montoliveto Maggiore, oggi nella Cattedrale di Chiusi. D'un miniatore cremonese di questo nome non si' trova memoria negli scrittori patrj : pure non L0RENZETT0 E BOCCACC1NO 585 Fu similmente milanese e quasi ne' medesimi tempi Bernardino del Lupino, pittore dilicatissimo e molto vago,1 come si può vedere in molte opere che sono di sua mano in quella città, ed a Sarone, luogo lontano da quella dodici miglia , in uno Sposalizio di Nostra Donna, ed in altre storie che sono nella chiesa di Santa Maria, fatte in fresco perfettissimamente. Lavorò anco a olio molto pulitamente; e fu persona cortese ed amo- revole molto delle cose sue; onde se gli convengono me- ritamente tutte quelle lodi che si deono a qualunche artefice che con l' ornamento della cortesia fa non meno risplendere l'opere e i costumi della vita, che con l'es- sere eccellente quelle dell'arte.2 sarebbe forse inverosimile che costui fosse quel Girolamo di Giovanni Bembo pittore, vissuto sul finire del secolo xv, il quale ben potrebbe essere che nella sua gioventù avesse esercitato T arte del minio. In Firenze si sono credute di sua mano le miniature che ornano il manoscritto intitolato : Opera Chemica Rai- mundi Lulli che si conserva nella Biblioteca Nazionale , e certo arieggiano gran- demente la sua maniera. Ma se questo manoscritto è stato fatto in Firenze , dove non si ha nessuna memoria che dimorasse Girolamo da. Cremona, ci parrebbe più ragionevole di creder quelle miniature di mano fiorentina. Noi sappiamo che visse ed operò in Firenze un Felice di Michele miniatore morto nel 1518 di 76 anni, il quale nel 1473 fece una parte delle miniature d'un breviario o meglio saltero conservato nella sagrestia dello Spedale di Santa Maria Nuova. La sua maniera tanto si accosta per certe sue particolarità a quella di Girolamo da Cremona, che le miniature del detto libro dello Spedale sono state attribuite a quest'ultimo. 1 Errarono il Bottari e il Della Valle interpretando Lupino per Lanino. Il Vasari volle dire da Luino. E infatti lo Sposalizio della Madonna qui citato fu dipinto a Sarono, non dal Lanino vercellese scolaro di Gaudenzio Ferrari, ma bensì da Bernardino Luini, o Lovino, il più celebre pittore della scuola Leonar- desca. — Nella Presentazione al Tempio, altra storia dipinta a Sarono dal Luino, si legge in un pilastro Bernardinus Lovinus pinxit mdxxv. Questa composizione fu incisa nel 1815 da Antonio Giberti. 2 *I1 Vasari torna a parlare di questo pittore in fine della' Vita di Benvenuto Garofolo. 587 55 CO O . 6?«0---fi é -r1 fi _ O _( Ofl cu D O fi Q O g fi. o 3 &. S3 ss o « ° fi^S^5 O gfij 1—3 « c3 11 o g o <1 o Eh H W N « O 589 BALDASSAEEE PERUZZI PITTORE ED ARCHITETTO SANESE (Nato nel 1481; morto nel 1536) Fra tutti i doni che distribuisce il cielo ai mortali, nessuno giustamente si puote o dee tener maggiore della virtù e quiete e pace dell'animo; facendoci quella per sempre immortali, e questa beati. E però chi di queste è dotato, oltre Vobligo che ne dee avere grandissimo a Dio tra gli altri, quasi fra le tenebre un lume, si fa conóscere: nella maniera che ha fatto ne' tempi nostri Baldassarre Peruzzi, pittore ed architetto sanese, del quale sicuramente possiamo dire, che la modestia e la bontà che si videro in lui, russino rami non medwcn della somma tranquillità che sospirano sempre le menti di chi ci nasce, e che l'opere da lui lasciateci siano ono- ratissimi frutti dì quella vera virtù che fu inluinifusa ■ dal cielo. Ma sebbene ho detto di sopra Baldassarre sa- nese, perchè fu sempre per sanese conosciuto, non ta- cerò che sì come sette città combatterono fra loro Omero, volendo ciascuna che egli fusse suo cittadino; così tre nobilissime città di Toscana, cioè Fiorenza, Volterra e Siena, hanno tenuto ciascuna che Baldassarre sia suo. Ma a dirne il vero, ciascheduna ci ha parte; perciò che • essendo già travagliata Fiorenza dalle guerre civili, An- tonio Peruzzi, nobile cittadino fiorentino, se n'andò, per 590 BALDASSARRE PER ('ZZI vivere più quietamente, ad abitare a Volterra; là dove avendo qualche tempo dimorato, l'anno. 1482 prese mo- glie in quella città, ed in pochi anni ebbe due figliuoli, uno maschio chiamato Baldassarre, ed una femmina che ebbe nome Virginia.1 Ora avvenne, correndo dietro la guerra a costui, che nuli' altro cercava che pace e quiete, che Volterra indi a non molto fu saccheggiata: perchè fu sforzato Antonio fuggirsi a Siena, e lì, avendo per- duto quasi tutto quello che aveva, a starsi assai pove- ramente.' Intanto essendo Baldassarre cresciuto, prati- cava sempre con persone ingegnose, e particolarmente con orafi e disegnatori. Perchè cominciatogli a piacere quel!' arti, si diede del tutto al disegno ; e non molto dopo morto il padre, si diede alla pittura con tanto studio , che in brevissimo tempo fece in essa maraviglioso acquisto, imitando, oltre l'opere de' maestri migliori, le cose vive e naturali; e così facendo qualche cosa, potè con quell'arte aiutare se stesso, la madre e la sorella, e seguitare gli studj della pittura. Furono le sue prime opere (oltre alcune cose in Siena, non degne di memo- ria),3 una cappelletta in Volterra appresso alla porta Fiorentina, nella quale condusse alcune figure con tanta 1 * Giulio Mancini, che fu medico di papa Urbano Vili, nella sua operetta tuttavia manoscritta intitolata: Raggziaglio delle cose di Siena, fu il primo a combattere l'asserzione del Vasari, sostenendo che il Peruzzi fu senese, e nato in Ancajano, villaggio a dodici miglia dalla città. Seguitò poi il Della Valle; e con gli stessi argomenti del Mancini cercò di provare il medesimo. Noi diremo che il Vasari in parte ha ragione, in parte no. Fu Baldassarre di origine e di padre certamente volterrano, e non nacque nè in Volterra, nè in Ancajano, ma sibbene in Siena ai 7 di marzo del 1480 (1481 stile comune), come appare dai libri de' battezzati della detta città. Il padre suo non fu Antonio, ma Giovanni di Salvestro di Salvadore Peruzzi, tessitore da Volterra, il quale è impossibile inne- stare alla famiglia de' Peruzzi nobili fiorentini. 2 *I1 crudele sacco di Volterra accadde nel 1472; e la fuga a Siena del pa- dre di Baldassarre dovrebbe essere avvenuta poco dopo a quel tempo: ma noi abbiamo ragione di credere che ciò fosse qualche anno dipoi, perchè nel 1475 Giovanni Peruzzi si trova essere ancora a Volterra. 3 * Delle opere fatte in Siena da Baldassarre nella sua gioventù, il solo ri- cordo che abbiamo è del 1501, nel quale anno dipingeva nella cappella di San Giovanni in Duomo, come ajuto del Pinturicchio. BALDASSARRE PERUZZI 591 grazia, che elle furono cagione che fatto amicizia con un pittore volterrano chiamato Piero, il quale stava il più del tempo in Roma, egli se n'andasse la con esso lui, che lavorava per Alessandro YI alcune cose in pa- lazzo.1 Ma essendo morto Alessandro e non lavorando più maestro Piero in quel luogo, si mise Baldassarre in bottega del padre di Maturino , pittore non molto eccel- lente, che in quel tempo di lavori ordinarj aveva sempre molte cose da fare. Colui, dunque, messo innanzi a Bal- dassarre un quadro ingessato, gli disse, senza dargli altro cartone o disegno, che vi facesse dentro una Nostra Donna. Baldassarre, preso un carbone, in un tratto ebbe con molta pratica disegnato quello che voleva dipignere nel quadro; ed appresso dato di mano ai colori, fece in pochi giorni un quadro tanto bello e ben finito, che fece stupire non solo il maestro della bottega, ma molti pittori che lo videro; i quali, conosciuta la virtù sua, fu- rono cagione che gli fu dato a fare nella chiesa di Santo Onofrio la cappella dell'aitar maggiore, la quale egli condusse a fresco con molto bella maniera e con molta grazia.2 Dopo, nella chiesa di Santo Rocco a Ripa, fece due altre cappellette in fresco : 3 perchè cominciato a es- 1 Di questo artefice ecco quel che abbiamo trovato nell'Archivio dei Contratti di Siena: « 1506, 29 agosto. M° Pietro del fu Andrea da Volterra, pittore, e con- « tinuo abitatore di Roma , fa suo procuratore M° Giacomo di Bartolommeo Pac- « chiarotti pittore, a vendere una casa posta in Siena nel Terzo di Città e nella « Contrada di Caste lvècchio ». (Rogiti di ser Alessandro di ser Francesco da Lu- cignano ). Nel 1529 , 29 luglio , « M° Baldassarre Peruzzi fa suo procuratore Pietro « d'Andrea da Siena pittore, romanam curiam sequentem, a ricevere dal car- « dinaie di Tortosa, chiamato Hinkwoirt, nove scudi d'oro di sole , dovutigli dal « detto cardinale per residuo di sua mercede e prezzo della sepoltura di Adriano VI, « fatta in Roma, secondo il disegno dello stesso Baldassarre ». (Rogiti di ser Mar- cello della Grammatica, filza 10, n° 86). 2 *La Madonna con diverse storie, dalla cornice in giù è opera di Baldas- sarre, molto mutata dalla sua prima forma, volendola rinfrescare. E le pitture dalla cornice in su sono del Pinturicchio. Cosi il Titi nella Descrizione delle Pitture di Roma. — t Ma veramente il coro o cappella maggiore di Sant'Onofrio è tutta di mano del Peruzzi. Le storie dell'abside sono dipinte su fondo d'oro. 3 * Rimane quella col Presepio ; ma ha perduto molto per il ritocco del Ba- cicelo. Anche per la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme furono da lui dise- 592 BALDASSARRE FERUZZ1 sere in buon credito, fu condotto a Ostia, dove nel ma- schio della ròcca dipinse di chiaroscuro in alcune stanze storie bellissime, e particolarmente una battaglia da mano , in quella maniera che usavano di combattere an- ticamente i Eòmani; ed appresso, uno squadrone di sol- dati che danno V assalto a una ròcca , dove si veggiono i soldati con bellissima e pronta bravura, coperti con le targhe, appoggiare le scale alla muraglia, e quelli di dentro ributtargli con fierezza terribile. Fece anco in questa storia molti instrumenti da guerra antichi, e si- milmente diverse sorti d'armi; ed in una sala molte altre storie, tenute quasi delle migliori cose che facesse: bene è vero che fu aiutato in questa opera da Cesare da Milano.1 Ritornato Baldassarre dopo questi lavori in Soma, fece amicizia strettissima con Agostino Ghigi sanese, sì perchè Agostino naturalmente amava tutti i virtuosi, e sì perchè Baldassarre si faceva sanese: onde potè con l'aiuto di tanto uomo trattenersi e studiare le cose eli Roma, massimamente d'architettura; nelle quali per la concorrenza di Bramante fece in poco tempo maravi- glioso frutto: il che gli fu poi, come si dirà, di onore e d'utile grandissimo. Attese anco alla prospettiva, e si fece in quella scienzia tale, che in essa pochi pari a lui abbiam veduti a' tempi nostri operare: il che si vede manifestamente in tutte l'opere sue. Avendo intanto papa Giulio II fatto un corridore in palazzo, e vicino al tetto un'uccelìiera, vi dipinse Baldassarri tutti i mesi di gnati i musaici della volta, ordinati dal cardinale Bernardino Carvajal. Nel 1500 dovevano esser finiti, perchè li nomina TAlbertini: De mirabilibus novae et ve- teris urbis Romae; opuscolo altre volte citato. 1 Cesare da Sesto, milanese, fu tra gli scolari del Vinci uno di quelli che più ne imitò lo stile. In alcune opere si mostrò seguace anche di Raffaello, col quale fece conoscenza in Roma. — t Tra le cose operate dal Peruzzi oggi si riconosce per suo V ornamento della volta della camera dell'Eliodoro in Vaticano fatto innanzi che vi lavorasse Raffaello. BALDASSARRE PERUZZI 593 chiaroscuro e gli essercizj che si fanno per ciascun d' essi in tutto Tanno; nella quale opera si veggiono infiniti casamenti, teatri, anfiteatri, palazzi, ed altre fabbriche con bella invenzione in quel luogo accomodate.1 Lavorò poi nel palazzo di San Giorgio,2 per il cardinale Raffaello Eiario vescovo d'Ostia, in compagnia d' altri pittori , al- cune stanze; e fece una facciata dirimpetto a messer Ulisse da Fano, e similmente quella di esso messer Ulisse, nella quale le storie che egli vi fece d' Ulisse gli diedero nome e fama grandissima.3 Ma molto più gliene diede il modello del palazzo d'Agostino Ghigi,4 condotto con quella bella grazia che si vede, non murato, ma vera- mente nato;5 e l'adornò fuori di terretta, con istorie di sua mano molto belle. La saia similmente è fatta in partimenti di colonne figurate in prospettiva, le quah con istrafori mostrano quella essere maggiore. E, quello che è di stupenda maraviglia, vi si vede una loggia in sul giardino dipinta da Baldassarre con le storie di Me- dusa, quando ella converte gli uomini in sasso, che non può immaginarsi più bella: ed appresso, quando Perseo le taglia la testa; con molte altre storie ne' peducci di quella volta: e l'ornamento tirato in prospettiva di stuc- chi e colori contrafatti è tanto naturale e vivo, che anco agli artefici eccellenti pare di rilievo. E mi ricorda che 1 Queste pitture sono perite. 2 * Appartiene alla cancelleria apostolica sin dal 1517. Fu incominciato dal cardinale Scarampi Mezzarota, e proseguito e terminato dal cardinale Raffaello Riario nel 1495. Le pitture del Peruzzi sono perite. 3 *Un disegno per la facciata di un palazzo, fatto con molto gusto, a chiaro- scuro lumeggiato di biacca, è nella raccolta della Galleria di Firenze. 4 II palazzo posto alla Lungara, chiamasi la Farnesina, com'è stato dichia- rato nella Vita di Raffaello. — *Fu architettato tra il 1509 e il 151Ò. 5 *Uno schizzo a penna, originale, di questo palazzo, è fra i disegni della Galleria di Firenze, nel voi. 216, a c. 91. i Non ostante la chiara testimonianza del Vasari, alcuni moderni vorreb- bero dare il merito dell'architettura di questo palazzo a Raffaello, parendo loro che il disegno della Galleria di Firenze sia dell'Urbinate e non del Peruzzi. Ma noi siamo di contraria opinione e ce ne stiamo in questo col Vasari. Vasari. Oneri - Voi. «V BALDASSARRE PERUZZI menando io il cavaliere Tiziano, pittore eccellentissimo ed onorato, a vedere qnella opera, egli per niun modo voleva credere che quella fusse pittura; perchè mutato veduta, ne rimase maravigliato.1 Sono in questo luogo alcune cose fatte da fra Sebastian viniziano, della prima maniera; e di mano del divino Raffaello vi e (come si è detto) una Galatea rapita dagli Dii marini. Fece anco Baldassarre, passato Campo di Fiore per andare a piazza Giudea, una facciata bellissima di terretta con prospet- tive mirabili; la quale fu fatta finire da un cubiculario del papa, ed oggi è posseduta da Iacopo Strozzi fioren- tino. Similmente fece nella Pace una cappella a messer Ferrando Ponzetti, che fu poi cardinale, all'entrata della chiesa a man manca, con istorie piccole del Testamento vecchio e -con alcune figure anco assai grandi; la quale opera, per cosa in fresco, è lavorata con molta diligenza.2 Ma molto più mostrò quanto valesse nella pittura e nella prospettiva, nel medesimo tempio vicino all'aitar mag- giore; dove fece per messer Filippo da Siena,3 cherico di Camera, in una storia, quando la Nostra Donna sa- lendo i gradi va al tempio; con molte figure degne di lode, come un gentil uomo vestito all'antica, il quale scavalcato d'un suo cavallo porge, mentre i servidori 1 Tutte queste pitture, fuori che le storie di terretta, sono mantenute benis- simo; e le cornici pajono di rilievo anche oggidì e ingannano chicchessia. 2 *Le storie del Testamento vecchio esistono ancora. Dei tre ordini , ne1 quali sono spartite, nel primo e nel terzo -sono dipinte storie del vecchio Testamento: cioè, David che uccide Golia, il Diluvio, Giuditta, Abramo che sacrifica Isacco, la creazione d'Eva, Moisè sul Sinai; e poi nel secondo, la Natività di Cristo, l'Adorazione de' Magi, la Fuga in Egitto. Esiste tuttavia l'affresco dell'altare, dovi» è figurata Maria Vergine in trono col divin Figliuolo nelle braccia; sta alla sua destra santa Brigida che presentale il Ponzetti inginocchiato ; e alla sinistra santa Ca- terina martire. Quest'ultimo affresco, che è stato inciso nell'Ape Italiana delle Belle Arti, stette per lungo tempo nascosto da un quadro di Santo Ubaldo dipinto dal Baldi. i II tempo di queste pitture è indicato nella cornice sotto gli affreschi della «upoletta di essa cappella, da questa iscrizione:, ano dom. mdxvi. (forse xvn). 3 *Cioè Filippo Sergardi. BALDASSARRE PERUZZI 595 l'aspettano, la limosina a un povero tutto ignudo e me- schinissimo, il quale si vede che con grande affetto gliela chiede. Sono anco in questo luogo casamenti vari ed or- namenti bellissimi: ed in questa opera, similmente la- vorata in fresco, sono contrafatti ornamenti di stucco intorno intorno, che mostrano essere con campanelle grandi appiccati al muro, come fusse una tavola dipinta a olio.1 E nel!' onoratissimo apparato che fece il popolo romano in Campidoglio, quando fu dato il bastone di santa Chiesa al duca Giuliano de1 Medici,2 di sei storie di pittura che furono fatte da sei diversi eccellenti pit- tori, quella che fu di mano di Baldassarri, alta sette canne e larga tre e mezzo, nella quale era quando Giulia Tarpea fa tradimento ai Romani, fu senza alcun dubbio di tutte r altre giudicata la migliore.3 Ma quello che fece 1 Questa pittura a Santa Maria della Pace è stata ritoccata : nondimeno , dice il Lanzi, sorprende per la novità dell1 insieme e per l' espressione delle figure. An- niba'l Caracci la disegnò per suo studio, e il suo disegno è posseduto dal duca di Devonshire. — * Nella Galleria di Firenze è il disegno originale del cavallo e del servo appoggiato ad esso. Di questa grande composizione si ha un intaglio nella Storia della Pittura Italiana del Rosini. 2 * Questo accadde nel 1515. 3 t II signor Gustavo Frizzoni in un suo scritto intitolato : Di alcune opere di disegno da rivendicare al loro autore V artista senese Baldassarre Peruzzi, (Vedi II Buonarroti, marzo 1871), piglia tra l'altre cose ad esaminare alcune pitture contenenti fatti di storia romana antica ed esistenti nel palazzo de' Conser- vatori in Roma. Queste pitture assai guaste da un audace restauro si vedono in duo sale interne del detto palazzo, l'una detta de' Fasti, e l'altra delle guerre Puniche. Delle due la più importante è la seconda, nella quale è in ciascuna delle quattro pareti un quadro dov' è rappresentato un fatto della storia romana ; così nel primo è la vittoria navale di Quinto Lutazio Catulo contro i Cartaginesi; nel secondo i! trionfo di Roma personificata in una figura di donna seduta sopra un carro ti- rato da quattro eavalli, che tiene nella destra una piccola Vittoria alata, e colla, sinistra regge la corda che lega un' altra figura rappresentante la Sicilia sotto- messa; nel terzo è Annibale che si presenta alle mura di Roma; e finalmente nel quarto è Quinto Lutazio Catulo che tratta la pace coi Cartaginesi. Il Municipio romano fatte restaurare queste pitture nel 1860 fece porre una lapide con una iscrizione che dice, senza ragione, queste pitture di Benedetto Buonfigli perugino del secolo xv. Un' altra iscrizione fu posta cinque anni dopo dallo stèsso Municipio nella sala de' Fasti, nella quale sono avanzi di pitture che la iscrizione al solito senza fondamento attribuisce adv Alessandro Botticelli. Esse rappresentano i trionfi de1 sette re di Roma, e chiunque vorrà bene considerarle, riscontrerà facilmente 596 BALDASSARRE PERUZZI stupire ognuno, fu la prospettiva o vero scena d'una co- media, tanto bella che non è possibile immaginarsi più; perciò che la varietà e bella maniera de1 casamenti, le diverse loggie, la bizzarria delle porte e finestre, e l'altre cose che vi si videro d'architettura, furono tanto bene intese e di così straordinaria invenzione, che non si può dirne la millesima parte. A messer Francesco da Norcia fece, per la sua casa in su la piazza de' Farnesi, una porta d'ordine dorico, molto graziosa; ed a messer Francesco Buzio, vicino alla piazza degli Altieri, una molto bella facciata;1 e nel fregio di quella mise tutti i cardinali romani che allora vivevano, ritratti di naturale: e nella facciata figurò le storie di Cesare quando gli sono presentati i tributi da tutto il mondo; e sopra vi dipinse i dodici imperadori, i quali posano sopra certe mensole e scortano le vedute al di sotto in su, e sono con grandissima arte lavorati : per la quale tutta opera meritò commendazione infinita. Lavorò in Banchi un'arme di papa Leone con tre fan- ciulli, a fresco, che di tenerissima carne e vivi pare- vano; ed a Fra Mariano Fetti, frate del Piombo, fece a Montecavallo, nel giardino, un San Bernardo di ter-' retta, bellissimo; ed alla Compagnia di Santa Caterina da Siena in strada Giulia , oltre una bara da portar morti alla sepoltura, che è mirabile, molte altre cose tutte lodevoli.2 Similmente in Siena diede il disegno dell'or- lino stile in tutto simile a quello che si vede ne1 quadri della sala delle guerre Pu- niche. Rivendica poi il signor Frizzoni al Peruzzi il disegno conservato nella rac- colta del Louvre di Parigi che rappresenta il trionfo d'un imperatore romano, di cui si ha una stampa di Marcantonio Raimondi, conosciuta in Italia sotto il nome di Trionfo di Tito. La quale stampa era stato detto fino ad ora che fosse tratta da un disegno del Mantegna, e secondo altri del Francia. 1 Non sono più in essere queste due facciate. (Bottari). 2 II Vasari nella Vita di Timoteo da Urbino le aveva attribuite a quel pit- tore. — *Monsignor Giulio Sansedoni, nella Vita che scrisse del beato Ambrogio Sansedoni, crede per molte ragionevoli conghiettùre , che la vera effìgie del beato sia quella che Baldassarre Peruzzi rappresentò in Roma nel cataletto della Com- BALDASSARRE PERUZZI 597 gano del Carmino;1 e fece alcune altre cose in quella città, ma di non molta importanza. Dopo, essendo con- dotto a Bologna dagli Operai di San Petronio, perchè fa- cesse il modello della . facciata di quel tempio, ne fece due piante grandi e due profili, uno alla moderna ed un altro alla tedesca, che ancora si serba (come cosa veramente rara, per avere egli in prospettiva di ma- niera squartata e tirata quella fabbrica, che pare di ri- lievo) nella sagrestia di detto San Petronio.2 Nella me- desima città in casa del conte Giovambatista Bentivogli fece per la detta fabrica più disegni, che furono tanto belli, che non si possono a bastanza lodare le belle in- vestigazioni da quest'uomo trovate per non rovinare il vecchio che era murato, e con bella proporzione con- giugnerlo col . nuovo. Fece al conte Giovambatista sopra- detto un disegno d'una Natività con i Magi di chiaro- . pagnia di Santa Caterina da Siena, della quale monsignor Sansedoni conservava appresso di sè il disegno fattone di propria mano dal Peruzzi, di chiaroscuro in tela. — t Di questa bara o cataletto parla Fabio Chigi poi Alessandro VII pontefice nel Commentario di Agostino Chigi pubblicato nell' 'Archivio della Società ro- mana di storia patria, Roma, 1878; e dice che fu comprato a' suoi tempi da Ferdinando duca di Mantova. 1 'Che Baldassarre desse il disegno di quest'organo, non abbiamo notizia. Nella Guida inedita di Siena del 1625 attribuita a Fabio Chigi, poi Alessandro VII, si dice di lui l' ornamento dipinto a chiaroscuro dell' organo di questa chiesa. 2 "L'andata sua a Bologna cade nel 1522, dove fu chiamato a dare il dise- gno non tanto della facciata di San Petronio, quanto ancora delle volte, cupola e porte di quel tempio. ( Giornale della fabbrica, dal 1520 al 1527, a c. 63, in G-aye, II, 153, 154). E nella fabbrica di San Petronio esiste tuttavia il suo bel- lissimo disegno a penna della facciata di stile gotico, il quale in piccole propor- zioni fu dato in intaglio dal fu Giangiorgio Muller, architetto di San Gallo, a corredo della sua Memoria sul compimento del Duomo di Firenze (1847). Ma che Baldassarre altri ne facesse, come dice più sotto il Vasari, ce lo scopre un documento pubblicato dal Gaye (III, 480). nel quale sono registrati i disegni fatti in diversi tempi per la medesima fabbrica. Quelli di Baldassarre sono descritti in questo modo : « Un altro disegno di Baldassar da Siena architetto di gran nome e famoso, el quale chiamato da li signori Presidenti di quei tempi a Bologna per lo medesimo iuditio, lo fece et è iscritto di mano di lui et fa l'altezza piedi 100; un altro ve n' è dell' istesso , nel quale fa la altezza di piedi 105. Un altro ve n'è e dell' istesso, in forma grandissima, nel quale fa l'altezza piedi 110; ma perchè si dubitava chelli presenti pilastri di essa chiesa non regessero a tanta altezza, 598 BALDASSARRE PERUZZI scuro; nella quale è cosa niaravigliosa vedere i cavalli, i carriaggi, le corti dei tre Ee7, condotti con bellissima grazia, siccome anco sono le muraglie de1 tempj ed al- cuni casamenti intorno alla capanna: la quale opera fece poi colorire il conte da Girolamo Trevigi,1 che la con- dusse a buona perfezione. Fece ancora il disegno della porta della chiesa di San Michele in Bosco, bellissimo monasterio de' monaci di Monte Oliveto fuor di Bologna; 2 ed il disegno e modello del duomo di Carpi, che fu molto bello, e secondo le regole di Vitruvio con suo ordine fabbricato: e nel medesimo luogo diede principio alla chiesa di San Mccóla; la quale non venne a fine in quel tempo,3 perchè Baldassarri fu quasi forzato tornare a Siena, a fare i disegni per le fortificazioni della citta, che poi furono secondo l'ordine suo messe in opera. volea che essi pilastri o si accrescessero o s'ingrossassero, e questa sua dubita- tone et volere appare chiaramente nel disegno che si trova nella stanza della fabrica , et anco in dui altri disegni della pianta ; et vi si può vedere la causa di questa altezza di cinque piedi di più della altra maggior altezza scritta disegnata e mostrata». Nel 1522 Ercole Seccadenari, architetto, dà una relazione agli Operaj di San Petronio sopra i disegni presentati dal Peruzzi, e sebbene li dica bellissimi et magni, nondimeno non gli pajono a proposito, perchè non hanno conformità coli' edifìzio. (Gaye, II, 152-153). Fra gli edifìzj civili architettati • da Baldassarre in Bologna, nomina il Lamo, nella sua Gratìcola, di Bologna elei 1560, il palazzo degli Albergati, e l'altro in Galliera fattogli fare da messer Panfilo dal Monte, che fu poi de'Munari, ed oggi è dei Fioresi. 1 *Del quale si legge la Vita più sotto. Il Lamo nella detta sua Graticola, a proposito di questa invenzione, dice: « E qui appresso (Via di mezzo di san Mar- tino) è la casa che era della buona memoria del conte Andaló Bentivoglio, ove è un quadro grande, in cui sono dipinti li tre Magi di figure piccole, per mano di Girolamo da Treviso, et la invenzione fu di Baldassarre da Siena, calcata da un disegno di chiaroscuro di mano propria di Baldassarre ». Agostino Caracci nel 1579 la intagliò in sette lastre. t Questo chiaroscuro, fatto da Baldassarre nel 1522, fu donato nel 1839 da Lord Vernon alla Galleria Nazionale di Londra. 2 *I monaci furono soppressi nel 1797. Peraltro sussiste tuttavia la chiesa con la bellissima porta qui ricordata. 3 t In Carpi non esiste nessun documento che assegni al Peruzzi il disegno di quel Duomo, ma non si potrebbero addurre ragioni in contrario all'asser- zione del Vasari. Anzi ci sono argomenti che l'avvalorano, come il sapersi che il disegno e il modello di quel tempio furono mandati nel 1514 da Roma, dove allora dimorava Baldassarre: e di questo fatto ci ragguaglia una lettera di Alberto BALDASSARRE PERUZZI 599 Dipoi tornato a Boma, e fatta la casa che è dirim- petto a' Farnese, ed alcun1 altre che sono dentro a quella città, fu da papa Leone X in molte cose adoperato: il quale pontefice volendo finire la fabbrica di San Piero cominciata da Giulio II col disegno di Bramante, e pa- rendogli che fusse troppo grande edifizio e da reggersi poco insieme, fece Baldassarre un nuovo modello ma- gnifico e veramente ingegnoso , e con tanto buon giu- dizio, che d'alcune parti di quello si sono poi serviti gli altri architetti.1 E di vero, questo artefice fu tanto di- ligente e di sì raro e bel giudizio, che le cose sue furono sempre in modo ordinate, che non ha mai avuto pari nelle cose d'architettura, per avere egli, oltre l'altre Pio signore di .Carpi, a spese del quale si faceva quel tempio, scritta da Roma al Bellentani suo familiare: ed è confermato da' capitoli stipulati nel 23 gennajo di quell'anno tra gli agenti del Pio e Andrea e fratelli Federzoni, muratori, i quali si obbligano di costruire la chiesa secondo la forma et modello sarà mandato da Roma. Questo modello oggi non esiste più. Rispetto poi alla chiesa di San Nic- colò, è certo che essa fu cominciata nel 1493 e che la sua costruzione ebbe due in- tervalli, l'uno dal 1493 al 1508, e l'altro dal 1517 al 1520. Quanto al primo, non si può pensare al Peruzzi, ed in questo il Vasari cade in errore: ma ben può essere che l'architetto senese avesse parte nella costruzione e compimento di quella chiesa nel secondo periodo , in cui fu innalzata la parte anteriore con tre cappelle per parte e con la facciata. Un altro errore a questo proposito avrebbe commesso il Vasari facendo credere che il Peruzzi avesse atteso a queir opera nel tempo che egli si trovava in Bologna, il che è provato che fu nel 1522, cioè nello stesso anno, in cui la chiesa di San Niccolò ebbe compimento. Oltre i disegni del Duomo e di San Niccolò di Carpi, congetturano alcuni non senza fondamento, che il Peruzzi facesse al detto Alberto Pio quelli de' due Oratorj della Rotonda e della Sagra nella detta città, il primo nel 1511 e l'altro nel 1515 che furono dal Pio anch'essi mandati da Roma a Carpi; e che parimente sieno di lui le nuove fortificazioni bastionate, con le quali il detto signore cinse la sua città dal 1518 al 1520. ( Vedi Giuseppe Campopj, Gli Artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi. Modena, 1855, da pag. 353 a 365). 1 *I1 Peruzzi, dopo la morte di Raffaello, fu eletto formalmente architetto della fabbrica di San Pietro, il 1° d'agosto del 1520, collo stipendio annuo di ducati 150; nel quale incarico durò fino al 6 di maggio 1527. Dopo l'intervallo di tre anni, apparisce nuovamente con questo medesimo ufficio dal 1530 al 1531 e finalmente ritorna collo stipendio di 25 ducati al mese, dal marzo 1535 fino al 6 di gennajo 1536, in cui morì. (Fea, loc. cit). Il suo disegno è certamente uno de' più belli fra quanti ne furono proposti per questo tempio. Il Serlio suo scolare ne ha riportato la pianta nel lib. Ili della sua opera sull'Architettura. GOO BALDASSARRE PERUZZI cose, quella professione con bella e buona maniera di pittura accompagnato. Fece il disegno della sepoltura di Adriano VI, e quello che vi è dipinto intorno è di sua mano ; 1 e Michelagnolo scultore sanese condusse la detta sepoltura di marmo, con l'aiuto di esso Baldassarre. 2 E quando si recitò al detto papa Leone la Calandra, co- media del cardinale di Bibbiena, fece Baldassarre l' ap- parato e la prospettiva, che non fu manco bella, anzi più assai che quella che aveva altra volta fatto, come si è detto di sopra; ed in queste sì fatte opere meritò tanto più lode, quanto per un gran pezzo adietro l'uso delle comedie, e conseguentemente delle scene e pro- spettive, era stato dismesso; facendosi in quella vece feste e rappresentazioni; ed o prima o poi che si reci- tasse la detta Calandra , la quale fu delle prime comedie volgari che si vedesse o recitasse, basta che Baldassarre fece al tempo di Leone X due scene che furono mara- vigiiose, ed apersono la via a coloro che ne hanno poi fatto a' tempi nostri.3 We si può immaginare , come egli in tanta strettezza di sito accomodasse tante strade, tanti palazzi, e tante bizzarrie di tempj, di loggie, e d' andari di cornici così ben fatte, che parevano non finte, ma verissime, e la piazza non una cosa dipinta e pie- ciola, ma vera e grandissima. Ordinò egli similmente le lumiere, i lumi di dentro che servono alla prospettiva, e tutte l'altre cose che facevano di bisogno, con molto 1 * Questa sepoltura che è in . Santa Maria de Anima , e fu fatta innalzare dal cardinale Hinkwoirt, era già finita nel 1529. (Vedi nota 1, a pag. 591). Le pitture che vi fece Baldassarre rappresentavano , in figure maggiori del naturale , i santi Bennone ed Antonino, canonizzati da quel pontefice. Della sepoltura se ne vede una stampa nell'opera del Ciacconio. 2 *Di Michelangelo scultore senese si legge la Vita più oltre. • 3 *La Calandra, che si vuole la prima commedia italiana scritta in prosa, fu -recitata in Roma due volte ai tempi di Leone X. Della prima non si può sta- bilire Tanno; la seconda poi fu nel 1520, in occasione dell'andata in quella città d'Isabella d'Este Gonzaga, marchesana di Mantova. La più antica stampa di questa, commedia fu fatta in Siena nel 1521. BALDASSARRE PERUZZI 601 giudizio, essendosi, come ho detto, quasi perduto del tutto Fuso delle comedie; la quale maniera di spetta- colo avanza, per mio creder, quando ha tutte le sue appartenenze, qualunche altro, quanto si voglia magni- fico e sontuoso. Nella creazione poi di papa Clemente settimo, Tanno 1524/ fece l'apparato della coronazione, e finì in San Piero la facciata della cappella maggiore di peperigni, già stata cominciata da Bramante; e nella cappella, dove è la sepoltura di bronzo di papa Sisto, fece di pittura quegli Apostoli che sono di chiaro scuro nelle nicchie dietro l'altare,2 e il disegno del taberna- colo del Sagramento, che è molto grazioso.3 Tenuto poi Tanno 1527, nel crudelissimo sacco di Soma, il povero Baldassarre fu fatto prigione degli Spagnuoli, e non so- lamente perde ogni suo avere, ma fu anco molto stra- ziato e tormentato /perchè avendo egli l'aspetto grave, nobile e grazioso, lo credevano qualche gran prelato tra- vestito, o altro uomo atto a pagare una grossissima ta- glia. Ma, finalmente, avendo trovato quegli impissimi barbari, che egli era un dipintore, gli fece un di loro, stato affezionatissimo di Borbone, fare il ritratto di quel sceleratissimo capitano, nimico di Dio e degli uomini; o che gliele facesse vedere così morto, o in altro modo che glie lo mostrasse con disegni o con parole.4 Dopo ciò, essendo uscito Baldassarre dalle mani loro, imbarcò é 1 *La sua creazione accadde il 19 di novembre del 1523. 2 *I1 solo san Pietro fu conservato, ed oggi si trova, segato dalla sua parete , nelle grotte nuove del Vaticano. 3 Tutto è stato demolito; e il ricco e bel tabernacolo che v'è di presente, è del Bernino, il quale ne ha preso l'idea dal tempietto di Bramante eh' è nel chio- stro di San Pietro in Montorio. (Bottari). 4 * Altra testimonianza di questo fatto l'abbiamo da uno strumento, col quale nel 1529, a' 29 di settembre, Baldassarre, essendo in Siena, si confessa debitore di maestro Girolamo del fu Angelo de' Menichelli , muratore , della somma di scudi centocinquanta d'oro, avuti in prestito per pagare il «residuum taglie eidem magistro Baldassarri in Urbe facte per quosdam eoo militibus exercitus im- perialis, tempore adventus Borbonis ad Urbem ». (Archivio de' contratti di Siena; rogiti di ser Marcello della Grammatica, filza X, n° 120). G02 BALDASSARRE PERUZZI per andarsene a Porto Ercole, e di lì a Siena; ma fu per la strada di maniera svaligiato e spogliato d'ogni cosa, che se n'andò a Siena in camicia. Nondimeno es- sendo onoratamente ricevuto e rivestito dagli amici, gli fu poco appresso ordinato provisione e salario dal Pu- blico,1 acciò attendesse alla fortificazione di quella città;5 nella quale dimorando ebbe due figliuoli.3 Ed oltre quello che fece per il Publico, fece molti disegni di case a1 suoi cittadini;4 e nella chiesa del Carmino il disegno dell' or- 1 * Venuto Baldassarre a Siena dopo il sacco di Roma, fu da varj cittadini presentato un ricordo alla Signoria nel 10 luglio 1527, col quale domandavano che per fermare il Peruzzi in Siena fossegli fatta una provvisione annua, come ar- chitetto del pubblico : la qual cosa nello stesso giorno fu in Consiglio proposta e deliberata favorevolmente. Stette Baldassarre agli stipendj della Repubblica senese per lo spazio di due anni, cioè dal 10 luglio 1527 fino al 10 luglio 1529, collo stipendio di cinque ducati al mese. (Della Valle, Lettere Senesi, III, 178 e seg.; Gaye, II, 496). Dopo questo tempo pare che egli non fosse più al servigio di quella, e già lo troviamo nel 1530 ritornato a. Roma. Ma un' anno dopo essendo stato presentato un altro ricordo alla Signoria di Siena, ebbe il Peruzzi nuovamente quel carico, e gli fu raddoppiato il salario. 2 *Dal 1527 al 1529 fece, fra le altre cose, per fortificazione della città sette .torrazzi o baluardi; cioè, quello dello sportello di San Prospero, che, secondo il Bardi (Storia di Siena ms.), costò 2000 scudi, e fu atterrato da Don Diego Mendoza nel 1550. per cagione della cittadella; l'altro presso la porta della Giu- stizia: il terzo fra la porta di Camollia e Fontegiusta; il quarto e il quinto a San Marco : il sesto , detto del Sasso , presso la porta Laterina ; e l' ultimo fuori della porta San Viene o dei Pispini. Oggi, di questi baluardi non resta che quello di San. Viene, restaurato a' nostri tempi, ma in modo da apparire piuttosto un ornamento architettonico che un'opera di difesa; e quello della porta Laterina, che serve di cinta al giardino dei Buonsignori. 8 *Tra questi è Giovan Salustio ed Onorio. Del primo, che seguitò l'esercizio del padre nell'architettura, torna a parlare il Vasari nelle Vite del Ricciarelli e del Buonarroti. L'altro fu pittore e poi frate Domenicano. (Marchese, Memor ie degli artefici Domenicani, II, 281 e seg.). 4 *I1 Peruzzi, fin dal 10 di luglio del 1529, fu capomaestro dell'Opera del Duomo senese, per il quale diede varj disegni, e fra gli altri quelli delle porte che s'avevano a fare di bronzo, e del bellissimo aitar maggiore nel 1532. Delle altre opere d' architettura civile e religiosa operate da Baldassarre in Siena , non si può avere nessuna certezza. Gli scrittori senesi gli attribuiscono molte cose, le quali non sono sue , perchè fatte in tempi che egli era fanciullo o già morto , o perchè è certo che furono da altri architettate. Fra queste è la cappella di San Gio- vanni in Duomo, cominciata nel 1482, cioè quando il Peruzzi avea un anno. Essa è architettura di Stefano di Giovanni, a quel tempo capomaestro dell'Opera. Nè sua può essere la chiesa di San Bastiano in Valle piatta, principiata nel 1507; nè quella di San Giovambatista in Pantaneto, la quale sebbene fosse in principio BALDASSARRE PERUZZI 603 namento dell'organo, che è molto bello.1 Intanto venuto l'essercito imperiale e del papa all'assedio di Firenze, Sua Santità mandò Baldassarri in campo a Baccio Va- lori comissario, acciò si servisse dell'ingegno di lui ne' bi- sogni del campo e nell' espugnazione della città. Ma Bal- dassarre amando più la libertà dell'antica patria, che la grazia del papa, senza temer punto l'indignazione di tanto pontefice, non si volle mai adoperare in cosa al- cuna di momento: di che accortosi il papa, gli portò per un pezzo non piccolo odio.2 Ma finita la guerra , deside- rando Baldassarre di ritornare a Roma, i cardinali Sal- viati, Triulzi e Cesarino, i quali tutti aveva in molte cose amorévolmente serviti, lo ritornarono in grazia del papa, e ne' primi maneggi; onde potè liberamente ritor- ordinata coli' architettura del Peruzzi, non fu seguito queir ordine ; e già troviamo averne avuto il carico Giovambatista Peloro. Rispetto poi all' oratorio di San Giu- seppe, c*è chi lo vuole del Peruzzi, chi del Riccio. Finalmente, fra le opere che gli si attribuiscono , sono da noverare la chiesa de' Servi e quella di Santa Marta col suo convento, oggi Orfanotrofio. Ma quanto alla prima, essa sin dal 1471 si costruiva, e quando dal 1511 sino al 1528 fu continuata e condotta a fine, ci sono riscontri da credere che non Baldassarre, ma un maestro Ventura di ser Giu- liano Turapilli, intagliatore ed architetto senese, soprintendesse a questa fabbrica fino al 1522, anno della sua morte. E riguardo poi alla chiesa e convento di Santa Marta, è certo che ne fu architetto nel 1535 Antommaria Lari detto il Tozzo , senese. Rispetto al chiostro e al campanile del Carmine nel voi. 209 della raccolta dei disegni architettonici della Galleria di Firenze abbiamo appunti su questo convento collo scritto autografo del Peruzzi. E può ben essere suo il disegno della porta della chiesa di Santo Spirito. Fra le opere civili, gli si attri- buiscono la casa dei Mocenni presso alla Lizza, e quella dei Celsi, ora Pollini: ma di queste, massime dell'ultima, dove il carattere delle gentili ed eleganti cose del Peruzzi si vede più espresso, non abbiamo che- una molto probabile tradizione. Delle opere sue di architettura militare abbiamo già parlato. Aggiungeremo che nel voi. 210 della citata raccolta è il disegno della rocca di Caprarola, nel quale è scritto di propria mano del Peruzzi: « Ser Silvestro da Caprarola ebbe juli 16 da me Baldassarre architetto da Siena ». Il Vasari ne fa autore Antonio da San Gallo il giovane. 1 * Questa stessa cosa ha già detto il Vasari poche pagine indietro. 2 'Questo racconto si prova del tutto falso dai documenti del tempo , perchè Baldassarre veramente fu spedito dalla Repubblica senese al campo sotto Firenze il 22 di settembre del 1529; ed il Gaye ha riportato una sua lettera scritta da Poggibonsi il 20 d'ottobre del detto anno, nella quale si discorre della facilità che ci sarebbe ad impadronirsi della fortezza del Poggio Imperiale, ed occupare tutta Val d'Elsa. 601 BALDASSARRE PERUZZI narsene a Roma: dove dopo non molti giorni fece per i signori Orsini il disegno di due bellissimi palazzi che furono fabbricati in verso Viterbo , e d' alcuni altri edi- fìzj per la Paglia. Ma non intermettendo in questo men- tre gli studj d'astrologia ne quelli della matematica e gli altri, eli che molto si dilettava, cominciò un libro dell' antichità di Roma, ed a comentare Vitruvio, facendo i disegni di mano in mano delle figure sopra gli scritti di queir autore : di che ancor oggi se ne vede una parte appresso Francesco da Siena, che fu suo discepolo; 1 dove in alcune carte sono i disegni dell' antichità e del modo di fabricare alla moderna.* Fece anco, stando in Roma, il disegno della casa de' Massimi, girato in forma ovale, con bello e nuovo modo di fabbrica;2 e nella facciata dinanzi fece un vestibulo di colonne doriche molto ar- tificioso e proporzionato, ed un bello spartimento nel cortile e nell'acconcio delle scale; ma non potè vedere finita quest'opera, sopragiunto dalla morte.3 Ma, ancor che tante fussero le virtù e le fatiche di questo nobile artefice, elle giovarono poco nondimeno a lui stesso, ed assai ad altri: perchè, sebbene fu adoperato da papi, cardinali, ed altri personaggi grandi e ricchissimi, non però alcuno d'essi gli fece mai rilevato benefizio; e ciò potè agevolmente avvenire, non tanto dalla poca libe- 1 *Di questo Francesco, rifiutata la conghiettura del Bottari eia solita fran- chezza del P. Della Valle, bisogna dire che non sappiamo niente di certo. Forse fu un Francesco Pomerelli, della qual famiglia conosciamo un Tommaso, ricordato dal P. Ugurgieri come discepolo delPeruzzi, ed un Lorenzo, ambidue architetti. 2 *È questo il palazzo dei Massimi, detti dalle Colonne, da San Pantaleo, presso Sant'Andrea della Valle. 3 *.IÌ Serlio racconta, che facendo Baldassarre cavare i fondamenti di quel- l'altra casa Massimi, che in antico fu de' Savelli, ed oggi è degli Orsini, si tro- varono molte reliquie di diversi corniciamenti del teatro di Marcello , e si scoperse buono indicio della pianta, della quale non se ne aveva troppa notizia; e che Baldassarre per quella parte scoperta comprese il tutto; e cosi con buona dili- genza lo misurò e lo pose nella forma dal Serlio riportata nel III libro dell'Ar- chitettura. Fra i disegni architettonici della Galleria di Firenze, nel voi. 209, si trova quello del teatro di Marcello, acquerellato a bistro, ov'è scritto: Pars BALDASSARRE PERUZZI 605 ralità de' signori; che per lo più meno sono liberali dove più doverrebbono , quanto dalla timidità e troppa mo- destia, anzi, per dir meglio in questo caso, dappocag- gine di Baldassarre 1 E per dire invero, quanto si deve esser discreto con i principi magnanimi e liberali, tanto bisogna essere con gli avari, ingrati e discortesi, impor- tuno sempre e fastidioso; perciocché, sì come con i buoni l'importunità ed il chieder sempre sarebbe vizio, così con gli avari eli1 è virtù; e vizio sarebbe con i sì fatti essere discreto. Si trovò dunque negli ultimi anni della vita sua Baldassarri vecchio, povero, e carico di fami- glia; e finalmente essendo vivuto sempre costumatissimo, amalato gravemente si mise in letto : il che intendendo papa Paulo terzo, e tardi conoscendo il danno che rice- veva nella perdita di tanto uomo, gli mandò a donare per Iacomo Melighi, computista di San Piero, cento scudi, ed a fargli amorevolissime offerte. Ma egli aggravato nel male, o pure che così avesse a essere, o, come si crede, sollecitatagli la morte con veleno da qualche suo emulo che il suo luogo disiderava, del quale traeva scudi du- gentocin quanta di prò visione (il che fu tardi dai medici conosciuto), si morì malissimo contento, più per cagione della sua povera famiglia che di se medesimo, vedendo in che mal termine egli la lasciava. Fu dai figliuoli e Theatri Marcelli-, e sembra esser di mano di Baldassarre Peruzzi. In questo medesimo volume sono altri undici disegni del suddetto teatro. Fra le opere archi- tettoniche di Baldassarre in Roma non si possono passare sotto silenzio la chiesa di Sant' Eligio degli orefici e quella di Santo Spirito in Saxia; la prima delle quali si dice architettura di Bramante ; di Antonio da San Gallo l' altra. Ce ne dà una prova il trovare fra i disegni della Galleria di Firenze alcuni schizzi e misure e del corpo e della facciata di quelle due chiese. Iri uno de' quali è scritto, di mano del tempo: « di M° Baldassarre da Siena: chiesa degli orefici in Roma ». t A1 nostri giorni è stato trovato che questi disegni sono di mano di Sa- lustio figliuolo di Baldassarre e che la chiesa degli Orefici è opera di Raffaello da Urbino. (Vedi Geymuller, Les projets primitifs pour la Basilique de Saint Pierre de Rome, Paris et Vienne, 1875. 1 Ne rincresce che il Vasari qualifichi per dabbenaggine la verecondia e l'estrema delicatezza d'un uomo sì virtuoso. non BALDASSARRE PERUZZI dagli amici molto pianto, e nella Eitonda appresso a Raffaello da Urbino, elove fa da tutti i pittori, scultori ed architettori di Koma onorevolmente pianto ed accom- pagnato, datogli onorata sepoltura con questo epitaffio: Balthasar i Pendio Senensi, viro etpictura et architectura aliisque ìngeniorum artibus adeo excelienti, ut si priscorum occubnisset temporibus, nostra illuni felicius legerent. Vix. Ann. LV. Mens. XI. Dies xx. Lucretia et Io. Salustius optimo conjugi et parenti, non sine lachrymis Simonis, Honorii, Claudii, JEmilice, ac Sulpitìcemino- rum filiorum, dolentes posuerunt. Die IIII Januarii MDXXXVI. 1 Fu maggiore la fama ed il nome di Baldassarre es- sendo morto, che non era stato in vita;2 ed allora mas- simamente fu la sua virtù desiderata, che papa Paulo terzo si risolvè di far finire San Piero; perchè s'avidero allora di quanto aiuto egli sarebbe stato ad Antonio da San Gallo, perchè, se bene Antonio fece quello che si vede, avrebbe nondimeno (come si crede) meglio ve- duto in compagnia di Baldassarre alcune difficultà di queir opera. Rimase erede di molte cose di Baldassarre, Sebastiano Serlio, bolognese; il quale fece il terzo libro dell1 archi - 1 * Questa iscrizione sino dai tempi del Bottari non era più nel Panteon. A proposito della quale . liremo , che il giorno della morte del Peruzzi in essa se- gnata differisce da un documento che si legge nella citata operetta del Fea , No- tizie di Raffaello ecc., che la pone a' 6 del mese di gennajo 1536; e a questa data noi ci atteniamo. Di più dallo stesso documento riferito dal Fea si conosce, che il figliuolo maggiore di Baldassarre si chiamò non Griovan Salustio, come dice F epitaffio, e il Vasari stesso in questa Vita e altrove, ma Giovan Salverio o Salvestro: e ci pare che questo debba essere il suo vero nome, ricordando quello del padre e dell'avo di Baldassarre. 2 Fu veramente Baldassarre un artefice di primo grado. Nella pittura si accosta ai primi dell1 età sua ; e andrebbe con loro pari se colorisse come disegna , e fosse uguale a sè medesimo ; ciò che , osserva il Lanzi , in vita si travagliata non potò sempre. Nel dipingere a chiaroscuro, imitando stucchi non ebbe uguali. Neil' ar- chitettura è certamente fra i grandi, venendo da alcuni anteposto a Bramante: il Lomazzo lo chiama architetto universale. Nella prospettiva fu insuperabile: lo afferma il poco lodator Milizia; ciò basti. Persino nelle grottesche egli è degno d'ammirazione, poiché, dice il Lanzi, non lascia in esse d'imbrigliar colla ragione il capriccio. BALDASSARRE PERUZZI 607 tettura. ed il quarto dell' antichità di Eoma misurate; ed in questi le già dette fatiche di Baldassarre furono parte messe in margine, e parte furono di molto aiuto all'autore:1 i quali scritti di Baldassarre rimasero per la maggior parte in mano a Iacopo Melighino, ferrarese,2 che fu poi fatto architetto da papa Paulo detto nelle sue fabbriche; ed al detto Francesco sanese, stato suo creato e discepolo, di mano del quale Francesco è in Roma l'arme del cardinale di Trani in Navona, molto lodata, ed alcune altre òpere. E da costui avemo avuto il ri- tratto di Baldassarre, e notizia di molte cose che non potei sapere, quando uscì la prima volta fuori questo libro. . Fu anco discepolo di Baldassarre Virgilio romano, che nella sua patria fece a mezzo Borgo Nuovo una facciata di grafito con alcuni prigioni, e molte altre opere belle. Ebbe anco dal medesimo i primi principii d' architettura Antonio del Rozzo,3 cittadino sanese ed ingegneri eccel- 1 *E di questo il Serlio stesso si professa grato al suo maestro nell'avviso ai lettori, preposto al IV libro deir Architettura. Di Sebastiano Serlio è fatto cenno dal Vasari nella Vita di Marcantonio Raimondi. 2 * Jacopo Meleghini (quel medesimo che il Vasari chiama disopra Melighi) figliuolo di un Giovanni, fu cappellano del cardinal di Ferrara, e rettore della chiesa di San Cristoforo di Campignano nella diocesi di Perugia. Uno dei libri lasciatigli da Baldassarre è il taccuino che si conserva nella Biblioteca comu- nale di Siena, dove di mano dello stesso Peruzzi si legge: « Fu di me Baldas- sarre Perucio e 'l donai a messer Jacopo Melighino e a messer Pierantonio Salimbeni». In questo taccuino sono, tra gli altri schizzi e disegni a penna, le prime idee della Sibilla che il Peruzzi dipinse a Siena nella chiesa della Madonna di Fontegiustà. E qui pare opportuno che si dica alcuna parola degli affreschi che a un gentiluomo dei Turamini fece nella villa di Belcaro, ne' suburbj di Siena. Dove, nell'atrio, in uno sfondo, figurò il giudizio di Paride, e nella loggia graziosissime storie; e similmente dipinse di chiaroscuro nella cappella gli ornati, i quattro Evangelisti e il martirio di alcuni santi. i Del Melighino che fu figliuolo di messer Francesco di nobile famiglia ferrarese , é marito di Angela Lionarda Fini , discorre il cav. L. N. Cittadella ne* Documenti ed Illustrazioni risguardanti la storia artistica ferrarese, Fer- rara 1868, a pag. 270 e seg. 3 * Quest'errore, eh' è in ambedue le edizioni originali del Vasari, fu ripetuto in tutte le ristampe. Si corregga in del Tozzo, che fu il soprannome di Antoni- maria di Paolo Lari, pittore e architetto senese. Le prime memorie che di lui 008 BALDASSARRE PERUZZI lentissimo; e seguitoli o parimente il Eiccio pittore sanese, sebbene ha poi imitato assai la maniera di Qio. Antonio ►Sodcloma da Vercelli.2 Fu anco suo creato Giovambatista Peloro architetto sanese, il quale attese molto alle ma- tematiche ed alla cosmografìa, e fece di sua mano bus- sole, quadranti e molti ferri e stromenti da misurare; e similmente le piante di molte fortificazioni, che sono per la maggior parte apprèsso maestro Giuliano orefice sanese, amicissimo suo.3. Fece questo Giovambatista al duca Cosimo de1 Medici,^ tutto di rilievo e bello affatto, il sito di Siena con le valli, e ciò che ha intorno a un miglio e mezzo, le mura, le strade, i forti, ed insomma del tutto un bellissimo modello. Ma perchè era costui instabile, si partì, ancor che avesse buona provisione, da quel principe; e pensando di far meglio, si condusse conosciamo, sono del 1521 e del 1527. Nel 1532, ha diciassette scudi d'oro per le sue fatiche e spese fatte nel dipingere gli archi trionfali per la sperata venuta di Carlo V in Siena. Nel 1535, dà il disegno della chiesa e del convento di Santa Marta. Nel 1537, essendo già architetto al servizio della Repubblica senese, fa il disegno del girone di Cetona, e va a rivedere le muraglie di. Chiusi. Nell'anno seguente, è ad Asinalunga per riferire sui bisogni di. quella rócca; e gli è pro- rogata per altri due anni la provvisione di tre scudi al mese. Visita nel 1539 le terre della Maremma; e poi torna ad Asinalunga, e disegna il torrazzo di Chiusi. Nel 1540 attende alla fabbrica delle nuove mura di Grosseto , e fa provvedimenti per il restauro della Cattedrale di quella città. Dà similmente il disegno della fac- ciata del palazzo Palmieri dal lato di San Cristofano. Riconfermato architetto del Comune' per un altro anno nel 1541, va a Talamone e a Sovana. Poi neir anno seguente disegna le muraglie di Portercole, e nel 31 di maggio si trova che era a Pitigliano e a Sovana per rassettare le ròcche di quelle due terre. Fortifica dipoi Montepescàli e dà un disegno per la difesa di Portercole minacciata dal- l'armata turchesca. E cresciuto il pericolo per la Maremma, va in compagnia del Peloro a visitarne le fortezze. Chiamato poi a Pitigliano , nel 1543, dal conte Giovanfrancesco Orsini, per causa della fortezza che vi voleva fare , fu poco dopo il Lari licenziato dal servizio della Repubblica, e dato il suo luogo ad uno spa- gnuolo di nome Ernando Dez. E quando il conte di Pitigliano fu costretto da Niccola suo figliuolo a fuggire e lasciare lo stato, il Lari lo seguì a Roma: dove dimorò fino all'anno 1549, che forse fu V ultimo di sua vita, non sapendosi altro di lui. 2 * Nella Vita del quale, tornandosi a parlare del Riccio, ci riserbiamo a dare maggiori notizie di questo artefice. 3 * Di questo Giuliano parleremo nella Vita del Beccafumi , come promettemmo nelle note alla Vita d'Agnolo Gaddi BALDASSARRE PERUZZI 60D in Francia, dove avendo seguitato la corte senza alcun frutto molto tempo, si morì finalmente in Avignone. Ma ancor che costui fusse molto pratico e intendente archi- tetto, non si vede però in alcun luogo fabbriche fatte da lui o con suo ordine, stando egli sempre tanto poco in un luogo, che non si poteva risolvere niente: onde consumò tutto il tempo in disegni, capricci, misure e modelli. Ha meritato nondimeno, come professor delle nostre arti, che di lui si faccia memoria. 1 1 *Giovambatista di Mariano Pelori nacque in Siena nel 1483. Nel 1515 era a Roma; e Vannoccio Biringucci parla di lui nel cap.' v del lib. Vili della Piro- tecnia, come inventore delle forme di cartapesta da gettar figure grandi e di tutto tondo. Nel 1525, per sospetto degli uomini di Asinalunga, fu inviato dalla Repubblica a fortificar la rócca di; quella terra. Nel luglio dell'anno seguente era a Genova, inviato a posta per riferire soprale occorrenze di quel tempo. Nel 27 ara in Siena, e commissario dei viveri per il passaggio dell'esercito del Bor- bone, e in pari tempo commissario della zecca. Sposò Virginia di ser Giovanni da Radicondoli nel 1528, nel qual anno fu mandato a Roma e poi a Corneto per dar ragguaglio delle cose . degT Imperiali. Andato poi , nel settembre , in Sicilia per comprar grani, fu svaligiato e ritenuto in carcere per diciassette giorni dal governatore del porto di Santa Severa, dalla quale per sua industria liberatosi, e salito sulle galee. d'Andrea Doria, proseguì il viaggio sino in Ispagna. Colà maneggiò alcuni negozj per conto della Repubblica senese; e quando Carlo V venne a incoronarsi a Bologna nel 1530, il Pelori lo seguitò in quella città, dando continui avvisi alla* Repubblica di ciò che accadeva. Ritornò in patria in quello stesso anno, portando i privilegi concessi alla città dall'imperatore. Disegnò nel 1532 la gran peschiera de' frati di Montoliveto maggiore, ordinando varj restauri nel monastero medesimo ; e neh' anno stesso fu commissario degli alloggi nel passag- gio dell'esercito condotto dal marchese del Vasto. Era nel 1532 a Castro, a vi- sitare una miniera e riconoscere i confini dello Stato senese; e nel dicembre, rivedeva i ponti dell' Ombrone e dell'Arbia. Dal 1536 al 1540 fu ai servigj dell'impe- ratore e seguì il marchese del Vasto come suo ingegnere nella guerra di Pie- monte, 'e fece il disegno di Fossano. Disegnò nel 1527 l' interno della chiesa di San Martino della sua patria. Per commissione di papa Paolo III attese dal 1541 al 1545 alle fortificazioni di Ancona e di Fano, e poi lasciato quel carico ritornò a servire l'imperatore. Nel 1549 era di nuovo in Siena, e la Repubblica spedivalo col commissario Marcantonio Pannilini in Val di Chiana per conto de' lavori da farsi in bonificazione di quella provincia. Quindi gli fu data commissione di visi- tare le fortezze della Maremma: e perchè il Barbarossa le ebbe poi assaltate e in gran parte prese e saccheggiate, ne fu dato colpa al Peloro; il quale sde- gnato, se ne tornò a Roma, dove aveva buone speranze di entrare al servigio del papa, o, se gli fosse tornato meglio, dell'imperatore, come Don Ferrante Gon- zaga e Camillo Colonna gli proponevano. Nel 1547 si trova che era ad Augusta, presso Cesare. Allorquando, nel 1550, Carlo V, per i consigli di Don Diego da. Mendozza, si risolvè a fabbricare in Siena una cittadella, ne fece il Peloro il Vasari Opere. — Voi IV. 39 GIO BALDASSARRE PERUZZI Disegnò Baldassarre eccellentemente in tutt'i modi, e con gran giudizio e diligenza, ma più di penna, d'acque- rello e chiaroscuro, che d'altro; come si vede in molti disegni suoi, che sono appresso gli artefici, e particolar- mente nel nostro Libro in diverse carte: in una delle quali è una storia finta per capriccio, cioè una piazza piena d'archi, colossi, teatri, ob elisci, piramidi, tempj di diverse maniere, portici, ed altre cose, tutte fatte all' antica; e sopra una base è Mercurio, al quale cor- rendo intorno tutte le sorti d'archimisti, con soffietti, mantici, bocce, ed altri instrumenti da stillare, gli fanno un serviziale per farlo andar del corpo, con non meno ridicola che bella invenzione e capriccio.1 Furono amici disegno, e fu incaricato di recarsi alla corte cesarea per mostrarlo all'impera- tore. Questa cosa gli acquistò presso i Senesi tanto odio, che egli temendo per la sua persona cominciò a tener pratica di andare al servizio del duca Cosimo de1 Medici; e per questo effetto si portò nella fine del maggio 1550 a Firenze, dove stette cinque mesi aspettando invano una risoluzione. Finalmente il duca lo licenziò. Accaduta poscia la cacciata degli Spagnuoli con la rovina della cittadella nel 1552, e venuta addosso ai Senesi la guerra degF Imperiali , fu il Peloro posto a disegnare i forti fuori della porta Camollia; e poi mandato alla fortificazione di Lucignano , di Monticchiello e di Casole. Morì , secondochè si dice , nel 1558 in Avignone. Fu il Peloro uomo di grande ingegno e assai pratico dell'arte sua; ma di natura tanto capricciosa e bizzarra che non stette mai lungamente fermo in un luogo, ed incontrò con tutti quelli che ebbero a fai" seco brighe e questioni infinite. 1 Questo disegno , venuto in potere del Mariette , ebbe da lui una diversa spie- gazione, riportata dal Bottari in una lunga nota dell' edizione di Roma: ma come osserva il P. Della Valle, ognuno è in piena libertà di adottare consimili spiega- zioni e sostituirne altre. — *Noi rifiutando la spiegazione che pretese darne il Mariette , ci atteniamo in quella vece all' opinione del Vasari , la quale si riscontra perfettamente colla spiritosa descrizione che ne dà Vannoccio Biringuccio senese, contemporaneo del Peruzzi, nel cap. i, del lib. II della sua Pirotecnia. Questo disegno ora si conserva nel Museo del Louvre a Parigi. Nella citata raccolta della Galleria di Firenze è, in un foglio alto braccia 1, e lungo braccia 1 e soldi 3 fiorentini, il disegno di Roma architettonica, forse della scena per la recita della Calandra, dove sono riuniti in veduta prospettica i principali monumenti antichi e moderni, come il Colosseo, il Panteon, la mole Adriana, la colonna Trajana, la torre di Nerone, l'obelisco di piazza del Popolo, il tempio della Pace, sant'An- drea della Valle ecc. Il disegno è in penna, toccato molto finamente e con gusto squisito. Parimente vi è un altro disegno a penna e acquerellato, conosciuto per la bella stampa che nel 1599 ne fece Gisberto Von Veen di Liegi , detta impropria- mente il viaggio di Rebecca, dov' è un infinito numero di figure e di animali. BALDASSARRE PERUZZI 611 e molto domestici di Baldassarre (il quale fu con ognuno sempre cortese, modesto e gentile) Domenico Beccafumi sanese, pittore eccellente, ed il Capanna, il quale, oltre molte altre cose che dipinse in Siena, fece la facciata de' Turchi, ed un'altra che v'è, sopra la piazza.1 È attaccato a un lato dì questo disegno il ritratto a lapis di Baldassarre che, tranne la veduta, che è di tre quarti, è somigliante a quello di profilo dato in- ciso dal Vasari. 1 *Del Capanna, già nominato dal Vasari nella Vita di Don Bartolommeo abate di San Clemente, per quanto c'ingegnassimo di scoprire l'essere e i par- ticolari della vita, è forza confessare che ogni nostra ricerca è riuscita, si può dire, quasi del tutto infruttuosa. Fu in Siena, e visse dagli ultimi anni del se- colo xv ai primi del seguente, un Giacomo di Lorenzo detto il Capanna, ce- rajuolo; il quale ben può essere che a quest'arte accoppiasse anche l'altra della pittura; non essendo fuori del costume di quei tempi di trovare questi due eser- cizj riuniti in una medesima persona. Se dunque si può tenere che il Capanna pittore senese nominato dal Vasari sia il nostro Giacomo di Lorenzo, verremo a dire che la pittura della facciata della casa de' Turchi, oggi de'Piccolomini-Cle- mentini sulla piazzetta delle Loggiè del Papa, esiste ancora in parte, nelle teste che si veggono dipinte sotto il tetto ; e che l' altra facciata sopra la piazza ( del Campo) sia quella della casa che fu de' Bocciardi e poi degli .Anastagi , posta presso l'Oratorio de'Tredicini nella via del Casato, dove anc'oggi, sebbene in gran parte guaste , si veggono , fra gli spazj delle finestre , figurate di chiaroscuro le fatiche d'Ercole. 613 N TJJ o Eh Eh PQ t> o ^ " CD 5? S3 P Ph P pq » §11 1 •H fl < ** < P IO Q . O CJ «J3 5 41 Rao 25 0.t3 CD +^ ri O £ ° 'fa H ^ Si «2 _ C3 ® -ce ~ g 35 25 m ° B $ ©Si O o-3 CD cu 615 COMMENTARIO * ALLA., Vita di Baldassarre Peruzzi Non ci pare fuor dì luogo il far seguire alla Vita del Peruzzi questo ' Commentario, nel quale diamo un catalogo sommario dei molti disegni e studj di architettura dell'artista senese, conservati nella ricchissima rac- colta della Galleria degli Uffizj ; i quali abbiamo cercato di dividere pos- sibilmente in due categorie : l' una di quelli tratti dai monumenti antichi di Roma e di altri luoghi d'Italia, e l'altra di quelli appartenenti alle fabbriche così civili come religiose la più parte d'invenzione del Peruzzi, sebbene non abbiamo potuto assegnare a molti di questi il nome dell' edi- lìzio o il luogo, perchè spesso mancanti di qualsiasi indicazione. Studj e Disegni di monumenti antichi di Roma e d! altri luoghi Assisi. — Schizzo a penna della facciata di un tempio, composta di sei colonne d'ordine corintio sormontate da frontispizio rettilineo, con la seguente indicazione autografa : « In Ascesi in la piaza comune di lapide tiburtino - opera corintia ». A parte vi sono gli studj più in grande di una delle basi di dette colonne con l'indizio della scalinata ad esse addos- sata e di una parte della cornice che sostiene il frontispizio. Benevento e Fola. — Disegno a penna misurato in tutte le sue parti dell' « Arco di Porta ischiana ». Vi sono anche riportate le iscrizioni esi- stenti nel fregio 'e nell' architrave. Evvi ancora uno schizzo in alzato del- l' « Arco di Bonivento ». Ferento presso Viterbo. — Schizzi a penna di piante e di alzati di alcune parti dell'antico teatro a Ferento presso a Viterbo. — Schizzi diversi a matita rossa di pianta e alzati del « theatro a ferento cipta antiqua presso a Viterbo ». . 616 COMMENTARIO ALLA VITA — Ricordi a penna di avanzi d'architettura molto antica, in parte misurati, trovati a « Ferento presso Viterbo ». Frascati. — Base jonica misurata « In la piazza di Frascati ». Gaeta. — Ricordi in matita di pavimenti con ambrogette di varie forme. V è scritto : « Pavimenti in la Annuntiata di Gaeta ». A tergo ; altri schizzi a matita nera con misure del « templum Martis ». — Disegno a penna di un capitello dorico, della sua base e di un altro capitello jonico le cui volute sono formate dalle corna di ariete poste ai quattro angoli. Vi si legge : « In la chiesa cathedrale di Gayeta ». A tergo: ricordo a matita misurato di un fregio e cornice « sopra el monte di Gayeta ». Mola. — Schizzo a matita e penna di pianta e alzato con misure di un' « Opera etnisca a Mola ». Evvi pure scritto a matita: « socto el giardino di Mre Laudato a Mola ». A tergo: schizzo d'interno di tempio. Ostia. — Schizzo a penna misurato di pianta e parte inferiore di alzato di un edifìzio « di mactoni arotati a Ostia », e di una « basa di decto edi- fitio a Ostia ». A tergo : semplice schizzo di pianta a matita rossa. — Pianta a penna con sue misure del « Porto presso a Ostia », e pianta di tempio tondo, sotto il quale è scritto di mano di Salustio: « Tempio ad Ostia cioè al Porto ad Porta Romana ». A tergo : schizzi a penna di piante e tagli di antichi edifizj , cioè del « finimento del colis- seo — Parti interiori de amphiteatr'o — Templum Pacis » (scritt. di Sa- lustio ). Disegno prospettico di una cornice molto ornata dell' « Arco Ca- milliano ». Evvi ancora, di mano di Baldassarre, questa iscrizione : sena- TUS POPULUSQUE KOMANUS DIVO TITO DIVI VESPASIANI ET VESPASIANO AUGUSTO. Roma. — Arco di Tito Vespasiano. Cornice dell' arco con sue misure. Disegno a matita rossa. — A San Cosimo e Damiano. Ricordo a penna di un arco bugnato con sue misure. — Ricordo di parete e pilastro bugnati, con misure e scrittovi le di- verse qualità delle pietre. — Sepolcro degli Augusti. Schizzo dell' alzato e vari profili di detto sepolcro — San Lorenzo fuori di Roma. Ricordi a penna con misure di urne sepolcrali ivi esistenti. — Disegno a penna con sue misure della « Cornice et colonna a lo arco di Camjllo in roma in loco dicto Camiliano ». ■ — Disegni a penna e seppia o in lapis di piante, tagli e alzati di edifizj antichi senza indicazioni. — Altra pianta con sue misure di tutta la chiesa di San Giovanni in Fonte con alzato e due tagli, in uno dei quali di mano di Baldassarre DI BALDASSARRE PERUZZI 617 Peruzzi è scritto: « piano crociera di tiboli (?) ornata di musaico ». Nella pianta di mano di Salustio si legge : « A san Giovanni in Laterano cioè a san Giovanni in Fonte ». Le altre dichiarazioni sono della stessa mano ignota citata alla pagina seguente. A tergo: pianta rettangolare della lunghezza di canne 97 con quattro porte e quattro finestre nella facciata anteriore, e nel lato opposto un emiciclo di palmi 200 ed altri due emi- cicli di 40 palmi ai due fianchi posti in mezzo da due porte. — Schizzo a penna con misure della « cornice del basamento di co- lonna traiana » ed altro della « colonna de la opera dorica e canto a Sancto Hadriano ». A tergo, idem. — Schizzi a penna con misure di varie parti di un cornicione molto ornato in « Foro nervae apud sanctum Hadrianum ». A tergo, altri schizzi a penna e matita rossa di membri architettonici del Foro di Nerva. — Altri ricordi come sopra di membri architettonici in « Foro Nervae ». — Profilo a penna con misure di una base del « sepulcro augustorum apud tiberini presso ecchlesia (sic) Sancti Rocchi ». A tergo: indizio e misure « della pyramida in sepulcrum augustorum ». — Altri ricordi con misure dello stesso sepolcro. — Pianta schizzata a penna con misure e con queste indicazioni : « aqueducto — cippus — socto a li pilastri di Sancto rocho verso Schia- vonia in Roma ». — Ricordi a penna di piante, profili e alzati di « parte del Colosseo », misurati « per pie antiquo ». — Ricordi a penna misurati di fregio e cornici apppartenenti al « Tempio Antonini Pij ». Evvi pure lo schizzo di una colonna striata, dove leggesi: « In deamitro pie 6 1/ì apud templum pacis versus meridiem ». — Schizzo a penna di pianta con misure e la indicazione: « Sub Aventino » e « Ripa tiberis ». — Profilo a penna di una base e pianta di colonna striata con le loro misure, dove leggesi : « Sancti Basilij » , e sotto in lapis « a Spoglia Xpo ». A tergo: altri ricordi misurati in pianta, profili e alzato dall'antico. — Schizzo a penna con dichiarazioni e misure del « fondo del obeli- sco a Sancto Rocho in Roma ». — Schizzo di pianta e profilo di base con misure. Ricordo di un portico e di un pavimento ad ambrogette di varie forme. Vi si legge : « Presso a terme diocljtiane verso lacqua virgine ». Disegno a penna e matita rossa. — Schizzi a penna di piante misurate. In una è scritto : « de tibur- tino lapide in foro boario ». In altra : « peripteros presso theatrum Mar- celli ». A tergo: schizzi a penna, di architettura, di un putto e otto teste. 018 COMMENTARIO ALLA VITA — Schizzi a matita in pianta e di un profilo con misure. Vi si legge : « pilastri di circo flaminio ». — « Cornice di porta flammea », molto ornata e misurata. — Schizzo di colonna di « granito », con sue misure e questa indica- zione : « Colonna in li portici de Octavia a sancto Stephano del Cacco in Roma ». A tergo : disegno a penna di un tempio con portico con colonne di « marmo » , ed il resto « di mactoni ». Nella stessa carta v' è, di mano del Peruzzi, un ricordo delle giornate fatte dai seguenti artefici, che pare fossero dipendenti da lui in qualche lavoro: M.° Jac.° siciliano pictore Zara pictore 7 Jovan de Udene pictore 22 Joannj ant.° orefice 26 Silvestro da Bressa fabro 4 Jac° d' Arezo pictore ; 17 Matheo miniatore 22 Domenico ." 22 Baltassarre pictore 21 — Cornice molto ornata > disegnata a matita rossa, con questo ri- cordo: « A sancti quattro ». — Basamento della colonna Traiana ed altri schizzi con misure trac- ciati a matita rossa. — Profilo a penna di architrave con misure e i seguenti ricordi: « In li portici di Octavia a san Stefano del Caccho Misurato con pe antiquo partito in xvj digiti e ciascun digito in grane 4 ». — Schizzo a penna dei lacunari di una volta « presso a la villa Malliana circa a mezo miglio ». — Ricordo misurato di una cornice « presso theatrum Marcelli ». Ed altri ricordi misurati del « Templum divi Antonini et divae Faustinae ex S. C. ». — Pianta ottangolare e taglio dell'alzato con sue misure e indica- zioni di Baldassarre e di altra mano ignota. Vi è poi eli mano di Salustio Peruzzi questa indicazione : « A santo Giovanni in Laterano ditto in Fonte ». A tergo: pianta misurata del « Tempio in Pace dal lato del Campidoglio ». — Pianta circolare con portico , dentro la quale di mano di Baldas- sarre si legge: « Templum Neptunnj in capite cirej maximj ». E sotto il portico : « Apucl Templum Fortunae ». Più uno schizzo di parte di alzato interno. Nello stesso foglio è pure tracciata una « parte di Circo ìnaximo » e di mano di Salustio è notato che « in un libro piciolo ce n è un altra parte ed è misurata ». — Schizzo a matita nera di piante, alzato e profili dell' « Arco Boa- rio », scrittovi di mano di Salustio. DI BALDASSARRE PERUZZI 619 — Schizzo a penna dell'insieme dell'Arco creduto di Domiziano, già detto di Portogallo, e di altre parti dei medesimo in dimensioni più grandi. Di mano di Salustio vi è scritto: « larco di Portogallo ». A tergo: disegno a penna di un elegantissimo imbasamento ornato di animali e figure. Di mano di Salustio vi si legge: « Questo ha quattro faccie et è in Tivoli e ugni faccia ha una figura varia ». — Pochi segni di cornici misurate con la seguente indicazione auto- grafa di Salustio Peruzzi : « Dell opera dreto a S. Apostolo in sul monte ». A tergo : ricordo misurato di un ricco cornicione e di altre parti archi- tettoniche. Sotto il cornicione Salustio vi scrisse : « di questo ce n è in un' altra carta ». — Disegno a penna di una tazza tonda con piede misurata. Di mano di Salustio è notato: « A Santo Cosmo e Damiano A tergo: pianta di una chiesa a tre navate. — Disegno a penna di un vaso tondo striato di porfido con sue mi- sure trovato « a San Cosmo e Damiano ». — Tazza di marmo con piede ed un manico, con sue misure, trovata « a Santa Maria Maggiore in la piazza ». A tergo : pochi segni a matita di piante e di profili. — Disegno a penna di Salustio di una vasca di forma ovale, con sue campanelle e pianta. A tergo: schizzo a matita di una facciata di chiesa. — Pianta misurata a canne e palmi romani del Panteon. Disegno a penna e acquerello in foglio grande. A tergo: varj schizzi, tra i quali un bel « Vaso del Cardinal della Valle ». E di mano di Salustio è scritto : « Templum Panteon ed altre piante ». — Piante misurate di « Parte di Therme Dioclitiane ». A tergo spianta delle « Therme antoniane ». — Disegno in alzato e in pianta e altre parti, tutto « misurato con braccia fiorentine », del tempio « al fianco a San Nicola in Carcere Tul- liano verso mezo dì in Roma ». Evvi ancora un piccolo schizzo di pianta, dove si legge : « S.t0 Angelo in Pescarla » ; ed altri schizzi della pianta e parti della « Basa del Sepulcro di Cecilia detto Capo di Bove, larga a br.a fiorente b.a 50 e % ». — Pianta di un laberinto. Disegno di un cippo, nella cui faccia prin- cipale è scritto : « Per la via da Ostia a Roma : à drento di voto un qua- dro di palmi 10 per ogni verso quadrato d un pezzo di marmo ». Pianta e alzato di un tempio con sue misure. Altro semplice schizzo di pianta misurata con queste indicazioni: « Capocce in le Terme Titiane Ca- poccie idest capaces aquarum ». — Ricordi a penna misurati di alzati, tagli e profili del Colosseo. A tergo : pianta e schizzi a matita e penna di figure ornamentali. 020 COMMENTARIO ALLA VITA — Schizzi a penna e a matita rossa di alzato e piante misurate. Di mano di Baldassarre si legge : « Inanzi a Templum Pacis in Roma » ; e di Salustio: « Dietro a S.a Maria Nova ». — Disegno a penna della facciata e studj di altre sue parti di un tempio « presso a Sancto Sebastiano ». Base misurata « Jonica apud Ma- cellimi corvorum ». Schizzi di lacunari con questa indicazione : « Lacu- naria Basilicae Caesaris, In Foro Trajano ». — Disegno a penna di una volta « in monte aventino » con dichia- razioni scritte degli animali, fogliami, figure, stucchi, ecc., che ornano ciascun scompartimento. — Basamenti misurati, uno dei quali « dell arco di Tito Vespasiano » e profilo di una cornice, dove leggesi : « Cornice di mactoni a belvedere verso prata per Bramante ordinata e composta ». — Pianta a penna diligentemente disegnata, con questa dichiara- zione: « Portico di Pompeio dal vulgo dicto Cachabario, da altri Casa di Mario e la chiesa di San Salvatore e nel proprio edifìcio in Roma e in maggior parte è rumato e disfacto e misurato con braccio fiorentino ». E dentro la pianta: « In le case di S.a Croce — Via da campo di Fiore — in piazza Judea ». Dalla parte di mezzodì, fuori della pianta si legge: « Piazza Judea — Macelli ». E dalla parte di occidente : « Ecclesia Sancti Salvatoris in Caccabario ». E nella via pubblica : « A fronte a la casa de' Cenci ». A tergo: disegno a penna della base della Colonna Trajana con sue misure. Nella parte inferiore è un genio alato che tiene la car- tella, dove è riportata l' iscrizione in sei righe che comincia « senatvs po- pvlvsqve romanvs » e termina « .... ibvs sit egestvs ». In alto è dise- gnato il cominciamento della colonna con taglio della sua interna « scala coclide » o scala a chiocciola. — Ricordi a penna da ambe le parti di 42 colonne antiche con le loro misure e la indicazione della loro materia, cioè: « Granito rossecto. Cipolla — Granito bianco — Mistio — Marmo venato ecc. ». Delle quali colonne alcune erano « in terra ». Di mano di Antonio da Sangallo il giovine, oltre essere state messe nuove misure a queste colonne, a tre di esse fu posta quest'annotazione: « Dallevare. . . . adesso sono in pie ». — » Disegno a penna e matita rossa di cornici antiche molto ornate, con le misure e le indicazioni dei luoghi, cioè: « In Capitolio — In Carcere Tulliano — In Camiliano » ossia Arco Camilliano. A tergo:" altri studj come sopra tolti « in Monte Aventino — In Monte Palatino ». — Piante misurate dell' « Arcus Lucij Septimij in Via Sacra » del- l' « Arcus Costantini] apud Anphiteatrum » e dell'arco di « Titi et Do- mitiani ». A tergo : pianta misurata della « Colonna di Templum Pacis ». E base misurata dell' arco di « Lùcij Septimij ». DI BALDASSARRE PERUZZI 621 — Piante con misure di varie parti di un teatro antico. Nella prin- cipale si legge : « c. 32 largo el teatro senza el graduato e col graduato fore è canne 36 et p. 36 lj$ ». A tergo: altre piante simili. — Varj schizzi a matita nera con misure di piante e profili, con la indicazione seguente di mauo di Salustio Peruzzi : « Parte del Theatro di Marcello ». A tergo: altri schizzi a penna di pianta con misure. — Indizj a penna di piante con misure, dove in più luoghi si legge: « L'Arco di Terme largho canne 25 p. 1 ». E altrove: « Di Terme ». — Disegno a penna di tre basi misurate; una « Del Porticho di Pan- theon » , un' altra « deli tabernaculi del Pantheon » e la terza « apud Capitolium ». — "Varj schizzi a penna su carta azzurrigna con misure di alcune parti del « Pantheon ». — Semplice schizzo a matita rossa di pianta rettangolare circondata da colonnato. Vi si legge: « Prope Teatrum Marcelli ». Altro schizzo come sopra di cornice e architrave esistente « In Carcere Tulliano ». A tergo: altri schizzi a matita rossa di pianta di altro edilìzio simile al precedente, della cui « Porta » Baldassarre dà il profilo, e due capi- telli, in uno dei quali di mano di Salustio è scritto: « Sotto a la ripa Tharpea verso piazza montanara — di peperigno ». — Schizzi a penna misurati di varie parti di un eclifizio antico « prope Theatrum Marcelli ». — Disegno misurato a penna del taglio di una tazza o vasca antica « a Santa Susanna ». — Ricordi a penna di un capitello e profili di cornici misurati, con l'indicazione « In piaza di Pantheon ». A tergo: schizzi di pianta di tempio con misure e alzati. — Ricordi a penna di un basamento misurato con questa indicazione « Basamento socterrato Arcus Lucij Septimij ». A tergo : altri schizzi di cornici e di un portico. — Schizzi a penna di piante e di alzati interni. In una di esse piante, di mano di Salustio, si legge : « Questo si è Sancto Cosmo e Damiano ». Vi sono ancora schizzate 6 figure nude, una delle quali su cavallo corrente. A tergo: pianta di un tempio quadrato a tre navate con portico di pila- stri, colonne e avancorpi circolari ai lati. — Schizzi a penna di piante e alzati interni e di una base misurata , nella quale si legge: « Archus Septimij Lucij ». A tergo: pochi e sem- plici schizzi architettonici. — Schizzi a penna e a matita rossa con misure di varie parti di edi- fizio antico con queste dichiarazioni autografe : « Inter Theatrum Marcelli et Pontem Fabritij Presso a Ponte Fabritio inter Hebreos ». A tergo : 622 COMMENTARIO ALLA VITA disegno a matita rossa eli due grifi, con la indicazione: « A S. Bartolom- meo in Isola ». — Schizzi in pianta e di profili misurati, con questa indicazione: « In Colle Quirinale inter Thermas Neronianas ». A tergo : pianta di un edifizio, ove è scritto di mano di Salustio : « In Monte Cavallo riscontra a San Silvestro ». — Pianta e taglio a penna ed acquerello di « Parte de le Terme di Costantino dietro a Santo Apostolo » scritto di mano di Salustio. — Schizzi a penna di piante, alzati e profili con loro misure del- l'« Arco Boario », e dell' « Arcus Theodosj in Foro Boario ». A tergo: pianta a penna misurata di una sala con questa indicazione autografa: « Sala de Messer Angustino Chigij ». — Disegno a penna di basi, capitelli e profili di cornice con loro misure ; una parte tolti dall' « Arco Plamminio » , altri « ad Sanctam Pras- sedem » ed altri dal tempio « Divi antonini et divae Faustinae ». — Ricordi a penna tolti dall'antico, di piante, cornici e capitello, con le indicazioni, in una cornice : « Divo Antonino et divae faustinae ex • s • c • »; in altra cornice : « Trium Columnium » (Tempio di Venere); ed in altra cornice e capitello: « In radicibus Montis Tharpey ». — Pianta a penna di una cornice riccamente intagliata della « Porta di uno Tempio exastilos a santo Nicola in Carcere Tulliano prope Thea- trum Marcellj ». — Schizzi di piante con misure senza indicazioni. A tergo : altri po- chi schizzi del « Vano della Ritonda » e base di colonna comparata col piede umano. — Ricordi a penna in pianta e in alzato di edifìcj antichi. A tergo: idem. — Piante a penna di due differenti tempj con vestibolo. In ambe- due e scritto: « Fuora di Roma 1. miglio ». — Disegno a penna con misure della « Cornice de la porta di pan- theon ». A tergo: profili a penna di basi, cornici ecc. — Modani di cornici, cimosa, base ecc. delineati a penna. — Disegno a penna e acquerello, con sue misure e dichiarazioni, per un bagno. Vi si legge : « balneum sive labrum — Caldarium — Te- pidarium — Frigidarium ». • — Due disegni in foglio del teatro Marcello, in uno dei quali, mac- chiato di seppia,, è scritto di mano di Salustio: « Pars Theatri Marcelli » e a tergo : « Disegni di esterni ». -— Pianta schizzata a matita rossa con misure scritte a penna delle Terme Diocleziano. Nella sala maggiore, di mano di Giuliano da Sangallo si legge: « In tutto palmi 330 ». A tergo: schizzi a matita rossa di cor- DI BALDASSARRE PERUZZI 623 nice dorica, di profili di cornici, di pianta e alzato, che possono riferirsi alla fabbrica di San Pietro. — Disegno a penna e acquerello in gran foglio con misure e dichia- razione della pianta dello stesso edifizio. — Pianta a penna del « Teatro di Marcello ». A tergo : altri schizzi in pianta e in alzato dello stesso teatro; vi si legge: « Savelli ». — Ricordi schizzati a penna di varj monumenti con misure e di- chiarazioni, fra le quali si legge, in poche linee di pianta: « theatrum Marcellj — circa a questo loco et theatro di Marcello »; in una ricca cor- nice: « va dricto al portico de la scena del theatro di Marcello — per ogni due lacunarij una testa leonina » e più in basso sopra al capitello : « Questa è la più bella e meglio lavorata opera di Roma ». In una parte di pianta con portico intorno : « prima fu tempio , poi carcere dicto tulliano secondo alcuni, e stato rovinato al tempo di me baldas- sarre architettore ». E nelle colonne : « opera jonica — colonne striate di 24 strie opera di peperigno lavorata di stuchi e li peristilij erano di ti- burtino » [travertino). Evvi infine lo schizzo del tempio di Antonino e Faustina, dove il Peruzzi ha scritto: « Opera corintia e base, capitelli corniciamenti titcti di marmo e le colonne di mistio cipollino ». A tergo : varie cose schizzate a penna con misure e dichiarazioni. Tre obelischi, dove in uno è scritto: « obelisco in vaticano »; nel 2°: « nel circo di An- tonino Caracalla a San Sebastiano »; e nel 3° : « di questi obelischi ne son due a san Rocho, uno fuore in la via publica e laltro e sopterato li acanto a 1 augusta verso africo ». Schizzo di un piccolo tempio tondo « di basso rilievo di marmo murato in la faccia de lo spitale di sancto Jani Late- rano verso la piazza ». Semplici profili di cornici e basi misurate : « Tutte queste cornici e base son state trovate in foro transitorio dietro a Sancto Adriano ». Schizzo di due porte misurate; nella più grande e detto : « parte posteriore — porta inanzi al portico di Sancto Pietro ». — Ricordo a penna della metà di un bellissimo capitello corintio, tutto misurato e con questa indicazione autografa : « Questa colonna era di mistio, era alta con basa e capitello br. 13. m. 30 — Questa opera era in la basilica del Foro transitorio dove è oggi San Basilio — In Roma, eia parte inte- riore tucta è guasta — era de le ben lavorate opere che in Roma fussero ». Evvi ancora lo schizzo misurato di una metà di base di ordine corintio trovata « a San Marco ». A tergo : ricordi a penna di varie cose tutte di- ligentemente misurate, un capitello corintio, ed una. ricca base, dove è detto : « Fo reperta in piaza Càpranica in Roma e è disfatta — era dì marmo ». — Disegno pulitamente condotto a penna di una parte della « Ba- silica in Foro Transitorio » con le sue misure e indicazioni, tra le quali: COMMENTARIO ALLA VITA « misurato con braccio fiorentino partito in minuti 60 » e nella base della colonna corintia, il cui capitello è descritto al disegno numero 1564, si legge: « di queste base n'è restata una a San Marco in Roma ». Nel muro a bozze è detto : « peperigni — muro interiore del foro transitorio ». V è anche lo schizzo di una cornice che « non v* è ». A tergo : semplice profilo di una cornice « in San Basilio in Roma ». Schizzo di un capi- tello d'ordine dorico esistente « al Macel de Corvj ». Ricordo misurato di una « cornice di porta in le Terme Titiane ». Ricordi misurati di due basi, in una delle quali è detto: « Basa di tre colonne ». Evvi pure il disegno di parte del « muro e parete exteriore del foro Transitorio di X^eperigno » scompartita orizzontalmente da quattro « fascie di tiburtino » e il ricordo misurato della « cornice dentro di tiburtino ». — Schizzo a penna misurato del profilo e della pianta di un capi- tello corintio esistente « In San Pietro sopra al pilastro quadro acanto a le porte verso il volto sancto che acompagna le colonne grandi ». Pro- filo di base di colonna con l'indizio dei suoi ornamenti, con questa in- dicazione « basa di colonna di pai. 5 grossa — in casa de le herede di Messer Melchior Baldassino in Roma ». Roma, Ancona, Tivoli. — Foglio, ove sono disegnati a penna 10 sti- lobati o basi misurate a palmi e con le respettive indicazioni dei monu- menti, ai quali appartengono , e sono : « tertio ordine corintio in Colosseo — stilobata jonica in colosseo — Basamento in sepulcro Augusti — Basa- mento di Colonna Traiana — Arcus Constantini — stilobata de lo arco de Ancona — stilobata in sancta maria ritonda — Lutij Septimij — stilo- bata per la via di Tivoli — Arcus Titi ». Roma, Narni, Verona. — Disegni di alzati, piante e cornici di varj monumenti con loro misure, cioè dell' « Arco di Tito in Roma », del « Ponte rotto di Narni », dell'arco a « Verona » ed un arco con questa iscri- zione: « ti • flavivs • f • f • norcvs ■ in • vir • i • d • ». A tergo : altre piante e profili misurati. In una di esse si legge : « Opera jonica — Questa oggi in Roma e la chiesa di S.t0 Nicchola in Carcere Tulliano ». In altra leg- gesi: « Porticum Antoninj et Faustinae ». Spello. — Schizzo a penna della « porta di Spello antiqua » col pro- filo a parte della cornice che ricorre nell'arco di essa porta impostato su due pilastri fiancheggiati da due colonne doriche che sorreggono il fron- tispizio rettilineo. A tergo : « Porta di Spello » fiancheggiata da due tor- rioni di forma « duodecagona » ; attaccato a quello a sinistra è un piccolo spazio, dove si legge: « prigione di Orlando ». Piccolo schizzo della pianta di un « Theatro a Spoleto » e schizzo misurato di tre pilastri con mezze colonne addossate, e con questa annotazione : « È in Spoleto in uno Mona- stero di Moniche — si vede questi tre pilastri ». Sono nello stesso foglio DI BALDASSARRE PERUZZI 62u rapidamente schizzati in pianta e in alzato due monumenti composti dj guglie piramidali sormontate da una palla, sopra alcune delle quali è in- dicato un Pègaso. Terracina. — Disegno a penna misurato della parte inferiore del tempio di Apolline con colonne striate e pareti a bozze. Vi è indicata la materia di alcune parti, per es. « marmo tiburtini foderati di marmi — lateritij ecc. ». Fra le altre indicazioni si legge : « templum Apolljnis. — Dreto a la chiesa del vescovado di Terra cina ». In basso, di mano di Salustio figliuolo di Baldassarre si legge : « Una bona parte di questo Tempio e si è in quello libro longo ». A tergo : la. pianta del medesimo tempio, e questa iscrizione: c • postvmio • c • p — pollio — architectvs. Vi è altresì di mano di Baldassarre questa indicazione : « In Terracina nel fianco de la Chiesa cathedrale dove già fu él tempio de Apolline ». — Schizzo di parte del detto tempio, accennatovi il sito ove trova- vasi la iscrizione surriferita. A tergo : ricordo a penna con misure di un' antica cornice di « marmo » dove è scritto : « voluto di fogliami bel- lissimi » e più sotto « fascia in fra 1 intercolumnij ». — Disegno a penna di un tempio quadrato sostenuto da quattro co- lonne joniche di « misto simile a le colonne grosse a canto a la porta di Sancto Pietro in Roma ». In testa è scritto: « In terracina passata la piaza verso Napoli — In casa de Ant° Garoso et di Cola Abottato ». — Profilo a penna di cornice e capitello, e pianta di « Cappella » con le sue misure. Nella cornice è scritto: « In Terracina in Casa di Cola , Abbottato passata la piaza ». A tergo : profilo a penna di cornice con ca- pitello jonico presi pure « In Terracina » e la copia di una iscrizione antica che comincia : « imp • caesari • divi • avo • f • avgvsto ». — Indizio di un grande sasso dove dall' alto in basso sono segnate dieci cartelle equidistanti l' una dall' altra, dentrovi notati i piedi in cifre romane cominciando dal « xxx » sino al « xxxx » di dieci in dieci. Nel- l' angolo in alto leggesi questa dichiarazione : « Sasso vivo tagliato a Ter- racina per far la strada al lito del mare segnato di dieci in dieci pie come in questa carta è designato ». l'odi. — Disegno a penna con misure dell'alzato inferiore di un tempio a bozze con quattro nicchie della larghezza di piedi 16, e sotto la respettiva pianta si legge : « In tuderto — corinthyo opera barbarisca ». Verona. — Disegno in foglio dell' « Anphiteatro di Verona » con mi- sure e dichiarazioni. Vi è anche dimostrato il modo con cui le pietre dei gradi sono l'una incastrata con l'altra. A tergo: ricordi misurati dello stesso edilìzio. — Altri schizzi di alzato del medesimo anfiteatro, senza alcuna in- dicazione, Vasari, Opere - Voi. IV. 40 02(3 COMMENTARIO ALLA VITA Disegni e studj di edifizj moderni, la più parte di propria invenzione Albano. — Schizzo a penna di un monumento in Albano. Ha un basamento quadrato con sopra, in centro, una guglia quadra e quattro coniche più piccole negli angoli. In basso del foglio, schizzo di pianta con l'indicazione « Armellina ». A tergo: frammento di lettera di Van- noccio Biringucci con la data del MDxxmj. Bologna. — Tre disegni a penna e acquerello di piante per la « Casa del Conte Cornelio Lambertini in Bologna ». Questi disegni furono man- dati da Baldassarre al committente, il quale vi pose le sue osservazioni e gli rinviò poi all'architetto, come rilevasi dall' indirizzo seguente a tergo del foglio n° 16 : « Al ma. Baldessera da Siena Architetto quanto fratello honorando ». — Disegno a penna, matita rossa e acquerello della pianta per la cupola di San Petronio di Bologna (?). A tergo: altro indizio di detta pianta, e dentro elegante pianta per una chiesa con gradinata e portico con 8 colonne. Evvi anche un' altra pianta di un grandioso edifizio e schizzo del taglio. Caprarola. — Pianta e alzato con misure « del profilo de la Rocha di Caprarola ». In basso v' è il seguente ricordo autografo : « Ser Silvestro da Caprarola ebbe julii 16 da me Baldassarre architecto de Siena per comprarmi tanto lino : noi comprò ne mi rendè e denari ». A tergo : schizzo di pianta e di due calici. — Pianta a penna e acquerello con misure della Rocca di Caprarola, — Tre piante simili di un casamento con torrioni ai quattro angoli , e due ingressi, l'uno opposto all'altro con vestibolo sorretto da colonne. Dalla parte di settentrione è un « fosso » ed il « Ponte levatoio ». — Castelnuovo della Berardenga nel senese. — Pianta del mona- stero e chiesa, di San Salvadore, e delle case circondate da mura mu- nite di ponte levatojo, di torri, e attorniate da fossi. Con varie indicazioni , fra le quali: « San Salvatore — la badia a Monistero — presso a San Gusmè ». — Tre fogli con stùdj di piante per un grandioso monastero, con le indicazioni di ciascuna parte. — Diversi disegni in pianta di un altro grandioso monastero con le indicazioni scritte di ciascuna parte. Castiglion della Pescaja. — Schizzo di pianta della « Casa de la Pescaia de le herede di Silvio Piccolomini ». Disegno a penna e a matita rossa con misure. DI BALDASSARRE PERUZZI 627 Cetona. — Nello stesso foglio : Disegno a matita rossa e acquerello in pianta per fortificare il « Girone de la Rocha di Cetona ». Chiane d'Arezzo. Sei disegni in foglio pulitamente condotti a penna e in acquerello, con sue indicazioni, contenenti vari modi di fare un lago nelle Chiane, come si rileva dal seguente ricordo di Salustio figliuolo di Baldassarre scritto a tergo del foglio segnato di n° 274: « Decimo modo — Fortezza da Chiane per far lago ». — Disegno a penna e matita rossa del « Porto e torre di Beccati quest'altro » sulle « Chiane ». Chiusi. — Disegno a penna e matita rossa per fortificare la rocca e le mura della citta. A tergo: dichiarazioni autografe per la costruzione del medesimo progetto. — Pianta irregolare per un'abitazione, a penna ed acquerello. Crevole nel senese. — Schizzo a penna con misure e indicazioni della pianta della « Rocha di Crevole ». Firenze. — Pianta della città. Schizzo a penna delle sole mura con la indicazione delle porte, dei quattro ponti sull'Arno, dei molini, del Duomo e del San Giovanni. — Schizzi a matita rossa da ambe le parti del foglio di pianta e alzato del Battistero e di Santa Maria del Fiore. Monte Antico nel senese. — Pianta a penna con misure per l'amplia- mento della « Casa di Belgrado a monte antiquo ». Montepulciano. — Cinque fogli con piante diverse per il palazzo del ' cardinale Ricci. Monte Sansavino. — Pianta a penna e bistro con misure e varie in- dicazioni, fra le quali: « La Chiesa di Sancto Augustino al monte San- savino. . . . alte le mura br.a 17 1/4 .... Volta a vela ». Piacenza. — Progetto di fortificazione per Piacenza. Disegno a penna e colori. Vi è segnata la scala con questa dichiarazione : « Trabucchi 48 e ogni trab.co braccia 6 ». E questa ed altre note che si leggono nel di- segno sono di mano di Baldassarre. — Altro disegno come sopra con qualche variazione. A tergo: una tavola di marmo con piedi a mensola ed altri schizzi. Vi si legge di mano autografa : « Il disegno del Castello ». — Altro disegno per la stessa fortificazione alquanto differente dal- l'altro, di mano ignota. In basso evvi delineato il braccio piacentino e questa dichiarazione : « Cadauno trabucho piacentino si è bratia seij de questa mensura qui segnada ». A tergo si legge : « Il Disegno del Ca- stello più justo ». Pisa. — Schizzi a penna e matita rossa in pianta e in alzato del Battistero, della facciata del Duomo e del campanile. 628 COMMENTARIO ALLA VITA Pitigliano. - Pianta per un grandioso palazzo per il « Conte di Pi ti - gliano ». Disegno diligentemente condotto a penna e acquerello, corre- dato di misure e indicazioni scritte su foglio grande quadrellato. Poggio Beale. — Schizzo in pianta della villa. A tergo, idem. Pori' Ercole. — Schizzi a matita rossa del « Porto d'Ercole » con mi- sure e dichiarazioni, fra le quali queste: « Rocca — Orbetello — Stagno — Molino » ecc. À tergo : altri pochi schizzi a matita rossa di piante. — Schizzo a penna con le indicazioni : « Orbetello — Stagno — Porto Ercole — Monte Argentario ». A tergo : altri schizzi a penna. — Disegno pulitamente condotto a penna e bistro con sue misure di un puntone, forse per Port' Ercole. Bapolano. — Pianta irregolare di un'abitazione « di Thomaso di Alberto e del Vescovo Venturini . a Rapolano ». E appoggiata al muro castellano con torrione. Baverina. — Disegno a penna dell' esterno e taglio .dell' interno di « S.a Maria Ritonda di Ravenna ». Sopra è scritto : « Il solo è tutto di un pezzo di marmo ». Boma. — Pianta di chiesa a croce greca con cupola e portico e con le misure di mano di Baldassarre di ogni sua parte. A tergo: altra pianta di chiesa a croce latina con le respettive misure. — Altro disegno di pianta per la stessa chiesa con qualche varia- zione. — Pianta a penna e bistro di forma ellittica con parte di annessa abitazione con le respettive misure. Nel centro della pianta, di mano di Baldassarre, si legge: « Cappella per il Vescovo teatino in Monte Pincio » e fuori del muro sinistro è scritto : « De frati del populo ». — Pianta di una graziosa villa con giardino o vigna di forma ovale « presso il Fivme • di • Salone » fra Roma e Tivoli. — Pianta di abitazione con giardino. Vi si legge a matita nera: « Giardino del Rev.mo Car.le Cesarino ». — Schizzo a penna di un architrave dove leggesi: « opera dorica di san Pietro ». Altro schizzo di porta centinata. Il tutto con misure. — Pianta regolare del pian terreno per l'abitazione « di Messer Luca di Maximo » come leggesi a tergo del foglio scrittovi di mano di Bal- dassarre. — Pianta del detto palazzo « di Messer Pietro di Maximo » con l'in- dicazione del sito della casa « di Messer Àgnolo di Maximo — di Messer Luca di Maximo » e della « Casa de Picchij ». Disegno tutto di mano di Baldassarre. '— Pianta del cortile del palazzo di Angelo Massimi. A tergo • suo ta- glio in lunghezza. DI BALDASSARRE PERUZZI 629 Roma. — Alzato della corte d'ingresso dello stesso palazzo. Questi disegni sono fatti da Sebastiano Serlio. — Pianta terrena del palazzo di Pietro Massimi. A tergo : alzato del cortile. — Facciata esterna. A tergo : Facciata laterale a sinistra della corte. Disegni del suddetto Sebastiano Serlio. — Palazzo di Pietro Massimi. Pianta e alzato di una loggia d' or- dine dorico. — Studj parziali per la detta loggia.' A tergo : pianta e alzato di un lato del cortile con « pozzo » quadrato. Disegni dello stesso Serlio. — Palazzo in- via Giulia. Pianta. A tergo, porta e finestra. — Alzato interno di una porta che mette alla scala, e pianta della scala medesima. Disegn.0 a penn^L con- sue misure. — Alzato del fondo della corte. A tergo: altro alzato interno. — Palazzo Ossoli (?) in via Balestrari. Tagli in larghezza e in lunghezza. A tergo: pianta terrena. Disegni di mano di Sebastiano Serlio. — Taglio in larghezza con veduta della scala. A tergo: pianta ter- rena. Disegni di mano del suddetto Serlio. — Chiesa della Madonna della Penna. Pianta di forma ottangolare con portico e altri varj annessi. Nel luogo della cappella maggiore è di mano di Baldassarre Peruzzi « per la Madonna dela Penna a canto al fiume, a S. Maria del populo ». Disegno in foglio grande a penna e acquerello. — Pianta quadrata per riduzione di' una chiesa. Neil' angolo inferiore a sinistra Baldassarre vi scrisse di sua mano : « Et volendo diminuire la presente grandeza è di necessita buctare la capanna facta per la angustia de lo spazio ». — Pianta dell' « orto di sancto roccho » con indicazioni di località circostanti, dove fra le altre cose è notato « monte del Sigre Jacomo "Or- sino e soi confini cola compagnia di sancto Roccho ». In altra parte: « Finestra ferrata di Messer Andrea da Gallese ». Nel margine leggesi questo ricordo : « E da advertire che quando si misurò dicti confini che m° Ant° da morco misurò con una canna più longa che 1 debito, */* di palmo che lui vivente ne porrà fare vera testimonianza perchè importa tanti quarti quante son canne indanno di sancto Roccho ». Leggesi an- cora « Schiavonia » e in testa al foglio: « In sepulcro augustorum ». A tergo : ricordi a matita rossa di una cornice « misurata per palmi par- titi in minuti 60 ». — Schizzi da ambe le parti a penna e in lapis di piante di forti- ficazioni. — Disegno prospettivo e profili con misure del palazzo della Farne- sina. A tergo lo stesso palazzo a chiaroscuro. C30 COMMENTARIO ALLA VITA Roma. — Disegno per una chiesa presso il Campidoglio. Pianta cir- colare con « Portico ». Nella cappella del lato destro accosto alla cap- pella maggiore è segnata la pianta di una muraglia irregolare, con la indicazione: « La immagine di Nostra Donna ». E dentro la cappella maggiore, sempre dallo stesso lato, è indicata un'altra pianta segnata di lettera B con questa dichiarazione: « In questo luogo segnato B si porria accomodare la medesima Imagine tirando tucto il Tempio, cioè questa Cappella in quel luoco ». Dalla parte sinistra è segnato : « Via del Campidoglio ». — Disegno a penna della meta sinistra della facciata del detto pa- lazzo. Di mano di Baldassarre si legge « un quadro -f-per questo verso — mezanini — camera — camera-alteza. In alto nel mezzo del fo- glio : « a' Chigij ». Di scrittura posteriore in basso si legge : « Pa- lazzo de' Chigi in Roma » ; ed in alto : « l' architrave è a proportione del pilastro A: el fregio è alto dua architravi e l/jf la cornice è manco la quarta parte del fregio : qual fregio è più alto della proportione per ri- spetto di cavarci i lumi ». A tergo : rapido schizzo della parte superiore della estremità destra di detto palazzo, e studio dei balaustri dei para- petti dei quattro finestroni laterali, alla porta principale. — Pianta irregolare di uri casamento con loggia. Disegno a penna e acquerello con misure e indicazioni. — Pianta quadrata di abitazione. Disegno a matita e bistro con misure. — Pianta quadrata per chiesa senza alcuna indicazione. Disegno a penna. A tergo: pochi schizzi di pianta e alzato. — Ricordi a penna con misure di colorine antiche ; in una è scritto : « Di Sa' Pietro — Colonna di granito da 1 organo in terra » ecc. A tergo : Schizzo a penna dell'alzato di un portico a tre archi con pilastri e co- lonne. — Schizzi a penna di varie piante di chiese e spaccati interni delle medesime. A tergo : altre piante di tempj , spartiti di pavimenti ed altri schizzi. — Disegni a penna ecc. di una parte di alzato interno di detta chiesa. A tergo: altri schizzi in pianta e in alzato per una chiesa. — Schizzo a penna e seppia del taglio longitudinale prospettivo di un tempio con vòlta e abside e tre porte. — Disegno a penna e seppia dell' interno di un tempio a croce greca. — Disegno a penna e bistro della facciata di un tempio con frontispi- zio triangolare. L'intèrno dell'edifizio è di forma rotonda adorno di colonne. — Schizzo dell'interno di un tempio come sopra con misure. — Schizzo a penna macchiato di seppia del taglio di un tempio ro- tondo con cupola. DI BALDASSARRE PERUZZI 631 Soma. — Disegno a penna e seppia dell' alzato interno di un tempio con quattro cappelle per lato, preceduto da un vestibolo rettangolare con tre porte. Piccolo disegno a penna e biacca dell' alzato di una corte di edilizio con portico e scala. — Frammento di pianta per una grande chiesa. A tergo: idem. — Pianta per chiesa a croce greca. Disegno per San Pietro. — Pianta di una semplice chiesa con la canonica annessa. — Disegno a penna dell'interno di un tempio di forma circolare, con veduta esterna della cupola. — Schizzo a matita nera di un tempio tondo a due ordini di colonne con cupola, circondato da un portico semicircolare con loggia sopra. — Schizzo come sopra di una facciata di tempio con tre porte e tre cupole. — Schizzo a penna con misure della « Porta di bronzo in nel por- ticale vechio di San Pietro antiqua misurata per palmi ». A tergo: pianta e taglio di un tempio tondo. — Disegno a penna ed acquerello di pianta quadrata con misure con avancorpo tondo in un angolo. Nel centro un chiostro pilastrate con cisterna. — Altro disegno simile. — Disegno a penna di intercolunnio d' ordine dorico con misure e di- chiarazioni scritte. A tergo : altro semplice schizzo d' intercolunnio. — Ricordi a penna di edifizj antichi con loro misure. A tergo : pochi schizzi di piante. — Schizzo a matita di una soffitta riccamente ornata di stucchi, con le misure di ogni spartito e cornice. — Disegno a penna e acquerello con sue misure di pianta per una chiesa a tre navate. — Pianta a penna ed acquerello di un'abitazione con vestibolo. A tergo: piante diverse. — Piante irregolari, una delle quali si rileva dover servire per uno ospedale, essendovi scritto: « Ospitale — Spedaliero — Cappella » ecc. A tergo : schizzi di pianta di una casa e di un fortilizio. — Piante diverse di abitazioni da ambe le parti. — Pianta di luogo fortificato. — Pianta a penna e bistro di fabbrica che sembra annessa al Va- ticano, con le seguenti indicazioni scritte: « Andito sopto a la Sacrestia — Andito a le Camere del Paradiso — Porta da farsi per comodità — Scarpa de la Cappella di Papa Sisto — Scala che discende di Palazzo in San Pietro ». Nello spazio medio lungo « Palmi 90 » e largo « 55 632 COMMENTARIO ALLA VITA palmi » si legge: « Qui socto e la Canova del Reve.m0 Cardinale di Capua ». E poi : « Porta che va a le stalle di Palazzo — Stallecta del R.to0 Cardinale di Capua — Via che discende al Cortile grande di Pa- lazzo — fetrada cuperta — Stantie del R.mo Cardinale di Capua ». Boma — Pianta a penna con misure di un lungo corridore pilastrate traversato da due vie pubbliche. Vi si legge di mano di Baldassarre: « Cortile di Santo Apostolo ». E a tergo, di mano di Salustio: « Corridore di Saneto Marco ». — Pianta (frammentata) a penna e acquerello con misure e indi- cazioni dello Spedale di San Giacomo degl' Incurabili. — Pianta della chiesa suddétta, con misure e indicazioni autografe di mano di Antonio da Sangallo. Sul dinanzi leggesi : « filo della strada lata », e di fianco : « canne 17 fino a meza la porta ». — Disegno a penna e acquerello, con misure e dichiarazioni scritte della pianta di un castello munito di ponte levatojo, torrione, baluardi, torre di munizione ecc. A tergo : schizzo di loggiato. — Disegno a penna e acquerello con sue misure di un giardino scom- partito in più spazii di varie forme scoperti e coperti da volte sostenute da 70 colonne. Fra le dichiarazioni, di mano di Baldassarre si legge : « Volte a bocte — Fonte — Croce — Colonne 70 ». E all'esterno: « Orto- vicino — Via pubblica » ecc. A tergo : disegno a penna e acquerello di un vestibolo , con misure. — Studj a penna di piante diverse. A tergo : idem schizzate di lapis. -- Disegno a penna e seppia di pianta di edilìzio grandioso inspirato dall' antico , con misure e dichiarazioni. — Disegno a penna ed acquerello del « Ponte Sancto Agnolo » come leggesi a tergo. — Disegno pel riordinamento di un monastero. Disegno a penna e- acquerello con misure e dichiarazioni. A tergo si legge: « Sancta Maria libera nos a penis Jnfernj ». Studj di pianta per un'abitazione. — Studj a penna e acquerello, con misure e dichiarazioni, per l'in- grandimento di un palazzo. — . Disegno a penna con misure e dichiarazioni di una pianta per abitazione. — Disegno à matita e bistro di pianta per abitazione senz'aldina indicazione. — Porzione di pianta topografica della città di Roma, con misure e le indicazioni delle vie che la circondano, scritte di carattere ignoto, cioè : « Via publicha del popolo — Via publicha in Campo Marzio — Le Monache — bizoche — Via publicha a rischontro a Schiavonia — Via publicha a Sancto Ambrogio da Milano — Via publicha ischontro a DI BALDASSARRE PERUZZI 633 San Girolamo ». Vi sono inoltre due indicazioni scritte di mano di Bal- dassarre, una delle quali dice: « canne 170 de la medesima jurisditione per piaza », Roma. — Disegno in più fogli a penna e acquerello con misure e dichiarazioni di pianta di una fabbrica fiancheggiata da due chiese ret- tangolari con portico e tribuna, la minore delle quali dedicata a « Santa Martina », l'altra molto più grande a « Santo Adriano ». Sembra che rappresenti il disegno del come stavano queste due chiese e le fabbriche annesse prima che Martino Longhi il giovane rifacesse quella di Santo Adriano, e Pietro Berrettini quella di Santa Martina. A tergo: schizzi di altre piante a penna. — Schizzi a penna della pianta dell' antica basilica di San Pietro, che esisteva ancora fino al 1520, con misure e dichiarazioni autografe, fra le quali : « Sancto Pietro di Roma. — El tucto dalla cappella exteriore per fino a le scale sono canne 36 — Palazo di PP. Innocentio Vili ». A tergo: altri schizzi a penna e in alzato ; tra le altre cose è detto : « mezo della crocerà di Sancto Pietro ». — Schizzo a penna su carta cerulea di pianta a croce greca per detta chiesa. Sono indicati solamente due bracci superiori con varianti fra loro. La distanza dei pilastri della cupola è « p. 101 ». Nello stesso foglio oltre molte cifre numeriche o conteggi vi sono tre figurette appena accennate. A tergo: piccolo interno prospettico a penna e bistro; sembra l'alzato della pianta sopra descritta. Evvi pure una testa virile; ripetizione un po' più in grande di due delle figurette indicate sopra. In basso nel- l' estremità destra del foglio si legge di carattere del tempo : « Baldassarre Peruzzi senese ». — Rapido schizzo a penna del coro e dei pilastri per la cupola di San Pietro. Fra i pilastri otto colonne accoppiate a due a due, e nelle arcate minori quattro sole. A tergo: disegno a penna e bistro di pianta per chiesa quadrata all' esterno , e dentro quattro cappelle tonde concen- triche. In basso l'alzato di una delle faccie esterne. — Disegno a penna e bistro in foglio grande , formato da tre pezzi , di pianta a croce latina per San Pietro. Non vi sono altre indicazioni che questa di mano del Peruzzi : « palmi clx ». — Disegno a penna e bistro della pianta di San Pietro, a croce la- tina. Sono indicate le seguenti misure : . dall' estremità di un braccio al- l'altro « pai. 624 » il coro « pai. 161 » la cupola « p. 185 » la distanza da pilastro a pilastro « p. 101 ». A tergo : piccolo alzato prospettico che si riferisce al disegno suddetto. — Disegno a penna e bistro con sue misure per la pianta di San Pie- tro. Di mano autografa vi si legge : « canne 80 pai. 4 tucta la longheza » 634 COMMENTARIO ALLA VITA dal coro alla porta principale « palmi 624 tutta la largheza » dall' un braccio all'altro della croce. Il coro è lungo palmi « 160 » e il diametro della cupola maggiore palmi « 185 » quello della cupola nel mezzo del piedicroce « pai. 117 ». A tergo: altro studio a penna e bistro della parte superiore del detto disegno. Roma. — Disegno a penna e acquerello con misure di una pianta a croce latina per la chiesa di San Pietro. — Progetto a penna e acquerello di una metà di pianta per San Pie- tro. Nei pilastri del piedicroce sono indicate le misure. Vi sono pure 14 righi di scrittura del Peruzzi, che dicono : « per la tribuna ducati 175000 - per canne 21372 di muro per 4 pilastri d. 53430 - per canne 1010 d. 2525 - per canne 3000 per la facciata per alzare un pilastro verso le stalle canne 3870 d. 9675 - per alzare tre pilastri li 2 verso palazo e uno el tagliato acanto a la cappella di Xisto canne 8000 d. 20000 per canne 13000 di muro per le due cappelle de la croce d. 32500 per le 8 volte di canne 6 d. 20000 grosse 10 teste - per le volte de la nave grande canne 11420 grosse 15 teste d. 27550 ». A tergo: vari indizi di pianta con un piccolo alzato. . — Disegno a penna e bistro di pianta a croce greca per San Pietro. A tergo: pochi segni a matita e penna per la pianta suddetta. . — Piccolo alzato prospettico di una cappella o tribuna interna di San Pietro. Schizzo a penna macchiato di bistro. — Alzato in prospettiva di una parte dell' interno di San Pietro. Pic- colo disegno eseguito a penna e bistro. — Piccolo studio in prospettiva dell'alzato interno di una parte della basilica di San Pietro. Si vedono tre arcate del piedicroce, la cupola ornata da lacunari quadrati e ottangolari alternati, e il coro con una nicchia in fondo a guisa d'abside. È da osservare che tra i due piloni della cupola sono due grandi colonne che aprono l'ingresso al braccio destro della chiesa, e sopra il loro cornicione un fìnestrone diviso in tre parti con quella di mezzo centinata in alto. Disegno maestrevolmente condotto a penna e bistro, da alcuno attribuito a Bramante. A tergo: indizio di un'arcata fiancheggiata da una colonna, poche cifre numeriche e una sigla composta di un' E e di un'S intrecciate insieme. — Piccolo bozzo a penna per la facciata di San Pietro, preceduta da un portico d'ordine corintio. — Piccolo schizzo a penna e bistro della facciata esterna di San Pie- tro, preceduta da tre portici: quello di mezzo più sporgente con fronti- spizio triangolare e gli altri due ai lati con frontispizio circolare. A tergo : frammento di pianta con misure e queste parole autografe : « el portico — entra o vero piglia — cappella palmi 29 ». DI BALDASSARRE PERUZZI 635 Roma. — Piccola veduta a penna della parte esterna e posteriore di San Pietro. A destra si vede appena indicato un campanile, a sinistra sotto l'angolo sporgente è segnato « 1/6 » a traverso. A tergo: un fram- mento del recinto esterno del tamburo decorato di colonne. — Bozzetto a penna e bistro di metà del portico principale di San Pie- tro e del lato destro che sembra ispirato dagli archi trionfali antichi. Sul ripiano di un'ampia scalinata posano le grandi colonne di ordine corintio che sorreggono il cornicione del portico sormontato da un frontispizio ret- tilineo. Alcune linee prolungate al disopra del lato destro farebbero sup- porre aver avuto intenzione il Peruzzi d' erigere un campanile in ambi i lati per maggiore ornamento della facciata. A tergo : frammento di pianta per San Pietro, che mostra anditi intorno alle crociere, e varj conteggi. — Disegno a penna e bistro di pianta con misure e indicazioni ; una dice « palmi 90 Va la mita del portico medio » due piccoli alzati. Molto singolare è questo disegno, col quale si sarebbe recinta di un ricco por- tico tutta la facciata di San Pietro, e continuato anche nei fianchi. A tergo: semplice schizzo a penna della metà di facciata per una casa. — Disegno a penna per la facciata di San Pietro, con lo schizzo della pianta. — Disegno a matita e a penna di pianta a croce greca per la basilica ii San Pietro. A tergo: studio parziale di detta pianta. — Disegno a penna e seppia di pianta, forse per la cupola di San Pietro. — Pianta schizzata a penna. Sembra un progetto per il portico di San Pietro. Vi è scritto : « volta a botte ». A tergo : rapido schizzo di al- iato del centro di detta pianta. — Disegno a matita rossa e penna di una cupola ov' è scritto : « que- sta bruciò di luglio 1523 »; più sotto, nell'arco: « Tempore Adriani IV — l'ore di Borgia in palazo di papa in Roma ». Evvi lo schizzo separato Iella lanterna, della pianta di detta torre ed alcuni profili di cornici. 1 tergo : varj schizzi a penna di piante , di profili e di una colonna rai- urata dove si legge : « Colonne di Sancto Pietro che sono andate per erra — palmi 40 el fusto ». — Bozzo a penna su carta grigia di una scena prospettica composta li varj edifizj di fantasia. A tergo : piccolo indizio a penna dell' esterno li San Pietro che appare a croce latina. — Disegno a penna ed acquerello di pianta rettangolare per abi- azione, senz' altra indicazione che questa: « Via Alexandrina Via jubbliea ». — Pianta di forma singolare a guisa di tempio, con altro tempio ticcolo nel mezzo. 636 COMMENTARIO ALLA VITA Roma. — Pianta di un tempio di forma esagona all'esterno e cir- colare dentro, con vestibolo. Disegno a penna e acquerello senz' alcuna indicazione. — Altro disegno eguale. — Pianta a penna e seppia, con misure di un edifizio circolare con- simile al Panteon di Roma, ma circondato di colonne all'esterno. — Schizzo a penna del profilo di una base misurata, con queste in- dicazioni autografe : « Basamento in San Pietro in la parte exterjore — él palmo romano e minuti 22 e 4/s del braccio fiorentino ». — Disegno a penna dell' alzato di una corte di palazzo , inspirato sul teatro di Marcello, consistente in archi e colonne di tre piani; il 1° piano è dorico, il 2° jonico e il 3° corintio. — Disegno a penna e bistro della pianta di una chiesa. A tergo : altri schizzi di piante. — Schizzi a penna di piante. A tergo : altri schizzi di profili e di alzati con questo ricordo di mano di Baldassarre : « adi p.° 1534 — adi due di luglio si cominciò a mangiare el grano novo ». Questo foglio faceva parte di una lettera inviata al Peruzzi, come dal seguente indirizzo che vi si legge: « Al Molto Eccellente architectore Messer Baldessar da Siena honor.mo — In Roma ». — Disegno a penna e bistro per la facciata di un palazzo, ricca di colonne doriche e joniche, statue, bassorilievi, busti e cariatidi. A tergo : ornamento superiore per un caminetto. — Disegno a penna e bistro con lumi di biacca per la facciata di un palazzo a due piani. Il primo piano è a bugne ed ha pilastri scana- lati con capitelli jonici, il secondo piano è a guisa di loggia sostenuta da colonne d'ordine composito, e decorata di statue. — Pianta del castello di Belcaro e suoi annessi con misure e dichia- razioni scritte, salvo che nel palazzo, dov'è notato: « Nel palazzo non si pone misura per essere facto ». — Disegno di una pianta e schizzo di alzato di tempio circolare molto simile al Panteon. Presso la tribuna di faccia all' ingresso di mano di Sa- lustio è scritto : « Troppo vano per lo architrave se il pilastro fusse tanto largo che si potesse addoppiar di colonne saria bene perchè il resto è bella inventione ». A tergo : schizzo a matita nera di due basi e di un capitello d'ordine corintio. — Parti di pianta di chiesa con sue misure da ambe le parti. — Due piante quadrate molto ricche per una chiesa cattedrale. Di- segno a penna. — . Disegno a penna e acquerello di una semplice pianta per una piccola chiesa. DI BALDASSARRE PERUZZI 637 Roma. — Pianta e parte di alzato interno per un monastero di donne. — Varii schizzi di piante diverse per una cittadella o castello fortifi- cato. Primo pensiero, forse, per le tre piante di edifizj descritti o notati in altra parte. — Pianta a penna e acquerello con sue misure per una chiesa a tre navate e tre porte. Di mano di Salustio è scritto : « Schizi di fantasia ». A tergo: la stessa pianta con qualche variazione dalla parte dell'abside. — Disegno a penna ed acquerello di pianta e parte di alzato per un monastero di monache. — Disegno prospettico di due finestre con colonne joniche e fronte- spizio, uno triangolare, l'altro circolare e balaustrata nei davanzali. Dise- gno a penna maestrevolmente chiaroscurato di> seppia. A tergo: altra finestra terrena con colonne e fregio d'ordine dorico. — Disegno diligentemente condotto a penna e seppia di una corte interna di ricco palazzo a più piani. — Ricordi a penna di cornici, basi, capitello, mobili ed un letto con colonne e cortinaggio. A tergo : disegno a matita rossa di un castello in cima ad nn monte. — Pianta per uno spedale. Disegno a penna e acquerello con indica- zioni scritte in matita nera. A tergo, di mano- di Salustio e scritto: « Di- segno de lo Speda.... ». — Disegno a penna e acquerello di parte di 'pianta per un convento , con misure e indicazioni. — Sette fogli, in ognuno dei quali vengono dimostrate le diverse regole per costruire la voluta di un capitello jonico. — Schizzo di pianta per una chiesa a croce latina, e alzato di una torre cilindrica a più piani che si eleva da un piano quadrato. Altra pianta circolare con scala interna a chiocciola nel centro; sembra una torre. — Altre tre piante simili. — Pianta regolare per un'abitazione. In questa carta di mano di Baldassarre è una lunga nota di monumenti antichi. A tergo : schizzo di porta fiancheggiata da doppie colonne, e la sovrapposta volta spartita in lacunari di varie forme con sue misure scritte. — Piante a penna per una chiesa senza alcuna indicazione. — Disegno a penna e bistro di pianta quadrata con sue misure di una chiesa con una « cappella », un « altare » e due porte. Evvi scritto : « Canne 1500 per fine a la imposta de la tribuna.... In tre modi si pò vol- tare e in quactro ». A tergo : pochi segni a penna di altra pianta misu- rata per chiesa. — Disegno a penna, macchiato di seppia, di pianta con misure di una chiesa di forma rettangolare con dietro all'abside un « Campanile, » 638 COMMENTARIO ALLA VITA ima « Loggia alta b.a 12 » ed una « Sacrestia » che mette ad un'altra « loggia » più grande allato della chiesa. Nel mezzo della pianta v'è in- dicato: « Volta a vela o vero a conca ». Roma. — Pianta di tempio rotondo. Disegno a penna e acquerello con sei misure. A tergo: semplici schizzi di piante. — Disegno a penna e acquerello di una finestra con sue misure scritte. Sotto si legge : « Finestra di sopra ». — Disegno a penna e seppia di una porta con due colonne , fregio e frontespizio triangolare d'ordine dorico. Senza alcuna indicazione. — Disegno a penna e acquerello con sue misure di una chiesa di forma quadrata avente nel centro un tempietto ottagono circondato da otto colonne. — Disegno a penna e acquerello con misure di una porta con ricco architrave, e schizzi in profilo dì cornici di « finestra per li Strozzi ». — Altro disegno per la stessa porta con sue misure, ed altri schizzi diversi. A tergo: profili ed altri schizzi; — Schizzo a penna ed acquerello di parte interna di un tempio in prospettiva. — Schizzo a penna ed acquerello per un monumento architettonico. — Schizzi a penna di base, piedistallo e profili di cornici, con sue misure. — Disegno a penna e acquerello di una pianta di tempio tondo, cir- condato internamente da colonne , e legata con altra pianta rettangolare. — Disegno a penna e acquerello con misure e dichiarazioni di una pianta di un tempio rotondo nell' interno. A tergo : altra pianta simile e alzato di una parte dell' interno ; più lo schizzo di un cavaliere corrente. — Due disegni a penna e acquerello in fogli grandi di due piante irregolari di abitazione con giardino e loggiato. — Ricordo misurato a penna macchiato di seppia, di pianta e alzato di un tempio con tre porte e portico colonnato, al quale si ascende per mezzo di una scala a due branche. A tergo: schizzi di pavimenti ad am- brogette di più forme. Sarteano. — Pianta a penna misurata della terra e del forte di Sarteano. Di mano di Baldassarre leggesi: « El forte e la terra di Sar- tiano ». — Disegno a matita rossa e acquerello della « Ciptadella di Sar- teano ». Siena. — Pianta rettangolare a penna e acquerello con sue misure, nel centro della quale è scritto : « Cancelleria », a sinistra « Concistoro » e a destra « Balia ». A tergo: parte di pianta per una chiesa dov'è scritto: « Mantellate di Santa Monica — In la fiera vecchia — Capace a 60 suore ». DI BALDASSARRE PERUZZI 639 Siena. — Pianta e alzato, a penna, con sue misure e indicazioni del chiostro del convento annesso alla chiesa « De frati del Carrnjno a Siena ». In questa carta evvi ancora il seguente ricordo autografo : « + xij octob.r m • d • xxxi. Io Baldassarre Perutio architectore et pinctore fo piena et in- dubitata fede come già più sono ». — Profilo di uno dei bastióni con sue misure e le indicazioni: « Da Servi. ... A Servi ». È questo uno dei bastioni fatti da Baldassarre in Siena. — Evvi ancora un piccolo schizzo in alzato con misure « per la ma- donna di Vallj ». E di carattere posteriore è ripetuto: « La Madonna di Vallj », chiesa fuori della Porta Romana. A tergo: disegno di uno strettojo con grossa vite e sue misure. — Schizzo a penna e acquerello di un interno di tempio. Sembra anche questo far parte dei disegni di rimodernamento della chiesa di San Domenico di Siena. — Otto disegni a penna e bistro con misure, dichiarazioni scritte e perizie per il rimodernamento della chiesa vecchia di San Domenico. Nel piccolo foglio n° 1 vi è anche lo schizzo del taglio interno , e a tergo è notato essere questo studio di pianta « la prima ». In una di queste piante, n° 5, Baldassarre non solo proponeva di aprire un'altra porta in fondo dalla parte degli orti, che corrispondesse di rimpetto all'aitar mag- giore ; ma voleva altresì fiancheggiare i muri esterni di pilastri e nicchie tonde dalla parte del « Claustro » sino alla cappella di Santa Caterina, e dall'altra parte del prato sino al muro del campanile, che voleva ren- dere più elegante. — Pianta topografica che comprende lò spazio territoriale da Siena a San Casciano presso Firenze, e da Siena fino a San Giovanni in Valdarno con le indicazioni a penna di ogni luogo e le distanze di ciascuno se- gnate a miglia. A tergo : disegno di un « Pavimento per tempio » di commessi di varie forme. — Pianta a penna e acquerello , con sue misure e dichiarazioni , di una abitazione per monsig.r Girolamo Ghiandaroni di Siena, arcivescovo di Amalfi. Resta a contatto da un lato con la « Casa di Lodovico Bichie- raro » dall'altro con la « Casa vechia ». E la facciata da in '« Via roma- na ». A tergo: di mano di Baldassarre si legge: « Disegno del Rev.mo Arcivescovo de Amalfi ». — Schizzo a penna di piante misurate di alzati e di una testa in pro- filo su di un foglio di una lettera con questo indirizzo: « Al suo hono- rando et magiore mastro Baldassar architetto di Siena — In Siena ». Terracina. — Schizzi di piante e alzati di tempj e fabbriche antiche da ambe le parti. In una si legge : « Foro in Terracina », in altra : « Tem- plum Apollinis ». E di mano del figliuolo Salustio : « In Terracina — in al- 610 COMMENTARIO ALLA VITA DI B. PERUZZI tre carte misurato ».• A tergo: Altre piante e alzati. In una si legge: « Adequamenti — circa le mura di Terracina ». Terracina. — Pianta di forma decagona con baluardi agli angoli , e piccolo schizzo in alzato del medesimo forte. — Schizzi di piante. In una di esse è scritto in matita: « Porto » e altrove: « a Terracina ». A tergo: altre piante simili a matita. — Schizzi di piante a matita con misure e dichiarazioni. A tergo : altre piante simili, e pianta e alzato a penna di un tempio con portico. Tor rita. — Disegno a penna e matita, rossa per fortificare la terra di « Torrita ». Tunisi. — Tre piante topografiche di Tunisi e di altre citta e luoghi circostanti sulla costa dell'Affrica. Tivoli. — Schizzo a penna di un edifìzio antico sormontato da una torre cilindrica nel quale si legge : « Per la via di Tivoli ». Ed altri schizzi con misure di cornici e basi e di un arco, dove si legge: « Arcus Titi ». A tergo: semplice schizzo misurato di edifizio antico, di mano del figliuolo Salustio. Viterbo (presso). — Grandiosa e bella pianta di villa diligentemente studiata e annotata su due grandi fogli quadrellati. Disegno a penna, bistro e colore rosso. È questo uno dei due disegni che Baldassarre fece per i signori Orsini per due bellissimi palazzi che furono fabbricati presso Viterbo, come dice il Vasari nella Vita di questo architetto. . , — Schizzo a penna della parte esterna di un palazzo. Di mano di Baldassarre v'è scritto: « Sebastiano (Serlio) nostro la intenderà ». Prospettive sceniche in Boma Grande disegno a "penna e a matita rossa con sue misure di un ap- parato in prospettiva, servito, forse, per le scene fatte dal Peruzzi, come dice il Vasari , per la rappresentazione della « Comedia della Calandra » del cardinale Bibbiena. Disegno come sopra di pianta di apparato o scena prospettica. A tergo , di mano di Salustio si legge , ripetuto tre volte : « Aparato de la Comedia di Cesarino ». Disegno in foglio grande diligentemente condotto a penna e bistro rappresentante una scena prospettica composta dai più famosi monu- menti romani, fra i quali si riconoscono: il Colosseo, il Panteon, la Mole Adriana, il Tempio di la colonna Trajana, la Torre di Ne- rone, l'obelisco di piazza del Popolo, Sant'Andrea della Valle ecc. — Semplice schizzo del profilo di una base, dove e scritto: « Ionica nel palazzo del cardinale de Ancona ». 641 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI BALDASSARRE PERUZZI 1481, 7 marzo. Nasce in Siena da Giovanni di Salvesteo di Salvadore Pe- ruzzi, tessitore, da Volterra. 1501, 15 agosto. Gli sono pagate 42 lire per altrettanti giorni dati alla pittura della cappella di San Giovanni nel Duomo di Siena. 1503, circa. Va a Roma con Pietro d'Andrea, pittore da Volterra. 1508. Disegna i musaici della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. 1509. Architetta il palazzo di Agostino Chigi, oggi la Farnesina. 1511. (?) Fa il disegno dell'Oratòrio della Rotonda in Carpi. 1514. (?) Manda da Roma il disegno e il modello del Duomo della detta città. 1515. Dipinge nell'apparato per l'elezione di Giuliano de' Medici a ge- nerale di Santa Chiesa. 1515. Manda da Roma il modello di legno del detto Duomo. 1515. Disegna l'oratorio della Sagra nella suddetta città. 1516. Dipinge la cappella Ponzetti nella Pace di Roma. 1517. (?) Architetta la parte anteriore e la facciata della chiesa di San Niccolò nella medesima città. 1518. settembre. È chiamato a Todi per consigliare sulla fabbrica di Santa Maria della Consolazione. 1520, 1 agosto. È fatto architetto della fabbrica di San Pietro. 1520. Fa le scene per la recita della Calandra. 1522. Va a Bologna per dare il disegno della nuova facciata di San Pe- tronio. 1522. Fa al Beritivoglio l'Adorazione de' Magi in carta di chiaroscuro. 1522. Dà il disegno della porta della chiesa de' Monaci di San Michele in Bosco di Bologna. 1523. Fa l'apparato per la incoronazione di Clemente VII. Vasari, Opere - Voi. iv. 41 G42 PtfOSP. CRON. DELLA VITA ecc. DI B. PERUZZI 1521, circa. Disegna la sepoltura di Adriano VI papa. 1527. Nel sacco di Roma, dato dagl'Imperiali, è fatto prigione e ta- glieggiato. 1527, 10 luglio. Eletto architetto della Repubblica di Siena per due anni. 1527, 31 agosto. Ratifica la sua elezione fatta dal Comune di Siena in suo architetto. 1527. Comincia le fortificazioni della sua patria. 1528. È inviato ad Asciano per restaurare le mura di quella terra. 1528. Stima la spesa per rifare il ponte sull' Orcia presso il Bagno a Vi- gnoni. 1528. Consiglia sul luogo, dove fabbricare la chiesa di San Giovanni in Pantaneto di Siena. 1529, 23 febbrajo (stile comune). È confermato architetto della Repub- blica di Siena per un anno. 1529, 18 marzo (stile comune). Rivede le fortificazioni di Chiusi. 1529, 10 luglio. È eletto architetto del Duomo di Siena. 1529, 22 settembre. E mandato al campo Imperiale sotto Firenze. 1529, 26 settembre. Stima gli affreschi dei Santi Ansano e Vittorio e del Beato Bernardo Tolomei, dipinti dal Sodoma nella sala del Map- pamondo riel palazzo della Signoria di Siena. 1529. Dà il disegno per la restaurazione delle mura di Torrita. 1530. Di nuovo è architetto di San Pietro di Roma. 1531. Stima il cartone delle storie di Moise che riceve le. tavole della legge, fatto dal Beccafumi pel pavimento del Duomo di Siena. 1531. Trova un nuovo modo di battere le monete. 1531. Va nella Maremma senese a rivedere le ròcche delle terre di quella provincia. 1531, 28 ottobre. Petizione de' Senesi, perche sia nuovamente fatto archi- tetto del Comune della sua patria. 1532. Visita la steccata e il ponte di Buonconvento. 1532. Dà il disegno dell' aitar maggiore del Duomo di Siena. 1532, 17 ottobre. Gli sono assegnate dalla Repubblica di Siena le rendite della Marsiliana per undici anni. 1535, marzo. Torna a Roma, ed è nuovamente messo in San Pietro, come architetto di quella fabbrica. 1536, 6 gennajo. Muore in Roma. GIOVANNI FRANCESCO DETTO IL FATTORE FIORENTINO 1 E PELLEGRINO DA MODANA PITTORI (Nato nel 1488?; morto nel 1528?) (Operava fin dal 1483; morto nel 1523) • G-iovanfrancesco Pernii detto il Fattore,2 pittore fio- rentino, non fu manco obligato alla fortuna, che egli si fusse alla bontà della sua natura; poiché i costumi, T in- clinazione alla pittura, e l1 altre sue virtù furono cagione 1 Nella prima edizione queste due Vite sono separate, e quella di Pellegrino precede quella del Fattore , la quale comincia nel seguente modo : « Egli si può ben fortunatissimo chiamare colui, che senza aver pensiero a cosa che si sia, datìa sorte è condotto a un fine, che di lode, di onore et utile di continuo lo ac- cresca, et per cognizione gli faccia essere portato riverenza, et ogni sua azzione et fatica di premio onorato guiderdoni. Questo avvenne a Giovan Francesco ecc. ». 2 t Nessuno degli annotatori del Vasari ha potuto aggiungere qualche mag- giore schiarimento intorno alla persona e alla famiglia di questo artefice fioren- tino. Noi dopo avere per molto tempo ricercato negli Archivi, siamo finalmente venuti in questa supposizione; cioè che egli sia figliuolo d'un Michele di Luca di Bartolommeo tessitore di pannilini, la cui portata si legge all'Estimo del Con- tado di Firenze del 1504, Santo Spirito, popolo San Lari a Colombaja n° 5. In essa dice Michele di avere 38 anni d'età, Caterina sua donna 32, e de' suoi figliuoli Bartolommeo averne 13 ,« Gio. Francesco 8 ( che crediamo essere il Fattore ) , Raffaello 6, e Piero 1. Luca altro fratello del Fattore non era ancor nato. In uno strumento del 1521 rogato in Roma da ser Pietro Epifani, notajo e cancelliere del Consolato della Nazione Fiorentina in Roma, si dice che Gio. Francesco di Mi- chele da Pisa, pittore dimorante in Roma, dà a pigione una sua casa posta in quella città. A noi non fa caso che in detto strumento Gio. Francesco si dica da Pisa, perchè può ben essere che colà fosse andato ad abitare Michele suo padre, e perciò fosse chiamato da Pisa, non per origine, ma per dimora. 644 IL FATTORE E PELLEGRINO DA MODANA che Raffaello da Urbino se lo prese in casa, ed insieme con Giulio Romano se rallevò, e tenne poi sempre l'uno e l'altro come figliuoli; dimostrando alla sua morte quanto conto tenesse d'amendue, nel lasciargli eredi delle virtù sue, e delle facultadi insieme.1 Giovanfrancesco dunque, il quale cominciando da putto, quando prima andò in casa di Raffaello, a esser chiamato il Fattore, si ritenne sempre quel nome, immitò ne1 suoi disegni la maniera di Raffaello, e quella osservò del continuo, come ne pos- sono far fede alcuni suoi disegni che sono nel nostro Libro. E non è gran fatto che molti se ne veggiano, e tutti con diligenza finiti, perchè si dilettò molto più di disegnare che di colorire. Furono le prime cose di Giovanfrancesco da lui lavo- rate nelle Loggie del papa a Roma, in compagnia di Giovanni da Udine, di Perino del Vaga, e d'altri eccel- lenti maestri: nelle quali opere si vede una bonissima grazia, e di maestro che attendesse alla perfezione delle cose. Fu universale, e dilettossi molto di far paesi e ca- samenti. Colorì bene a olio, a fresco ed a tempera, e ritrasse di naturale eccellentemente, e fu in ogni cosa molto aiutato dalla natura, intanto che, senza molto stu- dio, intendeva bene tutte le cose dell'arte; onde fu di grande aiuto a Raffaello a dipignere gran parte de' car- toni dei panni d'arazzo della cappella del papa e del concistoro, e particolarmente le fregiature. Lavorò anco molte altre cose con i cartoni ed ordine di Raffaello; come la volta d'Agostino Chigi in Trastevere,9 e molti quadri, tavole, ed altre opere diverse; nelle quali si portò tanto bene, che meritò più l' un giorno che l'altro 1 * Furono eredi soltanto degli oggetti relativi all'arte, com'è stato avvertito, con la scorta del P. Pungileoni, nella Vita di Raffaello. 2 * Tutte le storie della favola di Amore e Psiche nella Farnesina furono di- pinte coi disegni di Raffaello da Giulio Romano e da Francesco Penni, e gli orna- menti da Giovanni da Udine. IL FATTORE E PELLEGRINO DA MODANA 645 da Eaffaello essere amato. Fece in Monte Giordano in Roma una facciata di chiaroscuro ; ed in Santa Maria di Anima, alla porta del fianco che va alla Pace , in fresco un San Cristofano d1 otto braccia, che è bonissima figura;1 ed in quest'opera e un romito in una grotta con una lanterna in mano, con buon disegno e grazia unitamente condotto. Venuto poi Giovanfrancesco a Firenze, fece a Lodovico Capponi a Montughi, fuor della porta a San Gallo, un tabernacolo con una Nostra Donna molto lo- data.2 Intanto venuto a morte Raffaello, Giulio Romano e Giovanfrancesco, stati suoi discepoli, stettono molto tempo insieme, e finirono di compagnia l'opere che di Raffaello erano rimase imperfette, e particolarmente quelle che egli aveva cominciato nella vigna del papa,3 e similmente quelle della sala grande di palazzo; dove sono di mano di questi due dipinte le storie di Gostan- tino con bonissime figure, e condotte con bella pratica e maniera:4 ancor che le invenzioni e gli schizzi delle storie venissero in parte da Raffaello.6 Mentre che questi lavori si facevano, Perino del Vaga, pittore molto eccel- lente,6 tolse per moglie una sorella di Giovanfrancesco, onde fecero molti lavori insieme; e seguitando poi Giulio e Giovanfrancesco, fecero in compagnia una tavola di 1 Gli fu dato di bianco ai giorni del Bottari. 2 Non sussiste più. 3 * Forse intende di parlare dei dipinti nella cappella del castello della Ma- gliana, che sono descritti dal Passavant ( Vita di Raffaello, I, 290 ; 349), e dal- l' Hahn, nei Fogli di trattenimento letterario (in tedesco), anno 1841, n° 335 e seguenti. 4 La tavola dipinta dal Perini rappresenta San Silvestro che battezza Co- stantino. 5 i Per conto delle pitture nella sala di Costantino, Giulio Romano e il Fat- tore ebbero mille ducati d'oro di camera. La prima paga cominciò il 1° di feb- brajo 1524 e l'ultima finì il 3 di luglio 1525. (Vedi nell'Archivio di Stato di Fi- renze. Conventi soppressi: Santa Maria Novella, voi. 327-328 de' libri di conti di papa Clemente VII). 6 Pietro Buonaccorsi fiorentino, detto Perin del Vaga, di cui leggesi la Vita più oltre. 640 IL FATTORE E PELLEGRINO DA MODANA due pezzi, drentovi l'Assunzione di Nostra Donna; che andò a Perugia a Monteluci; 1 e così altri lavori e qua- dri per diversi luoghi. Avendo poi coirmi essione da papa Clemente di fare una tavola simile a quella di Raffaello che è a San Piero a Molitorio,2 la quale si aveva a man- dare in Francia, dove quella era prima stata da Raf- faello destinata, la cominciarono; e appresso venuti a divisione, e partita la roba, i disegni, ed ogni altra cosa lasciata loro da Raffaello, Giulio se n'andò a Mantova, dove al Marchese lavorò infinite cose ; laddove non molto dopo capitando ancor Giovanfrancesco o tiratovi dall' ami- cizia di Giulio o da speranza di dovervi lavorare , fu sì poco da Giulio accarezzato, che se ne partì tostamente ; e girata la Lombardia, se ne tornò a Roma, e da Roma in su le galee se n'andò a Napoli dietro al marchese del Vasto, portando seco la tavola finita, che era im- posta,3 di San Piero a Montorio, ed altre cose, le quali fece posare in Ischia isola del Marchese. Ma la tavola fu posta poi, dove è oggi in Napoli nella chiesa di Santo Spirito degl'Incurabili.4 Fermatosi, dunque, Giovanfran- cesco in Napoli, e attendendo a disegnare e dipignere, si tratteneva, essendo da lui molto carezzato, con Tom- maso Cambi mercante fiorentino, che governava le cose di quel signore. Ma non vi dimorò lungamente, perchè, essendo di mala complessione, ammalatosi vi si morì, con incredibile dispiacere di quel signor Marchese è di chimi- che lo conosceva. Ebbe costui un fratello similmente di- 1 II quadro di Monteluce è ora nella Pinacoteca Vaticana , ed è ben conser- vato. — **Fu allogato a Raffaello, ed egli ne fece un disegno, che fu peraltro poco seguitato dai suoi scolari. Griulio Romano ne dipinse la parte superiore, e la inferiore il Penni. Vedi Prospetto Cronologico alla Vita di Raffaello. 2 Cioè alla famosa Trasfigurazione, che a tempo dello storico era a San Pietro in Montorio, ed ivi stette fin verso la fine del secolo passato. 3 t Intendi che la tavola di San Pietro a Montorio che era imposta, cioè preparata di colore, fu finita da Grio. Francesco, e portata a Napoli. 1 Non si ha notizia certa di questo quadro. Il Bottari credeva che fosse stato trasferito in Ispagna. IL FATTORE E PELLEGRINO DA MODANA 647 pintore, chiamato Luca, il quale lavorò in Genoa con Perino suo cognato, ed in Lucca, ed in molti altri luoghi d'Italia; e finalmente se n'andò in Inghilterra, dove avendo alcune cose lavorato al re e per alcuni mercanti, si diede finalmente a far disegni per mandar fuori stampe di rame intagliate da' Fiaminghi ; e così ne mandò fuori molte che si conoscono, oltre alla maniera, al nome suo; e fra l'altre, è sua opera una carta, dove alcune fem- mine sono in un bagno ; l' originale della quale , di pro- pria mano di Luca, e nel nostro Libro.1 Fu discepolo di Giovanfrancesco , Lionardo detto il Pistoia per esser pistoiese,2 il quale lavorò alcune cose 1 Oltre alla stampa del bagno qui ricordata, se ne conosce di lui un'altra anche più stimata , detta le Tessitrici. Di questa fa menzione il Vasari nella Vita M Marcantonio Raimondi. 2 II vero cognome del Pistoja è incerto. Il Lanzi lo trovò nominato da alcuni scrittori Malatesta, da altri Guelfo: in un quadro dì Lucca vi è scritto : Leonardo Gratta Pistoriensis; e in uno di Volterra: Opus Leonardi Pistoriens. 1516. Ma poiché nel 1516 il Penni era tuttavia scolaro e ajuto di Raffaello, non sembra verisimile che potesse allora aver già fatto un allievo di tanto credito. É proba- bile dunque, come opinò il Tolomei {Guida di Pistoja), che nel secolo mede- simo sien fioriti due Leonardi Pistojesi, l'uno anteriore all'altro: il primo, che avrebbe dipinto il quadro di Volterra, sarebbe di casato Tronci, come rilevasi •da un'altra tavola, che fu già a Pisa, e che possedeva Carlo del Chiaro nego- ziante, ove si legge Leonardus de Truncis pinocit die xxv decembris a. mdxv. Il secondo sarebbe il Grazia o il Guelfo, detto anche il Pistoja', scolaro del Fattore. — *I1 quadro di Lucca è nella cappella della sagrestia della Cattedrale: rappresenta l'Annunziazione, e dalla parte della Vergine, di lettere majuscole è scritto: leonardus gratia pistoriensis faci'ebat\ Il colmo di questa tavola, col 1 Dio Padre in mezzo agli angeli, è di Agostino Marti pittor lucchese. L'altro quadro ■di Volterra, che una volta era nella chiesa di Santo Stefano, ed ora si vede nella -cappella di san Carlo nella Cattedrale , rappresenta la Vergine seduta in trono col Bambino Gesù, e in alto due angeli volanti, che aprono e sorreggono le cortine » 131 Bramante da Urbino » 145 Commentario alla Vita di Bramante da Urbino » 169 Fra Bartolommeo di San Marco » 175 1 Albero della famiglia di Fra Bartolommeo » 203 Commentario alla Vita di Fra Bartolommeo della Porta t Parte Prima » 205 Parte Seconda, p. 209. Parte Terza, p. 212. Mariotto Albertinelli » 217 t Albero degli Albertinelli » 231 Randellino Del Garbo » 233 i Commentario alla Vita di Raffaellino Del Garbo » 243 Torrigiano » 255 t Alberetto de' Torrigiani » 265 Giuliano ed Antonio da San Gallo » 267 1 Albero de' Giamberti , de'Coriolani e de' Da Sangallo » 292 Commentario alia Vita di Giuliano e di Antonio da San Gallo Parte Prima » 295 Parte Seconda » 299 Avvertimento alla Vita di Raffaello da Urbino » 311 654 INDICE Raffaello da Urbino . Pag. 315 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Raffaello Sanzio.. » 387 Commentario alla Vita di Raffaello da Urbino. — Parte Prima.,.. » 391 t Parte Seconda, p. 406. Parte Terza, p. 410. Guglielmo da Marcilla » 417 t Prospetto cronologico della vita e delle opere di Guglielmo Marcillac » 431 Commentario alla Vita di Guglielmo Marcillac » 433 Simone detto il Cronaca » 441 t Albero della famiglia di Simone del Pollajuolo detto il Cronaca ... » 455 Prospetto cronologico della vita e delle opere del Cronaca » 457 Domenico Puligo » 461 t Albero della famiglia degli Ubaldini da Marradi » 469 i Commentario alla Vita di Domenico Puligo » 471 Andrea da Fiesole e altri Fiesolani » 475 t Albero de' Ferrucci da Fiesole » 487 Vincenzio da San Gimignano e Timoteo da Urbino » 489 t Albero de' Tamagni . ; » 501 Commentario alla Vita di Vincenzo da San Gimignano e di Timoteo da Urbino , » 503 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Timoteo da Urbino » 507 Andrea dal Monte Sansovino » 509 t Alberetto de' Contucci dal Monte San Savino » 525 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Andrea dal Monte « Sansavino » '527 Benedetto da Rovezzano » 529 t Alberetto de' Grazzini » 537 Baccio da Montelupo e Raffaello suo figliuolo » 539 t Alberetto de' Sinibaldi da Montelupo » 549 Commentario alla Vita di Baccio e Raffaello da Montelupo » 551 Lorenzo di Credi » 563 i- Albero della famiglia di Lorenzo di Credi » 573 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Lorenzo di Credi.' » 575 Lorenzetto e Boccaccino » 577 t Albero della famiglia del Lorenzetto.. » 587 Baldassarre Peruzzi / , » 589 Alberetto dei Peruzzi di Volterra e di Siena » 613 t Commentario alla Vita di Baldassarre Peruzzi » 615 Prospettto cronologico della vita e delle opere di Baldassarre Peruzzi » 641 Giovanni Francesco detto il Fattore e Pellegrino da Modana » 643 m GETTY CENTER LIBRARY 3 3125 00107 1899